FONTI DEL DIRITTO: NOZIONI GENERALI Flashcards
GERARCHIA DELLE FONTI
Nell’ordinamento giuridico italiano, come nella maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni, esiste una pluralità di fonti di produzione. Per questa ragione sorge la necessità di stabilire quali fonti sono prevalenti rispetto alle altri. La preminenza di una fonte giuridica sulle altre si dice GERARCHIA DELLE FONTI.
Il criterio della gerarchia delle fonti giuridiche prevede che una fonte subordinata rispetto ad altre, non può contenere delle disposizioni che contrastino con le norme di livello gerarchico superiore, né può modificarle, né abrogarle. La gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento giuridico è la seguente:
1. Costituzione,
2. leggi costituzionali, leggi di revisione costituzionale;
3. regolamenti comunitari;
4. leggi formali e sostanziali;
5. leggi regionali (dalla costituzione alle leggi regionali parliamo di fonti primarie);
6. regolamenti;
7. usi e consuetudini (fonti secondarie).
FONTI DI PRODUZIONE
Il termine fonte viene dal latino fons che significa origine.
La Fonte del diritto è l’atto o il fatto abilitato dall’ordinamento giuridico a produrre (e dunque a dare origine a) norme giuridiche, cioè a innovare all’ordinamento giuridico stesso.
Tre sono le macro-categorie nelle quali si scindono le fonti del diritto:
→ Fonti di produzione: costituite dall’insieme degli atti e dei fatti riconosciuti dal nostro ordinamento come idonei a produrre, modificare o estinguere norme giuridiche.
→ Norme di riconoscimento/fonti sulla produzione delle norme: norme che disciplinano i procedimenti formativi delle fonti di produzione, indicando chi è competente ad adottarle e i modi della loro adozione.
→ Fonti di cognizione: rappresentate dagli strumenti che permettono la conoscenza delle fonti di produzione.
Le FONTI DI PRODUZIONE si distinguono in
Le FONTI DI PRODUZIONE si distinguono in:
1. Fonti-atto (o atti normativi): “La fonte-atto è l’espressione di volontà normativa di un soggetto cui l’ordinamento attribuisce l’idoneità di porre in essere norme giuridiche scritte”. Esempio: le leggi del Parlamento.
2. Fonti-fatto (o fatti normativi) sono tutte le altre fonti che l’ordinamento riconosce e di cui ordina o consente l’applicazione, non perché prodotte dalla volontà di un determinato soggetto indicato dall’ordinamento, ma per il semplice “fatto” di esistere. Le fonti fatto consistono dunque in comportamenti spontanei della collettività, che si ripetono nel tempo, considerati idonei a produrre norme giuridiche non scritte
La CONSUETUDINE
La CONSUETUDINE è considerata la fonte-fatto per eccellenza, essa nasce da un comportamento sociale ripetuto nel tempo (elemento oggettivo), sino al punto che esso viene sentito come giuridicamente vincolante (elemento soggettivo). Una consuetudine particolare è la consuetudine costituzionale: si tratta di comportamenti che disciplinano i rapporti fra organi costituzionali: ad esempio, le consultazioni del Presidente della Repubblica nel corso della formazione del nuovo Governo. Una ulteriore tipologia sono le consuetudini internazionali: non si tratta di norme che hanno origine nei trattati bensì di regole non scritte e tuttavia considerate obbligatorie dalla generalità degli Stati. L’adeguamento dell’ordinamento italiano alle consuetudini internazionali è automatico, il giudice italiano quando accerti l’esistenza di una norma di questo tipo (internazionale) deve applicarla nel nostro ordinamento come se fosse una norma interna.
FONTI DI COGNIZIONE: PUBBLICAZIONE E RICERCA DEGLI ATTI NORMATIVI
Le fonti di cognizione sono gli strumenti attraverso i quali si viene a conoscere le fonti di produzione.
In Italia vi sono fonti di cognizione ufficiali e fonti private/non ufficiali.
1. La più importante delle fonti ufficiali è la Gazzetta ufficiale (G.U.). “Tutti gli atti normativi dello Stato devono essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana e inseriti nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana”. Proprio per consentire lo studio e la conoscenza dei nuovi atti, questi non “entrano in vigore” immediatamente dopo la pubblicazione ma, se non è altrimenti disposto, soltanto dopo la cd. “Vacatio legis”, un periodo, di regola di 15 giorni, in cui gli effetti del nuovo atto sono sospesi.
Trascorso questo periodo, il nuovo atto è pienamente obbligatorio. Quindi Vacatio legis, significa “Mancanza
della legge”, ed indica il tempo che intercorre tra la pubblicazione di una legge sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e la sua entrata in vigore.
