CAPITOLO 2 (II. FORME DI STATO) Flashcards
“FORMA DI STATO” E “FORMA DI GOVERNO”
Con l’espressione FORMA DI STATO si intende il rapporto che corre tra le autorità dotate di potestà di imperio e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. Invece, con forma di governo si intendono i modi in cui il potere è distribuito tra gli organi principali di uno Stato apparato e l’insieme dei rapporti che intercorrono tra essi. Lo STATO è un ordinamento a fini generali, nel senso cioè che può assumere come
proprio qualsiasi fini; in ogni epoca storica però esiste una finalità prevalente. Le due nozioni (“FORMA DI STATO” e “forma di governo”) sono perciò diverse, ma collegate. Infatti, l’organizzazione del potere politico nell’ambito dello Stato (forma di governo) è lo strumento tecnico predisposto per realizzare la finalità politica caratterizzante lo Stato (forma di Stato). Perciò, tra forma di governo e forma di stato esiste un “rapporto di strumentalità”.
Gli studiosi hanno elaborato alcune CLASSIFICAZIONI DELLE FORME DI STATO e delle forme di governo,
distinguendo le differenti specie sulla base dei tratti ritenuti caratterizzanti. Nell’AMBITO DELLE FORME DI STATO si distinguono lo “Stato assoluto”, lo “Stato liberale”, lo “Stato di democrazia pluralista”, lo “Stato totalitario (avvento Fascismo)”, lo “Stato socialista”. Nell’ambito di ciascuna forma di Stato esistono vari tipi di forme di Governo.
STATO ASSOLUTO
Lo STATO ASSOLUTO è la prima forma dello Stato moderno. Nacque in Europa tra il 400 ed il 500.
Si caratterizzava per l’esistenza di un potere sovrano attribuito alla Corona (intesa come organo dello Stato,
dotata quindi dei requisiti dell’impersonalità e della continuità di successione che impedivano la vacanza del trono), cosa diversa dal Re (inteso come persona fisica). La Corona, era il titolare della funzione legislativa ed esecutiva, mentre il potere giudiziario era esercitato da Corti e Tribunali formati da giudici nominati dalla Corona. La volontà della Corona era considerata la fonte primaria del diritto, il suo potere non incontrava limiti né poteva essere condizionato dai desideri dei sudditi. Ciò perché il potere regio era ritenuto di origine divina. Lo Stato assoluto, nelle sue diverse varianti, era uno Stato onnipresente, anche nella sfera economica. In particolare, nella Francia di Luigi XIV (14) giunse a fioritura una forma di economia statale chiamata mercantilismo. Essa si basava sull’idea secondo cui la grandezza e la fama del Re dipendevano dalla prosperità economica dello Stato, che pertanto doveva cercare di promuovere le industrie, affinché producessero sempre più beni da vendere all’estero in modo tale da sottrarre denaro ad altri Paesi.
STATO LIBERALE
Lo STATO LIBERALE è una forma di Stato che nasce tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, a seguito
della crisi dello Stato assoluto, la quale fu dovuta soprattutto alla sua incapacità di far coesistere la sfera della sovranità del Re con il riconoscimento di una sfera di libertà alle varie componenti della società.
Un altro importante fattore che ha promosso l’organizzazione del potere politico tipica dello Stato liberale è stato l’avvento di un’economia di mercato, la quale, com’è noto, si basa sul libero incontro tra domanda ed offerta di un determinato bene. L’economia di mercato storicamente si è accoppiata al modo di produzione capitalistico, basato sulla distinzione tra i proprietari dei mezzi di produzione ed i soggetti che vendono ai primi la loro “forza lavoro” (i “salariati”). Lo Stato assoluto ostacolava la nuova economia, poiché era presente un’assenza di unitarietà e di coerenza delle leggi vigenti all’interno di ciascuno Stato. Di contro, l’economia di mercato e capitalistica (tipica appunto dello stato liberale) presupponeva la certezza dei diritti di proprietà dei venditori e dei compratori, la piena libertà contrattuale, l’eguaglianza formale dei contraenti
etc. Pertanto, le nuove modalità di produzione della ricchezza e l’esigenza di garanzia della libertà contro le tentazioni assolutistiche condussero all’affermazione di una società civile distinta e separata dallo Stato.
