P1C4 La legge penale rispetto alle persone Flashcards

1
Q

Art. 3 cp

A

OBBLIGATORIETÀ DELLA LEGGE PENALE
La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno [1080 cod. nav.] o dal diritto internazionale.

La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, ma **limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale*.

-> Questa disciplina richiama la nozione di capacità penale, propria di quei soggetti che possono essere validi destinatari dei precetti penali
-> Le eccezioni a tale principio di obbligatorietà della legge penale vengono definite immunità

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2
Q

Come possono distinguersi le immunità?

A

a) in base alla fonte che le pone
[e qui distinguiamo tra immunità di diritto pubblico (rispetto a funzioni di fonte costituzionale, come PdR. Parlamento, Corte Cost.) e immunità di diritto internazionale (nascenti dal diritto consuetudinario o dai trattati, ad es. per Papa, diplomatici esteri, capi di stato/governo esteri, militari in missione NATO, parlamentari europei)]

b) in base al tipo di disciplina prevista

c) in base ai tipi di reato coperti dall’immunità

Le immunità possono anche essere di diritto sostanziale o processuale; nel primo caso di esclude l’applicazione della pena derivante dal reato e l’immunità continua ad operare, anche successivamente alla cessazione della carica; nel secondo caso, ad essere sospeso è solo il processo che riprenderà una volta cessata la carica.

Le immunità possono anche distinguersi in funzionali o extra-funzionali in base al tipo di reati coperti dalla disciplina; nel primo caso, l’immunità ha riguardo ai soli reati commessi nell’esercizio della funzione; nel secondo caso si coprono reati non inerenti alla funzione o commessi anche antecedentemente al momento in cui si riveste la qualifica necessaria ad avere l’immunità.

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3
Q

Immunità di diritto pubblico interno

A

Le immunità di diritto pubblico interno sono finalizzate a salvaguardare le prerogative di una funzione di rilievo costituzionale ed essere derogatorie rispetto al principio di eguaglianza

  • Il PdR, a norma dell’art. 90 Cost, non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento (//cp) e attentato alla Costituzione (283cp) [Immunità di diritto sostanziale avente natura funzionale]
  • Il PdSenato segue la disciplina del PdR quando ricopre le sue funzioni a norma dell’art. 86 Cost.
  • I Parlamentari godono di un’immunità sostanziale e processuale per i reati funzionali; essi infatti non posso essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre, abolita l’autorizzazione a procedere, ad oggi l’autorizzazione parlamentare è necessaria per procedere a perquisizione, intercettazione o sequestro di corrispondenza. Secondo la dottrina, per negare l’autorizzazione e tutelare l’indipendenza del parlamentare, la Camera deve constatare il fumus persecutionis nei confronti del parlamentare.
  • I membri della Corte Costituzionale godono della stessa immunità sostanziale e processuale dei Parlamentari
  • I Consiglieri regionali godono dell’immunità sostanziale, mentre manca per loro un’immunità processuale
  • I membri del CSM non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni, ma tale previsione si configura come causa di non punibilità e non come causa di giustificazione: pertanto, il fatto illecito del membro del CSM potrà rilevare in sede civile.
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4
Q

Quali problemi possono sorgere rispetto al reato di alto tradimento di cui può essere responsabile eccezionalmente il PdR?

A

Al contrario del reato di attentato alla Costituzione, disciplinato all’art. 283 cp, il reato di alto tradimento non ha una sua fattispecie codicistica penale, pertanto farvi riferimento come incriminazione penale potrebbe risultare in una lesione del principio di legalità, specialmente della determinatezza, sia del fatto che delle pene.

Più probabilmente, dovrebbe farsi riferimento ai reati codicistici richiamati nel codice penale militare di pace, che invece prevede il delitto di alto tradimento.

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5
Q

QUESITO È costituzionalmente legittimo l’art. 5 L. 1/1981, che prevede l’immunità dei membri del Consiglio superiore della magistratura?

