propedeutica: la critica del testo: Flashcards
terminologia essenziale:
fino all’affermazione della stampa fra il 15° e il 16° sec, la tramsissione era principalmente manoscritta.
La tecnica tipografica ha massicciamente limitato le cause degli errori di trascrizione, ma non le ha però del tutto eliminate.
Per cui, i filologi devono operare sul testo tradito/trasmesso (tradizione = il modo in cui il testo è stato trasmesso) per rimuoverne gli errori e curanre quindi la recensione e la emendazione.
Il traguardo di tale processo è l’edizione critica, cioè un’edizione che presenta il testo critico di un’opera letteraria.
L’apparato critico è la sezione che rende conto delle operazioni eseguite dal filologo (editore) per giungere alla restiutzione del testo.
differenza fra la filologia classica e la filologia romanza:
i testi della letteratura romanza sono più criptici da ricostruire, principalmente perchè la loro trasmissione non era fermamente salvaguardata come lo era per i testi classici dal 3° sec. a.C. in poi, cosa che impediva i guasti della trasmissione manoscritta.
Il problema della tradizione classica riguarda infatti la quantità dei testi, molti dei quali perduti, e non la qualità (in gran parte).
Le pur rare testimonianze che possediamo dell’epoca tardoimperiale mostrano che la percentuale degli errori di trascrizione, rispetto ai manoscritti medioevali, è bassissima, come ci si deve aspettare in un’epoca (il tardoimpero) che, pur già abbastanza lontana dall’età genuinamente classica, possiede ancora nel latino una lingua “viva”, e quindi pochissimi erano gli errori insensati.
Dunque, quanto a formale correttezza, la scomparsa dell’originale “ non è molto più grave, agli effetti della tradizione, che
la scomparsa degli esemplari fino al 4-5° secolo; il periodo veramente traumatico è quello che ricopre i primi secoli del medioevo, dal 6-8°, quando coincidono il progressivo tramonto del latino come lingua parlata, sotto l’urgere degli idiomi nazionali, e i secoli bui della cultura; la rinascenza carolingia determina comunque un rapido riallacciamento al
passato; e da quest’epoca, in genere, comincia la parte superstite della piramide (al cui vertice ci sarebbe il fantomatico ‘originale’).
l’errore:
Se il copista compie in media 1 errore a pagina, man mano che il testo viene tramandato, il testo copiato sarà sempre più distante dall’originale.
cos’è un errore?
generalizzando, ogni deviazione dal testo è da consierare errore. tipi di errori sono:
* le interpolazioni
* salti di pezzi di testo
* il salto da uguale a uguale
* l’omoteleuto (omissione di poche sillabe a fine parole) e omeoarto (all’inizio di parola)
antigrafo e apografo:
- antigrafo: il modello da cui il copista copia
- apografo: il nuovo esemplare copiato
le glosse:
sono note marginali o interlineari destinate a chiarire parole o frasi del testo.
il ‘dettato interiore’:
definizione di Dain, indica il processo di memorizzazione di un passo (pericope), che poi viene autodettato dal copista mentalmente mentre lo trascrive.
spesso il copista lo ricorda male, o ricorda male il modo in cui è scritto.
la correzione dell’errore:
la natura prevalentemente meccanica degli errori di copiatura rende in generale abbastanza semplice la loro individuazione e per lo più agevole la correzione. questo però solo se il copista non è colto o semi-colto, cioè non ha avuto la capacità/l’iniziativa per correggerli, poichè così facendo, può addirittura peggiorare l’errore e renderlo più difficile da individuare per i filologi.
il copista ideale per la trascrizione dei
testi classici sarebbe stato lo scriba privo
di cultura e consapevole dei propri limiti.
Ma questo tipo di amanuense non è mai esistito: un sia pure minimo grado di cultura era connaturato al mestiere.
l’originale:
l’originale è il manoscritto rispecchiante la volontà dell’autore, a cui secondo le definizioni tenderebbero gli sforzo dell’ecdotica; tuttavia, l’originale così inteso è una mera astrazione: il concetto di originale deriva da una visione statica, modellistica, dell’opera letteraria, mentre
le singole opere di uno scrittore costituiscono a rigore una sezione a volte casuale e provvisoria; bisogna fare i conti con un organismo dinamico, i
cui fermenti spesso non si esauriscono nemmeno con la pubblicazione (vedi le varianti d’autore).
