P2C7 Colpevolezza e sue cause di esclusione Flashcards
[Pr. di colpevolezza: premessa; Presup. della colpevolezza: imputabilit]
Reato: principio di legalità, materialità, offensività e colpevolezza
Il reato è quel fatto tipico,
- previsto dal legislatore tramite legge o atto ad essa parificato, comunque entrati in vigore prima della sua commissione (pr. di legalità)
- che sia manifestato in una estrinsecazione della realtà esteriore come conseguenza di una condotta attiva od omissiva (pr. di materialità)
- che abbia leso o messo in pericolo concretamente un bene giuridico meritevole di tutela penale (pr di offensività)
Per il principio di colpevolezza, è necessario che il fatto di reato sia rimproverabile per un atteggiamento antidoveroso consapevole, determinato ed esigibile del suo autore
Presupposti della colpevolezza: l’imputabilità
L’art. 85 cp qualfiica come imputabile il soggetto che al momento della commissione del fatto previsto dalla legge come reato sia capace di intendere e di volere, ossia sia dotato
- capacità di intendere:capacità di valutare il proprio comportamento e le conseguenze che da esso derivano, in base ai parametri sociali di riferimento di una socità in un dato peridoo storico, secondo misuratori medi ri riconoscibilità dell’antisocialità del proprioa gire.
- capacità di volere: capacità di autodeterminarsi, riuscendo a controllare i propri impulsi.
È sufficiente che difetti anche una sola delle due capacità per far venir meno l’imputabilità.
Dall’art. 85 si possono inoltre desumere altri due elementi fondamentali al fine del riconoscimento della sussistenza dell’imputabilità: la sussistenza della capacità al momento della commissione del fatto e la percepibilità del disvalore dello stesso fatto commesso.
Per le SU della Cass. penale, l’imputabilità è “capacità di reato o meglio capacità di colpevolezza”, affermandosi quindi che non ci può essere colpevolezza senza accertamento dell’imputabilità.
L’orientamento maggioritario vede l’imputabilità come un vero e proprio presupposto della colpevolezza (concezione normativa - imputabilità come capacità di colpevolezza), anche se una dottrina minoritaria vede l’imputabilità come status soggettivo, essendo che anche dolo e colpa possono essere attribuiti anche a incapaci (concezione psicologica - imputabilità come capacità giuridica penale)
ART. 85 - Capacità di intendere e di volere
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile(1).
È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere
[Non si puniscono i non capaci di intendere e di volere perché, se è già fallita la pena nella sua funzione preventiva, non ha senso, ed è anzi controproducente promuovere un giudizio di rimproverabilita’ nei confronti di un soggetto che non è fisicamente in grado di comprendere la gravità di una condotta.]
Filoni dottrinali sulla stessa esistenza dell’imputabilità
Filone riformista: sostiene la necessità di adeguare il concetto di imputabilità agli sviluppi della scienza penale e della scienza psichiatrica
Filone riduzionista: mira a eliminare alcune categorie di non imputabilità e risulta fortemente connesso alla scienza psichiatrica
Filone abolizionista: sostiene la fallacia della scienza psichiatrica nel settore penale e la necessaria equiparazione tra soggetti non imputabili e imputabili
La nuova concezione eclettica dell’imputabilità
In generale, l’imputabilità è parte del nostro ordinamento, ma per via della difficoltà di compendiare la capacità di intendere e di volere con tutti gli aspetti più reconditi dell’agire umano (si pensi ai disturbi transitori della personalità o i c.d. soggetti borderline) si richiede una revisione della nozione in esame.
Ne deriva che occorre accogliere una concezione eclettica dell’imputabilità che, tenuto conto degli approcci deterministici o indeterministici che valutino la libertà di agire dell’individuo, consenta di pervenire ad approdi sicuri circa la sussistenza della capacità di intendere e di volere, tenendo adeguatamente conto delle acquisizioni ricavabilid alla scienza psichiatrica che hanno indagato a fondo gli impulsi che determinano l’autore alla commissione dell’atto di devianza sociale.
Tuttavia, le risultante della scienza psichiatrica non possono elidere del tutto il libero convincimento del giudice che infatti può, con la dovuta cautela, servirsi di massime di esperienza e parametri dibuon senso riconducibili alla scienza giuridica, sicché egli non può appiattirsi sulla scienza psichiatrica.
Su chi ricade l’onere della prova dell’infermità mentale?
«La capacità di intendere e di volere dell’adulto è, in via di principio, oggetto di una vera e propria presunzione, sia pure iuris tantum e, conseguentemente, l’obbligo di motivare il giudizio sulla sua sussistenza, e specularmente quello sulla superfluità di una perizia volta ad appurarne l’integrità, va posto in correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici e concreti, idonei a far ragionevolmente ritenere che, nella singola fattispecie, per l’incidenza di una vera e propria ‘infermità’, e cioè di uno stato morboso caratterizzato da inequivocabili connotazioni patologiche, detta presunzione sia superata da risultanze di segno contrario» [Cass. pen.]
