P1C2 Riserva di legge statale in materia penale Flashcards
Che funzione ha la riserva di legge?
Il principio della riserva di legge, sancito all’art. 25 cost. intende riservare il monopolio della legislazione penale al potere legislativo, escludendo sia le fonti non scritte, sia quelle derivanti da altri poteri (esecutivo, giudiziario).
È un corollario del principio di legalità.
Consente di salvaguardare i diritti delle minoranze e delle forze politiche dell’opposizione, nonché di poter esercitare un sindacato sulle scelte di politica criminale della maggioranza.
Cosa significa nullum crimen, nulla poena sine lege?
“Nessuno può essere punito, né sottoposto a misure di sicurezza se non sia espressamente previsto dalla legge” (artt. 1 e 199 cp)
ART. 1 CP
Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.
ART. 199 CP
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti.
Che norme ha ad oggetto la riserva di legge in materia penale?
La riserva di legge in materia penale ha ad oggetto le norme incriminatrici, ovvero la determinazione del fatto di reato, gli elementi oggettivi e soggettivi dello stesso, l’insieme delle condizioni da cui dipende la punibilità e la misura della medesima.
Al contrario, secondo una parte della dottrina, le norme che prevedono cause di giustificazione non sono norme penali e possono derivare da qualsiasi fonte dell’ordinamento giuridico, poiché autorizzano o impongono facoltà e doveri, ancorché penalmente rilevanti, escludendone semplicemente l’antigiuridicità.
Crisi della riserva di legge
A causa della farraginosità del modello legislativo impostato sul bicameralismo perfetto, si assiste ad un sempre più incisivo fenomeno di eterointegrazione della norma penale, attraverso la tecnica del rinvio a fonti di matrice extrapenale [vedi esempio art.2629bis cc pag. 52]
A tal proposito, si discute se la riserva di legge in materia penale sia assoluta o relativa.
In virtù della ratio politica sottesa alla disposizione costituzionale, si ritiene che la riserva vada intesa in senso “tendenzialmente assoluto”, e che quindi le scelte di politica criminale siano di esclusiva competenza del Parlamento, che non può delegare ad altri la sua disciplina.
Secondo la tesi della sufficiente specificazione, le fonti sublegislative sono escluse in materia penale, potendo tuttalpiù avere una funzione di specificazione tecnica di alcuni elementi normativi della fattispecie sulla base dei criteri tecnici individuati dalla legge medesima, al fine di aggiornare la norma o fornire un’esaustiva descrizione.
[Fenomeno delle norme in bianco, che ammettono rinvii nel rispetto del divieto di analogia e del principio di precisione]
QUESITO: In che limite può esercitarsi il potere discrezionale del giudice nella determinazione in concreto della pena, potere che sia concesso dalla fonte legislativa primaria, senza che ciò non sia confliggente col principio di legalità sotto forma di riserva di legge?
«È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 (T.U. legge stupefacenti) in relazione agli artt. 3, 25 e 101 Cost., dedotta sul rilievo, che contro questi ultimi urterebbe l’ampio potere discrezionale concesso al giudice di spaziare, nell’ambito del reato di cui all’art. 73 predetto, fra un minimo ed un massimo di pena assai lontani tra di loro; infatti, il potere discrezionale del giudice di determinare la pena - una pena della specie stabilita dal legislatore - attenendosi ai criteri direttivi dello stesso legislatore, fissati fra un minimo e un massimo risultanti dalla norma o dalla combinazione di questa con altre norme, e muovendosi in definitiva su un terreno i cui confini risultano in partenza chiaramente segnati, non può significare il venire meno della riserva di legge di cui all’art. 25, co. 2, Cost., o della soggezione del giudice medesimo alla legge» [Cass. pen., sez. V, 18 giugno 1992].
Il confine entro cui il giudice può muoversi per determinare in concreto la quantità della pena da irrogare al colpevole, preventivamente fissata dal legislatore, non è sindacabile in sede costituzionale perché riservato al potere legislativo. Il giudice che si attenga tale confine di predeterminazione non travalica dai suoi poteri perché si mantiene sempre nei confini stabiliti preliminarmente dalla legge.
Alla Corte non spetta quindi “rimodulare le scelte punitive effettuate dal legislatore, né stabilire quantificazioni sanzionatorie”. Tuttavia, è invece suo compito quello di assicurarsi che l’uso della discrezionalità legislativa in materia rispetto il limite della ragionevolezza. [sent. cost. 409/1989: “il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso” … continua pag. 54]
QUESITO: La fonte sublegislativa può specificare, ed in che misura, uno o più elementi della fattispecie di reato?
«Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 71, 12 e 72 quater l. 22 dicembre 1975 n. 685, come modificata dalla l. 26 giugno 1990 n. 162 (corrispondenti rispettivamente agli art. 73, 75 e 78 d.p.r. 9 ottobre 1990,
n. 309), in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 32 Cost., dal momento che […] la determinazione dei limiti quantitativi di principio attivo delle dosi medie giornaliere attraverso un decreto del ministro della sanità non lede il principio di riserva di legge» [Corte cost., 11 luglio 1991, n. 333].
Nel caso di specie, il compito dell’autorità amministrativa è quello di specificare la sostanza stupefacente o psicotropa rispetto alla quale l’art. 73 d.p.r. n. 309/1990 vieta le condotte di produzione e commercio. L’individuazione di tale sostanza è oggetto di aggiornamento periodico
La questione apre all’ammissibilità delle norme penali in bianco in relazione alla riserva di legge in materia penale:
- Secondo un primo orientamento, la riserva di legge avrebbe un carattere sufficientemente elastico tale da consentire l’integrazione della fattispecie penale da parte della normativa secondaria, e quest’ultima costituirebbe un mero presupposto di reato.
- Un secondo orientamento, invece, pur sostenendo il rigore assoluto della riserva di legge, prende atto dell’impossibilità pratica di una simile impostazione, ritenendo opportuno concepire uno spazio per l’intervento normativo secondario in ragione della complessità tecnica e delle esigenze di continuo aggiornamento di cui necessitano alcuni settori del diritto penale speciale; in caso contrario, tali esigenze dovrebbero essere soddisfatte dal giudice a scapito della certezza del diritto.
- La giurisprudenza ha finito per affermare con chiarezza che, mentre per la sanzione è escluso ogni spazio di determinazione per l’amministrazione, al contrario, il precetto può essere indicato anche dall’autorità non legislativa, purché con sufficiente determinazione e specificazione dei presupposti, dei caratteri, dei contenuti e dei limiti.
Perché il principio della riserva di legge formale è in crisi?
Perché disatteso, ormai già a partire dagli anni 70, a fronte dell’esigenza di speditezza rispetto ad un’attività parlamentare sempre più disorganica. Infatti, fonti legislative diverse dalla legge (atti equiparati, dl, d,lgs) costituiscono ad oggi la fonte primaria di produzione normativa anche nell’ambito della legislazione penale.
Il ricorso ai decreti-legge (decretazione d’urgenza) del Governo può eludere completamente la ratio della riserva di legge, introducendo una norma penale ad efficacia costitutiva/abrogativa senza periodo di vacatio (mancato espletamento del dovere informativo per la conoscibilità della norma penale) e compromettendo la funzione general-preventiva che, per via dell’immediata entrata in vigore, non ha il tempo sufficiente per orientare i comportamenti dei consociati. Il ruolo del Parlamento è cosi ridotto al nulla con il ricorso alla reiterazione plurima.
Il ricorso ai decreti legislativi delegati, invece, potrebbe consentire al Parlamento di esercitare le scelte di politica criminale ed esprimerle nella elgge delega, attraverso i principi ed i criteri direttivi di quest’ultima. A tal proposito, la Corte Cost. ha ammesso la legittimità sia di una delega rigida, che di deleghe di mero obiettivo o implicite. Tuttavia, in questi ultimi casi, il confine con una mera delega generica si assottiglia.
QUESITO Il decreto legislativo delegato può integrare il sistema sanzionatorio penale?
«È infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli art. 25, co. 2, 76 e 97 Cost., degli art. 240, 242, 257 t.u. ambientale, per violazione dei principi di tassatività e determinatezza, eccesso di delega e violazione del principio di logicità dell’azione amministrativa, poiché l’art. 1, co. 8, I. delega n. 308 del 2004 attribuiva ai decreti legislativi delegati, al fine di garantire una più efficace tutela ambientale, anche la potestà di integrare il sistema sanzionatorio penale, pur senza alterare i limiti di pena previsti in precedenza, ed il sistema delineato dalle norme censurate, attraverso la sanzione penale, da un lato persegue l’obiettivo di indurre chi inquina ad attivarsi tempestivamente per rimuovere le conseguenze dannose della propria condotta, notiziando tempestivamente le autorità competenti del verificarsi degli eventi in grado di contaminare il sito, e, dall’altro, si preoccupa di assicurare il corretto ed effettivo adempimento delle prescrizioni finalizzate alla bonifica del sito stesso» [Cass. pen., sez. III, 13 aprile 2010, n. 22006, Mazzocco].
