3) il neostandard: Flashcards
lo standard:
Una lingua si definisce standard solo se una delle sue varietà è riconosciuta da tutta la comunità parlante, o almeno da una parte di essa, come quella dotata di prestigio, come quella che funge da modello di riferimento per il buon uso della lingua, specialmente per il bello scrivere, e che è o che deve essere insegnata a scuola.
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codici linguistici > esperti di lingua
autorità normative > esperti di lingua
scrittori e speaker professionisti > esperti di lingua
Lo standard non è comunque immutabile (ex. il pò’’ con l’accento era accettato prima del 1930.
Non tutte le lingue hanno uno standard! Anzi, quelle che hanno 1 grafia standard sono solo circa il 30%.
Per fare una lingua non ci vuole uno standard, anche se (dal punto di vista linguistico teorico) molti studiosi pensano che se non c’è uno standard non si può parlare di lingua).
Esistono anche lingue che hanno più di uno standard (ex. l’inglese, il tedesco, il francese, o anche l’italiano d’Italia e quello di Svizzera).
Vi sono casi anche in cui si trovano 2 standard nello stesso paese, come in Norvegia.
O in Italia si parla di standard e neostandard.
la norma:
Almeno alcuni dei tratti innovativi che abbiamo discusso in precedenza sono diventati ormai ‘normali’ in italiano. Sono in altre parole tratti per i quali non si percepisce più alcuno stigma nell’uso o comunque per i quali lo stigma è molto basso e percepito solo da una parte dei parlanti.
Sono entrati a fare parte della norma di una lingua, che potremmo definire, almeno approssimativamente, lo standard.
Castellani (1984), nel cercare un’alternativa all’anglismo standard che potesse essere usata nei lavori specialistici, proponeva proprio l’aggettivo normale, accanto ad altre possibili etichette come classico, tipo, modello, corretto ecc.
Norma è una nozione che i linguisti usano con almeno 3 significati diversi:
* norma può essere intesa in senso prescrittivo, ovvero come il modello di riferimento e criterio di valutazione delle produzioni linguistiche, deviando dal quale si incorre in un errore e si può venire sanzionati;
* oppure in senso descrittivo, come la forma linguistica neutra, non marcata per nessuna delle dimensioni di variazione sociolinguistica;
* oppure ancora in senso meramente statistico, come la forma più diffusa, il comportamento abituale dei più, ciò che è di fatto più frequente nella comunità parlante una determinata lingua.
le dimensioni di variazione:
- diatopia: correlazione con la geografia. ex. gli italiani regionali
- diastratia: correlazione con la collocazione e identità sociale. ex. l’italiano popolare
- diafasia: correlazione con le situazioni comunicative. ex. i registri (registro formale, medio e informale; i registri di una lingua tuttavia sono difficili da delimitare e non enumerabili) e i sottocodici (la lingua della medicina, la lingua dell’informatica, la lingua dell’astronomia).
- diamesia: può essere vista come una sottodimensione della diafasia (quella più legata al modo, poichè in occidente l’impiego della scrittura è quasi sempre legato a una situazione più formale, mentre l’impiego del paroalto è sempre legato a situazioni meno formali). Correlazione con il mezzo grafico o fonico usato
- diacronia (non sincronica, quindi non ci interessa) ex. l’italiano delle origini, l’italiano secentesco, l’italiano contemporaneo
ex.
‘Veniva buio e dietro c’era un uomo con le mani sul viso, al quale nessuno aveva ancora chiesto niente’ (La Stampa)
> Diatopia Diastratia Diafasia
ex. 2: la stratificazione sociale di (r) nei centri commerciali della città di New York.
[Ə]; [V:]; [Ø] sono marcate in diastratia (e in diafasia): sono sociolinguisticamente marcate, in quanto non sono normali, non sono standard
Il modo (o ‘medium’) in cui si esprime un messaggio può essere grafico o fonico (con la scrittura o con la parola); la concezione del messaggio può essere parlata o scritta.
nello schema:
parlato ma grafico > ex. i messaggi (usati per simulare il parlato), o gli appunti
fonico > ad esempio letta da un attore, o una dichiarazione scritta da far leggere al presidente.
