GIUSTIZIA COSTITUZIONALE Flashcards

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Q

CHE COS’È LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE

A

Per “GIUSTIZIA COSTITUZIONALE” s’intende un sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione:
consente di reagire a determinate infrazione della Costituzione rivolgendosi in determinati modi ad un determinato giudice. Se non fosse possibile agire di fronte ad un giudice per denunciare la legge che contrasta con la Costituzione, la Costituzione perderebbe il suo significato giuridico: cioè la sua prevalenza gerarchica rispetto alle fonti.
Il MODELLO ITALIANO di giustizia costituzionale è ormai orientato verso un giudizio successivo (il giudice investe leggi già in vigore), accentrato (è svolto da un unico organo, la Corte costituzionale), ad accesso indiretto (i cittadini non possono ricorrere direttamente alla Corte costituzionale, ma questa può essere investita soltanto da un giudice).
In Italia, l’ART. 134, elenca le FUNZIONI riservate alla Corte costituzionale, essa è COMPETENTE infatti a giudicare:
- “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge, dello Stato e delle Regioni”;
- “sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato”;
- I conflitti di attribuzione, “tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni”;
- “sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione”;
- a queste attribuzioni, è stata aggiunta anche il giudizio di ammissibilità del referendum

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Q

LA CORTE COSTITUZIONALE

A

La CORTE COSTITUZIONALE non può avere una struttura rappresentativa, in quanto, se così fosse, le minoranze non vedrebbero far valere i propri diritti o le proprie prerogative rispetto alle decisioni della maggioranza politica, in quanto, se dovessero rivolgersi a un organo di verifica costituzionale, esso sarebbe espressione della stessa maggioranza politica. La Costituzione rigida ha bisogno di un organo “neutro”.
I giudici della Corte durano in carica 9 anni, i quali non scadono tutti assieme, ma uno alla volta.
Il periodo del mandato ha inizio dal giorno del giuramento: alla scadenza, il giudice cessa “dalla carica e dall’esercizio delle funzioni”; ciò significa che ai giudici costituzionali non si applica il regime della prorogatio, in forza della quale i titolari di pubblici uffici, benché scaduti, continuano a svolgere le proprie funzioni sino a quando non siano sostituiti.
Il presidente è un giudice della Corte, eletto dalla Corte stessa a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta.
Il suo mandato è triennale ed è rinnovabile. Le decisioni che la Corte emana sono di due tipi: sentenze (atto con cui il giudice chiude il processo) e ordinanze (non esaurisce il rapporto processuale, ma serve per risolvere le questioni che sorgono nel corso del processo; con ordinanza, per esempio, si assumono provvedimenti cautelari).
Ma le decisioni della Corte hanno una particolarità: esse non possono essere mai impugnate: lo stabilisce la Costituzione stessa. È attraverso la motivazione delle sue scelte, che la Corte Costituzione le legittima.

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3
Q

La Costituzione e le leggi cercano di assicurare la “neutralità” della Corte costituzionale e dei suoi giudici:

A
  • Immunità e improcedibilità: “i giudici della Corte costituzionale non sono sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Inoltre, i giudici, finché durano in carica, godono della stessa immunità personale accorda ai parlamentari (CAPITOLO 4 PERCORSO I);
  • Inamovibilità: giudici della Corte costituzionale non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non a seguito di una deliberazione della stessa Corte;
  • Convalida delle nomine: spetta alla stessa Corte costituzionale la convalida della nomina dei suoi membri;
  • Trattamento economico: i giudici della Corte hanno un trattamento economico che non può essere inferiore a quello del magistrato ordinario investito delle più alte funzioni.
  • Autonomia finanziaria e normativa: la Corte amministra un proprio bilancio, il cui ammontare è fissato dal bilancio dello Stato.
  • Autodichia: così com’è per le Camere, anche la Corte costituzionale gode di competenza esclusiva per giudicare i ricorsi in materia di impiego dei propri dipendenti (CAPITOLO 4 PERCORSO I).
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4
Q

IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ DELLE LEGGI

A

La corte costituzionale giudica “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni (ART. 134.1)”.
Un problema storico ormai superato è se le leggi impugnabili davanti alla Corte costituzionale siano solo quelle successive all’entrata in vigore della Costituzione, o anche quelle precedenti. Ovviamente le leggi “anteriori” alla Costituzione possono essere impugnate solo per vizi materiali (anche detti sostanziali, derivanti dalla violazione dei “limiti” posti dalla Costituzione), e non anche per vizi formali (derivanti dalla violazione delle regole procedurali): il
che significa che non possono essere considerati incostituzionali atti legislativi approvati con procedure che, regolari per l’ordinamento del tempo, risultino diverse, come è inevitabile, da quelle previste dalla Costituzione attuale.
Per “parametro” di giudizio s’intende il termine di confronto impiegato nel giudicare la legittimità degli atti legislativi. Il “parametro” è dato in primo luogo dalle disposizioni costituzionali e dalle leggi costituzionali.
Ed in secondo luogo al rispetto di norme poste non da fonte costituzionale, ma da fonti sub-costituzionali.