Oppure l’Eneide con i suoi tibicines, gli esametri incompiuti che non rispecchiano certo “l’ultima volontà “ di Virgilio ma sono autenticamente suoi.
inoltre, nemmeno il più diligente manoscritto che sia eseguito di pugno dell’autore va del tutto esente da errori;
O il concetto di ‘prima copia’, soprattutto in epoca romana, non può coincidere con l’originale, poichè spesso la copia che arrivava all’editio era già stata copaiata più volte dall’autore stesso o dallo schiavo incaricato.
cause degli errori nell’antichità:
alterazioni del testo, nell’antichità, avvengono piuttosto per altre cause, indipendenti dal lavoro di copiatura in sé (ex. determinate tendenze di determinati circoli culturali)
ex. le commedie di Plauto: ciò che ci giunge dalla tradizione non è tanto
il testo scritto da Plauto quanto il « copione “ usato per le
messe in scena dalle successive generazioni di teatranti, con
tutte le manipolazioni conseguenti anche alle necessità sceniche,
finché giunse a fissarsi in una forma standard quando dalle
mani della gente di teatro passò a quelle dei filologi
a cosa si deve l’impoverimento del patrimonio letterario latino:
- alle complesse vicende storiche {lotte religiose e
politiche; e saccheggi, incendi, distruzioni) che hanno tormentato attraverso i secoli la storia di Roma e d’Europa. - alla stessa evoluzione della tecnica libraria e scrittori:
- fra il 2 e il 4° secolo d.C. si registrò il definitivo passaggio dal papiro in rotolo (uolumen) alla pergamena ripiegata
c tagliata in fogli (codex); è la cosiddetta « codificazione » - fra l’8 e il 9° la rinascita culturale promossa da Carlo Magno e l’universale affermarsi della scrittura minuscola, detta
perciò carolina, condusse alla traslitterazlone dei precedenti
codici in maiuscola (oncia/e e semionciale); - infine, tra la fine del 15 e il 16° secolo si ebbe la traslitterazione, per così dire, definitiva: dal libro manoscritlo al
libro stampato.
Benché fondamentali per la fortuna del libro e quindi per la storia della civilità, questi eventi (e i primi due soprattutto)
hanno certamente contribuito alla definitiva scomparsa di opere che non si ritennero degne di ripagare la fatica, e la spesa, della trascrizione.
la tradizione indiretta:
tipo di tradizione indiretta sono le citazioni. L’utilizzazione di tali testimonianze indirette esige tuttavia
cautela: non sempre si tratta di citazioni fedeli, data la consuetudine piuttosto diffusa di citare a memoria.
Dopo le citazioni, particolarmente fruttuosi per la critica testuale risultano i commenti antichi, gli epitomi (riassunti), le parafrasi, le imitazioni, i centoni (costituiti integralmente di versi o parti di verso di altro autore (quasi esclusivamente Virgilio) e ricuciti in modo da formare nuove opere di contenuto e significato totalmente diversi (famosi il Centu nuptialis di Ausonio e il centone cristiano di Proba Petronia).
la critica testuale dall’antichità all’Ottocento:
La necessità di emendare criticamente i testi dalle sopravvenute adulterazioni si fece sentire solo dal momento in cui cominciò a prendere corpo un’autentica filologia; euesto accadde quando il mondo antico, vissuta la folgorante avventura universalistica di Alessandro Magno, prese coscienza che un’epoca era finita per sempre, e che se fosse perito il testo di Omero, di Pindaro, di Aristofane, di Platone e Aristotele, sarebbe perita la memoria stessa della civiltà rappresentata da quegli scrittori e ormai sottratta a ogni altro tipo di continuità.
- per questo > 3° sec. a. C. > un primo metodo filologico
- In Roma, dopo Varrone (I sec. a.C.), la critica testuale di tipo alessandrino toccò il vertice verso la fine del I secolo d.C.
Marco Valerio Probo da Bérito (Beyrut),
che procurò, a quanto sembra, l’edizione di vari autori latini, fra cui Lucrezio, Virgilio, Orazio, seguendo il metodo di Aristofane e Aristarco: “emendare ac distinguere et adnotare”.
Si estende la ricerca dei manoscritti più antichi, ai quali, per la loro maggiore vicinanza alla fonte prima, si attribuisce maggiore autorità, ricorrere al criterio interno dell’usus scrlbendi, cioè alle peculiarità che definiscono l’uso linguistico d’ogni
!iingolo scrittore
Sostanzialmente già la filologia degli antichi, e con successivi raffinamenti quella degli umanisti, costituisce e usa quelli che sono anche oggi - specialmente dopo il Lachmann - i due processi fondamentali della critica testuale: la recenslo, ossia il confronto e la valutazione dei manoscritti. e la
emendatio.
