P5C3 Commisurazione della pena Flashcards

1
Q

[1] I criteri finalistici adottati dal giud nella fase di comm. della p.

La commisurazione della pena

A

L’art. 132 c.p. stabilisce che il giudice debba individuare la pena da irrogare al colpevole discrezionalmente, ma tenendo conto dei limiti stabiliti dalla legge e con l’obbligo di motivazione circa i criteri giustificativi dell’uso del suo potere discrezionale.

PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEI CRITERI FINALISTICI
Nel silenzio del legislatore, l’aspetto più delicato di questa disciplina riguarda l’individuazione dei criteri finalistici (che riguardano la finalità della pena) che ispirano il giudice nel momento della commisurazione della pena. Il giudice, in particolare, esprime la sua discrezionalità all’interno di una cornice edittale, predeterminata dalla legge, che individua un minimo ed un massimo della pena. All’interno della cornica edittale, quindi, il giudice è chiamato ad individuare la penagiusta” da applicare al singolo reo in relazione al fatto specifico, e talvolta anche ad individuare quale sia il tipo di pena (detentiva, pecuniaria o sostitutiva) da applicare per il reato commesso.

FATTORI COMMISURATIVI DELLA PENA
I fattori commisurativi della pena indicati dal successivo art. 133 c.p. (esprimono circostanze improprie, che consentono al giudice di muoversi nella cornice edittale nell’individuazione della pena da irrogare in concreto, mentre le circostanze proprie – attenuanti o aggravanti – permettono al giudice di spaziare al di fuori dei limiti stabiliti per il fatto base).
- I fattori giudiziali di commisurazione rispondono essenzialmente a una ad una logica special-preventiva e trattamentale individualizzante,
- i fattori commisurativi legali astratti esprimono invece esigenze maggiormente indirizzate ad istanze generalpreventive.
Occorre prendere in considerazione anche i principi enunciati dall’art. 27 Cost., quali la personalità della responsabilità penale e le finalità rieducative della pena, che il giudice non può ignorare. Da essi, innanzitutto, il rigetto di qualsiasi irrogazione di pena che strumentalizzi il singolo nel trattamento punitivo per finalità di orientamento sociale dei consociati mediante l’inflizione di pene esemplari e, dall’altro lato, la immanente considerazione di un irrinunciabile finalismo rieducativo.

VALUTAZIONE DELL’ELEMENTO PSICOLOGICO
L’art. 133 c.p. è coerente con questi principi e, infatti, richiede al giudice di valutare «l’intensità del dolo» ed «il grado della colpa» nel momento di commisurazione della pena. Secondo parte della dottrina questi parametri dovrebbero considerarsi prevalenti, tanto da escludere per la valutazione della gravità del reato qualsiasi elemento incolpevole del fatto (escludendo quindi la configurabilità di una responsabilità oggettiva).

TESI GRADUALISTICA
Addirittura, secondo la c.d. teoria gradualistica, la determinazione quantitativa della pena dovrebbe tener conto del solo parametro della colpevolezza. Tale tesi non sembra tuttavia accettabile, in quanto il legislatore richiede al giudice di valutare la capacità a delinquere del reo e questo presuppone un giudizio prognostico volto ad accertare la possibilità di una ricaduta nell’illecito (rischio specifico di recidiva) imponendo di adeguare il quantum di pena alla necessità di impedire la commissione da parte del reo di nuovi ed ulteriori reati (finalità special preventiva).

RICONOSCIMENTO O MENO DELLA FINALITA’ DI PREV. GENERALE
Parte della dottrina rifiuta inoltre il riconoscimento della finalità di prevenzione generale tra i criteri finalistici di cui il giudice debba tener conto. In tal modo, infatti, sarebbe violato il principio di proporzionalità ed il divieto di responsabilità per fatto altrui (in quanto le esigenze di prevenzione generale determinerebbero l’irrogazione di una pena superiore al quantum di colpevolezza); inoltre, nella fase conclusiva del processo, il giudice non avrebbe gli strumenti per valutare con certezza quale sia il grado di diffusione sociale di un certo comportamento criminoso.