[2] Cause di esclusione dell’imputabilità
Che portata ha la causa di esclusione dell’imputabilità dell’art. 85?
Non è possibile stabilire a priori se sia una causa di esclusione tassativa o meno, tuttavia è possibile affermare che in determinate ipotesi, ritenute eccezionali (es. selvaggio, uomo-lupo …) non previste esplicitamente dall’ordinamento, è possibile procedere ad un’interpretazione analogica o estensiva in bonam partem del principio generale all’art. 85.
ART. 85 - Capacità di intendere e di volere
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile(1).
È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere
Quali sono le cause di esclusione e diminuzione dell’imputabilità?
Disciplinate agli artt. 88-96, sono costituite:
- dal vizio di mente
- dall’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti
- dalla minore età
- dalla sordità
I disturbi della personalità rientrano nella causa di esclusione della colpevolezza relativa al vizio di mente?
[Quesito pag. 359]
Possono rientrare nel concetto di infermità mentale anche i disturbi della personalità o comunque tutte quelle anomalie psichiche non inquadrabili nel novero delle malattie mentali, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, e sussista un nesso eziologico tra disturbo mentale e condotta criminosa.
[A]
Cause di esclusione/diminuzione dell’imputabilità: il vizio di mente
L’art. 88 cp regola il caso dell’infermità di mente.
Sul piano della scienza psichiatrica, prima ancora che su quello normativo, si pongono alcune questioni interpretative. Secondo il c.d. modello/paradigma medico, le infermità di mente andrebbero ristrette a quei soli casi di malattie mentali riconducibili ad un danno organico o biolofico genetico o sopravvenuto. Con l’avvento delle teorie di Freud, prese piede anche il c.d. modello/paradigma psicologico, che estende il campo applicativo anche ai disturbi di natura psichica (psicopatie, nemesi, disturbi dell’affettività …). Alla fine del XX sec, si sviluppa vicino alle due teorie una terza, il c.d. modello/paradigma sociologico , che attribuisce l’origine dei disturbi mentali alle relazioni sociali inadeguate all’ambiente ove il soggetto vive o lavora.** Ad oggi, si fa strada una visione multifattoriale che si basa su tutti e tre i modelli**.
Le SU hanno chiarito che l’infermità va accertata nella sua intensità e non nella sua origine.
Al fine della non imputabilità, si necessita che l’infermità, permanente o transitoria che sia, sussista al momento del fatto (tempus regit actum) e debba attenere allo specifico fatto posto in essere (nesso eziologico tra infermità e fatto)
Il vizio di mente si distingue in:
- TOTALE, per cui la cap. di intendere e di volere è completamente esclusa (tranne nei casi dei c.d. intervalli di lucidità)
- PARZIALE (art. 89), per cui la cap. di intendere e di volere è solo scemata
[La differenza tra i due gradi di infermità è di tipo quantitativo e va accertata in concreto]
ART. 88 - VIZIO TOTALE DI MENTE
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità(1), in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere
ART. 89 - VIZIO PARZIALE DI MENTE
Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere(1), risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita
Perché il vizio parziale di mente non esclude dall’imputabilità?
Il vizio parziale di mente, sula base degli studi psichiatrici, prevede una situazione nella quale un soggetto sia al contempo per metà sano e per metà infermo (semi-infermità).
Pertanto, essendo per metà sano, va ritenuto imputabile ma con una pena ridotta, in ragione della minor colpevolezza.
QUESITO Gli stati emotivi e passionali rilevano o non rilevano mai ai fini della dichiarazione di non punibilità?
[Quesito pag. 360/361]
In tema di imputabilità, va distinta la capacità di intendere e di volere dalla capacità di controllo delle proprie azioni. L’indebolimento dei freni inibitori dato da stati emotivi e passionali non incide sulla capacità di intendere e di volere e sull’imputabilità, tranne nel caso in cui questi derivino da una situazione di infermità patologica o si configurino con una tale intensità da provocare uno squilibrio mentale, anche transitorio. [SU Cass. pen + Sez. 1 Cass. pen]
Inoltre, secondo l’art. 90, gli stati emotivi e passionali non escludono l’imputabilità del soggetto agente.
Cosa si intende con stato emotivo e stato passionale?
Stato emotivo: eccitazione transitoria, positiva o negativa, della sfera psicologica del soggetto
Stato passionale: stato permanente
Sono forme di alterazione dell’affettività, che possono sostanziarsi in depressione, esaltazione, indifferenza, decadenza e ottusità affettive.
QUESITO Qualora il soggetto affetto da infermità cada in errore, ciò esclude o meno la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato?
