P6C3 Le misure di prevenzione Flashcards
[1] Le misure di prevenzione ante delictum. Lineamenti generali
Misure di prevenzione ante delictum
L’ordinamento giuridico italiano prevede due tipologie di misure con finalità preventive:
* le misure post delictum → misure di sicurezza che mirano a prevenire il pericolo di un ulteriore condotta criminale da parte dell’autore di un fatto di reato (o quasi-reato, artt. 49 e 115 c.p.);
* le misure ante delictum → misure di prevenzione che sono applicate sulla base di indizi di pericolosità contemplati da specifiche norme di legge (prescindendo quindi dalla sussistenza di un fatto criminoso).
L’EQUILIBRIO GARANZIE vs EFFICIENZA
In uno Stato di diritto si guarda con diffidenza ad una restrizione di libertà o di altrui diritti basata solamente sul sospetto di pericolosità sociale (derivante da condotta sintomatica di una condizione soggettiva di pericolosità, indipendentemente dall’accertamento del reato). Tuttavia, rimangono ferme le esigenze di efficienza nella lotta al crimine più grave (specificamente quello di tipo organizzato) che reclama il possibile ricorso agli strumenti più severi al fine di ottenere un maggior grado di certezza ed afflittività delle misure adottate. La ricerca di un difficile equilibrio tra queste due istanze (garanzie vs. efficienza), apparentemente inconciliabili, costituisce da sempre il terreno di scontro più acuto nel settore delle misure di prevenzione.
IL GIUDIZIO DI PREVENZIONE: CRITERIO DI PROBABILITA’
Il giudizio di prevenzione non è basato sulla certezza processuale (come quello per l’accertamento del reato), bensì costituisce un giudizio che, facendo riferimento alla condotta futura del soggetto, si fonda su un criterio di probabilità.
LA NORMATIVA DELLE MIS. DI PREV. ANTE DELICTUM
Architrave normativa del sistema della prevenzione ante delictum, nell’epoca repubblicana, è stata la l. n. 1423 del 1956. Essa si proponeva di riorganizzare la materia delle misure di prevenzione personali descrivendo con maggior precisione le “tipologie d’autore” cui le stesse erano rivolte:
a) gli oziosi e i vagabondi;
b) i soggetti dediti a traffici illeciti;
c) gli inclini a delinquere;
d) i soggetti sospettati, sulla base di elementi di fatto, di favorire lo sfruttamento della prostituzione o di esercitare il contrabbando o il traffico illecito di stupefacenti o scommesse abusive oppure di gestire bische clandestine;
e) soggetti dediti ad altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume.
QUALI SONO LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI?
Le tradizioni misure di prevenzione personali sono:
- il foglio di via obbligatorio,
- l’avviso orale del questore (che hanno natura amministrativa poiché di competenza del questore)
- la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (riservata alla competenza dell’autorità giudiziaria) al quale può essere affiancato anche l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora.
ESTENSIONE AI MAFIOSI
Con la legge n. 575 del 1965, le misure della sorveglianza speciale e del divieto di soggiorno vennero estese anche «agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose». Provvedimento normativo addirittura controproducente, perché l’aver previsto che l’esecuzione della misura dovesse avvenire in comuni diversi rispetto a quello di residenza o di dimora abituale, comportò la rapida espansione della criminalità organizzata anche in altre zone del territorio dello Stato (peraltro, mancando la definizione normativa di reato di associazione mafiosa, la misura rimaneva di difficile applicazione).
MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI
Con la legge c.d. “Rognoni-La Torre” (n. 646 del 1982) vengono introdotte per la prima volta misure di prevenzione patrimoniali, sequestro e confisca, dando vita ad una più marcata strategia di contrasto alla criminalità organizzata.
SVILUPPI LEGISLATIVI SEGUENTI
Molti interventi legislativi si sono susseguiti nel corso degli anni, secondo una duplice linea direttiva: da una parte sono state rivisitate le misure personali, anche con l’eliminazione di categorie di pericolosità incompatibili con uno Stato democratico (ad es.: gli oziosi e vagabondi); dall’altra si è estesa la possibilità di assoggettare a vincolo ablatorio non solo i proventi derivanti dall’attività illecita, ma anche gli introiti derivanti dal reimpiego del denaro sporco (così, è stata introdotta una nuova forma di confisca per delitti gravi, adottata sulla base di presupposti simili a quelli delineati per la confisca di prevenzione – la c.d. confisca allargata, ora art. 240 bis c.p. su cui v. più sopra).
Infine, le modifiche più rilevanti al sistema originario delle misure ante delictum sono state adottate con i pacchetti sicurezza del 2008 e del 2009. Oltre alle estensioni soggettive dell’applicabilità delle misure di prevenzione , con queste ultime innovazioni il legislatore ha modificato il meccanismo di operatività delle misure di prevenzione patrimoniali, sostituendo al meccanismo di applicazione congiunta un diverso regime in virtù del quale esse possono essere disposte anche disgiuntamente rispetto alle misure personali, abbandonando quel nesso di presupposizione necessario tra la pericolosità reale della cosa e la pericolosità sociale attuale del preposto.
** IL SISTEMA “FARRAGINOSO” E LA SOLUZIONE**
Tuttavia, le varie leggi che si sono succedute hanno contribuito ad alimentare una progressiva stratificazione normativa che ha portato alla costruzione di un sistema farraginoso e sostanzialmente inefficace. Proprio per far fronte a tali problemi e per fornire una risposta a coloro che chiedevano di delineare un quadro di leggi coerente e unitario in materia, è stato emanato il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, con lo scopo di introdurre un testo unico al fine di riordinare ed innovare la normativa antimafia e le misure ante delictum. Il codice ha abrogato le precedenti fonti normative, confluite interamente nel nuovo testo.