Lo Stato liberale doveva dunque riconoscere e garantire la capacità della società civile (e del mercato) di autoregolarsi e di sviluppare autonomamente i propri interessi (si ha la concezione dello Stato minimo e dunque di uno Stato limitato, che si astiene dall’intervenire nella sfera economica). Il modello “Stato liberale” oltre ad essere caratterizzato dai suddetti tratti essenziali (concezione dello Stato minimo e dal principio di libertà), altri caratteri strutturali che definiscono la forma di stato liberale sono: “lo Stato di diritto” ovvero che ogni limitazione della sfera di libertà riconosciuta a ciascun individuo deve avvenire per mezzo della legge; lo Stato liberale, inoltre si basa sul “principio rappresentativo”, in forza del quale, le assemblee legislative dello Stato liberale rappresentano l’intera “Nazione” o l’intero “popolo”, mentre invece nello Stato assoluto venivano rappresentati solo gli appartenenti a determinati ceti sociali (nobiltà, clero). I rappresentanti vengono comunque eletti da un corpo elettorale assai ristretto, essenzialmente circoscritto alla classe borghese. In conclusione, lo Stato liberale, proprio per questa sua peculiarità viene qualificato come “Stato monoclasse” (e dunque la base sociale ristretta ad una sola classe).
Quando si afferma lo stato di democrazia pluralista
STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA 1/4
Lo STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello
Stato liberale, che porta all’allargamento della sua base sociale. Lo Stato monoclasse (liberale) si trasforma così in uno Stato pluriclasse: esso si fonda sul riconoscimento e sulla garanzia della pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei valori che possono confrontarsi nella società ed esprimere la loro voce nei Parlamenti. Perciò, sul piano storico, l’elemento determinante per l’approdo a questa forma di stato è da ravvisare nel processo di allargamento dell’elettorato attivo, che è culminata nel suffragio universale (principio secondo il quale tutti i cittadini, di norma al raggiungimento della maggiore età, possono esercitare il diritto di voto; è perciò contrapposto al suffragio limitato, tipico dell’età liberale).
Un ruolo fondamentale nella configurazione degli assetti politici e costituzionali degli Stati di democrazia
pluralista lo hanno avuto i partiti politici. I partiti nello Stato liberale erano ristretti gruppi di persone, legati
da grande omogeneità economica e culturale. Essi agivano quasi esclusivamente dentro il Parlamento.
Con l’introduzione del suffragio universale perciò sono nati e si sono affermati i moderni partiti di massa, i quali hanno un apparato organizzativo permanente che opera al di fuori del Parlamento e tiene collegati eletti ed elettori; questo apparato è formato da persone che professionalmente si dedicano alla politica (la politica si trasforma in una professione). Si ha avuto dunque una conseguenza importante nei Parlamenti, questi, da sedi in cui i parlamentari ricercavano il modo migliore di curare l’interesse generale; sono diventati il luogo in cui si realizza il confronto tra partiti, i quali, spesso, hanno programmi contrapposti e diventano inoltre quindi capaci di controllare e dirigere le azioni del Parlamento e del Governo.
su cosa si basa lo Stato di democrazia pluralista
lo Stato di democrazia pluralista 2/4
Quindi, lo Stato di democrazia pluralista, oltre a basarsi sul suffragio universale e al pluripartismo possiamo dire che: attraverso il pluralismo dei centri di potere si limita il potere dello Stato che è costretto a confrontarsi con essi; ed inoltre l’affermazione del pluralismo conduce all’idea secondo cui non esiste un
interesse generale (o bene comune), piuttosto trovano garanzia di esistenza valori differenti e le stesse Costituzioni riconoscono principi tra loro in conflitto. Per esempio, i documenti costituzionali riconoscono tanto l’eguaglianza formale di fronte alla legge, che vieta di trattare diversamente i cittadini a causa delle differenze di reddito e di condizioni economiche, quanto la necessità di intervenire a sostegno dei meno abbienti per superare le diseguaglianze di fatto e realizzare un più alto livello di eguaglianza sostanziale. Si va a creare un bilanciamento.