A

«L’art. 5 della legge n. 1 del 1981 ha previsto una causa di non punibilità specifica, ma rigorosamente circoscritta, avente per oggetto le sole manifestazioni di pensiero funzionali all’esercizio dei poteri-doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il Consiglio superiore; sicché le censure proposte al riguardo dal giudice a quo si dimostrano, per ciò stesso, destituite di fondamento. […] Ciò posto, è agevole notare che la natura, la posizione e le funzioni del Consiglio superiore della magistratura sono state concepite dalla Costituzione in termini così caratteristici, da fornire un’adeguata ragione giustificativa della scriminante in discussione.
[…] Dichiara non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 5 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, in riferimento agli artt. 3, co. 1, 28 e 112 della Costituzione, sollevata dal giudice istruttore del Tribunale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe» [Corte cost., 3 giugno 1983, n. 148].

La CC ha quindi dichiarato la legge valida, in quanto di mera esecuzione del disposto costituzionale dell’art. 104, che sancisce l’indipendenza del CSM da ogni altro potere.

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6
Q

Esiste un immunità processuale per reati extra-funzionali?

A

Per due volte negli ultimi anni si è tentato di introdurre in Italia una forma di immunità di carattere processuale per reati extra-funzionali, prima con la l. 140/2003 “Lodo Schifani” e poi con la l. 124/2008 “Lodo Alfano”.

L’obiettivo delle due discipline era assicurare serenità nello svolgimento delle funzioni inerenti alla carica, e in entrambi i casi si prevedeva lo strumento della sospensione processuale onde introdurre una prerogativa per alcuni soggetti.

Nel Lodo Schifani era prevista la sospensione di tutti i processi penali che vedevano imputate le cinque più alte cariche dello Stato (PdR, PdC, PdSenato, PdCamera, PdCorteCost.) relativamente ai reati pre- ed extra-funzionali.
[La Corte ne ha sancito l’illegittimità costituzionale perché lo strumento della sospensione processuale si usa per esigenze endo-processuali, e non per tutelare una funzione di rilievo costituzionale, perché andrebbe a minare il diritto di difesa sancito all’art. 24 Cost e il diritto del resto dei consociati a ottenere giustizia senza sospensione a tempo indeterminato, anche rispetto a fatti precedenti la carica. Infine, si constata che i PdCamera e Senato, il PdC e il PdCortCost non abbiano, pur avendo alcune specificità, una posizione diversa dai membri degli organi che presiedono] (Nel dettaglio pag. 117)
Secondo la Corte, i caratteri dell’immunità del Lodo Schifani erano:
- generale: perché si applicava a tutti i reati extrafunzionali in qualsivoglia tempo, anche quando il soggetto era un privato
- automatica: perché si applicava sempre nell’iter processuale e a prescindere dalle peculiarità del caso concreto
- indeterminata: reiterabile in caso di rielezione

Pochi anni dopo, il Parlamento approva il c.d. Lodo Alfano, che nella sostanza ricalca la previgente disciplina, anche se con alcune differenze per adeguarsi alle indicazioni della Corte Cost., eliminando il PdCortCost dal novero dei soggetti, introducendo alla possibilità di rinunciare all’immunità ed escludendo la reiterabilità della sospensione in caso di nuovo incarico.
[La Corte anche qui ne ha sancito l’illegittimità costituzionale, partendo dal fatto che tale sospensione debba considerarsi un’immunità, ma con diversa ratio dalle altre immunità di diritto pubblico. e senza una copertura costituzionale. Inoltre, nonostante la possibilità di rinunciare, il diritto di difesa sarebbe leso a causa dell’automaticità della sospensione del processo. Per la Corte, poi, proprio la non reiterabilità, contrasta con la ratio della legge. Inoltre, rimane il problema che il PdC e il PdCamera sono primi inter pares e non super pares, come invece voleva dimostrare la difesa.]

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7
Q

Secondo la Corte, quali caratteri doveva avere l’immunità per essere ammissibile, nell’ambito del c.d. Lodo Alfano?

A

L’immunità doveva:
- tutelare la serenità nello svolgimento di funzioni inerenti a una carica di rilievo costituzionale
- derogare al principio generale di uguaglianza
- essere regolata da disposizione costituzionale

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8
Q

Immunità di diritto internazionale

A

La fonte giuridica delle immunità di diritto internazionale si ricava dall’art. 3 cp, che annovera tra le fonti dei limiti all’obbligatorietà della legge penale anche i trattati e le convenzioni internazionali.