“In tema di infermità psichica, l’errore sul fatto determinato da un difetto di rappresentazione direttamente riconducibile al vizio di mente è irrilevante ai fini della sussistenza del dolo; qualora l’infermo abbia agito per motivi abietti o futili, tale circostanza non comporta l’applicazione dell’aggravante ex art. 61, n. 1, c.p. se è espressione della patologia psichica» [Corte Ass. Milano, 9 dicembre 2004].
Si parla di errore condizionato o patologico, ovvero per l’errore scaturito dal vizio di mente o da altre cause di esclusione dell’imptuabilità.
ART. 61 - Circostanze aggravanti comuni
Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali [578 comma 3, 579 comma 3], le circostanze seguenti:
1) l’avere agito per motivi abietti o futili 576 comma 1 n. 2, 577 comma 1 n. 4;
2) l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato 576 comma 1 n. 1; c.p.p. 4, 12 lett. c;
3) l’avere, nei delitti colposi [43], agito nonostante la previsione dell’evento(3);
4) l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone 576 comma 1 n. 2, 577 comma 1 n. 4;
5) l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa(5);
6) l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato 576 comma 1 n. 3, 576 comma 2; c.p.p. 296;
7) l’avere, nei delitti contro il patrimonio [624-648; c. nav. 1135-1149], o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro [481 comma 2], cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità(7);
8) l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;
9) l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto(8);
10) l’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio(9);
11) l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità 646 comma 3, 649;
11-bis) l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale(11);
11-ter) l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione(12);
11-quater) l’avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere(13);
11-quinquies) l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale e contro la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza(14);
11-sexies) l’avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative(15);
11-septies) l’avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni(16).
11-octies) l’avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell’esercizio di tali professioni o attività(17).
[B]
Cause di esclusione/diminuzione dell’imputabilità: l’intossicazione da alcol e da sostanze stupefacenti
Come per il caso di sostanze stupefacenti, è necessario innanzitutto distinguere tra 5 differenti gradi di ubriachezza:
-
ub. accidentale: [91] dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Ipotesi rara nella quale la capacità di int. e vol. è esclusa (co1) o scemata (co2) per effetto di circostanze di fatto per le quali non è possibile muovere alcun rimprovero all’agente
[es. lavoratore inala sostanze chimiche che alterano la sua capacità] - ub. volontaria o colposa: [92] Il soggetto agente ha volontariamente assunto le sostanze in questione e, conseguentemente, la sua capacità di intendere e di volere non può essere esclusa, tantomeno la sua imputabilità (ha accettato il rischio di ubriacarsi). Dottrina critica tale norma perché troppo rigida in quanto il soggetto si ha assunto il rischio ma non era capace in quel momento. La giurisprudenza, per accertare l’imputabilità, guarda al momento dell’effettiva commissione del fatto e non al momento dell’assunzione. [quesito pag. 365]
- ub. abituale: [94] Comporta un aumento della pena e la possibilità, per il soggetto agente, che sia applicata una misura di sicurezza fra ricovero in casa di cura, custodia e libertà vigilata. L’aumento di pena si basa su due presupposti, ossia (1) l’uso eccessivo di bevande alcoliche e (2) il freqente stato di ubriachezza [Codice Rocco colpevolizza una condotta di vita]
- cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti: [95] Condizione più estrema, nella quale si verificano specifiche alterazioni patologiche permanenti, sebbene sul piano pratico non sia sempre facile distibguere tale ipotesi da quella dell’ubriachezza abituale.
- ## ub. preordinata: [92 co2] Al pari dell’ubriachezza abituale, comporta un aumento di pena ma con la differenza che in questo caso il soggetto ha agito proprio allo scopo di commettere un reato [=actio libera in causa]
ART. 91 - Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d’intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore [613, 690].
Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, la pena è diminuita 688.
[In realtà, caso fortuito e forza maggiore sono di per se ormai riconosciute come cause di esclusione della responsabilità; sia dal 45 cp che dalla Corte Cost.]
ART. 45 - Caso fortuito o forza maggiore
Non è punibile(1) chi ha commesso il fatto per caso fortuito(2) o per forza maggiore(3)
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ART. 92 - Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata
L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità 688.
Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata
ART. 94 - Ubriachezza abituale
Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata.
Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.
L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze
ART. 95 - Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti
Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti(1), si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89 [Vizio totale di mente; Vizio parziale di mente]
Cosa si intende con actio libera in causa?
Con tale espressione si intende il caso in cui il soggetto agente si ponga volontariamente in uno stato di incapacità di intendere e di volere, al fine di commettere un fatto di reato, ovvero per prepararsi una scusa per il compimento dello stesso.
È codificata all’art. 87, costituendosi quindi una deroga all’art. 85 (Esclusione per mancanza di cap. di int e di vol), anche se il soggetto non era dotato di capacità di intendere e di volere in quel momento.
Tuttavia, per legittimare tale deroga, è necessario che vi sia un’effettiva corrispondenza fra il reato inizialmente programmato e quello effettivamente posto in essere. In caso contrario, il soggetto agente risponderà per colpa, e non per dolo.