problema principale dello Stato di democrazia pluralista
lo Stato di democrazia pluralista 3/4
Storicamente, il problema principale degli Stati di democrazia pluralista è stato quello di “tenere insieme una società” (coesione sociale) formata da classi sociali molto differenti a tra cui possono nascere conflitti forti e persino violenti. Per lungo tempo, il problema è stato risolto attraverso un compromesso tra le classi: da una parte, vengono riconosciuti e garantiti l’economia di mercato ed i diritti su cui essa si fonda (innanzitutto, diritto di proprietà e
libertà di impresa); dall’altro lato, questi diritti sono limitati e l’economia di mercato è corretta attraverso interventi pubblici finalizzati a ridurre le disuguaglianze materiali tra i cittadini derivanti dall’ineguale distribuzione del reddito e delle opportunità di vita. Da tutto ciò, è derivato un ruolo dello Stato che è profondamente diverso da quello tipico dello stato liberale, e che ha fatto parlare di STATO SOCIALE O DI STATO DEL BENESSERE O DI WELFARE STATE.
Non esiste unanimità sul preciso significato da attribuire all’espressione “Stato sociale”. Le varie definizioni hanno in comune il riferimento al fatto che lo Stato assume come propria una finalità che era estranea allo Stato liberale.
Infatti, lo Stato sociale ricomprende, tra i compiti del potere politico, quello di intervenire nella distribuzione dei benefici, compensando o correggendo gli esiti che sarebbero derivati dal semplice operare dei rapporti economici nel mercato. Proprio la Costituzione italiana è un chiaro esempio di Stato sociale.
Lo stato sociale
lo Stato di democrazia pluralista 4/4
Per razionalizzare lo Stato sociale:
a. In primo luogo, si tende a superare il carattere universalistico, per cui i servizi come la sanità non vengono resi gratuitamente a tutti, ma solamente ai soggetti meno abbienti.
b. In secondo luogo, si fa leva sul principio di responsabilità individuale, per cui il singolo si impegna mettere da parte, con il risparmio, le risorse che potranno essere utili per affrontare i rischi della vita, come le malattie della vecchiaia.
c. In terzo luogo, c’è il ricorso al PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ (secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione) che si
sviluppa lungo 2 direttrici: · la prima consiste sia nel trasferire la gestione di certi servizi pubblici agli enti locali, in particolare ai Comuni, e quindi verso gli enti più prossimi al cittadino e pertanto, più vicini ai bisogni del territorio (c.d. sussidiarietà verticale). · La seconda consiste nell’attribuire certi compiti tradizionalmente propri dello Stato sociale ad alcune formazioni sociali che non hanno scopo di lucro e che costituiscono il cosiddetto “terzo settore” in grado di fornire servizi tipici dello Stato sociale ad un costo minore e con una qualità migliore (sussidiarietà
orizzontale).
VEDERE ANCHE CAPITOLO 5 (V. REGIONI E GOVERNO LOCALE) PER IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA
Lo STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello
Stato liberale, che porta all’allargamento della sua base sociale. Lo Stato monoclasse (liberale) si trasforma così in uno Stato pluriclasse: esso si fonda sul riconoscimento e sulla garanzia della pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei valori che possono confrontarsi nella società ed esprimere la loro voce nei Parlamenti. Perciò, sul piano storico, l’elemento determinante per l’approdo a questa forma di stato è da ravvisare nel processo di allargamento dell’elettorato attivo, che è culminata nel suffragio universale (principio secondo il quale tutti i cittadini, di norma al raggiungimento della maggiore età, possono esercitare il diritto di voto; è perciò contrapposto al suffragio limitato, tipico dell’età liberale).
Un ruolo fondamentale nella configurazione degli assetti politici e costituzionali degli Stati di democrazia
pluralista lo hanno avuto i partiti politici. I partiti nello Stato liberale erano ristretti gruppi di persone, legati
da grande omogeneità economica e culturale. Essi agivano quasi esclusivamente dentro il Parlamento.
Con l’introduzione del suffragio universale perciò sono nati e si sono affermati i moderni partiti di massa, i quali hanno un apparato organizzativo permanente che opera al di fuori del Parlamento e tiene collegati eletti ed elettori; questo apparato è formato da persone che professionalmente si dedicano alla politica (la politica si trasforma in una professione). Si ha avuto dunque una conseguenza importante nei Parlamenti, questi, da sedi in cui i parlamentari ricercavano il modo migliore di curare l’interesse generale; sono diventati il luogo in cui si realizza il confronto tra partiti, i quali, spesso, hanno programmi contrapposti e diventano inoltre quindi capaci di controllare e dirigere le azioni del Parlamento e del Governo.