Quindi i due poli non sono semplicemente scritto - parlato
ma
scritto grafico (lo scritto concepito per essere letto) - parlato fonico (il parlato concepito per essere pronunciato in una situazione informale, ad ex. dai nostri amici)
l’intreccio delle dimensioni di variazione:
Come si vede, le dimensioni di variazione possono intrecciarsi tra loro:
La diatopia si ravvisa in tutte le produzioni linguistiche dei parlanti, in seconda battuta lo stesso vale per la diastratia – perché ogni società si articola in classi sociali. La diafasia opera all’interno delle altre due dimensioni: l’individuo è sempre padrone di un insieme di scelte diafasiche all’interno della sua varietà marcata in diatopia e in diastratia.
la controversia fra diafasia e diastratia:
È controversa la relazione che lega diafasia e diastratia. Quale deriva dall’altra?
La diamesia potrebbe anche essere un’ulteriore dimensione della diafasia.
La diafasia si articola in sottocodici e registri.
* I sottocodici indicano il variare della lingua a seconda dell’attività svolta o dell’argomento: hanno un lessico speciale e sono connessi a particolari settori di attività (economia, medicina, informatica, diritto ecc.). Legata al campo.
* Il registro è determinato dai ruoli sociali e dai rapporti che legano i partecipanti all’interazione. Legata al tono.
schema di Berruto sulle assi di variazione:
E’ uno schema creato dal linguista Berruto nel 1987.
Gli assi ci permettono di posizionare tutte le varietà di italiano ascoltabili, cioè tutti quegli insiemi di tratti linguistici che tendono a cooccorrere insieme a tratti sociali (che quinid hanno a che fare con la diafasia, diatopia etc.).
Non trattiamo la diatopia poichè tutti i tratti dell’italiano hanno una marca diatopica.
- L’italiano standard non si trova precisamente all’incrocio dei 3 assi, quindi non è neutro; è caratterizzato/marcato sia in diafasia (cioè è quello che si usa non necessariamente nel parlato quotidiano, ma nel parlato mediamente formale; è un po’ più scritto di quanto ci aspetteremmo all’incrocio degli assi) sia in diastratia (è più verso il polo colto).
Si trova quindi nel quadrante in alto a sinistra, quadrante che include gli usi più formali/scritti e colti. Per cui sarebbe meglio etichettarlo come ‘italiano standard letterario’. - Il neostandard (l’italiano regionale (poiché la diatopia non può mai essere elusa) colto medio). Neanche questa è totalmente neutra, ma anche questa è nel quadrante in alto a sinistra.
Sono al ‘centro’ perchè è ciò che accade per la maggiore quando diciamo di parlare italiano. -
italiano gergale: le varietà che parassitano la grammatica di un’altra varietà innestando in questa del lessico diverso e poco comprensibile, generalmente col fine di cementare l’unione fra le persone che conoscono quella varietà.
Secondo alcuni viene spesso usato per non farsi capire (animus ocultandi); esempio sono i gerghi a inserzione, come l’alfabeto farfallino; tutta la grammatica è italiana ma cambia qualcosa (in questo caso, dopo ogni sillaba si inserisce ‘f’ + la vocale della sillaba > cuore = cuoforefe.)
l’italiano neostandard:
È, a detta di Berruto (1987), quella varietà d’italiano usata dalla maggior parte degli Italiani nella maggior parte delle loro interazioni comunicative quotidiane, caratterizzata dall’accoglimento di tratti che non facevano parte del canone che si trovava dalle grammatiche e sui manuali.
Berruto vi ravvisava “un abbassamento e un consolidamento della nuova varietà standard, leggermente variata in diatopia, più vicina al parlato in diamesia, e più prossima agli stili non aulico-burocratici in diafasia”. Cambiavano, cioè, le caratterizzazioni sociolinguistiche dei tratti rilevanti (dato che i tratti in sé non erano del tutto nuovi alla storia dell’italiano).
Altre etichette per questa stessa varietà: italiano tendenziale, italiano dell’uso medio.
la distanza fra scritto e parlato col neostandard:
La diffusione del neo-standard ha fatto diminuire la forbice tra scritto e parlato (ex. alcuni scrittori usano il neostandard nelle loro opere), tuttavia non tutti gli studiosi sono unanimi nel ritenerla una varietà principalmente parlata, e quindi identificarne nel parlato i tratti caratterizzanti; oppure se per definire il neo-standard si debba far ricorso a quei tratti ‘non canonici’ che emergono solo sui mass media.
il neo-standard “è diffuso nelle classi medio-alte e nella parte più acculturata della popolazione, ed è realizzato nel p a r l a t o più che nello scritto.