Secondo parte della dottrina e al pari del decreto legge, si, ma si assiste ad una prassi degenerativa in prospettiva emergenziale che vuota delle sue funzioni il Parlamento.
Riserva di legge e diritto comunitario
Tra gli aspetti che maggiormente hanno inciso sulla portata della riserva di legge in materia penale vi è senza dubio il processo di progressiva europeizzazione del sistema normativo: si assiste ad un costante fenomeno di espansione del *diritto UE in materia penale**, spostando quindi l’equilibrio del principio di stretta legalità in modo tale che tenga conto anche del dettato di conio comunitario.
Il dibattito su tale influenza gira attorno al punto attinente al c.d. deficit di democraticità degli organi costituzionali comunitari, il che ha imposto una seria riflessione sui risvolti che se ne hano sulla legalità penale (erosione progressiva della riserva di legge)
Come si configura il problema del contrasto/conflitto della normativa interna con le fonti sovranazionali?
Le soluzioni all’incompatibilità tra precetti o sanzioni nazionali o comunitarie passano dalla disapplicazione immediata della norma interna, alla proposizione della questione di illegittimità comunitaria prioritariamente di fronte alla Corte di Giustizia UE e, in seguito al suo eventuale accoglimento, la sua riproposizione dinanzi alla Corte Cost., secondo il criterio della doppia pregiudizialità, oppure in via pregiudiziale (secca) alla Corte Cost..
A partire dall’art. 117, la Corte Cost. ha riconosciuto all’obbligo internazionale il ruolo di parametro di legittimità costituzionale.
La Cassazione ha recentemente enucleato anche un’altra regola, per cui se il conflitto è tra norma nazionale e regolamento comunitario e si manifesta una incompatibilità evidente, il giudice penale è tenuto a disapplicare la disposizione contrastante con quella di fonte comunitaria (conclusione da accogliere con cautela qualora gli effetti siano in malam partem e a seconda che il riferimento sia ad una fonte particolare quale il regolamento o a una direttiva)
Però, nel caso si tratti di direttiva, sarà la Corte Cost. a pronunciare l’illegittimità della norma penale di favore interna in contrasto con il diritto comunitario: ciò in quanto una direttiva, di principio, in mancanza di normativa interna di attuazione non può avere effetti in malam partem sul diritto penale interno.
La differenza dovrebbe consistere nel fatto che, nel caso dei regolamenti, sarebbe il giudice penale a disapplicare direttamente (salvo la facoltà di sollevare questione pregiudiziale dinanzi alla Corte Giust. UE), mentre nell’ipotesi di direttive, laddove esse siano di principio, dovrebbe sollevarsi questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost. Peraltro, la costruzione dà adito a qualche perplessità per la diversità di soluzioni desunta dal tipo di fonte comunitaria rispetto alla quale valutare la legittimità della normativa interna e tuttavia occorrerà osservare gli orientamenti giurisprudenziali sul punto.
QUESITO: L’Unione Europea può intervenire con le proprie fonti a regolare la materia penale? Con quali limiti?
L’Unione Europea può intervenire con le proprie fonti a regolare la materia penale?
«La circostanza che la Comunità non disponga in via generale di una competenza in materia penale non impedisce al legislatore comunitario di disporre un’armonizzazione delle legislazioni penali nazionali allorché ciò sia necessario al fine di garantire la piena efficacia delle norme che esso emana in materia di tutela dell’ambiente» [C. Giust. CE, 13 settembre 2005, n. 176, Commissione v. Consiglio].
Con quali limiti?
«In mancanza di una normativa di recepimento, una direttiva non può avere come effetto diretto quello di determinare o aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle relative disposizioni» [C. Giust. CE, 3 maggio 2005, C-387/2002, Berlusconi, in Guida dir., 2005, 20, 93, con nota di DI MARTINO e anche in Cass. pen, 2005, 2/04].
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Lo ius puniendi rappresenta un quid inalienabile per qualsiasi Stato che, secondo una lettura tradizionale, non potrebbe uscire dal fascio più stretto di competenze statuali, resistendo, così, ad ogni spinta di internazionalizzazione del diritto (ricorrendo al modello dell’affidamento degli interessi comunitari ai legislatori interni)
Ciononostante, negli ultimi decenni si è vista una progressiva espansione dell’influenza comunitaria anche in ambito penalistico, ricercandosi una sorta di allineamento della legislazione penale teso a potenziare la protezione degli interessi comunitari.
Cos’è il principio di assimilazione?
Art. 280 TUE stabilisce come le legislazioni nazionali debbano confermarsi a specifici standard minimi di tutela degli interessi comunitari individuati dalla legislazione di cornice al fine di uniformare la tutela.