Quindi, lo Stato di democrazia pluralista, oltre a basarsi sul suffragio universale e al pluripartismo possiamo dire che: attraverso il pluralismo dei centri di potere si limita il potere dello Stato che è costretto a confrontarsi con essi; ed inoltre l’affermazione del pluralismo conduce all’idea secondo cui non esiste un
interesse generale (o bene comune), piuttosto trovano garanzia di esistenza valori differenti e le stesse Costituzioni riconoscono principi tra loro in conflitto. Per esempio, i documenti costituzionali riconoscono tanto l’eguaglianza formale di fronte alla legge, che vieta di trattare diversamente i cittadini a causa delle differenze di reddito e di condizioni economiche, quanto la necessità di intervenire a sostegno dei meno abbienti per superare le diseguaglianze di fatto e realizzare un più alto livello di eguaglianza sostanziale. Si va a creare un bilanciamento.
Storicamente, il problema principale degli Stati di democrazia pluralista è stato quello di “tenere insieme una società” (coesione sociale) formata da classi sociali molto differenti a tra cui possono nascere conflitti forti e persino violenti. Per lungo tempo, il problema è stato risolto attraverso un compromesso tra le classi: da una parte, vengono riconosciuti e garantiti l’economia di mercato ed i diritti su cui essa si fonda (innanzitutto, diritto di proprietà e
libertà di impresa); dall’altro lato, questi diritti sono limitati e l’economia di mercato è corretta attraverso interventi pubblici finalizzati a ridurre le disuguaglianze materiali tra i cittadini derivanti dall’ineguale distribuzione del reddito e delle opportunità di vita. Da tutto ciò, è derivato un ruolo dello Stato che è profondamente diverso da quello tipico dello stato liberale, e che ha fatto parlare di STATO SOCIALE O DI STATO DEL BENESSERE O DI WELFARE STATE.
Non esiste unanimità sul preciso significato da attribuire all’espressione “Stato sociale”. Le varie definizioni hanno in comune il riferimento al fatto che lo Stato assume come propria una finalità che era estranea allo Stato liberale.
Infatti, lo Stato sociale ricomprende, tra i compiti del potere politico, quello di intervenire nella distribuzione dei benefici, compensando o correggendo gli esiti che sarebbero derivati dal semplice operare dei rapporti economici nel mercato. Proprio la Costituzione italiana è un chiaro esempio di Stato sociale.
Per razionalizzare lo Stato sociale:
a. In primo luogo, si tende a superare il carattere universalistico, per cui i servizi come la sanità non vengono resi gratuitamente a tutti, ma solamente ai soggetti meno abbienti.
b. In secondo luogo, si fa leva sul principio di responsabilità individuale, per cui il singolo si impegna mettere da parte, con il risparmio, le risorse che potranno essere utili per affrontare i rischi della vita, come le malattie della vecchiaia.
c. In terzo luogo, c’è il ricorso al PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ (secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione) che si
sviluppa lungo 2 direttrici: · la prima consiste sia nel trasferire la gestione di certi servizi pubblici agli enti locali, in particolare ai Comuni, e quindi verso gli enti più prossimi al cittadino e pertanto, più vicini ai bisogni del territorio (c.d. sussidiarietà verticale). · La seconda consiste nell’attribuire certi compiti tradizionalmente propri dello Stato sociale ad alcune formazioni sociali che non hanno scopo di lucro e che costituiscono il cosiddetto “terzo settore” in grado di fornire servizi tipici dello Stato sociale ad un costo minore e con una qualità migliore (sussidiarietà
orizzontale).
VEDERE ANCHE CAPITOLO 5 (V. REGIONI E GOVERNO LOCALE) PER IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
lo “Stato totalitario”.