[2] Problemi di legittimità costituz e convenz delle mis di prevenzione
Problemi di legittimità costituzionale e convenzionale delle misure di prevenzione
Le misure di prevenzione sono tradizionalmente misure special-preventive (personali o patrimoniali), ante o praeter delictum, applicabili dall’autorità di pubblica sicurezza a soggetti socialmente pericolosi a prescindere dalla consumazione di fatti penalmente rilevanti (e in tal senso si distinguono dalle misure di sicurezza, che presuppongono la consumazione di un fatto penalmente rilevante).
Tali misure fanno sorgere problemi di legittimità costituzionale soprattutto con riguardo all’art. 13 Cost. (relativamente alla restrizione della libertà personale) e all’art. 25, co. 2, Cost. (principio di legalità).
Poiché la Costituzione (ivi inclusi i lavori preparatori) non si esprime in merito alle misure di prevenzione (indice sintomatico della volontà dei padri costituenti di non riconoscerle o ignorarle del tutto), la dottrina si è trovata dinanzi alla difficoltà di dover reperire norme o principi volti a conferire a tali misure una piena copertura costituzionale.
DIBATTITO DOTTRINALE SULLE MIS. DI PREV. PERSONALI
Con riferimento alle misure di prevenzione personali, si sono sviluppate 2 posizioni in dottrina:
1) da un lato chi sostiene la piena compatibilità costituzionale delle misure;
2) dall’altro chi invece sostiene la tesi opposta della loro incostituzionalità.
LA DOTTRINA RISALENTE CHE SOSTIENE
Secondo una parte della dottrina più risalente, le misure di prevenzione troverebbero il loro fondamento costituzionale negli artt. 2, 13, 25 e 27 della Costituzione, in particolare:
a) l’art. 2, riconoscendo i diritti inviolabili dell’individuo, impegnerebbe lo Stato a tutelare tali diritti non solo dopo la loro offesa, ma anche prima: da qui la legittimità di misure ante-delictum;
b) l’art. 13, col garantire la** tutela del diritto di libertà, vincola le limitazioni dello stesso alla tassatività della previsione legislativa ed alla giurisdizionalità dell’applicazione di tali misure, vincoli che le misure in esame rispetterebbero pienamente;
c) l’art. 25, col fissare il principio di legalità per le misure di sicurezza, dovrebbe intendersi riferito anche alle misure di prevenzione in quanto consente di considerare anche le situazioni soggettive di pericolosità e di limitare la libertà personale appunto allo scopo di prevenire la commissione di gravi delitti,
d) l’art. 27, infine, assegnando alla pena una funzione anche di rieducazione e, quindi, ricollegandola anche all’accertamento di fattori di personalità, introduce nel sistema la «prevenzione» come elemento incidente sulla sanzione penale, nella sua specie e durata, e, quindi, rompendo la correlazione, fino a quel momento ritenuta necessaria dai sistemi penali tradizionali, tra «sanzione» e commissione di un «fatto-reato».
LA DOTTRINA RECENTE CHE SI OPPONE
La dottrina più recente, che si oppone a tale ricostruzione, fa notare che:
a) il riferimento all’art. 2 della Costituzione appare eccessivamente vago;
b) l’art. 13 ha una** funzione esclusivamente processuale** (incapace di fondare istituti di natura sostanziale) e servente rispetto ai principi di cui agli artt. 25 e 27 Cost. La norma si limiterebbe, infatti, a disciplinare il procedimento per le ipotesi di restrizione della libertà personale che trovano il loro fondamento in altre norme costituzionali, e segnatamente nell’art. 25, co. 2 e 3, Cost., ove si ha riguardo unicamente alla pena e alla misura di sicurezza;
c) l’art. 25, con la sua formulazione letterale, detta un principio che è esattamente l’opposto di quello che sta alla base delle misure di prevenzione, in quanto con l’espresso riferimento alle sole «misure di sicurezza» non sembra assolutamente consentire estensioni a figure, quali le misure di prevenzione, non rientranti in tale categoria;
d) l’art. 27, infine, proprio nell’attribuire alla pena una funzione di risocializzazione, anziché ammetterle appare proprio orientato nel senso opposto di escluderle, mancando del tutto la previsione di strumenti di ausilio di tali misure diretti a reintegrare il soggetto pericoloso nella società.
e) tali misura sarebbero, inoltre, in contrasto col principio della personalità della responsabilità penale, in quanto consentirebbero strumentalizzazioni del soggetto per scopi di difesa sociale, e col principio di presunzione di innocenza, in quanto fondate esclusivamente su indizi e su sospetti.
DIBATTITO DOTTRINALE SULLE MIS. DI PREV. PATRIMONIALI
La questione risulta essere ben diversa con riferimento alle misure di prevenzione patrimoniali, per le quali è** più agevole sostenere la legittimità costituzionale, dal momento che incidono su di un bene, il patrimonio, che è assistito da minori garanzie rispetto a quello della libertà personale e assicura buoni risultati soprattutto con riferimento alla lotta alla criminalità organizzata. Le misure patrimoniali, infatti, trovano copertura costituzionale sia nell’art. 41 Cost. (che vieta all’iniziativa economica privata di svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e ne consente l’assoggettamento ai controlli legislativi in funzione di indirizzo e coordinamento a scopi sociali) sia nell’art. 42 Cost. (che tutela la proprietà privata ma nei limiti della sua funzione sociale).
La Corte costituzionale ha sempre affermato la legittimità di tali misure, purché siano disposte non in virtù di meri sospetti, ma in presenza di valutazioni oggettive dei fatti.
Su tali basi, la Corte ebbe modo di dichiarare l‘illegittimità**, per contrasto con gli artt. 13 e 25, co. 3, Cost., dell’art. 1, n. 3 della legge n. 1423 del 1956 nella parte in cui indicava, tra i soggetti destinatari di una delle misure di prevenzione, «coloro che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere» (Corte cost. n. 177 del 1980).
La Corte ha richiamato il legislatore ad un più rigoroso rispetto del principio di legalità e di determinatezza in materia di prevenzione .
LA CORTE SUL PROCEDIMENTO DI APPLICAZIONE DELLE MIS. DI PREV.