  • Il Sommo Pontefice ha immunità assoluta in base all’art. 8 del Trattato del Laterano, sia perché Capo di Stato estero, sia perché Capo della Cristianità. Questa immunità è di diritto sostanziale e processuale
  • Per i Capi di Stato esteri che si trovino in tempo di pace sul territorio italiano è prevista una forma di immunità. Non è estesa come quella del Sommo Pontefice, considerando che i Capi di Stato estero potrebbero essere chiamati a rispondere dei reati commessi durante il mandato, in seguito alla cessazione della carica.
  • Sono previste altre tipologie di immunità per gli organi di Stati esteri (Capi di governo, membri del Governo …)
  • Godono altresì di immunità funzionale ed extra-funzionale gli agenti diplomatici, cosi come, nella sola forma funzionale, anche i funzionari internazionali, parlamentari europei, consoli, agenti consolari, agenti diplomatici e inviati di governo della Santa Sede, i giudici della ICJ, i giudici della Corte EDU, membri e persone delle forze armate NATO e i militari stranieri autorizzati
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9
Q

Qual’è la natura giuridica dell’immunità?

A

Si discute se si debba prendere in considerazione una sola natura giuridica o diverse differenziate in base al tipo di immunità.

L’art. 3 cp accosta l’istituto dell’immunità alla categoria delle cause di esenzione della responsabilità penale, ossia di cause che enucleano specifici limiti edittali di inapplicabilità della legge penale, diversamente dalle cause di giustificazione, che insistono sulla “meritevolezza o meno della pena”, ma più sul “bisogno o meno di pena”.

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10
Q

Che problemi ha creato nel sistema penalistico il multiculturalismo?

A

Con l’avvento della globalizzazione e l’incremento dei flussi migratori, il sistema penalistico italiano ha dovuto fare i conti con uno confronto-scontro tra culture, tradizioni, religioni, usi e costumi diversi.

La domanda che l’interprete deve porsi è “che senso ha punire chi non sa o non crederà mai che il suo comportamento è illecito, perché lo ritiene perfino doveroso?”

Si fa spazio nel nuovo mondo multiculturale l’esigenza di bilanciare, da una parte l’interesse della vittima di un’adeguata tutela e quello dell’ordinamento alla severità della punizione per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico, e dall’altra il diritto dell’agente ad una pena commisurata alla propria colpevolezza, che implica la valutazione della cultura e del movente culturale quali fattori di minore rimproverabilità del fatto. Si parla in questi casi di reato culturale o culturalmente orientato/motivato.

Nei paesi anglosassoni è stato sviluppato il concetto di “cultural defense” come strategia difensiva e “causa di esclusione o diminuzione della responsabilità penale invocabile in ambito processuale da immigrati, rifugiati, popolazioni indigene o minoranze con un background culturale diverso dagli usi accettati dalla maggioranza della comunità”, con l’aspettativa che tale influenza culturale abbia rilevanza pro reo. (vd. Caso Kimura)

In Italia, la tematica della diversità culturale ha trovato riscontro nei maltrattamenti in famiglia - art. 572 cp, essendo noto infatti che il concetto di famiglia risenta delle forti diversità culturali. Rileva l’esempio delle comunità islamiche nel nostro paese, dove nasce un conflitto tra la parte maschile che vuole conservare la potestà e quella femminile che, ispirata dai valori occidentali, tende verso l’emancipazione

La Cassazione, nel 2008, ha inaugurato una linea interpretativa che riconosce la diversità culturale che possa spingersi fino all’accettazione di consuetudini e usi “antistorici” rispetto alle conquiste dei diritti inviolabili dell’uomo, ma impone al giudice di non esimersi dal rendere imparziale giustizia per le norme vigenti caso per caso, assicurando tutela delle vittime qualora non abbiano prestato consenso alla condotta dell’agente, garanzie per gli imputati e personalizzazione della pena.