- Con l’età umanistica, la prevalenza assoluta si dà all’emendatio, e la recensio è limitata a una valutazione comparativa dei manoscritti a portata di mano.
Il testo veniva emendato o con personale congettura (ope ingenii, con gli abusi fatalmente connessi alla confidenza
nelle proprie forze) o ricorrendo ad altri testimoni della tradizione manoscritta (ope codicum).
Il testo costituito con tali criteri veniva assunto come esemplare e si diffondeva nelle scuole: è quello che si definisce textus receptus o anche vulgata (scii. editio); la sua diffusione si viene
poi massicciamente allargando, con la prima edizione a stampa (editio princeps), che finisce per renderlo canonico.
- Già nel 15 secolo il Poliziano e nel 16° Pier Vettori affermano la necessità di stabilire una genealogia dei codici, Erasmo da Rotterdam introduce il concetto di archetipo come codice capostipite.
- La svolta decisiva si ebbe nel Settecento, grazie a un gruppo di teologi studiosi del nuovo testamento in greco: si istituisce la norma che si dovesse far precedere oggettivamente a
qualsiasi tipo di emendatio una scrupolosa e sistematica recensio della tradizione, che classificasse i codici in famiglie e permettesse di giudicare della bontà d’una lezione piuttosto che di
un’altra secondo la sua appartenenza a una famiglia più o meno degna di fiducia, indipendentemente dalla lezione della vulgata e perfino dall’usus scribendi: i criteri basati sul iudicium del critico (e a maggior ragione la congettura, che è tutta e solo opera di iudicium) dovevano intervenire solo dopo che si fosse esaurita la funzione della recensio. - Karl Lachmann con la sua famosa edizione di Lucrezio (1850) consacrò definitivamente le regole della nuova
critica testuale (appunto da lui essa prende il nome benché i suoi meriti di creatore siano stati sopravvalutati); si afferma ulteriormente la necessità d’una ricostruzione genealogica della
tradizione manoscritta, si cristallizza l’archetipo come ‘manoscritto perduto’, e si dettano norme che dovrebbero permettere di risalire con matematica certezza, addirittura meccanicamente, senza l’intervento del soggettivo iudicium, dalle lezioni dei codici conservati alla lezione dell’archetipo.
attuali orientamenti della critica testuale:
Le ferree regole lachmanniane non hanno tardato a suscitare discussioni (ex. Joseph Bédier, filologo romanzo, che
predicò paradossalmente un ritorno al metodo umanistico del “bon manuscrit”);
In effetti il metodo lachmanniano presuppone non solo che la recensione riesca a sistemare la tradizione manoscritta in uno stemma o albero genealogico di assoluto rigore, ma che la trasmissione del testo sia avvenuta sempre e soltanto per linee verticali, senza contaminazione (o trasmissione orizzontale) tra codice e codice.
La ricostruzione delle parentele fra i codici è basala sulla comunanza di errori che siano significativi (errori-guida), cioè che non possano essere sorti indipendentemente’ in manoscritti diversi.
Per cui non sempre il metodo di Lachmann è applicabile; gli stemmi bifidi (e comunque tutti quelli che riconducono a due varianti equamente distribuite
fra i subarchetipi) non consentono di ricorrere alla legge di maggioranza; e soprattutto è molto improbabile il caso di una trasmissione esclusivamente verticale.
recensione chiusa e recensione aperte:
- r. chiusa = l’emendatio si risolve automaticamente nella recensio, senza intervento di iudicium sul valore delle singole lezioni
- r. aperta = la lezione dell’archetipo non si può fissare meccanicamente, mediante la constatazione di coincidenze di lezioni in certi apografi, ma si determina solo con il iudicium, attraverso dei criteri interni (l’usus scribendi e la lectio difficilior).
la congettura:
è l’operazione il filologo compie quando incontra ad esempio errori già presenti nell’archetipo e di per sé non ovviamente sanabili passati intatti nell’intera tradizione manoscritta.
Così avviena una vera e propria operazione di divinatio.
La rinuncia alla congettura è segnalata nel testo critico da due segni di croce che delimitano la corruttela (+….+) e vengono chiamati dai filologi, con rassegnata autoironia, “cruces desperationis”.