L’art. 87 va messo in contrapposizione con l’art. 86, per il quale se qualcuno mette altri nello stato d’incapacità (TOTALE) d’intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato di incapacità. Anche qui, è necessario che il determinato commetta esattamente la fattispecie di reato voluta dal determinatore.
mmmh:
Qualora non ci sia tale corrispondenza, si applicano altre norme:
- stato di incapacità voluto o accettato come rischio
- stato di incapacità colposo (cooperazione colposa)
- stato di incapacità incolpevole
- caso in cui l’azione del determinatore non sia necessariamente finalizzata alla commissione del reato da parte del determinato
ART. 87 - Stato preordinato d’incapacità di intendere o di volere
La disposizione della prima parte dell’articolo 85 (Esclusione per mancanza di cap. di int e di vol) non si applica a chi si è messo in stato d’incapacità d’intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa(1).
ART. 86 - Determinazione in altri dello stato d’incapacità allo scopo di far commettere un reato
Se taluno mette altri nello stato d’incapacità d’intendere o di volere [613, 728], al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato di incapacità
Cause di esclusione/diminuzione dell’imputabilità: la minore età
Ai sensi dell’art. 97 ss. , è enucleata la categoria delle cause di esclusione/diminuzione dell’imputabilità per via della minore età. L’azione legislativa ha previsto una diversa capacità di intendere e di volere sulla base di tre diverse fasce d’età:
- Soggetti infraquattordicenni (>14): [97] presunzione assoluta d’incapacità, nel senso che non è ammessa prova contraria. Una sentenza di condanna a un infraquattoridicenne, minore non imputabile, è viziata e giuridicamente non esistente.
- Soggetto tra i 14 e i 18 anni: categoria delicata, essendo nel nel pieno sviluppo adolescenziale e in virtù dei numerosi fattori che possono influenzare lo sviluppo del minore. Non vi è alcun tipo di presunzione e, pertanto, sarà necessario un accertamento del giudice da effettuare casisticamente. Il soggetto potrebbe essere in una situazione di immaturità, ovvero non nella pienezza della sfera cognitiva e non in grado di cogliere il significato etico-sociale delle sue azioni. L’incapacità va qui accertata attraverso un’analisi di diversi profili (biologico, spirituale, sociale, affettivo, psicologico) e in relazione al fatto commesso
- Soggetto maggiore di 18 anni: presunzione di capacità, ma è ammessa la prova contraria
ART. 97 - Minore degli anni quattordici
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni
ART. 98 - Minore degli anni diciotto
È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere(1); ma la pena è diminuita 169, 224 4, 223-227.
Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale(3).
QUESITO Secondo quali parametri può essere accertata l’imputabilità del minore? La nozione di maturità coincide con quella di capacità di intendere e di volere?
«Affinché il comportamento del minore possa considerarsi reato è necessaria non solo la valutazione dell’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità dello stesso, ma anche la capacità di intendere e di volere ex art. 98 c.p., ossia la capacità del minore di comprendere l’antigiuridicità del fatto, la quale, non potendosi presumere, deve essere provata»
[Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 2018, n. 13080.
Trattamento del minore
Il minore infraquattordicenne non è soggetto a pena, ma se particolarmente pericoloso è sottoposto a misure di sicurezza come riformatorio giudiziario, libertà vigilata, affidamento al servizio sociale minorile, collocamento in casa di rieducazione o istituto medico.
Il minore di diciotto anni è tutelato dalla diminuzione della pena, ma possono anche applicarsi le misure di sicurezza sopracitate.
Cause di esclusione/diminuzione dell’imputabilità: la sordità
Categoria oggetto di numerosi dibattiti, in quanto riduce ad un livello di inferiorità un’ampio numero di soggetti, senza tener conto dei notevoli progressi compiuti in campo medico.
Esiste in virtù del fatto che l’udito costituisce un aspetto fondamentale per lo sviluppo della psiche umana.
L’art. 96 richiede un’analisi casistica, accertandosi che il soggetto abbia compiuto il fatto sotto il condizionamento della sua patologia, che abbia a sua volta inflittpo sulla sua capacità di intendere e di volere.
Se l’accertamento fa risultare il soggetto pienamente capace, questi sarà considerato alla stregua di un soggetto imputabile.
Se l’accertametno fa risultare una capacità di intendere di volere in capo al soggetto meramente scemata, si applica il comma 2 dell’art. 96 (pena diminuita).
ART. 96 - Sordomutismo
Non è imputabile il sordomuto(1) che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d’intendere o di volere [222].
Se la capacità d’intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita.
[3] La colpevolezza: struttura e funzioni
Quando un fatto costituisce reato?