Nonostante ciò, la linea giurisprudenziale afferma, relativamente al caso della comunità sikh e del porto abusivo di armi (pugnale kirpan), che l’integrazione non impone l’abbandono della cultura d’origine, bensì il limite invalicabile costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica ospitante. Non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori anche se leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante [Si introduce un principio di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti in direzione di una tutela prevalente della sicurezza pubblica interna].

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11
Q

Cos’è il c.d. reato culturale o culturalmente orientato/motivato?

A

È un comportamento realizzato da un membro appartenente ad una cultura di minoranza, che è considerato reato dall’ordinamento giuridico della cultura dominante.

Questo stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale dell’agente è condonato, o accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura incoraggiato in determinate situazioni.

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12
Q

Caso Kimura

A

Caso di reato culturalmente orientato, in cui una donna, dopo aver scoperto la relazione extra-coniugale del marito, avrebbe commesso il c.d. “boshi-shinju” (suicidio-omicidio madre-figlio), venendo considerato il figlio una diretta estensione dei genitori nella cultura giapponese.

La donna fu salvata, ma i figli morirono, e così fu accusata di omicidio di primo grado.

In Giappone, chi commette tale reato risponde di omicidio volontario, punito con pena lieve, proprio per la ratio del gesto volto a salvare i figli da “un destino di umiliazione e sofferenze”.

La sentenza fu quella di omicidio volontario attenuato, proprio in ragione della infermità mentale che sarebbe stata scaturita da ragioni culturali.

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13
Q

QUESITO: È possibile che una quantità rilevante di stupefacente possa essere considerata «per uso personale», se il detentore appartiene ad una religione che prescrive l’uso dello stupefacente?

A

«Gi adepti della religione rastafariana possono fumare marijuana, anche in quantità sopra soglia. D’altronde, secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come ‘erba meditativa’ come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che l”erba sacra’ sia cresciuta sulla tomba di re Salomone, chiamato il re saggio e da esso ne tragga la forza, come si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione» [Cass. pen.,
sez. VI, 10 luglio 2008]

La sentenza della Cassazione ha quindi stabilito che non è possibile limitarsi a considerare il dato ponderale della sostanza senza tener conto delle circostanze di tempo, di luogo e della condotta dell’agente, nonché le particolari finalità a cui la sostanza è destinata.

La sentenza però introduce surrettiziamente criteri valutativi di tipo casistico e personalistico che fanno smarrire i principi proprio della certezza del diritto, consegnando in definitiva un troppo ampio potere discrezionale al giudice.

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14
Q

A cosa serviva la legge delega 300/2000?

A

A dare attuazione a una serie di impegni sovranazionali in materia di criminalità economica a cui l’Italia si era sottoposta, al fine di creare uno spazio giuridico europeo per la lotta efficace alla criminalità transfrontaliera.

Un’attuazione specifica di tali impegno si rinvede nel d.lgs. 231/2001, relativamente alla responsabilità degli enti. Si presenta come un mini-codice del diritto punitivo d’impresa.

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15
Q

D. lgs. 231/2001: Principi generali

A

L’art. 1 del d.lgs. 231/2001 individua i destinatari della normativa:

2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
[Si estende la responsabilità in funzione di una massima estensione della prevenzione generale]

3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
[La ragione dell’esclusione di questi soggetti è da rinvenirsi nel fatto che sarebbe stato impossibile o controproducente applicarvi sanzioni]

L’art. 2 enuncia il principio di legalità, facendo esplicito riferimento ai corollari della riserva di legge, della tassatività e della irretroattività.

L’art. 3 disciplina l’ambito di applicazione temporale della disciplina (successione delle leggi).
[pag. 132 nello specifico]

L’art. 4 disciplina il problema dell’applicazione spaziale
[Nello specifico, disciplina il caso di responsabilità dell’ente per illecito amministrativo dipendente da reato commesso all’estero, qualora l’ente abbia sede in Italia]

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16
Q

D. lgs. 231/2001: Criteri di imputazione della responsabilità

A

Il cuore del d.lgs. 231/2001 è costituito dalle norme che definiscono i criteri oggettivi e soggettivi di ascrizione della responsabilità all’ente

La responsabilità dell’ente è stata ancorata dal legislatore ad un autonomo illecito amministrativo, slegato (ma che necessita) dal reato della persona fisica.