Fra gli interventi della Corte costituzionale, occorre inoltre ricordare la dichiarazione di illegittimità delle norme che disciplinano il procedimento di applicazione sulle misure di prevenzione, per violazione dell’art. 117 Cost., in virtù dell’accertato contrasto con il principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito dall’art. 6 della CEDU (Corte cost. n. 93 del 2010) .
LA SENTENZA DE TOMMASO SULLA LORO PROPONIBILITÀ
In materia è intervenuta recentemente la Corte EDU che ha sollevato dubbi di legittimità di carattere generale circa la proponibilità delle misure di prevenzione. La Grande Camera, nella sentenza De Tommaso c. Italia, ha dichiarato la violazione della libertà di circolazione (art. 2, prot. 4, CEDU) da parte dello Stato italiano per aver imposto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, nei confronti del soggetto a pericolosità generica.
La violazione del diritto sovranazionale è in questo caso ravvisata nel difetto di prevedibilità e precisione delle norme relative ai soggetti idonei e alle condizioni necessarie per l’applicazione della misura di prevenzione. Tali norme conferiscono un potere eccessivamente discrezionale del giudice, determinando così un coefficiente di prevedibilità troppo basso, con la conseguenza che al cittadino non è garantita con certezza la calcolabilità delle conseguenze penali della propria condotta.
[2.1] Le ricadute della sent. De Tommaso nella giurisprudenza nazionale
Le ricadute della sentenza De Tommaso nella giurisprudenza nazionale delle misure di prevenzione
A seguito della sentenza De Tommaso, la giurisprudenza nazionale ha dovuto affrontare 3 diverse questioni ermeneutiche:
i) la perdurante legittimità dei presupposti applicativi della pericolosità generica;
ii) la perdurante legittimità costituzionale dell’incriminazione della violazione della prescrizione di «vivere onestamente» e «rispettare le leggi»;
iii) il significato da attribuire al «divieto di partecipare a pubbliche riunioni».
Quanto alla rilevanza penale della violazione della prescrizione, imposta al sorvegliato speciale, di «vivere onestamente e rispettare le leggi», il primo significativo intervento successivo alla sentenza De Tommaso è stato compiuto dalle Sezioni Unite, che hanno percorso la via dell’interpretazione “tassativizzante”. Nel caso Paternò, il ricorrente era stato condannato per il delitto di cui all’art. 75 Codice antimafia, per aver violato la prescrizione di «vivere onestamente e rispettare le leggi». In tale occasione, le SS.UU. stabiliscono che il la norma incriminatrice dell’art. 75 cod. ant. possa essere riferita solo a quegli obblighi e a quelle prescrizioni che hanno un contenuto determinato e specifico a cui poter attribuire valore precettivo; ciò non può valere per le prescrizioni de quo, «la cui genericità ed indeterminatezza dimostra l’assoluta inidoneità ad integrare il nucleo di una norma penale incriminatrice».
Con ordinanza di rimessione n. 49194 del 2017, Sorresso, la Cassazione solleva nuovamente questione di legittimità costituzionale della norma in esame, al fine di ottenere i più perentori effetti della sentenza di incostituzionalità. Al contempo, altri giudici hanno sollevato questione di costituzionalità con riferimento alle due ipotesi di pericolosità generica di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1 cod. ant.
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Con la sentenza n. 25 del 2019 viene dichiarato incostituzionale il combinato disposto degli artt. 8 e 75 cod. ant. nella parte in cui punisce penalmente la violazione – da parte del sorvegliato speciale – della prescrizione di «vivere onestamente e rispettare le leggi», per violazione del principio di tassatività.
Con la sentenza n. 24 del 2019 invece la Consulta dichiara incostituzionale la fattispecie di pericolosità generica di cui all’art. 1, cod. ant., lett. a) («coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi») per violazione degli artt. 13 e 41-42 Cost.
In tale sentenza la Corte si è confrontata anche con l’ipotesi di pericolosità generica di cui alla lett. b) dell’art. 1 cod. ant. (vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose), ritenendo tuttavia che la giurisprudenza sia riuscita nel tempo a fornire una lettura sufficientemente tassativizzante di tale fattispecie , e che pertanto essa potesse dirsi costituzionalmente conforme.
Un simile tentativo non è invece pienamente riuscito con riguardo alla fattispecie prevista dalla lett. a), in particolar modo per il perdurante contrasto giurisprudenziale sussistente in ordine al significato del termine ‘traffici’. La fattispecie, quindi, non rispettava ancora le esigenze di precisione, determinatezza e tassatività richieste dalla Costituzione e dalla CEDU per le misure di prevenzione.
Un altro tipo di prescrizione rispetto a cui si è verificato un contrasto giurisprudenziale attiene al divieto di partecipare a pubbliche riunioni (art. 8 del Cod. ant.). A tal proposito, a seguito degli interventi della Corte EDU (che nella sentenza De Tommaso aveva manifestato perplessità sull’ampiezza del divieto in parola), si era creata una frattura nella giurisprudenza di legittimità, risolta da Cass. pen., Sez. Un., 18 novembre 2019, n. 46595, che ha offerto una lettura tassativizzante del precetto: anche ai sensi dell’art. 17 Cost., per pubblica riunione si intende solo la riunione che si tiene in luogo pubblico e per cui è necessaria la preventiva autorizzazione della pubblica autorità. Solo tale tipo di riunione rientra nel divieto e, di conseguenza, solo la partecipazione a tale tipo di riunione può valere a integrare il reato di cui all’art. 75 cod. ant.
[3] Il r.della girsprdnz nel proc.di giurisdizionalizzaz.de mis di prev
Il ruolo della giurisprudenza nel processo di giurisdizionalizzazione delle misure di prevenzione
PROCEDIMENTO DI PREVENZIONE: DIFFERENZE CON MODELLO PROCESSUALE ORDINARIO
Il procedimento di prevenzione si differenzia sostanzialmente dal modello processuale ordinario in quanto (al di là dell’origine amministrativa) quest’ultimo è ricollegato alla commissione di un fatto di reato, mentre il primo riguarda la valutazione di pericolosità del soggetto desunta da condotte che non necessariamente costituiscono illecito.