QUESITO: Il fatto che l’ordinamento italiano non preveda alcun termine assoluto di prescrizione del reato di associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco rende contraria al principio di assimilazione, di cui all’art. 325, par. 2, TFUE, la disciplina dell’interruzione della prescrizione laddove, invece, prevede tale termine assoluto in relazione a casi di frode IVA?
«Inoltre, il giudice nazionale dovrà verificare se le disposizioni nazionali di cui trattasi si applichino ai casi di frode in materia di IVA allo stesso modo che ai casi di frode lesivi dei soli interessi finanziari della Repubblica italiana, come richiesto dall’articolo 325, paragrafo 2, TFUE. Ciò non avverrebbe, in particolare, se l’articolo 161, secondo comma, del codice penale stabilisse termini di prescrizione più lunghi per fatti, di natura e gravità comparabili, che ledano gli interessi finanziari della Repubblica italiana. Orbene, come osservato dalla Commissione europea nell’udienza dinanzi alla Corte, e con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, il diritto nazionale non prevede, in particolare, alcun termine assoluto di prescrizione per quel che riguarda il reato di associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco»
La sentenza Taricco appena citata ha disposto che il giudice italiano debba disapplicare la disciplina dell’interruzione della prescrizione, essendo questa in contrasto con il principio di assimilazione che, all’art. 325 TFUE, prevede un termine assoluto per la prescrizione in relazione a casi di frode IVA.
Tale pronuncia ha posto notevoli problemi applicativi, trattandosi di una disapplicazione con effetti in malam partem. Per la Corte di Giustizia UE, al contrario del diritto interno, che riveste la prescrizione di portata sostanziale, l’istituto della prescrizione è attribuito di mera natura processuale, ed è pertanto escluso, sempre per la Corte UE, che la disapplicazione possa comportare la violazione del principio di legalità.
Per la sentenza Taricco completa, continua fino. apag. 66
Ultima tendenza del diritto penale in ambito comunitario
Negli ultimi anni si assiste al ritorno, da parte della Corte UE, del modello di tutela forte, richiedendosi agli Stati membri di adempiere ad autentici obblighi comunitari di tutela penale e di introdurre un livello di sanzioni adeguate, proporzionate e dissuasive.
Con la direttiva 99/2008, per la prima volta, un atto comunitario pone espliciti obblighi di incriminazione in capo ad uno Stato membro.
L’art. 83 del TUE attribuisce all’unione la competenza di stabilire norme minime circa definizioni e sanzioni di crimini particolarmente gravi e aventi capacità di impatto transnazionale.
A partire dal 1º dic 2014, la Comm. Europea o anche gli Stati Membri possono avviare procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri che non abbiano correttamente o integralmente recepito gli strumenti relativi alla cooperazione di polizia o giudiziaria in materia penale.
QUESITO: Può, ed in che limiti, la modifica di norme comunitarie determinare un effetto estensivo del campo di applicazione di una norma permissiva del sistema penale interno?
«Dall’insufficienza del mero conseguimento all’estero della abilitazione all’esercizio della professione (nella specie abilitazione ad esercitare la professione di avocat in Francia) e dalla necessità di ottemperare ad ulteriori obblighi discendenti dalla normativa italiana (v. d.lgs. n. 115 del 27 gennaio 1992) per esercitare la professione di avvocati in Italia, ne discende conseguentemente la responsabilità ai sensi degli artt. 348 e 498 c.p. a carico di soggetto che, non avendo osservato tali obblighi ed arrogandosi il titolo di avvocato, aveva aperto uno studio legale in
Italia» [Cass. pen., sez. VI, 16 dicembre 1999].
Se, come detto, non è ammesso alcuno spazio di incidenza per le norme di fonte comunitaria in malam partem, diverso discorso va fatto qualora gli effetti che derivino dall’applicazione della normativa europea siano in bonam partem. Ciò può avvenire in due casi:
a) O perché si estende la portata applicativa di norme permissive in genere, ovvero disposizioni che espandendo l’area della non punibilità, esonerano da responsabilità in un numero di casi superiori a quelli relativi all’assetto normativo precedente alla modificazione in melius per riflesso della normativa comunitaria [AUMENTO NON PUNIBILITÀ CON ESITO IN BONAM PARTEM]
~ Caso Auer -> art. 51c.p., viene estesa la nozione di diritto nell’“Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere” per impulso comunitario.
b) O perché la norma comunitaria va ad incidere sulla sfera applicativa della fattispecie incriminatrice restringendone il campo di applicazione, determinando, per altra via, identico effetto in bonam partem. [RESTRINGIMENTO DELL’AREA DI PUNIBILITÀ]