L’etichetta di neo-standard si riferisce al fatto che su questo livello, oggi in piena evoluzione, troviamo un gran numero di forme che via via “risalgono” dai livelli inferiori (sub-standard): prima relegate nell’area delle forme “colloquiali” (o, come dicevano i vocabolari, “triviali”), ora si diffondono e sono accettate nella lingua nazionale. Lo standard così, a sua volta estende i propri confini” (Sobrero, scuola linguistica torinese 1992: 5)
> il neostandard è una varietà eminentemente parlata. Il neostandard sono quei tratti che vengono esibiti tante volte in un parlante di media cultura. Quindi > piuttosto che disgiuntivo è neostandard.
Antonelli (2011), o p.es. Tavoni, propongono invece di restringere la definizione di “neo-standard” riservandola ai tratti diffusi anche nello scritto di media formalità: “l’identificazione del nuovo standard con l’italiano di un buon articolo di giornale”.
>
> il neostandard si trova negli scritti di media formalità, come un articolo di giornale. Per loro > piuttosto che disgiuntivo, non essendo comune negli articoli di giornale, non è neostandard. Nello schema è ‘italiano neostandard ‘giornalistico’.
il neostandard nella fonetica:
Nella fonetica:
È difficile dar conto di un ‘italiano standard parlato’, in ragione del fatto che l’italiano è stato per lo più una lingua scritta per secoli.
Sono proprie, tuttavia, del parlato neo-standard l’affermarsi di alcune variabili non tradizionali (cioè non toscane), come la pronuncia sempre sonora della [s] intervocalica: non [‘kasa] ma [‘kaza].
Esiste un dizionario norma della pronuncia, ma lo conosce una percentuale bassissima della popolazione.
!! = La pronuncia media/’standard’ attuale sembra essere meno marcata di tratti regionali tra le giovani generazioni rispetto alle vecchie, sia in quanto ha perso tratti marcati diatopicamente, sia perché accoglie tratti da altre regioni: il cosiddetto italiano composito (Ex. si sta perdendo a Bologna l’uso bolognese di dire ‘sh’ al posto di ‘s’). .
il neostandard nella morfosintassi: la riduzione di paradigma:
Qui è più facile verificare poichè ci basta aprire una grammatica scolastica di qualche anno fa;
Il sistema pronominale è interessato da mutamenti che vanno nella direzione della riduzione del paradigma (cfr. grammaticalizzazione):
per esempio
* impiego di lui, lei, loro (oltre che di oggetto e per gli altri complementi) in funzione di pronomi soggetto, al posto rispettivamente di egli/ella/esso/essa/essi, considerati ‘aulici’ e relegati alla dizione formale o allo scritto)
ex. ‘Lui si muove verso di noi’
ex. ‘Lei mi ha raggiunto correndo’
ex. ‘Loro ci stanno antipatici’
-
‘gli’ generalizzato: con questo si intende l’estensione della forma pronominale atona dativale ‘gli’, che diviene valida sia per il masch./femm. singolare sia per il plurale, in luogo dello standard gli/le/loro.
ex. ‘Oggi è la festa della mamma: cosa gli hai preso?’
ex. ‘Domani vedo Giorgio e Pietro: gli dico che li saluti’.
NB: gli sui giornali è raramente attestato per il singolare femminile.
NB 2: Interessante l’uso di ci ‘neutro’ (ci ho detto…)
- A fronte di un sistema toscano/italiano standard che comporta tre forme distinte (questo/codesto/quello), nell’italiano neo-standard si assiste a un processo di semplificazione che implica la perdita di codesto (vivo ancora soltanto in Toscana e nel burocratese).