In un sistema penale c.d. misto (sia oggettivo che soggettivo), perché un fatto costituisca reato non è sufficiente che il soggetto l’abbia posto in essere materialmente, ma è altresì necessario che questo sia a lui attribuibile psicologicamente.
Pertanto, deve esistere sia un nesso causale (tra agente e fatto criminoso), che un nesso psicologico (nel senso che il fatto criminoso deve essere posto in essere con dolo o, almneo, colpa)
Il requisito necessario del nesso psichico, ossia la sussistenza della coscienza e volontà della condotta riconducibile al soggetto è codificato all’art. 42 co.1 cp
ART. 42 - Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva
Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà(1).
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge(2).
La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione(3).
Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa(4).
La colpevolezza nel sistema penale italiano
La colpevolezza, essendo un concetto non direttamente definito ma frutto di un coacervo di disposizioni che regolano diversi istituti, si è andata sviluppando secondo due fondamentali concezioni: quella psicologica e quella normativa.
Concezione psicologica della colpevolezza
La colpevolezza consiste in un rapporto psicologico tipico tra fatto e autore: nella volontà (dolo) o nella prevedibilità (colpa) del fatto. Tale concezione stabilisce l’an della responsabilità, ma non ne permette la valutazione del quantum. Pertanto, la pena si commisura poi in termini obiettivi, in base al danno arrecato, ma non si consente comunque una graduazione della colpevolezza.
Concezione normativa della colpevolezza [Accolta dalla dottrina dominante]
La colpevolezza è il giudizio di rimproverabilità dell’atteggiamento psicologico tenuto dall’autore. Si costruisce quindi una nozione unitaria di colpevolezza che qualifica il fatto doloso come un fatto volontario che non si doveva volere e il fatto colposo come un fatto involontario che non si doveva produrre. In secondo luogo, in ragione del fatto che l’antidoverosità sia rimproverabile in forza della maggiore o minore volontà, è possibile graduare il disvalore penale dell’elemento psicologico legato all’autore.
Pertanto, secondo la dottrina dominante, è colpevole un soggetto imputabile, il quale abbia realizzato con dolo o colpa la fattispecie obiettiva di un reato, in assenza di circostanze tali da rendere necessitata l’azione illecit.
[Notiamo che i requisiti sono: imputabilità dell’agente, dolo o colpa, conoscenza o conoscibilità del precetto penale, assenza di cause di esclusione della colpevolezza]
La colpevolezza ha anche funzione fondante rispetto alla pena, non avendo quest’ultima alcun fondamento in assenza di rimproverabilità, essendo che la pena ha funzione rieducativa (ex. art. 27 Cost co3)
Infine, la colpevolezza ha anche funzione garantista di limite rispetto sia al potere punitivo, che alla libertà di scelta individuale, sicché si garantisce all’individuo la possibilità di pianificare la propria condotta al riparo da ingiustificati rischi penali, potendosi punire l’agente solo nei limiti di cià che rientra nel suo potere di controllo finalistico.
ART. 27 COST
La responsabilità penale è personale [40 ss. c.p.].
L’imputato [60 ss. c.p.p.] non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene [17 ss. c.p.] non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte [, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra]
È possibile dare più rilevanza alla funzione preventiva della pena a scapito della colpevolezza?
In generale, il principio di colpevolezza impone che, anche nella fase di irrogazione della pena, sia questa ad avere un ruolo preminente rispetto alle finalità di prevenzione generale o speciale.
Ci si domanda spesso se sia possibile utilizzare la pena per scopi di politica criminale e se, ad esempio, data la particolare frequenza con cui avvengono certi reati in determinate zone (es. incendi dolosi in Sardegna) sia consentito al giudice di infliggere pene che eccedano la misura massima della pena o quella che meriterebbe rispetto al caso concreto.
Tuttavia, consentire l’irrogazione al reo di una pena esemplare, che ecceda la misura della sua colpevolezza, comporterebbe una strumentalizzazione della persona umana ai fini di politica criminale (assolutamente non costituzionale), utilizzando il reo come capro espiatorio per impedire ai che gli altri consociati pongano in essere reati analoghi (In violazione del **divieto di responsabilità per fatto altrui **- art. 27 co1 Cost.)
Al massimo, sarebbe possibile per il legislatore aggravare le pene edittali, ma il ripetersi di analoghi fatti criminosi non legittima mai il giudice ad aumentare la misura della pena.
Rispetto alle esigenze di prevenzione speciale, con riguardo al singolo, sarà possibile esigere un trattamento più severo in caso di recidiva, ma sempre nei limiti della colpevolezza, che richiede la scelta della sanzione più idone a afavorire il reinserimento del reo nella società civile.
ART. 27 COST
La responsabilità penale è personale [40 ss. c.p.].
L’imputato [60 ss. c.p.p.] non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene [17 ss. c.p.] non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte [, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra]
[4] Il dolo, oggetto e accertamento
Il dolo
Il dolo è la forma più grave della colpevolezza, in quanto esprime un’intensità di adesione al fatto ben maggiore rispetto a quella di chi agisce per colpa, venendo ciò avvertito non soltanto dalla vittima ma anche dalla collettività.