CRITICA ALLA GIUSTIZIA ASSOLUTA DEL VALORE INTRA-CORNICE EDITTALE
Criticabile, comunque, il postulato secondo cui qualsiasi sia l’entità della pena all’interno della cornice edittale questa risulterebbe sempre adeguata alla colpevolezza dell’autore, privando in tal modo la colpevolezza della sua stessa funzione di limite. Infatti, è proprio questo il legame sussistente tra colpevolezza e gli altri criteri finalistici perseguibili dal giudice, che dovrebbe essere valorizzato.

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Q

[2] La nozione di discrezionalità giudiziale ed i suoi limiti

La nozione di discrezionalità giudiziale e i suoi limiti

A

La discrezionalità consiste nella libertà di scelta che il legislatore attribuisce al giudice, affinché questo possa garantire realmente la giustizia del caso concreto.

Tale obbiettivo non sarebbe raggiungibile laddove il giudice fosse vincolato a comminare una pena in misura fissa.

LA DISCREZIONALITA’ DI TIPO VINCOLATO
Per evitare che la libertà di scelta si trasformi in un esercizio arbitrario del potere giudiziario, nel nostro ordinamento viene accolta una concezione di discrezionalità di tipo vincolato, che impone al giudice di confrontarsi con limiti ben precisi. Questi, secondo parte della dottrina, potrebbero identificarsi in limiti:
- esterni (cornice edittale)
- interni (art. 133 c.p.)
- fattuali (elementi di fatto che caratterizzano il caso concreto, da coordinare con i criteri finalistici)
- di carattere processuale (obbligo di motivazione, che può essere oggetto di censura da parte del giudice superiore).

LIMITI (CRITERI) INTERNI (del 133)
In particolare, in base all’art. 133 c.p. , nella sua opera di commisurazione della pena, il giudice deve
avere riguardo alla:
1) gravità del reato, che è desunta da:
* le modalità dell’azione → il giudice deve prendere in considerazione ogni circostanza di fatto che sia tale da incrementare il concreto disvalore dell’azione, sia in relazione alla sua pericolosità che alla sua oggettiva riprovevolezza (es: mezzi usati, luogo di commissione e le condizioni della vittima);
* la gravità dell’offesa → il giudice deve prendere in considerazione la lesione effettiva o potenziale del bene giuridico protetto (ad es. il danno o pericolo cagionato alla persona offesa)
* l’intensità del dolo e grado della colpa → il quantum di rappresentazione e di volontà del fatto, unitamente ad alcuni valori oggettivi (ad es. il discostamento del comportamento dalla regola cautelare) e soggettivi (ad es. la misura della prevedibilità ed evitabilità dell’evento), utili per misurare la colpevolezza del reo.
2) capacità a delinquere, da intendersi come la possibilità che il condannato compia ulteriori reati, desunta da:
* i motivi a delinquere → gli impulsi e le ragioni interne che hanno spinto il reo ad agire (da non confondere con lo scopo finale perseguito dall’autore del reato);
* il carattere del reo → le sue caratteristiche originarie o l’indole del soggetto, che può essere o meno propensa ad una ribellione all’ordinamento;
* i precedenti penali e giudiziari e la condotta e la vita antecedenti al reato → ogni precedente esperienza giudiziale che si sia conclusa con una sentenza di condanna o di proscioglimento, nonché ogni esperienza di vita che sia sintomatica della capacità a delinquere del reo;
* la condotta contemporanea e susseguente al reato stesso (ad es. la condotta processuale assunta dal reo o il fatto di essersi adoperato per riparare le conseguenze del reato).
* le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo

CRITERIO DELLA SOMMA COMPLESSIVA X VALUTAZIONE DELLA PENA PECUNIARIA - 133 bis
L’art. 133 bis c.p. prevede poi che per la commisurazione della pena pecuniaria il giudice deve tener conto non soltanto degli indici previsti dall’art. 133 ma anche delle condizioni economiche e patrimoniali del reo. Nel nostro ordinamento vige il criterio della somma complessiva, secondo cui il giudice deve valutare simultaneamente i criteri indicati dall’art. 133 e dall’art. 133 bis.

DIMINUZIONE O AUMENTO PER ADEGUARE LA PENA PECUNIARIA
Inoltre, al fine di garantire una effettiva rieducazione del condannato e rispondere alle istanze di prevenzione speciale, il giudice potrà diminuire la multa o l’ammenda fino un terzo, qualora la** misura minima** stabilita dal legislatore sia eccessivamente gravosa; oppure aumentare fino al triplo la misura massima stabilita dal legislatore, quando il benessere economico del reo sia tale da renderla verosimilmente inefficace.