Logica conseguenza di questa difformità è una disciplina disorganica e poco sorvegliata, che richiede continue opere di rimaneggiamento da parte della giurisprudenza di legittimità per garantire il diritto di difesa e la tutela del contraddittorio.
Entrambi i procedimenti devono rispettare il principio di autonomia, il quale stabilisce che l’azione di prevenzione innanzi al Tribunale possa essere esercitata indipendentemente dall’azione penale (la giurisprudenza costituzionale ha tuttavia avuto modo di sottolineare come, laddove non vi siano norme specificatamente previste per il procedimento di prevenzione, si applicano le disposizioni del codice di rito che regolano istituti analoghi).
L’impianto processuale del sistema delle misure di prevenzione mostra il perdurare di uno schema inquisitorio, basato su accertamenti sintomatici e indiziari, che rivela forti rischi di compatibilità con la Costituzione e con la CEDU.
Proprio l’instabile quadro normativo, che risente della sovrapposizione di differenti sistemi processuali (amministrativo e processuale penale), permette di comprendere come l’evoluzione giurisprudenziale abbia avuto un ruolo predominante nella progressiva, seppur lenta, giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione.
Una tappa importante nel processo finalizzato a rileggere la normativa in tema di misure di prevenzione alla luce dei principi costituzionali e sovranazionali si è avuta con l’intervento della Corte costituzionale che ha stabilito l’illegittimità della disposizione che non consentiva la forma dell’udienza pubblica (Corte cost. n. 93 del 2010).
L’impegno della giurisprudenza di legittimità per uno statuto garantistico del procedimento di prevenzione ha conosciuto altre tappe fondamentali:
* la mancata traduzione in udienza del preposto che ha manifestato la volontà di essere presente costituisce causa di nullità assoluta del giudizio (da ultimo, v. Cass. pen. n. 26730 del 2016);
* è applicabile al procedimento di prevenzione l’istituto della ricusazione del giudice (art. 37, co. 1, lett. b) c.p.p.), qualora in altro procedimento di prevenzione abbia espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto (da ultimo v. Cass. pen. n. 5341 del 2018);
* è applicabile al procedimento di prevenzione l’obbligo di motivazione imposto al giudice, dato che il provvedimento solo formalmente ha le vesti di un decreto, ma quanto agli effetti è più simile ad una sentenza.
La riconosciuta necessità che il procedimento di prevenzione sia conformato a principi del giusto processo ha come logica conseguenza non solo un più deciso rispetto del principio del contraddittorio e di quello di parità delle parti, ma soprattutto l’imposizione di un argine all’eccessivo margine di discrezionalità concesso al giudice in materia di acquisizione e valutazione delle prove.
TENTATIVO DI RIAVVICINAMENTO TRA PROCEDIMENTO DI PREVENZIONE E PROCESSO ORDINARIO
In tale ottica, recentemente ha cominciato a farsi strada un tentativo di riavvicinamento del procedimento di prevenzione ai principi che caratterizzano il processo ordinario, ad es. mediante il riconoscimento della non utilizzabilità delle intercettazioni inutilizzabili nel procedimento ordinario.
È stato altresì dichiarata l’illegittimità del decreto di applicazione della misura di prevenzione qualora il giudizio di pericolosità sia fondato su dichiarazioni accusatorie indirette, in violazione dell’art. 195, co. 7, c.p.p.
Ma è soprattutto sulla predisposizione del meccanismo della prevenzione basato su semplici indizi che si sono avute numerose prese di posizione ad opera della giurisprudenza di legittimità. Sembra infatti che si stia affermando una diversa prospettiva che, ripudiando il mero sospetto, si basi su circostanze di fatto obiettive che abbiano un’apprezzabile significato indiziante e che, benché non possano costituire una prova che abbia i requisiti richiesti nel rito ordinario (e dunque la gravità, la precisione e la concordanza), diventino mezzi di conoscenza di fatti rilevanti per la configurabilità della pericolosità, presupposto per l’applicabilità della misura di prevenzione.
[4]Il giud. di peric. e i presupp appl delle mis di prev personali
Il giudizio di pericolosità e i presupposti applicativi delle misure di prevenzione personali
Ai sensi degli artt. 4 e 6 del d.lgs 159/2011, le misure di prevenzione personali richiedono tre presupposti per la loro applicazione:
i) la riconducibilità del destinatario della misura a una delle categorie di pericolosità determinate dalla legge
ii) il riscontro circa la sussistenza di una pericolosità effettiva fondata su fatti, circostanze e indizi accertabili;
iii) l’attualità della pericolosità sociale.
IL GIUDIZIO DI PERICOLOSITÀ
Presupposto delle applicazioni delle misure personali è la pericolosità sociale. Essa postula un giudizio prognostico circa il futuro comportamento del medesimo soggetto preposto, e una valutazione in ordine alla probabilità che lo stesso compia in futuro quei comportamenti e quelle attività antisociali che la legge riconosce idonei a consentire l’applicabilità della misura.
PERICOLOSITÀ SOCIALE COME STATUS
La pericolosità sociale è dunque una qualifica del delinquente e non del reato e in particolare uno status di colui che, avendo già commesso un reato e in determinati casi anche un fatto non previsto dalla legge come reato, si considera probabile autore di nuovi fatti di reato in futuro, a prescindere dalla sua condizione di imputabilità e di libertà. Pertanto, stante l’assenza di criteri normativi in grado di orientare il giudizio prognostico demandato al giudice, si è manifestata la tendenza giurisprudenziale ad equiparare il concetto di pericolosità richiesto in materia di prevenzione con il concetto di pericolosità richiesto per le misure di sicurezza (nonostante la dottrina maggioritaria continui a predicare la differenza tra le due nozioni di pericolosità).
I MERI SOSPETTI NEL GIUDIZIO DI PERICOLOSITÀ
Il giudizio di pericolosità può fondarsi anche su meri sospetti, purché gli stessi vengano retti da fatti specifici e dati oggettivi suscettibili di dimostrazione. A tal fine elementi di valutazione possono essere tratti anche da una sentenza di condanna e dai carichi pendenti penali e giudiziari o anche da rapporti di polizia, purché non contraddetti dal materiale probatorio della difesa.