La presenza dell’elemento del dolo rappresenta l’ordinario criterio di imputazione soggettiva per i delitti, come si rinviene dall’art. 42 co2 cp. [Il delitto quindi, nel silenzio della legge, è solo doloso. Si richiede un’espressa previsione normativa per colpa e preterintenzione]
Secondo l’art. 43, il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.
Affinché un soggetto possa essere ritenuto responsabile a titolo di dolo, occorre che il medesimo si rappresenti tutti gli elementi costitutivi del reato, nonché gli effetti derivanti dalla sua azione od omissione e ponga in essere volontariamente la condotta costitutiva di un illecito penalmente rilevante. = Per il dolo sono necessari rappresentazione e volontà, che devono riflettersi nel fatto tipico di reato, ossia l’oggetto del dolo.
Il dolo deve abbracciare la condotta (modalità di realizzazione del fatto tipizzate dalla norma incriminatrice) nei reati a forma vincolata o l’ultimo atto necessario ad attivare il decorso causale nei reati a forma libera, le circostanze antecedenti e concomitanti all’azione tipizzate dalla norma incriminatrice, e l’evento naturale quale conseguenza dell’azione.
Rispetto al nesso causale, è necessario che l’agente se lo prefiguri nei suoi tratti essenziali (le specifiche modalità di causazione rilevano solo se previste ex lege)
Con riguardo alle esimenti, l’erronea supposizione della loro esistenza esclude il dolo di fattispecie, mentre, all’inverso, sussiste il dolo se si ha la consapevolezza di agire in assenza di esimenti.
Il dolo investe anche gli elementi normativi della fattispecie, ossia quegli elementi la cui determinazione presuppone il rinvio ad una norma diversa da quella incriminatrice, che potrà essere
- un’altra norma penale (es. “reato” nel delitto di calunnia)
- o una norma appartentente ad altro ramo giuridico (es. “cosa mobile altrui” nel furto)
- o una norma etico sociale (es. “comune senso del pudore”, nei delitti di atti osceni in luogo pubblico)
Si ritiene sufficiente, affinche si configuri responsabilità dolosa, che l’autore abbia una “conoscenza parallela nella sfera laica - non giuridica” (es. nel furto, basta che sappia che la cosa è di altri, non necessariamente il significato di “altrui”)
Nell’oggetto del dolo rileva anche al qualifica soggettiva, giuridica o di fatto, inerente all’autore dei c.d. reati propri (es. reato di peculato, l’autore deve sapere di agire in possesso della qualifica di pubblico ufficiale)
ART. 42 - Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva
Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà(1).
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge(2).
La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione(3).
Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa(4).
ART. 43 - Elemento psicologico del reato
Il delitto:
è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione(1);
è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente(2);
è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline(3).
La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti(4), si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.
Può costituirsi responsabilità dolosa per il soggetto che versi in uno stato di dubbio circa l’esatta rappresentazione della realtà?
Si considera validamente integrato il requisito della rappresentazione per la sussistenza del dolo, acnhe quando il soggetto versi in uno stato di dubbio circa l’esatta rappresentazione della realtà (es. si impossessa di una cosa non sapendo se sia sua) in quanto egli ha consapevolezza della possibilità di commettere il reato e ne accetta il rischio.
Tuttavia, qualora sia la stessa norma incriminatrice a richiedere la piena conoscenza di uno o più elementi della fattispecie, lo stato di dubbio non sarà sufficiente ad integrare il dolo (es. 368 - Calunnia richiede che il soggetto incolpi di un reato taluno che sa innocente)
368 - Calunnia
Chiunque, con denuncia [c.p.p. 333], querela [c.p.p. 336], richiesta [c.p.p. 342] o istanza [c.p.p. 341], anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale(1), incolpa di un reato taluno che egli sa innocente(2), ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato(3), è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata [64] se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; [e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte]
Il dolo nei reati omissivi
In passato il dolo nei reati omissivi era stato messo in discussione in quanto, se il dolo si attualizza concretamente nell’attività circostante, cio non potrebbe dirsi per la fattispecie omissiva, in quanto l’atto “non si realizza”. Tuttavia, la volontà può costituirsi anche come volontà di omettere, di restare inattivi del soggetto che ha piena consapevolezza di poter tenere la condotta doverosa.
[Da 379 “Questione…” a 380 “…evitabile.” - Questioned egli obblighi di garanzia]
Il dolo nei reati omissivi assume connotazioni differenti a seconda che ci si riferisca a reati omissivi propri o impropri
Nei REATI OMISSIVI PROPRI, occorre verificare l’esistenza
- della consapevolezza dei presupposti dell’obbligo di agire, ossia dei contenuti motivanti della norma di comando, - e della volontà di non eseguire il comando.