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5
Q

Modi di giudizio

A

Per l’INSTAURAZIONE DEL GIUDIZIO SULLA legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni, vi sono due modi di accesso alla Corte cost. diversi nei presupp. oggettivi e soggettivi:
1. Il GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE: è detto in tal modo in quanto la questione di legittimità costituzionale
sorge nel corso di un procedimento giudiziario, come “incidente processuale”, che comporta la sospensione
del giudizio e la remissione della questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.
La questione di legittimità costituzionale deve essere sollevata “nel corso di un giudizio” e “dinanzi ad una
autorità giurisdizionale”: la deve sollevare il giudice, d’ufficio o su richiesta di una delle parti.
2. Il GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE (o d’azione): è detto in tal modo in quanto la questione di legittimità viene
proposta direttamente con una procedura ad hoc e non nell’ambito e nel corso di un “giudizio”.
Tale tipo di giudizio può essere proposto con ricorso da parte dello Stato contro leggi regionali (tale
impugnazione può essere promossa dal Governo quando ritiene che una legge approvata dal Consiglio
regionale violi qualsiasi disposizione costituzionale) o da parte della Regione contro leggi statali o di altre
Regioni (il ricorso della Regione nei confronti della legge statale può fondersi invece solo sulla invasione della sfera di competenze attribuita dalla Costituzione).

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6
Q

TIPOLOGIA DELLE DECISIONI DELLA CORTE

A

Le decisioni della Corte costituzionale nei giudizi di legittimità, possono essere suddivise in tre grandi famiglie:
1. Decisioni di inammissibilità: la Corte pronuncia l’inammissibilità della questione quando manchino i presupposti per procedere ad un giudizio di merito. Ciò può accadere, ad esempio, quando manchino i requisiti soggettivi e oggettivi per la legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale.
2. Decisioni/sentenze di rigetto: con la “sentenza di rigetto” la Corte dichiara “non fondata” la questione, la Corte infatti non dichiara che la legge impugnata è illegittima, ma si limita a respingere e quindi rigettare la “questione” sollevata dal giudice a quo. Per cui la sentenza di rigetto non ha effetti erga omnes, ma solo inter partes. La decisione di rigetto può essere pronunciata talvolta anche con ordinanza.
Dunque le sentenze di rigetto servono per rigettare la questione sollevata dal giudice a quo (per esempio per manifestata infondatezza) invece quelle interpretative di rigetto rigettano la questione indicando però al giudice la chiave interpretativa da adoperare per interpretare la norma in maniera che risulti conforme alla costituzione.
3.** Decisioni/SENTENZE DI ACCOGLIMENTO**: con la “sentenza di accoglimento” la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata. Per cui opera erga omnes. Gli effetti della sentenza di accoglimento sono retroattivi, ciò significa che non riguardano solo i rapporti che sorgono in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di rapporti giuridici ormai chiusi, esauriti.
La decisione di accoglimento deve sempre e necessariamente essere pronunciata con sentenza.
Le sentenze di accoglimento sono dette “manipolative” quando il loro dispositivo non si limita alla semplice dichiarazione di illegittimità della legge od elle singole sue disposizioni, ma la illegittimità è dichiarata “nella parte in cui” la disposizione prevede o non prevede qualcosa. Possono essere:
a) Sentenze di accoglimento parziale: con esse queste sentenze, la Corte dichiara l’incostituzionalità della
disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa che non dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di eliminare dalla disposizione impugnata la parte ritenuta incostituzionale, lasciandone in vita la parte restante.
b) SENTENZE ADDITIVE: sono decisioni con cui la Corte dichiara illegittima la disposizione “nella parte in cui non” prevede ciò che invece sarebbe costituzionalmente necessario prevedere. L’effetto sarà quello di estendere la portata normativa della disposizione impugnata, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto.
c) Sentenze sostitutive: sono le decisioni con cui la Corte dichiara l’illegittimità di una disposizione legislativa “nella parte in cui prevede X anziché Y”. Con esse si ha l’effetto che la Corte “sostituisce” una locuzione della disposizione, incompatibile con la Costituzione, con altra, costituzionalmente corretta.