Nei Paesi in cui l’avvento della democrazia di massa (pluralista) non era stato accompagnato dall’accettazione del pluralismo da parte delle forze politiche, la crisi sfociò nell’affermazione di forme di
Stato basate sulla negazione del pluralismo e sul partito unico. Si ha dunque una crisi delle democrazie di massa e la nascita dello STATO TOTALITARIO, cioè che si riteneva che la collettività nazionale si integrava in modo totale nello Stato, che pertanto poteva occuparsi di tutti gli aspetti della vita sociale ed individuale, anche grazie alla soppressione delle tradizionali libertà liberali. In Italia e in Germania vi fu lo Stato totalitario. La Germania, uscita sconfitta dal primo conflitto mondiale, diede vita alla Repubblica basata sulla Costituzione di Weimar (1919), la quale garantiva diritti sociali (istruzione, tutela della salute, lavoro…). Ma questa costituzione durò 10 anni, poiché ci fu una frammentazione dei partiti (numerosissimi, quelli piccoli) e, il tutto, sfociò successivamente alla conquista di consensi del partito nazista (data dalla paura di una crisi economica) e Hitler divenne cancelliere facendosi conferire poteri e avviando la costruzione di uno Stato totalitario. In Italia nel 1922 si sciolse il parlamento, aumentando la frammentazione politica dal quale uscì un gruppo parlamentare molto rafforzato e trasformato in partito, il partito nazionale FASCISTA il quale, con la marcia su Roma, il leader, Mussolini, riuscì a farsi nominare Presidente del Consiglio. Dal 1925 al 1938 in Italia fu dunque costruito lo “Stato totalitario”.
STATO SOCIALISTA
Un’altra alternativa allo Stato pluralista (ed allo Stato liberale, per il diverso ruolo della proprietà) è rappresentata dallo STATO SOCIALISTA, il quale si basava sull’abolizione della proprietà privata con la conseguenza che i mezzi di produzione appartengono esclusivamente allo Stato. Lo stato socialista è una forma di stato che si è realizzata nei primi anni del ‘900 fino agli anni ’80, soprattutto nei paesi dell’est Europa. Alla base di questo stato vi è l’uguaglianza sociale ed economica tra tutti i cittadini ed è basato sulla proprietà collettiva (economia collettivistica). Le idee socialiste hanno la loro origine nel pensiero di karl marx, e per questo vengono anche chiamate marxiste; il primo stato socialista a realizzarsi storicamente è l’URSS (rivoluzione del 1917) ed esso è ancora presente in Cina e a cuba.
L’EVOLUZIONE DELLE FORME DI STATO (elenco)
- Lo STATO ASSOLUTO
- Lo STATO LIBERALE
- Lo STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA
- Lo STATO TOTALITARIO
- Lo STATO SOCIALISTA
Nozione di rappresentanza
RAPPRESENTANZA POLITICA 1/2
Nella nozione di rappresentanza politica confluiscono 2 significati:
a. Da una parte, “rappresentanza” significa “agire per conto di” e perciò esprime un rapporto tra rappresentante e rappresentato, per cui il secondo sulla base di un atto di volontà chiamato mandato dà al primo il potere di agire nel suo interesse.
b. Dall’altra parte, “rappresentanza” significa che qualcuno fa vivere in un determinato ambito qualche cosa che effettivamente non c’è, così come gli attori mettono in scena un determinato personaggio. A tal proposito la dottrina tedesca preferisce usare il vocabolo rappresentazione. Secondo questa seconda accezione, la rappresentanza non presuppone l’esistenza di un rapporto tra rappresentato e rappresentante, che dispone invece di una situazione di potere autonomo rispetto al primo.
→ Lo STATO LIBERALE ha introdotto una nozione di rappresentanza, che non ha nulla a che vedere con la
rappresentanza degli interessi (prima accezione). La società liberale, infatti, ha cancellato i “corpi intermedi” e la rappresentanza politica nello Stato liberale doveva essere in mezzo tecnico attraverso cui si formava un’istituzione che doveva agire nell’interesse generale.
→ I sistemi rappresentativi hanno subito una forte trasformazione con l’avvento dello Stato di democrazia pluralista. Nelle DEMOCRAZIE PLURALISTE si afferma il principio della sovranità popolare. Se i parlamentari quindi dipendono dal consenso dei rappresentati, i primi (i parlamentari) tenteranno di ottenere questo consenso adottando i provvedimenti richiesti dai loro elettori. Perciò gli interessi sociali premono sullo stato affinché si abbiano risposte ai rispettivi bisogni. Questi interessi sono molteplici, eterogenei e spesso conflittuali. Il problema può essere risolto:
- Attraverso la “doppia virtù” dei partiti politici, ossia sulla loro capacità di accoppiare i due aspetti della
rappresentanza. Da un lato, i partiti assicurano il collegamento stabile con gli elettori, realizzando una partecipazione politica permanente del popolo. Dall’altro lato, i partiti possono trascendere gli interessi particolari degli individui e dei gruppi rappresentati, per pervenire ad una sintesi politica (così viene recuperato l’altro aspetto della
rappresentanza, ossia l’autonomia del rappresentante rispetto al rappresentato).