Nei REATI OMISSIVI IMPROPRI, occorre accertare
- la consapevolezza dei presupposti di fatto che fondano l’obbligo di agire,
- la rappresentazione dell’obbligo giuridico di garanzia,
- e la volontà di non compiere la condotta più prossima possibile all’effettivo impedimento dell’evento.
Sono quindi definibili propri, i delitti omissivi che consistono nel mancato compimento di una azione che la legge penale impone di realizzare; sono definibili impropri, per contro, quei reati che consistono nella violazione dell’obbligo di impedire il verificarsi di un evento tipico
Il dolo nei reati a dolo specifico
Per la sussistenza del dolo nei reati a dolo specifico si richiede che il soggetto agisca perseguendo altresì lo scopo richiesto dalla norma
(es. furto: soggetto si impossessa della cosa altrui per trarne profitto)
Come si accerta il dolo?
Al fine di accertare il dolo, vanno assunti quei dati obiettivi dell’azione che, per la loro non equivoca potenzialità sintomatica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente e che sono rilevabili dalla determinazione del contenuto dell’azione, dalle sue modalità esecutive e dai risultanti della stessa
La giurisprudenza ha superato il canone del dolus inest in re ipsa (il dolo è insito nella cosa), dovendosi ricorrere a un processo di ricostruzione che dal fatto risalte alla volontà del soggetto agente con il ricorso a regole o massime di esperienza, che permettano di verificare e dimostrare la reale esistenza del dolo nel caso concreto.
Si deve rifiutare la tendenza ad attribuire significato ai c.d. indicatori del dolo, assunti spesso al rango di componenti dotate di valenza strutturale, in quanto si finirebbe per desumere il dato soggettivo del dolo dalla semplice realizzazione di una condotta oggettiva rimproverabile.
Allo stesso modo, una responsabilità fondata sul mero accertamento di fatti concludenti condurrebbe al depauperamento del coefficiente psicologico.
L’utilizzo di tali “formanti giurisprudenziali” si è sviluppato soprattutto con riferimento alla categoria dei reati soggettivamente pregnanti, ovvero di quelle figure criminose per le quali viene ritenuto superfluo l’accertamento dell’effettiva sussistenza del dolo, insita nell’univocità oggettiva del puro comportamento materiale che, ex se, rivelerebbe immediatamente la volontà offensiva. Il riferimento è ai delitti contro la fede pubblica, ai reati fallimentari e ai delitti contro l’onore.
Nella giurisprudenza più recente si fa anche riferimento ai segnali d’allarme, sufficienti in tali casi a far ritenere provata la colpevolezza nella forma del dolo eventuale. Tuttaiva, la presenza oggettiva di segnali non può essere sufficiente a fondare l’accertamento dell’effettiva rappresentazione del fatto, potendo eventualmente fondare un giudizio di sola colpa.
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[Tutto un discorso sulla sentenza Mannino, dolo doppio, dolo diviso in due, dolo stratificato - pp. 386-390]
[5] Le forme della colpevolezza dolosa: d. gen-spec, alt, int, dir
Quali distinzioni si possono operare relativamente alle forme di colpevolezza dolose?
In dottrina, si suole distinguere tra diverse coppie concettuali:
- dolo generico e dolo specifico
- dolo di impeto e dolo di proposito [per distinguere il quantum di durata e quindi l’intensità-complessità del processo deliberativo]
- dolo di danno e dolo di pericolo
Parte della dottrina distingue anche tra:
- dolo iniziale, ossia quello che sussiste solo al momento della condotta (Tizio spara a Caio ma, colto dal pentimento, cerca di salvarlo)
- dolo concomitante, ossia quello che persiste in tutto lo svolgimento del processo causale da cui deriva l’evento (Tizio spara a Caio, attendendo il dissanguamentoe per accertarsi della sua morte)
- dolo susseguente, ossia quello che manifesterebbe dopo il compimento di una condotta involontaria (Infermiere somministra per errore un veleno, ma omette dolosamente il soccorso)
Quando si configura il dolo generico?
Si ha dolo generico quando la norma richiede, perché siconfiguri la fattispecie dolosa, la mera rappresentazione e volontà del fatto tipico senza che rilevi il fine per il quale l’agente abbia posto in essere la condotta.
[es. perché si realizzi la fattispecie dell’omicidio basta la coscienza e la volontà di uccidere, non un fine particolare]
Quando si configura il dolo specifico?
Si ha dolo specifico quando è la stessa legge a richiedere, per la sussistenza della fattispecie incriminatrice che il soggetto agisca per un determinato fine, pur essendo indifferente che tale scopo si realizzi o meno per il perfezionamento della fattispecie incriminatrice.
[es. furto richiede il fine di trarne profitto]
Il fine si pone come elemento costitutivo del reato sui generis, al di fuori del perimetro legale.
