Lezione H Flashcards

0
Q

Quali sono le basi del funzionamento delle tecniche immunoenzimatiche ? Cosa si ricerca, soprattutto, nel siero del paziente ?

A

Nell’immunoenzimatica viene legato al frammento Fc delle immunoglobuline un enzima, e per rilevare l’avvenuta formazione dell’immunocomplesso si aggiunge un substrato che viene digerito con il conseguente viraggio di colore. In pratica con questa immunoglobulina legata a un enzima noi possiamo svelare l’antigene in un determinato campione biologico. L’immunoenzimatica però si sfrutta soprattutto per la ricerca di anticorpi, andando a cimentare un siero di un paziente con degli antigeni noti. L’avvenuta formazione dell’immunocomplesso fra l’antigene noto e l’anticorpo che vogliamo tracciare si mette in evidenza con l’aggiunta di un’immunoglobulina tracciata che riporta a quella classe di immunoglobuline che noi andremo a cercare. In realtà noi non tracciamo gli anticorpi del siero, ma anticorpi anti-globuline sieriche.

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Q

Quali sono i due principali tipi di reazione enzimatiche usate nella diagnostica sierologica ?

A

Nella diagnostica sierologica sono principalmente due i tipi di reazione che vengono utilizzati: reazioni immunoenzimatiche e reazioni di immunofluorescenza.

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2
Q

Come si esegue un indagine immunoenzimatica ? Cosa si cerca nel siero del paziente ? Quale tecnica viene spesso usata in immunoenzimatica ?

A

Quando eseguiamo una reazione enzimatica abbiamo innanzitutto un supporto solido per fare una piastrina, in cui sono assorbiti degli antigeni. Aggiungiamo il siero in esame (dove
presupponiamo che gli anticorpi del paziente legano quell’antigene). Dopo un opportuno lasso di tempo, avvengono dei lavaggi per levare tutto ciò che non si è legato. In un secondo momento aggiungiamo un siero anti-Ig umane. Per farlo immunizziamo un animale da esperimento con immunoglobuline umane. Questo risponderà nel suo siero con degli anticorpi, perché è vero che le immunoglobuline sono anticorpi, ma si comportano da antigene se inoculati in un’altra specie. Gli anticorpi così ottenuti vengono marcati legando ad essi un enzima. Con lo stesso tipo di anti-siero (o siero immune anti-Ig) che contiene le immunoglobuline marcate, noi siamo in grado di fare tutta una serie di determinazioni sierologiche. Questo perché, di volta in volta, cambia l’antigene!Se noi abbiamo una richiesta, ad esempio ricerca anticorpale per virus respiratorio, in quel siero noi dobbiamo cercare gli anticorpi per quel determinato antigene respiratorio, possiamo allora usare ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay) sullo stesso anti-siero cambiando i vari supporti solidi dove sono adesi i diversi antigeni, oppure posso utilizzare altre tecniche, a seconda della disponibilità dell’antigene.

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Q

Come si esegue la tecnica ELISA ? Quali sono i suoi vantaggi ?

A

Quando eseguiamo una reazione enzimatica abbiamo innanzitutto un supporto solido per fare una piastrina, in cui sono assorbiti degli antigeni. Aggiungiamo il siero in esame (dove sappiamo che gli anticorpi del paziente legano quell’antigene). Dopo un opportuno lasso di tempo, avvengono dei lavaggi per levare tutto ciò che non si è legato. In un secondo momento aggiungiamo un siero immune (quindi su un altro animale, un’altra specie), anti-Ig umane. Quindi in realtà immunizziamo un animale da esperimento con immunoglobuline umane. Questo risponderà nel suo siero con degli anticorpi, perché è vero che le immunoglobuline sono anticorpi, ma si comportano da antigene se inoculati in un’altra specie, ed è per questo che vengono marcati. Con lo stesso tipo di anti-siero (o siero immune anti-Ig) che contiene le immunoglobuline marcate, noi siamo in grado di fare tutta una serie di determinazioni sierologiche. Questo perché, di volta in volta, cambia l’antigene! Se noi abbiamo una richiesta, ad esempio ricerca anticorpale per virus respiratorio, in quel siero noi dobbiamo cercare gli anticorpi per quel determinato antigene respiratorio, possiamo allora usare ELISA (Enzyme- Linked ImmunoSorbent Assay) sullo stesso anti-siero cambiando i vari supporti solidi dove sono adesi i diversi antigeni, oppure posso utilizzare altre tecniche, a seconda della disponibilità dell’antigene.

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4
Q

Quando si usa la tecnica dell’Immunoblot (western boblot) oltre alla tecnica ELISA ?

A

Ci sono però alcuni iter diagnostici i cui criteri non sono soddisfatti da ELISA, quindi servono ulteriori test di conferma per avere la certezza con una buona approssimazione del 99,99% di specificità. Il test di conferma si applica soprattutto per danni sierologici di quei virus che per loro natura hanno un’enorme variabilità genetica e di conseguenza un’enorme variabilità proteica e antigenica. Uno dei test di conferma più importanti che noi possiamo fare è il test di conferma per la diagnosi di HIV (è un virus variabile dal punto di vista genetico e che necessita dunque uno studio più approfondito). Tale conferma è data dall’Immunoblot, seguito su strisce di nitrocellulosa sulle quali sono state sparse delle proteine (o meglio glicoproteine) del virus, ognuna delle quali poi ha un suo significato sierologico.

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5
Q

Qual’è la differenza tra reazione d’immunofluorescenza diretta ed indiretta ?