RATEIZZAZIONE IN CASO DI CONDIZIONI ECONOMICHE DISAGIATE
Ragioni di giustizia equitativa impongono di tener conto della situazione economica anche in relazione alle modalità di pagamento, per cui, qualora il giudice accerti che il condannato versi in condizioni economiche disagiate, potrà consentire una dilazione del pagamento rateizzando il versamento della pena pecuniaria dovuta. Rimane ferma la possibilità per il condannato di estinguere il debito interamente in qualsiasi momento (art. 133-ter c.p.).

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3
Q

[3] Dalla comm. della pena in senso stretto alla comm. in senso lato

Dalla commisurazione della pena in senso stretto alla commisurazione in senso lato

A

Oltre alla commisurazione in senso stretto (specie e quantità della pena), il giudice deve effettuare anche una commisurazione in senso lato.

COMMISURAZIONE IN SENSO LATO
Si tratta dell’applicazione di circostanze attenuanti o aggravanti, di pene sostitutive alle pene detentive brevi, di misure alternative alla detenzione o dell’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Anche per la commisurazione in senso lato, i** criteri che orientano il giudice sono quelli previsti dall’art. 133 c.p**., ma questi non devono essere considerati cumulativamente dall’organo giurisdizionale nel momento dell’esecuzione della pena.

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4
Q

[4] L’obbligo di motivazione

Obbligo di motivazione

A

All’esito dell’iter di commisurazione della pena, l’art. 132 c.p. impone al giudice un obbligo di motivazione, che può ritenersi soddisfatto qualora consenta di mostrare il percorso logico ed argomentativo seguito per giungere alla decisione assunta.

RATIO
Esso risulta finalizzato a mantenere un parametro valutativo sul suo operato e, naturalmente, sulla corretta applicazione dei criteri stabiliti dall’art. 133 c.p. nell’esercizio del potere discrezionale.

MOTIVAZIONE RAFFORZATA vs MOTIVAZIONE SINTETICA
Nonostante l’importanza assunta dalla norma la sua corretta applicazione non è stata tuttavia sempre garantita dalla giurisprudenza. Infatti, secondo un consolidato orientamento, andrebbe tenuta distinta l’ipotesi in cui il giudice debba motivare la comminatoria di una pena vicino al massimo edittale, da quella relativa ad una pena prossima al minimo.

Mentre nel caso in cui il giudice debba motivare la comminatoria di una pena vicino al massimo si rende necessaria una argomentazione dettagliata e specifica (c.d. motivazione “rafforzata”); nel caso in cui il giudice debba motivare la comminatoria di una pena vicino al minimo risulta ammissibile l’utilizzo di formule standard o il generico richiamo alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del reo, elevando tale prassi ad una sorta di regola tacita (c.d. motivazione “sintetica”).

CRITICA
Tale approdo interpretativo è fortemente criticato in dottrina, perché la norma impone al giudice di dichiarare espressamente le ragioni che hanno condotto a quella decisione, senza distinguere né in relazione alla specie né in relazione al quantum di pena concretamente inflitta al reo. Sulla base di questi presupposti, l’indirizzo giurisprudenziale in questione sembrerebbe non soltanto essere privo di un reale fondamento normativo, ma violare lo stesso principio di legalità. Anche sul versante della ragionevolezza, non convince la vaga giustificazione a tale approccio giurisprudenziale riferito al favor rei, perché anche la scelta di una motivazione adeguata riguardo al quantum di pena fissata verso il minimo edittale deve, allo stesso modo di quella rivolta al massimo, rispondere a criteri di certezza giuridica che esulino dalla risoluzione del caso specifico e dettare regole valevoli per sempre ed in ciascuna circostanza.

PRASSI DELL’OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NEL REATO CONTINUATO
Importanti contrasti giurisprudenziali risultano anche riguardo all’obbligo di motivazione in tema di determinazione della pena nel reato continuato, con particolare riferimento alla motivazione per gli aumenti relativi ai c.d. reati satellite. Si afferma infatti una prassi volta a stabilire che sono sufficienti, a tali fini, le ragioni a sostegno della quantificazione della pena base.

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