2. Fonti private/non ufficiali: le notizie che pubblicano tali fonti non hanno valore legale, perché esse sono solo strumenti più o meno utili alla conoscenza delle norme in vigore, ma la pubblicazione in essi non incide sull’efficacia delle norme. Fonti di cognizione non ufficiali possono essere fornite ad esempio da soggetti privati (case editrici o riviste specializzate)
TECNICHE DI RINVIO AD ALTRI ORDINAMENTI
Il rinvio è lo strumento con cui l’ordinamento di uno Stato rende applicabili al proprio interno norme di altri ordinamenti. Si distinguono di solito due tecniche di rinvio:
1. Il rinvio “fisso”: meccanismo con cui una disposizione dell’ordinamento statale richiama un determinato atto (quindi uno specifico e singolo atto) in vigore in altro ordinamento. Se l’atto recepito subisce modifiche, queste non produrranno effetti nel nostro ordinamento senza un altro apposito atto di recepimento.
2. Il rinvio “mobile”: meccanismo con cui una disposizione dell’ordinamento statale richiama non uno specifico atto di un altro ordinamento, ma una fonte di esso. Con il rinvio mobile l’ordinamento statale si adegua automaticamente a tutte le modifiche che nell’altro ordinamento si producono.
LA FUNZIONE DELL’INTERPRETAZIONE
Uno dei principali compiti dell’interprete è quello di riportare a coerenza e univocità il sistema delle disposizioni.
Le disposizioni sono gli enunciati (unità linguistica minima portatrice di un significato completo e tramite cui il legislatore cerca di esprimere la sua volontà normativa) degli atti normativi, i quali questi ultimi, sono documenti scritti dotati di determinate caratteristiche formali attraverso cui il legislatore (chi emana l’atto normativo, cioè la fonte-atto) esprime la sua volontà di disciplinare una determinata materia. Le disposizioni non sono chiare e univoche. Il legislatore può aggiungere altre diposizioni nuove (interpretazione autentica) in cui si indica di come
l’altra disposizione (“vecchia”) deve essere intesa. Il legislatore (organo collegiale che rispecchia la volontà degli elettori) non può sostituirsi agli interpreti (giudici, ammessi non per elezione ma per concorso e quindi privi di responsabilità politica) perché glielo impedisce il principio di divisione dei poteri, che riguarda la netta separazione tra chi ha il potere di imporre atti normativi e di dettare disposizioni (legislatore); e chi ha il potere di interpretare quegli enunciati, ricostruirne il significato, applicarne le norme (interprete).
LE ANTINOMIE E TECNICHE DI RISOLUZIONE
È compito dell’interprete risolvere gli eventuali contrasti tra norme, i quali si definiscono antinomie.
Si ha un’antinomia quando le disposizioni esprimono significati tra loro incompatibili.
I criteri per scegliere la norma da applicare in caso di antinomia sono quattro:
1. CRITERIO CRONOLOGICO E L’ABROGAZIONE
2. IL CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULLAMENTO
3. IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ E LA DEROGA
4. IL CRITERIO DELLA COMPETENZA
CRITERIO CRONOLOGICO E L’ABROGAZIONE
CRITERIO CRONOLOGICO E L’ABROGAZIONE: il criterio cronologico dice che, in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella più recente. La prevalenza della norma nuova sulla vecchia si esprime
attraverso l’abrogazione: l’effetto consiste nella cessazione dell’efficacia della norma giuridica precedente.
Il principio di irretroattività vale anche per l’abrogazione. La vecchia norma quindi, anche se abrogata, sarà pur sempre la norma che il giudice dovrà applicare ai vecchi rapporti.
Vi sono tre ipotesi di abrogazione:
- Abrogazione espressa: “per dichiarazione espressa del legislatore”. È il contenuto di una disposizione.
- Abrogazione tacita: “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti”. L’abrogazione tacita non è disposta dal legislatore e non è il contenuto di una disposizione. Il problema nasce proprio dal fatto che il legislatore emanando le nuove disposizioni non si è preoccupato di eliminare le vecchie. È quindi il giudice (o più in generale l’interprete) a dover fare pulizia, perché si trova di fronte a un’antinomia: egli deve ritenere che prevalga la norma successiva perché si deve preferire la norma più recente e di considerare la vecchia come abrogata.
- Abrogazione implicita: quando la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.
L’abrogazione implicita è simile a quella tacita. Non c’è una disposizione che dichiari l’abrogazione della legge precedente, ma è l’interprete che trae dal fatto che il legislatore abbia riformato la materia un argomento per sostenere che la vecchia legge debba essere abrogata.
IL CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULLAMENTO
IL CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULLAMENTO: il criterio gerarchico dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato.
La Costituzione prevale sulla legge e sugli atti a questa equiparati. La legge prevale sul regolamento e quest’ultimo sulla consuetudine. La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’annullamento che è l’effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto, di una disposizione o di una norma. Mentre l’abrogazione (criterio cronologico) opera nel ricambio fisiologico dell’ordinamento, l’annullamento (criterio gerarchico) colpisce situazioni patologiche che si verificano in esso. I vizi possono essere di due tipi:
- Vizi formali: riguardano la forma dell’atto, ad esempio se esso è emanato da un organo non competente.