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7
Q

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO

A

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO sono lo strumento con cui un “potere” dello “Stato” può agire davanti alla Corte per difendere le proprie “attribuzioni costituzionali” compromesse dal comportamento di un altro potere dello Stato. Nella nostra forma di governo i “poteri” non sono solo i tre tradizionali (potere legislativo, esecutivo, giudiziario), ma ad essi si aggiungono numerosi altri soggetti che partecipano ai procedimenti decisionali:
Si pensi al Presidente della Repubblica, alla stessa Corte costituzionale, al CSM, alla Corte dei conti.
Il conflitto può sorgere sia da un atto di “usurpazione” di potere, con cui un organo svolge una attribuzione
spettante all’organo di un altro “potere”, sia dal comportamento di un organo che intralci il corretto esercizio delle competenze altrui. Molto più frequente è la seconda ipotesi: questi si chiamano conflitti da “menomazione” o da “interferenza”: nei quali l’ente ricorrente non contesta la spettanza del potere ma, rileva il cattivo esercizio delle altrui competenze che si è riflettuto in una menomazione o interferenza della propria sfera di competenza.

Vi sono “poteri” strutturalmente costituiti da un unico organo, come il Presidente della Repubblica, (sono chiamati anche “organi-potere”): per essi non si pone un problema di individuare il soggetto che ha la legittimazione processuale. Ma vi sono invece “poteri” costituiti da più organi: è il caso, per esempio, del “potere giudiziario” o del “potere esecutivo”: per essi si pone il problema di chi sia legittimato a stare in giudizio.
Il problema è risolto ritenendo che il conflitto sorge “tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”. Quale sia l’organo che “dichiara definitivamente” la volontà del potere dipende dalla struttura del potere “complesso di organi”. Si contrappongono due modelli diversi:
1. Il potere esecutivo, è un potere strutturato in modo gerarchico, una piramide che ha il vertice nel Governo.
2. Tutto il contrario per il potere giudiziario: qui non ci sono “vertici”, né gerarchia. Si tratta di un potere
“diffuso”: qualsiasi giudice, dunque, può essere parte, attiva o passiva, del conflitto.
La sentenza che chiude il giudizio stabilisce a chi spetta la competenza. Essendo un giudizio tra parti, è ragionevole ritenere che esse non abbia efficacia erga omnes.

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8
Q

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI

A

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI sono lo strumento con cui vengono risolte le controversie che sorgono tra Stato e Regione o tra Regioni. Sono quindi conflitti tra diversi enti, mentre i conflitti tra poteri dello Stato sorgono tra organi dello stesso ente, cioè dello Stato. La violazione della competenza può derivare sia dall’invasione della sfera di attribuzioni, sia della menomazione o interferenza, ossia dall’aver provocato un impedimento all’esercizio delle attribuzioni dell’ente. In giudizio sono legittimati a stare solo il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta regionale. La sentenza che decide il conflitto dichiara a chi spetta (o non spetti) la competenza, con conseguente eventuale annullamento dell’atto che ha generato il conflitto.

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9
Q

IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM ABROGATIVO

A

Competente a giudicare sull’AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM ABROGATIVO è la CORTE COSTITUZIONALE, la quale decide sempre con sentenza. Nel dispositivo di essa, la Corte si limita a dichiarare “ammissibile” o “inammissibile” la richiesta. Tra i vari motivi di inammissibilità del referendum abrogativo elaborati e impiegati dalla Corte, oltre ad esservi per leggi: tributarie; di bilancio; di amnistia e indulto; di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Vediamo che: sono sottratti a referendum la Costituzione e leggi costituzionali, le leggi “rinforzate”, le leggi “a contenuto costituzionalmente vincolato”(cioè quelle il cui nucleo normativo non può essere alterato senza pregiudizio per i principi costituzionali), oppure quelle che disciplinano il funzionamento di organi essenziali (non si tratta di un’esclusione totale e assoluta, perché essa scatta solo quando l’eventuale abrogazione conseguente al referendum comporterebbe l’impossibilità di funzionamento dell’organo).

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10
Q

LA “GIUSTIZIA POLITICA”

A

Con l’espressione giustizia politica si fa riferimento a quelle funzioni che la Corte costituzionale esercita quando giudica sulle ACCUSE PROMOSSE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. L’ART. 134 COST. prevede infatti che la Corte costituzionale possa essere attivata per giudicare dei reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione.
Il procedimento consta di due fasi: - La prima fase si svolge dinanzi al Parlamento in seduta comune, competente a deliberare la messa in stato d’accusa nei confronti del P.d.R. Sulle conclusioni presentate dal Comitato (attività di indagine), il Parlamento procede alla votazione: la messa in stato d’accusa deve essere approvata a maggioranza assoluta dei propri componenti. In attesa del giudizio, il Presidente della Repubblica può essere sospeso dalla carica.
- La seconda fase, eventuale, si svolge di fronte alla Corte costituzionale e si conclude con sentenza non soggetta a impugnazione, a meno che dopo la condanna non emergano fatti nuovi tali da far riaprire un altro procedimento dinanzi alla Corte per la revocazione della sentenza.
I C.D. REATI MINISTERIALI sono reati commessi nell’esercizio delle funzioni ministeriali (solitamente contro la pubblica amministrazione) dal presidente del Consiglio o da un ministro. Prima della modifica, sui suddetti reati giudicava la Corte costituzionale, dopo la modifica giudica la magistratura ordinaria.

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