propedeutica: metrica: Flashcards

1
Q

perchè parliamo di “andamento ritmico” dei versi latini:

A

poichè essi sono regolati da una misurea’interna’;

ritmico è qualsiasi moto o successione che lasi distinguere nel suo interno dei segmenti costantemente ripetuti e riducibili a una misura di base.
Per cui, ritmico è ad esempio anche il discorso umano (segmentabile in frasi e sillabe, pause interne al discorso, alternarsi delle sillabe accentate e inaccentate (ritmo accentativo), e delle sillabe brevi e lunghe (ritmo quantitativo).

Il ritmo può essere poetico, ma anche prosastico > i latini ricercavano nella prosa di tono elevato l’effetto ritmico della ‘clausola’, ossia amavano chiudere i periodi secondo determinati schemi prosodici. (ex. dattilo + spondeo > _ u u _ _ ) > non si parla di clausola dell’esametro, perchè il ritmo della prosa è diverso dal ritmo della poesia.

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2
Q

il ‘saturnio’:

A

venne sostituito con Ennio dall’esametro.

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3
Q

il ‘sandhi’:

A

il termine sandhi ( = collegamento) indica i processi fonetici che intervengono tra segmenti contigui al confine di morfema o di parola: nel primo caso, si tratta di sandhi interno (alla parola) o sandhi morfologico (per es., imprevedibile ← in+prevedibile; incoerente [iŋˌkoeˈrɛnte]); nel secondo, di sandhi esterno o sintattico (ad es., con pazienza [kom paˈʦjɛntsa],).

Effetto del sandhi è che confini sillabici all’estremità delle singole parole possono venire turbati.

in latino:
* incontro di consonante + consonante > la sillabazione è la stessa che nelle parole isolate
* consonante + vocale > la consonante si aggrega alla voale (ex. ‘lumen ademptum’ > lume-na-demptum)
* vocale + vocale > si realizza la ‘sinaléfe’, per cui la vocale finale si annolla prosodicamente e si fonde con la vocale iniziale (ex. ‘informe ingens’ > -mein-, in cui nè ‘m’ nè ‘e’ hanno valore quantitativo)
* -m + vocale > -m finale tendeva a scimparire davanti a vocale > la vocale che precede -m viene a contatto con la seguente e si realizza anche qui una situazione di sinalefe (monstrum horrendum informe > divisa in sillabe diventa ‘mon-struhor-ren-duin-for-mein).

L’annullamento prosodico della vocale in sinalefe è stato da tempo interpretato come totale ‘elisione’, nella pronuncia, di quella vocale.
ex. ‘monstr’horrend’inform’ingens, ma questa tesi è da respingere poichè anche in italiano si verificano situazion simili ma che si leggono completamente.

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4
Q

i piedi:

A

in versi latini come l’esametro, le quantità sillabiche si dispongono per gruppi, quali il dattilo ( _ u u) o lo spondeo ( _ _ ).

tali figure quantitative si dicono ‘piedi’

i nomi dei piedi sono solitamente connessi ai nomi di alcune danze sacre greche (ex. il dattilo che misurava la danza dei Dactyli Idaei…).

L’unità di misura del piede è la sillaba breve (la quantità lunga viene considerata il suo doppio).
In sede metrica, la sillaba breve prende il nome di ‘tempo primo’ (o ‘mora’). Per cui i piedi possono essere classificati in base alla somma dei tempi primi in essi contenuti:
* piedi di due tempi primo (pirrichio)
* di tre (giambo)
* di quattro (dattio, spondeo…)
e così via

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5
Q

il ‘metro’:

A

il piede, in quanto misura del ritmo, è un metro (dal lat. ‘metrum’ = misura).

ma non tutti i piedi diventano metri, poichè alcuni non vengono propriamente usati per creare il ritmo, ma per sostituire altri metri o parti di metro, equivalenti per somma di tempi primi;
altri formando il metro perlopiù raddoppiandosi (ex. il giambo). > ad esempio, piò succedere perchè si preferiva la misura del pari a quella del dispari, per cui il raddopio di giambo > da 3 a 6 tempi primi.

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6
Q

‘arsi’, ‘tesi’ e ‘ictus’:

A

costituiscono i due momenti fondamentali del metro, i due tempi dalla cui ripetizione si genera il ritmo.
* arsi = tempo forte
* tesi = tempo debole (sollevamento mano/piede)

  • ictus = da segnale esterno che in origine segnalava il ricorrente ‘battere’ del piedie o della mano durante la scansione dell’arsi e della tesi. diventa l’accento.