CONDOTTE O ATTEGGIAMENTI PRIVI DI SIGN. INDIZIANTE
Sicuramente le misure irrogate non possono essere fondate solo su condotte o atteggiamenti di per sé privi di significato indiziante, ma devono fondarsi su elementi certi, oggettivi e controllabili, benché inidonei, in quanto sprovvisti dei requisiti della gravità, precisione ed astrattezza, a costituire prove e a fondare un giudizio di responsabilità penale.
Il giudizio di pericolosità deve essere comunque un momento valutativo separato ed autonomo rispetto a quello concernente l’appartenenza ad una delle categorie elencate dall’art. 4 del Codice antimafia, secondo un’impostazione che peraltro è stata accolta anche dalla Corte costituzionale che da sempre ritiene vengano violati i parametri costituzionali nel caso in cui si propongano giudizi presuntivi di pericolosità che non trovano riscontro in valutazioni effettuate nel caso concreto dal giudice.
LE CONSEGUENZE DELLA NATURA PROGNOSTICA DEL GIUDIZIO
Inoltre, in virtù del fatto che si tratta di un giudizio di natura prognostica, l’accertamento della pericolosità sociale di un soggetto dovrebbe essere disposto sulla base dell’attualità del pericolo medesimo, non essendo rilevanti le pregresse manifestazioni di pericolosità se esse non risultano più sussistenti al momento dell’applicazione della misura.
[5] Tipologia e natura delle misure di prevenzione personali
Tipologia e natura delle misure di prevenzione personali
Il d.lgs 159/2011 (c.d. Codice Antimafia) stabilisce che le misure di prevenzione personali sono:
* l’avviso orale;
* il rimpatrio con foglio di via obbligatorio;
* la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza c.d. semplice;
* la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con divieto o obbligo di soggiorno.
Esse si distinguono in base all’autorità competente alla loro applicazione: il questore, per le ipotesi del foglio di via obbligatorio e dell’avviso orale; l’autorità giudiziaria, per il caso di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Quanto alla natura giuridica, le misure applicate dal questore (foglio di via obbligatorio e avviso orale) sono definite come misure di polizia (perché espressione del potere di polizia attribuito alla pubblica amministrazione); quelle applicate dall’autorità giudiziaria (sorveglianza speciale) sono invece sanzioni criminali, la cui applicabilità molto spesso presuppone un reato di cui non si riesce a fornire la prova.
Misure di prevenzione personali: il rimpatrio con foglio di via obbligatorio
Il foglio di via obbligatorio, anche detto ordine di rimpatrio, costituisce una misura di prevenzione personale che richiede per la sua erogazione un previo procedimento di carattere giurisdizionale, qualificandosi come un atto amministrativo adottato dal questore verso un soggetto inquadrabile in una delle categorie descritte dall’art. 1 codice antimafia, che si trovi fuori dai luoghi di residenza e che sia pericoloso
DISCIPLINA
L’art. 2 del codice prevede che «qualora le persone indicate nell’art. 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarveli con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio inibendo loro di ritornare senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a 3 anni, nel Comune dal quale sono state allontanate».
L’istituto è stato più volte soggetto a sindacato di costituzionalità ed è** stato escluso che la misura incida direttamente sulla libertà personale**, in quanto ricadrebbe solo sulla libertà di circolazione, che può essere limitata per ragioni di sicurezza (sebbene alcuni rilevino la violazione del diritto al contradditorio, del diritto di difesa e della libertà di circolazione).
ART. 1 COD. ANT. - SOGGETTI DESTINATARI
I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano a:
a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Misure di prevenzione personali: l’avviso orale
L’avviso orale (art. 3, codice antimafia), a seguito della modifica intervenuta con la legge n. 128/2001 , è divenuto un’autentica ed autonoma misura di prevenzione personale che si sostanzia in un** avviso circa l’esistenza di sospetti a carico del soggetto**: una sorta di contestazione anticipata degli addebiti da porre poi a fondamento del procedimento di prevenzione, con indicazione dei motivi che li giustificano e dell’invito a tenere una condotta conforme alla legge.
POTERE ACCESSORIO DI VIETARE POSSESSO DI …
Con l’avviso orale, al questore è attribuito anche il potere di vietare a soggetti che risultano essere definitivamente condannati per delitti non colposi, il possesso o l’utilizzo di «(1)qualsiasi apparato di comunicazione radio trasmittente, radar e visori notturni; (2)indumenti e accessori per la protezione balistica individuale; (3)mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentare la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi al controllo di polizia; (4)armi a modesta capacità offensiva, riproduzione di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei a recare offesa alle persone; (5)prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili o altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, (6) nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o criptatura di conversazioni e messaggi».
DIFFERENZA CON LA DIFFIDA
A differenza della diffida, l’avviso orale ha efficacia temporanea, applicandosi per un massimo di 3 anni ed è in qualsiasi momento revocabile su richiesta dell’interessato (che si intende accolta se il questore non ha provveduto entro 60 giorni).
Misure di prevenzione personali: la sorveglianza di pubblica sicurezza
L’art. 6 cod. ant. disciplina le misure di prevenzione personali applicabili dall’autorità giudiziaria, mediante un procedimento di competenza del Tribunale (disciplinato dall’art. 7), e prevede sia la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, sia l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.
SOGGETTI DESTINATARI
Si tratta di misure applicabili ai soggetti di cui all’art. 4 cod. ant., qualora costoro siano pericolosi per la sicurezza pubblica, non richiedendosi più il previo avviso orale.
POTERE DEL TRIBUNALE DI ACCERTARE L’EFFETTIVA PERICOLOSITÀ
Il Tribunale ha il potere di compiere gli accertamenti necessari, per verificare che il soggetto sia effettivamente pericoloso ed è un giudizio che riguarda l’intera personalità del preposto.