> regressione del pronome ‘neutro’ ciò sostituito da questo/quello
‘Tutto questo è vero’ (invece di tutto ciò è vero)
‘Quello che mi stupisce è’ (invece di ciò che mi stupisce è…)
Nei paradigmi verbali, si giunge a un sistema ridotto al presente, al (prossimo o remoto a seconda della provenienza dei parlanti/a seconda delle varietà diatopiche), all’imperfetto e al trapassato prossimo utilizzato come ‘tempo anaforico’ (che richiede sempre un esplicito ancoraggio temporale).
ex. ‘si è alzata quando lui era già uscito’
- il presente (eventualmente accompagnato da avverbi come ‘poi’) viene impiegato per il futuro.
ex. ‘l’estate prossima vado in vacanza al mare’
ex. ‘domani mangiamo la pizza’
- il passato (prossimo o remoto a seconda delle varietà diatopiche) è un fatto di (passo della) grammaticalizzazione
Lamiroy & De Mulder 2011: 307 riconoscono come tendenza propria della lingue romanze (ed europee) la del passato perifrastico (o composto, sviluppatosi tramite rianalisi della costruzione latina habeo/sum+participio passato del verbo lessicale, come unico tempo retrospettivo a scapito del passato sintetico (o semplice, discendente dal perfetto latino), che diventa obsoleto e addirittura fuoriesce dalla grammatica.
In toscano/italiano standard la differenza tra passato ‘risultativo’ o che indichi eventi ancora rilevanti al momento dell’enunciazione, da una parte, e passato ‘concluso’, dall’altra, è ancora codificata linguisticamente dalla differenza pass. pross. vs pass. rem. Non così nelle altre varietà di italiano regionale
- l’imperfetto, al di là della funzione propriamente temporale, viene esteso ad usi controfattuali (come espressione di cortesia, nel periodo ipotetico, l’imperfetto onirico, l’imperfetto di gioco ecc.).
ex. Se lo sapevo non ci venivo!
ex. Facciamo che tu eri l’indiano e io il cowboy. ex. Volevo un etto di pane.
- Sostituzione del congiuntivo con l’indicativo
il neostandard nella morfosintassi: il ‘ci’ attualizzante:
- Il ci ‘attualizzante’
Questo tratto si ritrova in quelle forme verbali (specialmente averci) in cui la funzione del clitico è ‘desemantizzata’, ha perso cioè l’originario significato locativo e ne ha assunto uno rafforzativo
ex. Non c’ho tempo
ex. ci ho in vista un affare importante
ex. ci ho voglia di uscire
ex. noi non ci abbiamo la televisione
ex. Ci sa fare…
ex. Devi crederci!
il neostandard nella morfosintassi: il ‘che’ polivalente:
- Il che polivalente
“di difficile classificazione e definizione, sia per quanto riguarda i valori semantici codificati sia per lo statuto morfosintattico del segnale introduttore” (Cignetti 2013): talvolta esplicativo, talvolta temporale (in relative substandard), talvolta funge da doppio complementatore che introduce subordinate o in costruzioni avverbiali o pseudo-avverbiali:
ex.
‘Attento che ti fai male’
‘Mi piaci dal giorno che ti ho incontrata’
‘Vorrei venire alla festa, solo che non posso’
‘Mai che mi saluti, quello lì!’
‘Ho fatto giusto la prima domanda, peccato che ho sbagliato le altre tre’
il neostandard nelle frasi marcate:
- Standardizzazione di frasi ‘marcate’ con dislocazione a sinistra o a destra, o frase scissa
‘Con Gianni ci parlo io’
‘Lo vuoi un caffè’
‘Non è che non mi piace… è che non ne ho voglia’
standard, fiorentino e neostandard: cosa manca al neostandard rispetto al fiorentino:
Per definire lo standard, bisogna prima capire cosa non è standard.
Lo standard si discosta sia dal fiorentino sia dal neo-standard.
Rispetto al fiorentino non c’è:
1. la tipica prosodia fiorentino-toscana;
2. la cosiddetta gorgia toscana: fior. [ˈpɔxo] vs. [ˈpɔko]
3. la fricativizzazione delle affricate palatali in posizione intervocalica: fior. [ˈluʃe] vs. [ˈlutʃe], fiorentino [vaˈliʒe] vs. [vaˈlidʒe]
4. la presenza obbligatoria di pronomi clitici soggetto: fior. e parlo, tu parli, e/la parla ecc.)
5. la 1pl con la costruzione [si + terza persona singolare]: fior. noi si va vs noi andiamo
6. la desinenza della 3pl del passato remoto in -no: fior. tosc ant. presono vs presero
7. Differenze lessicali: fior. ‘cencio’ vs ‘straccio’
l’italiano è il fiorentino?
sì e no, poichè è stato imposto nell’800, ma esistono tratti morfosintattici, fonetici etc. che lo differenziano.