- Si assiste alla scomposizione dei due aspetti della rappresentanza che finiscono per fare capo a organi costituzionali diversi. Il Parlamento diventa sempre di più sede della “rappresentanza-rapporto” con i singoli collegi elettorali ed i gruppi sociali particolari, il Governo diventa l’organo deputato a trascendere il particolarismo degli interessi per comporli in una sintesi che riflette una determinata visione dell’interesse generale.
istituti di DEMOCRAZIA DIRETTA
RAPPRESENTANZA POLITICA 2/2
Tra le modalità usate per fronteggiare le crisi dei sistemi rappresentativi, particolare importanza assumere il ricorso agli istituti di DEMOCRAZIA DIRETTA. Con i quali si affida quindi, direttamente al popolo (o meglio, al corpo elettorale), l’esercizio di determinate funzioni con l’obiettivo di assicurare la partecipazione popolare alle decisioni che riguardano l’intera collettività e di colmare la distanza fra il popolo l’apparato statale.
Gli istituti di democrazia diretta sono:
1) l’INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE, “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno 50000 elettori, di un progetto redatto in articoli (art.71 Cost.)”.
2) la petizione, che consiste, invece, in una determinata richiesta che i cittadini possono rivolgere agli organi parlamentari o di governo per sollecitare determinate attività (art. 50 Cost.);
3) il referendum, che è il più importante strumento di democrazia diretta, è un istituto giuridico con cui si chiede all’elettorato di esprimersi con un voto diretto (consenso o dissenso rispetto a una decisione) su una specifica proposta o domanda. In relazione all’oggetto si distinguono i referendum legislativi (hanno come oggetto: una legge), politici (una questione politica non disciplinata da un atto normativo) e amministrativi (un atto amministrativo), costituzionali (atto costituzionale). Esistono diverse ipotesi di REFERENDUM costituzionale: si parla di referendum PRECOSTITUENTE quando il voto popolare ha come oggetto l’atto fondativo del nuovo Stato, come ad
esempio la previsione di convocare un’assemblea costituente; invece si ha referendum costituente quando il voto popolare interviene sul testo di una nuova Costituzione predisposto da un’assemblea costituente; nel referendum di revisione costituzionale si ha come oggetto la modificazione parziale o l’integrazione della Costituzione
RAPPRESENTANZA POLITICA
Nella nozione di rappresentanza politica confluiscono 2 significati:
a. Da una parte, “rappresentanza” significa “agire per conto di” e perciò esprime un rapporto tra rappresentante e rappresentato, per cui il secondo sulla base di un atto di volontà chiamato mandato dà al primo il potere di agire nel suo interesse.
b. Dall’altra parte, “rappresentanza” significa che qualcuno fa vivere in un determinato ambito qualche cosa che effettivamente non c’è, così come gli attori mettono in scena un determinato personaggio. A tal proposito la dottrina tedesca preferisce usare il vocabolo rappresentazione. Secondo questa seconda accezione, la rappresentanza non presuppone l’esistenza di un rapporto tra rappresentato e rappresentante, che dispone invece di una situazione di potere autonomo rispetto al primo.
→ Lo STATO LIBERALE ha introdotto una nozione di rappresentanza, che non ha nulla a che vedere con la
rappresentanza degli interessi (prima accezione). La società liberale, infatti, ha cancellato i “corpi intermedi” e la rappresentanza politica nello Stato liberale doveva essere in mezzo tecnico attraverso cui si formava un’istituzione che doveva agire nell’interesse generale.