- Vizi sostanziali: riguardano i contenuti normativi di una disposizione, cioè le norme.
Al contrario dell’abrogazione, l’annullamento opera non solo per il futuro ma anche per il passato, ma limitatamente ai rapporti pendenti o aperti.
IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ E LA DEROGA
IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ E LA DEROGA: il criterio della specialità dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire la norma speciale a quella generale, anche se questa è successiva. Le norme in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide: l’interprete opera solamente una scelta circa quale norma applicare; l’altra norma semplicemente “non è applicata”. L’effetto tipico della prevalenza della norma speciale su quella generale è dunque la deroga.
IL CRITERIO DELLA COMPETENZA
IL CRITERIO DELLA COMPETENZA: Il criterio della competenza ci spiega che la gerarchia delle fonti non basta più a darci il quadro esatto del sistema, perché all’interno dello stesso grado gerarchico, cioè tra atti che hanno la stessa posizione gerarchica e quindi la stessa forza, vi sono suddivisioni non spiegabili in termini di “forza” (di gerarchia) ma di competenza. Se dovessimo utilizzare il criterio di competenza come regola con cui risolvere i conflitti tra norme, dovremmo dire che esso prescrive di dare preferenza alla norma competente. Come si esprime questa prevalenza? Dipende.
Ad es. gli organi della Camera, di fronte alla norma della legge in contrasto con la norma del regolamento interno, potrebbero ragionare così: la norma della legge vale come disciplina nell’ordinamento generale dello Stato, ma non si applica all’interno delle Camere, dove prevale il ragionamento interno (norma competente).
RISERVE DI LEGGE E PRINCIPIO DI LEGALITÀ
Partiamo innanzitutto da un esempio, l’articolo 14 della Costituzione: “Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge”. Si scarica dunque la patata bollente sul legislatore. La riserva di legge si ha quindi quando una norma costituzionale (in questo caso l’art. 14) riserva espressamente alla legge, e solo ad essa, la disciplina di una determinata materia, escludendo così il potere regolamentare di un altro organo (come il Governo, che ha il potere esecutivo).
La riserva di legge è dunque una regola per l’esercizio della funzione legislativa, infatti l’obiettivo è quello di evitare che, in materie particolarmente delicate, manchi una disciplina legislativa capace di vincolare il comportamento degli organi del potere esecutivo (polizia e burocrazia).
Il principio di legalità affonda le sue radici nello Stato di diritto; prescrive che l’esercizio di qualsiasi potere pubblico si fondi su una previa norma attributiva della competenza: la sua funzione è quella di assicurare un uso regolato, non arbitrario, controllabile e giustiziabile del potere.
Si distinguono due diversi concetti di legalità:
1. Principio di legalità formale: richiede soltanto che l’esercizio di un potere pubblico si basi su una previa norma di attribuzione della competenza;
2. Principio di legalità sostanziale: richiede che l’esercizio del potere pubblico sia limitato e diretto da specifiche norme di legge, tali da restringere la discrezionalità dell’autorità agente.
TIPOLOGIE DI RISERVE DI LEGGE
A seconda dei rapporti tra legge e regolamento si distinguono due tipi di riserve di legge:
1. La riserva assoluta esclude qualsiasi intervento di fonti sub-legislative (cioè di fonti secondarie come i regolamenti) dalla disciplina della materia, che, pertanto, dovrà essere integralmente regolata dalla legge formale ordinaria o da atti ad essa equiparata. L’esempio più tipico è dato dall’art. 13.2, che consente che la libertà personale sia limitata (arresto) “nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Molte disposizioni costituzionali alla riserva assoluta di legge aggiungono la RISERVA DI GIURISDIZIONE, in questo modo, ogni atto dei poteri pubblici che incida sulla libertà, non solo deve essere previsto “in astratto” dalla legge, ma deve essere autorizzato “in concreto” dal giudice.
2. La riserva relativa: in base a tale riserva, l’intervento della legge è previsto solo per definire le caratteristiche fondamentali (e quindi generali) della disciplina, lasciando spazio alle fonti secondarie (come i regolamenti) di intervenire per la normativa di dettaglio.
Le riserve rinforzate sono un meccanismo con cui la Costituzione non si limita a riservare la disciplina di una materia alla legge, ma fissa ulteriori limiti che possono riguardare:
1. Il contenuto (es. l’art. 16 permette al legislatore di porre dei limiti alla libertà di circolazione, ma solo con
norme che dispongano “in generale per motivi di sanità o di sicurezza”).
2. O il procedimento: quando è richiesto un particolare procedimento (es. l’art. 7 prevede che i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, già regolati dal “Concordato”, possano essere modificati solo previo accordo tra le due parti).