L’arsi andò man mano a coincidere con la sillaba lunga del dattilo (sempre fissa), mentre le due brevi (tesi) sono sostituibili da una lunga ( = 2 tempi primi).

I metri che iniziano in ‘arsi’ sono detti ‘discendenti’), viceverse, sono detti ‘ascendenti’ quelli che iniziano in ‘tesi’.

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7
Q

l’esametro:

A

modellato sull’esametro greco, l’esametro latino è un verso dattilico (quindi discendente) composto da 6 metri (quindi da 6 alternanze ‘arsi’/’tesi’).

schema:
_ uu _ uu _ uu _ uu _ uu _ uu

ma questo è solo uno schema teorico, perchè non si trova mai realizzato; l’ultimo dattilo è sempre ridotto a 2 sole sillabe (‘catalessi’).

_ uu _ uu _ uu _ uu _ uu _ u

anche questo schemo è in realtà teorico in quanto i primi 4 metri possono sempre sostituire le brevi della tesi con una lunga, ossia il dattilo con lo spondeo ( _ uu = _ _ ).
* il 5° metro/piede tende a conservare immutato il dattilo
* il 6° metro/piede presenta principalmente la figura dello spondeo al posto che quella del trocheo, cioè può sostituire con una lunga anche la tesi di una sola breve ( _ u = _ _ ).

vedi schema pratico.

quando lo si legge > l’accento va sulle lunghe proprie, ma non sulle lunghe che sostituiscono brevi.

E’ differente dalla prosa, poichè in prosa non sempre le sillabe accentate sono quelle lunghe (ex. nelle parole con sillaba lunga finale).

Il 5° piede è fisso perchè serve a caratterizzare il metro; mentre il 6° è spondeo a causa di un’originaria catalessi del dattilo in trocheo.

La quantità della sillaba finale, detta ancipite, sarebbe quindi più precisamente una quantità libera.

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8
Q

esametri spondiaci:

A

gli esametri che nel 5° metro sostituiscono il dattilo con lo spondeo sono detto ‘spondìaci’/’spondaici’. (sono piuttosto rari).

Gli spondiaci, in quanto mai usati consecutivamente, vengono a sottolineare la solennità della scena.

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9
Q

la cesura:

A

si ha una cesura ogni volta che la parola ‘taglia’ il metro > una per ongi fine di parola all’interno del verso.

la parola che finisce in ‘arsi’ determina una sospensione ritmica che richiede di essere colmata e appagata dalla tesi successiva.

  • la cesura è ‘maschile’/’forte’ quando ripartisce esattamente il metro fra l’arsi e la tesi;
  • è ‘femminile’/’debole’ quando incide la tesi.
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10
Q

la dieresi:

A

accade quando la fine della parola coincide con la fine del metro > ha come effetto, a opposto della cesura, di isolare ritmicamente le singole unità semantiche.

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11
Q

la cesura centrale:

A

nei versi gli antichi distinguevano due membri, denominati dal numero di semìmetri che li componevano.

Nel verso ‘siluestrem tenui musam meditaris auena’ > un colon di 5 semimetri, ‘siluestrem tenui’ e uno di 7, ‘musam meditaris auena’.

Il verso si separa in due emistìchi in corrispondenza di una delle cesure, principalmente quella che incide il metro centrale e perciò si trasferisce dal signolo metro all’intero verso la funzione di saldare ritmicamente le parti.

  • La censura che avviene dopo un colon di 5 semimetri = seminquinaria
  • 7 semimetri = semisettenaria (alla semisettenaria si accompagna, con funzione equilibratrice, un’altra cesura nella parte iniziale del verso, la ‘semiternaria).
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12
Q

funzioni stilistiche della cesura:

A

la cesura non è propriamente una pausa, quanto un modo per sottolineare l’andamento ritmico del verso.

Può però esserci una pausa in corrispondenza della cesura per fini stilistici (ex. data dal senso generale della frase, e per noi, dalla punteggiatura forte).

In altre, la cesura ha invece al contrario funzione connettiva.

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13
Q

la dieresi bucolica:

A

usata particolarmente dai poeti bucolici greci, è la dieresi che, giungendo dopo la cesura centrale, distingue il quarto dal quinto metro, quindi i primi metri dagli ultimi 2. ( II = cesura ; I = dieresi).

essa sottolinea la cadenza finale, oltre che mette in evidenza un sintagma particolarmente significativo.

Come per la cesura, anche la dieresi può coincidere con una pausa (interpunzione), ma non è essa stessa una pausa.