→ I sistemi rappresentativi hanno subito una forte trasformazione con l’avvento dello Stato di democrazia pluralista. Nelle DEMOCRAZIE PLURALISTE si afferma il principio della sovranità popolare. Se i parlamentari quindi dipendono dal consenso dei rappresentati, i primi (i parlamentari) tenteranno di ottenere questo consenso adottando i provvedimenti richiesti dai loro elettori. Perciò gli interessi sociali premono sullo stato affinché si abbiano risposte ai rispettivi bisogni. Questi interessi sono molteplici, eterogenei e spesso conflittuali. Il problema può essere risolto:
- Attraverso la “doppia virtù” dei partiti politici, ossia sulla loro capacità di accoppiare i due aspetti della
rappresentanza. Da un lato, i partiti assicurano il collegamento stabile con gli elettori, realizzando una partecipazione politica permanente del popolo. Dall’altro lato, i partiti possono trascendere gli interessi particolari degli individui e dei gruppi rappresentati, per pervenire ad una sintesi politica (così viene recuperato l’altro aspetto della
rappresentanza, ossia l’autonomia del rappresentante rispetto al rappresentato).
- Si assiste alla scomposizione dei due aspetti della rappresentanza che finiscono per fare capo a organi costituzionali diversi. Il Parlamento diventa sempre di più sede della “rappresentanza-rapporto” con i singoli collegi elettorali ed i gruppi sociali particolari, il Governo diventa l’organo deputato a trascendere il particolarismo degli interessi per comporli in una sintesi che riflette una determinata visione dell’interesse generale.
Tra le modalità usate per fronteggiare le crisi dei sistemi rappresentativi, particolare importanza assumere il ricorso agli istituti di DEMOCRAZIA DIRETTA. Con i quali si affida quindi, direttamente al popolo (o meglio, al corpo elettorale), l’esercizio di determinate funzioni con l’obiettivo di assicurare la partecipazione popolare alle decisioni che riguardano l’intera collettività e di colmare la distanza fra il popolo l’apparato statale.
Gli istituti di democrazia diretta sono:
1) l’INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE, “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno 50000 elettori, di un progetto redatto in articoli (art.71 Cost.)”.
2) la petizione, che consiste, invece, in una determinata richiesta che i cittadini possono rivolgere agli organi parlamentari o di governo per sollecitare determinate attività (art. 50 Cost.);
3) il referendum, che è il più importante strumento di democrazia diretta, è un istituto giuridico con cui si chiede all’elettorato di esprimersi con un voto diretto (consenso o dissenso rispetto a una decisione) su una specifica proposta o domanda. In relazione all’oggetto si distinguono i referendum legislativi (hanno come oggetto: una legge), politici (una questione politica non disciplinata da un atto normativo) e amministrativi (un atto amministrativo), costituzionali (atto costituzionale). Esistono diverse ipotesi di REFERENDUM costituzionale: si parla di referendum PRECOSTITUENTE quando il voto popolare ha come oggetto l’atto fondativo del nuovo Stato, come ad
esempio la previsione di convocare un’assemblea costituente; invece si ha referendum costituente quando il voto popolare interviene sul testo di una nuova Costituzione predisposto da un’assemblea costituente; nel referendum di revisione costituzionale si ha come oggetto la modificazione parziale o l’integrazione della Costituzione.
LA SEPARAZIONE DEI POTERI (IL MODELLO LIBERALE)
Quello della SEPARAZIONE DEI POTERI è un principio tipico degli Stati liberali.
Il principio della separazione dei poteri è stato elaborato con l’obiettivo di limitare il potere politico per tutelare libertà degli individui. I tre poteri sono: il potere legislativo, che consiste nel porre in essere le leggi, ossia norme giuridiche astratte e generali; il potere esecutivo, che consiste nell’applicare le leggi all’interno dello Stato e nel tutelare lo Stato medesimo dalle minacce esterne; il potere giudiziario, che consiste nell’applicare la legge per risolvere una lite. Gli aspetti caratterizzanti la dottrina della separazione dei poteri possono essere così sintetizzati:
1. in primo luogo, c’è l’attribuzione ad ogni potere in senso soggettivo, costituito da un complesso unitario di organi.
2. in secondo luogo, ciascuna funzione sia attribuita a poteri distinti, quindi la funzione legislativa attribuita al potere legislativo, quella esecutiva al potere esecutivo, quella giudiziaria al potere giudiziario.
3. in terzo luogo, i poteri, seppur distinti e separati devono potersi condizionare reciprocamente, in modo tale che ciascun potere può frenare gli eccessi degli altri