L’art. 5 c.1 definisce l’ambito dei soggetti dalle cui azioni può scaturire la responsabilità dell’ente, individuandone due categorie:
a) le persone che rivestono, anche solo de facto, funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa finanziariamente autonoma
b) le persone *sottoposte alla vigilanza o direzione di uno dei soggetti alla lett. a)

Al comma 2, si chiarisce che:
L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

L’art. 6 prevede la non punibilità dell’ente che provi:
a) di aver adottato ed efficacemente attuato un idoneo modello organizzativo
b) di aver istituito un organismo di vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo
c) che le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di gestione ed organizzazione
d) che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo

[Notare l’inversione dell’onere probatorio a carico dell’ente, che si bilancia con le ampie possibilità previste dall’art.6 di dimostrare la non colpevolezza]

Nel caso a commettere il reato fossero i sottoposti, all’art. 7 si prescrive che l’ente sarà chiamato a rispondere del reato commesso dal sottoposto solo qualora la commissione dell’illecito sia stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza.

[Il decreto legislativo fornisce linee guida con riguardo al contenuto del modello di organizzazione preventiva con cui l’ente può deresponsabilizzarsi]

17
Q

Art. 5 d.lgs. 231/2001: “L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio”, vantaggio e interesse sono un pleonasmo?

A

Per parte della dottrina, “vantaggio” e “interesse” costituiscono un pleonasmo, ossia una ripetizione superflua.

Tuttavia, la giurisprudenza e altra parte della dottrina, seguendo il criterio ermeneutico dell’interpretazione utile della disposizione, stabiliscono che i due termini sarebbero diversi e alternativi:
- il vantaggio farebbe riferimento alla concreta acquisizione economica di un surplus per l’ente (valutazione ex post)
- l’interesse farebbe riferimento alla sol finalizzazione del reato tendente al vantaggio (valutazione ex ante)

Le due finalità sono cumulabili, ma ne basterebbe una per ascrivere la responsabilità all’ente.

18
Q

Quali critiche sono sorte in capo al d.lgs. 231/2001?

A

Alcune critiche sono state rivolte al fatto che l’ente, come previsto dall’art. 6, avrebbe potuto svincolarsi dalla responsabilità provando l’elusione fraudolenta da parte dei vertici dell’adeguato modello organizzativo adottato.

Chi ha mosso la critica, infatti, propendeva per una responsabilità sic et simplicitur immediata a seguito del reato da parte dell’ente. Tuttavia, la punizione in questo caso avrebbe potuto comportare un vulnus (offesa del diritto) al principio di personalità della resp. penale. Infatti, non sempre la realtà aziendale si sviluppa verticalmente e, anzi, spesso si distribuisce orizzontalmente in più centri operativi.

Un problema prasseologico che si pone a priori è quello che vede l’ente giustificarsi con la dimostrazione di aver correttamente vigilato ed adottato un modello organizzativo adeguato, in contrasto con il fatto che il reato consiste nella concretizzazione di un rischio non consentito da una determinata attività aziendale. È normale che il giudice penale giunga al giudizio di inidoneità del modello e omessa vigilanza da parte dell’organo a ciò deputato, se la valutazione avviene ex post.

Altro problema, relativamente alla responsabilità dell’ente per l’azione dei sottoposti, è costituito dal contrasto con la legge delega 300/2000, che voleva prevedere una responsabilità sempre prima del soggetto, e poi dell’ente in seconda battuta. Con la previsione dell’art. 7, è possibile che non avvenga tale corresponsabilizzazione e venga in essere solo la responsabilità dell’ente.

19
Q

Cosa si intende con “colpa organizzativa”?

A

L’ente che non abbia previsto al suo interno idonei meccanismi di controllo per prevenire la realizzazione di illeciti dovrebbe, pertanto, rispondere perché, con la sua scelta di “disorganizzarsi”, avrebbe aumentato le possibilità di verificazione del rischio di reato.