OGGETTO DELLA MISURA
La sorveglianza speciale rappresenta la più grave misura di prevenzione personale e consiste nella vigilanza che l’autorità locale di pubblica sicurezza esercita sul soggetto relativamente al complesso di prescrizioni che l’autorità giudiziaria gli ha imposto di rispettare con il provvedimento applicativo.
RATIO
Lo scopo quindi è quello di consentire di controllare costantemente il pervenuto al fine di valutare che lo stesso osservi le regole che il tribunale ha ritenuto opportuno imporre per elidere la pericolosità.
MISURA ACCESSORIA DELL’OBBLIGO/DIVIETO DI SOGGIORNO
Accanto alla sorveglianza speciale, il Tribunale può imporre anche la misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale o del divieto di soggiorno.
In questi casi, al prevenuto può essere prescritto:
i) di non andare lontano dall’abitazione scelta senza preventivo avviso all’autorità preposta alla sorveglianza;
ii) di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza nei giorni indicati e ad ogni chiamata di essa.
La violazione delle prescrizioni della sorveglianza speciale e obbligo di soggiorno costituisce reato (ad eccezione della violazione dell’obbligo di “vivere onestamente e rispettare le leggi”, in virtù della sentenza n. 25/2019 della Corte cost. – v. più sopra).
[6] Le misure di prevenzione patrimoniali
Le misure di prevenzione patrimoniali
LA LEGGE ROGNONI-LA TORRE
La necessità di contrastare in maniera più incisiva la criminalità organizzata di tipo mafioso ha indotto il legislatore a potenziare il sistema della prevenzione antimafia mediante la c.d. legge “Rognoni-La Torre” (l. n. 646/1982), che ha introdotto due novità significative:
i) la creazione del reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.);
ii) l’introduzione di strumenti di intervento ante delictum di carattere patrimoniale.
ART. 16: DESTINATARI
L’art. 16 Codice Antimafia ha stabilito che le misure di prevenzione patrimoniali sono applicabili a tutti coloro che possono essere preposti di una misura personale ai sensi dell’art. 4 (v. nota 9).
Le misure di prevenzione possono essere applicate anche alle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento dei fondi o di risorse economiche quando vi sono fondati elementi per ritenere che questi possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche anche internazionali.
POTERE DI INDAGINE PRESUPPOSTO PER APPLICABILITA’
In altri termini, ai procuratori della Repubblica, ai questori, nonché al direttore della direzione investigativa Antimafia è attribuito il potere di procedere ad indagini sul tenore di vita di un soggetto, sulle sue disponibilità finanziarie e sulle attività economiche facenti capo all’indiziato di mafia. Se risulta che il prevenuto dispone di beni di provenienza illecita, il Tribunale adotta la misura di prevenzione patrimoniale. L’importanza di tale misure ha comportato una progressiva estensione soggettiva dei possibili destinatari di esse, da ultimo con la l. n. 161/2017.
RIVOLUZIONE DEL 2008-2009
Nel biennio 2008-2009 l’introduzione dell’art. 18 del Codice Antimafia ha portato ad una rivoluzione dell’istituto, muovendosi su 3 direttrici:
- ha eliminato qualsiasi vincolo di pregiudizialità tra le misure personali e quelle patrimoniali, che oggi sono reciprocamente autonome e possono essere applicate disgiuntamente ;
- ha previsto la possibilità di disporre le misure patrimoniali indipendentemente dal requisito dell’attualità della pericolosità;
- ha stabilito che le misure patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto prevedendosi, nell’eventualità che il decesso sopravvenga nel corso del procedimento, che lo stesso prosegua nei confronti degli eredi o degli aventi causa.
QUALI SONO LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI
Le misure di prevenzione patrimoniali contemplate dal Codice Antimafia (d.lgs. n. 159/2011) sono il sequestro (art. 20) e la confisca dei patrimoni di sospetta provenienza illecita (art. 24).
[7] Sequestro
Misure di prevenzione patrimoniali: Sequestro
Il sequestro è una misura di natura provvisoria cautelare disposta dal Tribunale, anche d’ufficio, sui beni «dei quali la persona nei confronti della quale è stato iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta oppure** quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego**» (art. 20 d.lgs. n. 159/2011=Cod. Ant.).
PRESUPPOSTI
I presupposti per il sequestro sono quindi:
i) disponibilità dei beni, diretta o indiretta, da parte del proposto;
ii) la sproporzione tra il valore dei beni dichiarati e l’attività economica svolta o la presenza di sufficienti indizi tali da fare ritenere i beni il frutto di attività illecite.
[1] DISPONIBILITA’ DEI BENI DIRETTA O INDIRETTA
Dalla disposizione in esame emerge che non è necessario che il soggetto risulti titolare di diritti sul bene, perché la norma si riferisce espressamente alla disponibilità diretta o indiretta, intendendo in questo modo ampliare il più possibile l’ambito di intervento del provvedimento, aggredendo anche beni appartenenti a terzi, purché nella effettiva disponibilità del proposto.
Ciò che si mira a colpire è la situazione di fatto che consente al proposto l’utilizzo dei beni in questione, al di là dei possibili escamotage con cui, dal punto di vista giuridico formale, si cerchi di mascherare l’effettiva disponibilità.
RATIO
La ratio del provvedimento di sequestro è da ravvisare nell’esigenza di anticipare gli effetti della futura ed eventuale confisca, neutralizzando al contempo i rischi connessi al perdurare del bene nella disponibilità di chi lo ha acquisito illecitamente e ne preordina l’impiego per la commissione di ulteriori reati.
EFFICACIA TEMPORANEA DEL SEQUESTRO
Il codice prevede, a tutela delle esigenze di speditezza e di celerità delle misure di prevenzione provvisorie, che il sequestro perde efficacia ove non venga disposta la confisca nel termine di 1 anno e 6 mesi dall’immissione in possesso da parte dell’amministratore giudiziale, nonché in caso di impugnazione della decisione entro 1 anno e 6 mesi dal deposito del ricorso.