A

L’immunofluorescenza si basa sullo stesso principio dell’immunoenzimatica, con la differenza che il tracciato è un fluorocromo. Un fluorocromo è una sostanza che assorbe la luce in un determinato spettro e la emette in un altro, è esattamente come l’enzima si lega al frammento Fc dell’immunoglobulina. Dobbiamo distinguere due tipologie di immunofluorescenza: una chiamata diretta e una chiamata indiretta. Se marchiamo un anticorpo specifico verso l’ antigene virale che stiamo cercando, si parla di immunofluorescenza diretta. Se si marcano invece le immunoglobuline generiche umane, come facevamo nel test ELISA, allora in quel caso si può parlare di un’applicazione sierologica indiretta. Se marchiamo un anticorpo specifico verso l’ antigene virale che stiamo cercando, si parla di immunofluorescenza diretta. Se si marcano invece le immunoglobuline generiche umane, come facevamo nel test ELISA, allora in quel caso si può parlare di un’applicazione sierologica indiretta.

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6
Q

Perché nelle indagini sierologiche non è sufficiente effettuare un singolo prelievo dal paziente ?

A

Nelle reazioni sierologiche non basta avere un siero di un paziente, dipende da ciò che ci dice il contenuto anticorpale: se questo è negativo non c’è infezione, oppure c’è la possibilità di trovarsi nel cosiddetto periodo finestra, che è quel lasso di tempo in cui l’infezione è avvenuta, ma è troppo presto perché nel siero possano trovarsi anticorpi in quantità apprezzabili. È sempre necessario quindi fare due o più prelievi in periodi di tempo successivi per mettere in evidenza dovrebbe una (eventuale) fatto in siero conversione. Questo realtà anche nell’ambito tipo di monitoraggio delle vaccinazioni per essere valutarne l’effettiva efficacia, sebbene sia una pratica del tutto inutilizzata.

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7
Q

Perché i virus possono essere definiti degli “degli agenti infettanti viventi” ? In cosa differiscono dagli altri organismi viventi per quanto riguarda il rapporto infettivo con l’ospite ?

A

I virus sono a tutti gli effetti degli agenti infettanti viventi. Diciamo viventi perché propagano (replicandosi) il loro codice genetico. Possiamo affermare che sono microrganismi più semplici dei batteri? Si, se parliamo della loro struttura (mancano infatti gli organelli cellulari). Più semplici anche come composizione chimica, perché i virus sono composti da due soli costituenti: un acido nucleico (DNA O RNA) e le proteine. Infatti in un contenitore proteico (capside) troviamo il materiale genetico, il genoma, che può essere propagato ad altri virus. Perché se un uomo propaga ai suoi figli, un animale propaga ai suoi figli, un batterio propaga alle cellule figlie, un virus ad altri virus (non alla cellula ospite, che è invece il tramite attraverso cui il materiale genetico viene tramandato). Qualche volta però può succedere che nell’interazione virus-ospite, in casi ben definiti, il genoma virale si impianti nel genoma della cellula ospite anziché propagarsi ad altri virus. Per definizione, i virus sono dei parassiti intracellulari viventi, perché senza una cellula ospite non hanno il materiale di base per replicarsi, e sono probabilmente gli organismi che più stanno a contatto e influenzano una cellula. Questo contatto non è senza conseguenze per la cellula ospite, perché già dall’inizio dell’azione virale, è compromessa e non è più funzionale. L’obiettivo fondamentale del virus, una volta introdotto il suo acido nucleico nella cellula, è che questo sia letto dalla cellula e che venga prodotto un mRNA da essere successivamente tradotto in proteina dai ribosomi cellulari.

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8
Q

Cosa accade quando un virus stabilisce un “ rapporto di parassitismo controllato” con l’ospite ?

A

Non sempre i virus scelgono di replicarsi subito. A loro conviene propagare il proprio certo genoma, ma anche il mantenere In in vita l’ospite (rapporti di parassitismo controllato: i virus si replicano nell’ospite e questo per un periodo sopporta parassita). In proporzione, infatti, infezioni asintomatiche sono notevolmente superiori rispetto a quelle che causano la morte dell’ospite, perché il virus non distrugge subito il materiale cellulare ma può integrarsi e regolare la trascrizione dei geni, in questo caso bloccandola, e resta in equilibrio con l’ospite. Ovviamente può accadere un qualcosa che riattiva il virus e gli inibitori della trascrizione genetica vengono a loro volta inattivati per favorire l’attività virale.

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9
Q

Il materiale genetico dei virus contiene istoni ?
Quali sono le caratteristiche di un virus “nudo” e di un virus “rivestito” ?
Come influisce sulla patogenicitá il fatto che un virus abbia DNA come materiale genetico ?

A

Il materiale genetico batterico è strutturato diversamente da quello virale, ad esempio nei batteri non troviamo istoni, che possono invece essere presenti nel genoma dei virus.
In microbiologia si riconoscono virus nudi e virus rivestiti. La differenza fra le due categorie è che i virus nudi hanno solo contenitore proteico (capside) e genoma all’interno, quelli rivestiti sono circondati, oltre che dal capside, da una membrana fosfolipidica che deriva dalla membrana cellulare della cellula in cui il virus si era introdotto. Questo involucro fosfolipidico, intervallato da molte glicoproteine, (detto envelop, pericapside o peplos) è però trasformato dal virus che gli dà caratteristiche fisico-chimiche diverse: non protegge il virus come si potrebbe pensare, ma è più debole perché non espone un “cappotto” proteico ma dei fosfolipidi ed è più sensibile ai solventi.
Virus a DNA sono più complessi perché riescono a riprodurre più proteine, ma nel contesto immunologico questa capacità non influisce sulla patogenicità in quanto anche un virus piccolo può provocare danni maggiori rispetto a uno che codifica un numero maggiore di proteine.

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