La legge non richiede che si verifichi l’elemento oggetto della finalità da parte dell’autore, che rimane quindi estraneo alla fattispecie, quanto che l’agente abbia agito a quello specifico scopo
[es. non interessa che il profitto si realizzi a seguito del furto, ma che ci sia tale scopo]
Il dolo specifico ha lo scopo di selezionare e distinguere i fatti penalmente illeciti da quelli penalmente indifferenti
[es. la mera sottrazione di una cosa non rileva penalmente, se per esempio è fatta per scherzo, ma si richiede il fine di procurarsi un profitto ingiusto]
Vista l’indubbia difficoltà di accertare lo stato soggettivo, e a maggior ragione la presenza di un preciso scopo che deve essere voluto e perseguito dall’agente, lo stesso fine richiesto dalla norma viene spesso desunto dalla condotta.
[es. reato di frode fiscale da dichiarazione fraudolenta; si ritiene accertato il dolo specifico di evasione richiesto dalla semplice circostanza che il soggetto abbia utilizzato una fattura falsa]
Quando si configura il dolo d’impeto?
L’azione è caratterizzata da dolo d’impeto qualora un movente criminale improvviso si traduca immediatamente in azione criminosa.
In tale situazione, il processo deliberativo è quasi assente, frutto di stati emotivi e passionali, non realizzandosi un apprezzabile iato tra deliberazione e commissione del fatto.
Se da un lato l’impeto permette un’attenuazione dell’intensità del dolo (visto il quantum di minor durata), tuttavia rivela una maggiore capacità a delinquere a capo del soggetto
iato = interruzione, sospensione
Quando si configura il dolo di proposito?
L’azione è caratterizzata da dolo di proposito quando, al contrario del dolo d’impeto, sussiste un certo lasso di tempo tra il sorgere della decisione e la sua esecuzione.
Sotto-tipologia del dolo di proposito è il dolo di premeditazione, caratterizzato da una maggiore intensità e durata della componente volitiva. Sotto il profilo della durata, si parla di un lasso di tempo più ampio rispetto al dolo di proposito (più di una notte) nel quale si ha un consolidamento del proposito criminoso frutto di una maturata riflessione che persiste iuninterrottamente e tenacemente.
Dolo di danno e dolo di pericolo
Si ha dolo di danno quando l’agente vuole ledere in modo effettivo il bene protetto
Si ha dolo di pericolo quando l’agente vuole provocarne solo la messa in pericolo
Come si differenzia il dolo a seconda dell’intensità dell’elemento volitivo?
In base all’intensità dell’elemento volitivo, è possibile una classificazione ai sensi dell’art. 133 che permette una graduazione della responsabilità dolosa del soggetto. Si distingue tra:
- dolo intenzionale (diretto di primo grado)
- dolo diretto (diretto di secondo grado)
- dolo eventuale
ART. 133 - Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena
Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente [164, 169, 175, 203], il giudice deve tener conto della gravità del reato(1), desunta:
1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione(2);
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato(3);
3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa(4).
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere(5) del colpevole [103, 105, 108; c.p.p. 220], desunta:
1) dai motivi a delinquere(6) e dal carattere del reo(7);
2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato(8);
3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato(9);
4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Quando si configura il dolo intenzionale?
Si ha dolo intenzionale (o diretto di primo grado) quando l’agente ha di mira esattamente la realizzazione della condotta criminosa e delle sue conseguenze tipiche, ovvero l’evento è perseguito dall’autore come scopo finale della stessa.
[Tizio spara mortalmente a Caio proprio allo scopo di ucciderlo]
La volontà raggiunge la massima intensità
Quando si configura il dolo diretto?
Si ha dolo diretto (o diretto di secondo grado) quando l’agente si figura come certo o altamente probabile il verificarsi dell’evento e accetta di passare per la sua realizzazione pur di raggiungere lo scopo ulteriore prefissato.
In tale ipotesi, l’evento del reato non è l’obiettivo della condotta, ma costituisce lo strumento necessario (un transit obbligato) perché l’agente realizzi lo scopo perseguito ovvero una conseguenza accessoria (certa o altamente probabile) connessa al reato
[es. agente fa esplodere la propria barca allo scopo di riscuotere il premio assicurativo ma conscio del fatto che con elevata probabilità e certezza, si verificherà la morte dell’intero equipaggio.]
Volontà di tutti e ciascuno degli effetti collaterali scaturenti dalla condotta;
Quando si configura il dolo eventuale?
Si ha dolo eventuale quando l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la concreta probabilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria azione e, ciò nonostante, agisce accettando il rischio di cagionarle.
Il requisito non è solo la rappresentazione delle possibili conseguenze, bensì l’accettazione, ovvero volontà indiretta della conseguenza come effetto collaterale e “prezzo” eventuale per il raggiungimento del suo obiettivo.
In tale accettazione risiede l’elemento volitivo del dolo, non nella mera rappresentazione