Nel caso di indagini particolarmente complesse i termini suddetti possono essere prorogati per periodi di 6 mesi, ma non più di 2 volte.
[8] Confisca
Misure di prevenzione patrimoniali: Confisca
La confisca di prevenzione (art. 24 cod. ant.) è un provvedimento a carattere ablatorio che comporta la devoluzione allo Stato di beni appartenenti al prevenuto di cui la persona «non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego» .
PRESUPPOSTI
Per procedere alla confisca preventiva, quindi, deve trattarsi di beni il cui valore sia sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica o, in alternativa, di accertata provenienza illecita.
Inoltre, è necessaria la mancata giustificazione dell’origine lecita dei beni.
LA NATURA MULTIFORME DELLA CONFISCA
La confisca può avere natura di misura di sicurezza, di prevenzione o di pena (natura proteiforme) in base allo scopo di volta in volta perseguito dal legislatore.
APPLICABILITA’ DELLA CONFISCA DI PREVENZIONE
Nello specifico, per quanto riguarda il sistema della prevenzione patrimoniale, si tratta di provvedimenti ablatori del tutto svincolati dall’accertamento circa la previa commissione di un reato, pertanto, la suddetta misura si applica in tutte quelle situazioni in cui il soggetto sia sospettato di aver commesso determinati reati e vi sia la presunzione di illegittima provenienza dei beni, ma in relazione ai quali non si dispone di prove che possano comportare una condanna in sede penale.
RATIO: SOGGETTIVITA’ DELLA MISURA
La ratio della misura non è dunque repressiva, ma è quella di sottrarre dal circuito economico i proventi illeciti, neutralizzando così i flussi delinquenziali delle associazioni criminali. E infatti tali misure reali possono essere adottate anche in assenza del soggetto (in caso di residenza o dimora all’estero) o nel caso questi sia morto, con ciò palesandosi che l’interesse è per il patrimonio più che per il soggetto.
CASO DELLA MORTE: PROBLEMATICITÀ
Ci si è chiesti se dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca possa avere dd oggetto solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria ovvero possa riguarda anche i beni che al momento del decesso erano nella disponibilità del de cuius, ma fittiziamente intestati o trasferiti a terzi. Si è pure posto il problema se le presunzioni di fittizietà degli atti di disposizione (art. 26, co. 2, d.lgs. n. 159/2011) riguardino esclusivamente gli atti posti in essere dal proposto ovvero anche gli atti dei successori. In proposito, le Sezioni Unite hanno stabilito che la confisca può riguardare anche i beni che erano nella disponibilità del de cuius, ma fittiziamente intestati o trasferiti a terzi e che le presunzioni di fittizietà riguardano esclusivamente gli atti posti in essere dal proposto.
REGIME PROBATORIO RICHIESTO PER AMMISSIBILITÀ
Uno dei punti più controversi della disciplina della confisca di prevenzione attiene al regime probatorio richiesto per l’ammissibilità della stessa, dato che la legge sembrerebbe subordinare l’applicazione della misura alla mancata dimostrazione, da parte del proposto, di una provenienza legittima dei beni (concretizzandosi una surrettizia inversione dell’onere della prova).
In realtà, nella prassi applicativa, si è affermato un orientamento secondo il quale la legge ricollegherebbe a fatti sintomatici la presunzione di illecita provenienza di beni e sull’interessato graverebbe unicamente un onere di allegazione delle circostanze volte a dimostrare l’origine lecita dei beni stessi. L’accusa, pertanto, deve fornire gli elementi indizianti al momento in cui richiede l’emissione del provvedimento ablatorio e il Tribunale ne deve accertare la permanenza: la confisca, in definitiva, può essere disposta solo se le allegazioni difensive siano inidonee a superare quelle presunzioni.
QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLA CONFISCA DI PREVENZIONE
Delicata poi la questione relativa alla qualificazione giuridica della confisca di prevenzione. La dottrina e la giurisprudenza hanno avanzato due principali interpretazioni antitetiche in merito: quella che assegna alla confisca una finalità meramente preventiva; e quella che invece mira a rimarcare una componente sanzionatoria nella confisca antimafia.
SOSTENITORI DELLA NATURA PUNITIVA
La querelle in questione si è notevolmente acuita soprattutto a seguito delle novità introdotte dalle riforme del 2008/2009 che hanno infranto il nesso di necessaria accessorietà che fino a quel momento aveva caratterizzato i rapporti tra misure di prevenzione personali e patrimoniali, stabilendo che quest’ultime possono essere disposte anche disgiuntamente rispetto a quelle personali e quindi a prescindere dal giudizio di attuale pericolosità sociale del soggetto preposto.
Secondo parte minoritaria della giurisprudenza, il novum legislativo del 2008-2009 ha portato in evidenza la finalità intrinsecamente punitiva della confisca preventiva.
Di qui le rilevanti implicazioni che ne discendono in ordine al regime di diritto intertemporale:
- se la confisca venisse intesa come misura amministrativa patrimoniale essa continuerebbe a soggiacere al regime previsto dall’art. 200 c.p. e in base al quale essa è regolata dalla «legge in vigore al momento della loro applicazione» e comporterebbe, dunque, l’INoperatività del principio di irretroattività ex art. 25, co. 2, Cost. (che vale solo in riferimento alle pene);
- se la confisca venisse intesa in termini di sanzione, essa dovrebbe sottostare al principio dell’irretroattività penale.
La natura punitiva della confisca antimafia viene anche sostenuta in forza del carattere afflittivo e della finalità sanzionatoria che la connota (dato che presupporrebbe, al pari della pena, la realizzazione di precedenti attività criminose, essendo richiesto soltanto un diverso onere probatorio basato su indizi e non su prove). Peraltro, anche la definitività del provvedimento sembrerebbe enfatizzare una natura sanzionatoria, perché si pone in antitesi con la funzione delle misure preventive le quali, dovendo neutralizzare il pericolo di futuri comportamenti delittuosi, esigono una verifica costante circa la permanenza del presupposto della pericolosità sociale.