La colpa organizzativa dell’ente trova “cittadinanza” nel d.lgs 231/2001:
- Nel caso di reato commesso dai vertici dell’ente, nell’art. 8 “autonomia della responsabilità dell’ente”, che prevedendo sua responsabilità anche quando l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile;
- Nel caso di reato commesso dai sottoposti, per ciò che è disposto all’art. 7 [si prescrive che l’ente sarà chiamato a rispondere del reato commesso dal sottoposto solo qualora la commissione dell’illecito sia stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza.]

20
Q

D. lgs. 231/2001: Sanzioni

A

L’art. 9 individua le sanzioni comminabili all’ente:
- nella sanzione pecuniaria
- nella sanzione interdittiva
- nella pubblicazione della sentenza di condanna (che è preminentemente facoltativa)
- nella confisca (contro la criminalità di profitto, da calcolarsi sul prodotto netto dell’effettivo - pertinente vantaggio economico derivante dalla commissione di reato)
[A differenza del sistema di sanzioni tipico della legge penale, non si propone una distinzione tra s. principali e accessorie. Inoltre, non c’è distinzione nella commisurazione nei confronti dei vertici e dei sottoposti]

L’art. 10 dispone che per l’illecito amministrativo si dispone sempre la sanzione pecuniaria

All’Art. 12 viene offerta all’ente la possibilità di fruizione di una riduzione della sanzione nelle ipotesi di particolare tenuità del danno e di attività riparatorie

21
Q

Le sanzioni interdittive nel sistema sanzionatorio del 231/2001

A

A differenza della sanzione pecuniaria, le sanzioni interdittive rappresentano una risposta maggiormente efficace per reprimere le nuove forme di criminalità economica, condotte da entità plurisoggettive.

Sono sanzioni capaci di penetrare la struttura e l’attività dell’ente, e di limitarne, anche nel lungo periodo, la capacità operativa e, nei casi estremi, determinarne l’uscita dal mercato.

La disciplina prevede anche incentivi che spingono l’ente, che si sia già reso responsabile di illeciti ad eliminare nella propria organizzazione il rischio di nuove trasgrssioni.

L’art. 9 co.2 prevede 5 tipi di sanzioni interdittive:
1) interdizione dall’esercizio dell’attività
2) sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze, concessioni funzionali alla commissione dell’illecito
3) divieto di contrarre con la PA, fuorché per prestazioni del servizio pubblico
4) esclusione o revoca di agevolazioni, finanziamenti, sussidi o contributi
5) divieto di pubblicizzare beni o servizi

I presupposti delle sanzioni interdittive sono contenuti dall’art. 13, che circoscrive l’applicazione al verificarsi di due requisiti:
a) l’ente ha tratto profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso dai vertici (o dai dipendenti se ciò è dovuto a disfunzioni organizzative)
b) reiterazione degli illeciti

L’art. 16 prevede l’applicazione in via definitiva nell’interdizione qualora si verifichino 3 ipotesi che dimostrino come l’ente sia caratterizzato da una spiccata insensibilità delle misure interdittive temporanee o sia dotato di una ostinata tendenza alla commissione di illeciti particolarmente gravi

L’art. 17 prevede la riparazione delle conseguenze del reato(escludendo l’interdizione ma con sanz. pecun.) qualora l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato (o si sia adoperato per eliminare) le conseguenze dannose-pericolose del reato, abbia eliminato le carenze organizzative, abbia messo a disposizione il profitto per la confisca.

Il legislatore ha anche previsto la possibilità di nominare un commissario giudiziale in luogo dell’applicazione delle misure interdittive, per evitare le eventuali conseguenze negative per i lavoratori e i consumatori.

22
Q

DA FARE 3.4 PAG.148-154 (REATI PRESUPPOSTO)

A

Capisci cosa sono i reati presupposto prima

Un reato presupposto è un fatto criminoso che rappresenta, a sua volta, la condizione per la commissione di un altro reato. Il reato presupposto, detto in altri termini, costituisce l’antecedente necessario per la concretizzazione di un altro tipo di reato.