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14
Q

il pentametro:

A

dall’esametro, per catalessi del terzo e senso metro, discende il cosiddetto ‘pentametro’, che in realtà possiede anch’esso 6 arsi, quindi 6 metri.

il nome deriva dal puro schema teorico:

_ u u , _ u u, _ _ , u u _ , u u _

due ipotesi sull’origine:
1. è una sequenza di 5 metri: 2 dattili e 2 aapesi inframezzati da uno spondeo. tuttavia, tale tesi suppone un’inversione del flusso ritmico, da discendente ad ascendente.
2. è il raddoppio di un emisticio d’esametro, determinato dalla cesura oentemimere (5 semimetri + 5 semimetri = 5 metri interi = pentametro).
Tuttavia, questa tesi ignora la presenza di 6 tempi forti nel verso.

Però è sensata per quanto rigurarda il fatto che il verso ripete perfettamente, nella prima parte, l’emistiio pentemimere di un esametro, anche nella spossibilità di sostituire con una lunga la tesi di due brevi (la seconda parte replica la prima, senza però consentire la sostituzione della tesi e applicando all’ultima sillaba la norma della quantità libera).

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15
Q

il distico elegiaco:

A

il pentametro venne usato principalmente in coppia con l’esametro, a formare il ‘distico elegiaco’ (poichè usato spesso nelle elegie e negli epigrammi).

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16
Q

particolarità prosodico-metriche: lo iato:

A

può accadere che, pur ricorrendo le condizioni per la sinalefe, essa non abbia luogo e anche la prima delle due vocali in contatto permanga nel suo valore prosodico, costituendosi come autonomo nucelo sillabico.
Questo mancato annullamento di vocale finale o, vocale + m, davanti a vocale iniziale si chiama ‘iato’.

il poeta che ricorre allo iato desidera ottenere effetti come l’onomatopea, o il sottolineare una parola molto significativa.

è raro che lo iato costudisca una vocale breve, al posto che di una lunga.
Essa può perà abbreviarsi per estensione fonosintattica della norma ‘vocalis ante vocalem corripitus’ (ogni vocale lunga che si trova dinnanzi a un’altra, se non si contrae con essa in una vocale unica, si abbrevia), solitamente riservata all’interno di parola > si parla così di ‘iato prosodico’

17
Q

l’allungamento in arsi davanti a cesura:

A

una sillaba che alla normale scansione fonosintattica risulta breve può talora occupare la posizione di una lunga > allungamento in arsi davanti a cesura.

perchè (?)

18
Q

la ‘s’ cadùca:

A

la latinità classica restaurò -s non solo nella versificazione ma nella normale parlata, e la sua elisione verrà considerata ormai un’abitudine rozza e ormai superata.

19
Q

gli ipèrmetri:

A

acune esametri, presi a sè, hanno l’apparenza di eccedere di una sillaba; sono detti perciò “ipermetri”.

In realtà la sillaba eccedente è sempre in sinalefe con la vocale che inizia il verso successivo.

20
Q

la combinazione delle parole nella cadenza finale:

A

parole bisillabe e trisillabe sono le parole più comuni usate per concludere gli esametri.
Sia i bisillabi (eccetto le parole tronche tipo ‘illùc’) che i trisillabi in sede finale di esametro fanno necessariamente coincidere la sillaba accentata con la sillaba in arsi.

Quasi mai il latio offre monosillabi isolati a ricoprire una breve; le combinazioni più comuni in sede finali sono 3+2 o 2+3; la 5° arsi viene a coincidere con l’accento, a causa della quantità obbligata della penultima.

21
Q

le clausole ‘eccezionali’:

A

finali quadrisillabiche o più, e finali monosillabiche, vengono entrambe evitate poichè, occupando da sole l’intera cadenza finale, appesantiscono troppo il ritmo o per frantumare la cadenza.

Se vengono usate:
* le prime, per i nomi greci
* le seconde, mirano a riprodurre nello squilibrio del ritmo lo squilibrio delle cose.

Tuttavia, poeti sorvegliati usano clausole di quattro o cinque sillabe per necessità o comodità.
Nei metri satirici di Orazio, le clausole monosillabiche vengono usate per restituire il clima della conversazione fra amici.

22
Q

la coincidenza di accento e arsi nella cadenza finale:

A

la coincidenza di accento e arsi nella cadenza finale dell’esametro, benchè non sempre realizzata, viene spesso addotta come prova determinante di un ictus vocale e intensivo nella recitazione ritmica.

Si è visto però che tale coincidenza nasca invece da ragioni ritmiche e da una concreta situazione del lessico (le regole che governano la sede dell’accento nelle parole latine): cose che non offrivano ai poeti soluzioni diverse.