Pertanto, stando a questa interpretazione, la ratio delle misure in esame andrebbe rinvenuta nello scopo repressivo di “togliere dalla circolazione” un bene che, al di là del dato temporale, è pervenuto nel patrimonio del soggetto in modo anomalo.
SOSTENITORI DELLA NATURA PREVENTIVA
La natura preventiva è stata costantemente sostenuta, al contrario, da quanti ritengono che il legislatore non abbia voluto punire il mafioso privandolo dei proventi della sua attività illecita, ma abbia voluto esaltare il momento preventivo, neutralizzando la pericolosità sociale insita nel permanere della ricchezza nelle mani delle associazioni criminali che, mediante la stessa, incrementerebbero l’attività delittuosa.
L’istituto in esame viene quindi inquadrato nell’ambito delle misure di prevenzione, volte a sterilizzare manifestazioni di pericolosità e assimilabili alle misure di sicurezza, dalle quali andrebbero distinte unicamente per la loro applicabilità ante o praeter delictum.
VERDETTO DELLA GIURISPRUDENZA
La natura punitiva della confisca è stata negata sia dalla giurisprudenza maggioritaria che da quella costituzionale. Anche la Corte EDU, ritenendo applicabile all’istituto in esame la disposizione che prevede il sacrificio del diritto di proprietà per fini di interesse pubblico (art. 1, prot. add. n. 1, CEDU), conferisce una natura non penale alla confisca di prevenzione, sottolineando che il fine specifico perseguito dal legislatore è quello di sottrarre a contesti criminali organizzati beni riutilizzabili per fini illeciti.
GIURISPRUDENZA MINORITARIA RICALCA LE DIFFERENZE
Tuttavia, il venir meno del principio di accessorietà tra le misure di prevenzione patrimoniali e personali per effetto delle riforme del 2008-2009, ha indotto una parte minoritaria della giurisprudenza a sostenere che, tenuto conto dei c.d. Engel criteria elaborati dai giudici di Strasburgo, si sarebbe verificato un revirement giurisprudenziale circa la natura della confisca antimafia.
Secondo la Cass. pen., sez. V, 23 marzo 2013, n. 14044, Occhipinti, eliso il nesso di pertinenzialità con il reato e messa in secondo piano la logica della pericolosità sociale, sarebbe irragionevole equiparare la confisca antimafia alle misure di sicurezza e farla soggiacere alle previsioni di cui all’art. 200 c.p. (quindi al principio del tempus regit actum, con conseguente ammissibilità di un meccanismo di retroazione sfavorevole).
La nuova confisca preventiva non sarebbe quindi applicabile per ricchezze venute ad esistenza prima della riforma (dovendosi applicare il principio di irretroattività sfavorevole).
La separazione avrebbe comportato l’ingresso di una sorta di actio in rem, rivolta unicamente contro il patrimonio e sganciata dall’accertamento della condizione soggettiva della pericolosità sociale del proposto, al punto che il patrimonio diventerebbe l’esclusivo fine cui tende il procedimento di prevenzione.
VERDETTO DELLA CASSAZIONE
Tale orientamento non è stato condiviso ed anzi è stato disatteso da alcune successive pronunce della Cassazione, che hanno evidenziato la natura preventiva della confisca, anche con specifico riferimento alle novità legislative, in quanto non è venuta meno la necessaria riconducibilità del proposto in una delle categorie di destinatari del provvedimento ablativo, indice quindi di pericolosità sociale.
Dato il contrasto interpretativo, sono intervenute le Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Un., 2 febbraio 2015, n. 4880), le quali hanno evocato la natura preventiva della confisca antimafia, la cui ratio andrebbe colta nell’esigenza di evitare che il sistema economico sia alterato da illeciti accumuli di ricchezza: la pericolosità, intesa come riconducibilità ad una delle categorie soggettive previste dalla normativa di settore,** continua a rimanere l’elemento qualificante la misura espropriativa nel vecchio come nel nuovo quadro normativo. L’unico dato dal quale è possibile prescindere è l’attualità di quella medesima pericolosità, non la sua esistenza.
GIURISPRUDENZA SULLA CORRELAZIONE TEMPORALE INDIZI DI ASS. MAFIOSA-EPOCA DI ACQUISTO BENI
Infine, occorre ripercorrere anche le considerazioni che le Sezioni Unite hanno espresso in riferimento al tema della necessità o meno di una correlazione temporale fra il momento in cui si manifestano gli indizi di appartenenza del soggetto ad un’associazione criminale e l’epoca di acquisto di beni da parte del soggetto.
Precedentemente alla riforma del 2008/2009 l’orientamento maggioritario aveva individuato nella correlazione temporale tra la pericolosità sociale e l’acquisto dei beni uno dei presupposti di operatività della misura espropriativa.
Infrangendosi il nesso di presupposizione tra le misure preventive personali e quelle patrimoniali si è fatto strada un orientamento che nega la necessità della correlazione temporale, consentendo di confiscare anche beni acquisiti in epoca antecedente, perché se la finalità della confisca di prevenzione è quella di sottrarre al circuito economico beni di provenienza illecita non ha rilievo che gli stessi siano stati acquisiti prima dell’appartenenza al sodalizio mafioso.
VERDETTO DELLE SU
Le Sezioni Unite hanno invece chiarito che l’accertamento della correlazione rimane un presupposto indefettibile in quanto consente di ricollegare l’apprensione dei beni alla pericolosità del soggetto. Un bene, quindi, può essere aggredito in quanto il suo acquirente fosse in quel momento storico soggetto pericoloso.
L’indefettibilità della correlazione temporale tra emergere della pericolosità sociale e momento dell’acquisizione dell’utilità diventa anche l’unico strumento in grado di arginare quella** indiscriminata tendenza giurisprudenziale che abusa dello strumento ablatorio per confiscare intere attività imprenditoriali riconducibili alla consorteria criminale**, indipendentemente dalla relazione cronologica con la pericolosità, come se si trattasse di una sorta di confisca generale dell’intero patrimonio, non prevista nel nostro ordinamento giuridico.