6) Ludovico Ariosto Flashcards
origini di Ludovico Ariosto:
Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia nel 1474 dal conte Niccolò, nobiluomo al servizio della corte degli Estensi, e da Daria Malaguzzi Valeri.
Il padre, cercando di avviarlo alla carriera giuridica e alla vita presso l’ambiente di corte, lo costringe a studiare diritto presso lo Studio di Ferrara. Nel 1494, Ariosto tuttavia abbandona gli studi per dedicarsi alle lettere, guidato dal monaco Gregorio da Spoleto, che lo introduce alla filosofia neoplatonica, allo studio di Marsilio Ficino e alla conoscenza degli autori classici (Orazio, in particolare). In questi anni, Ludovico stringe i primi contatti con Pietro Bembo, autore che sarà poi rilevantissimo con le sue Prose della volgar lingua nelle diverse stesure dell’Orlando furioso.
il servizio presso gli Estensi:
Nel 1500 muore il padre e il giovane Ludovico, in qualità di figlio maggiore, si trova obbligato ad occuparsi della famiglia, composta da quattro fratelli e cinque sorelle; per garantire la loro sicurezza economica, diventa uomo di corte presso gli Estensi.
Dal 1501 al 1503 è capitano della rocca di Canossa e, a partire dal 1503 fino al 1517, è al servizio come segretario del cardinale Ippolito d’Este (1479-1520).
Si tratta di un periodo infelice per Ariosto, combattuto tra la vocazione letteraria e i doveri di uomo di corte, che lo coinvolgono spesso in missioni diplomatiche o in compiti amministrativi.
Il cardinale verrà infatti presentato dal poeta stesso nelle Satire come un uomo avaro e poco amante della poesia e delle lettere, che tratta il suo segretario come un cameriere, a cui affida compiti abbietti e anche missioni pericolose (ex. Ariosto viene inviato a Roma nel 1509, per richiedere invano l’aiuto di Giulio II (1443-1513) contro Venezia, e nell’anno successivo per far revocare (ancora una volta infruttuosamente, e pure con gravi rischi personali) la scomunica del duca di Ferrara Alfonso, schieratosi contro Roma e la Lega Santa.)
Nel 1513 muore papa Giulio II e viene eletto papa Leone X (1475-1521), da cui il poeta si reca in cerca di una sistemazione nella città pontificia, senza avere risultati effettivi, ma solo una modesta parrocchia presso Faenza. Sulla strada di ritorno, in una sosta a Firenze, conosce Alessandra Benucci Strozzi, di cui si innamora e che sposerà nel 1527.
L’attività letteraria: l’Orlando furioso, le commedie, le Satire
Durante il servizio presso il cardinale Ippolito, e pure tra i mille impegni di questa carica, Ariosto non abbandona gli interessi letterari: dopo le opere giovanili (tra cui la raccolta dei Carmina, la tragedia di tisbe, andata perduta. Già da qui si percepisce la simulazione da parte di Ariosto dei modelli della lirica latina.)
Ariosto lavora alle prime commedie (intitolate Cassaria e I Suppositi) e, dagli inizi del 1500, lavora ai canti in ottave del suo poema, che vedrà la luce per la prima edizione nel 1516 (cui seguiranno le rielaborazioni del 1521 e del 1532).
Nel 1503 nasce l’Obizzeide, un poema epico in terzine per celebrare le imprese di Obizzo d’Este, eroe della dinastia vissuto nel primo Trecento.
Il tentativo rimane però presto interrotto e abbandonata l’Obizzeide, è appunto al modello di Boiardo che Ariosto decide di tornare in modo più esplicito: inizia a comporre probabilmente intorno al 1505 una ‘gionta’, cioè un’aggiunta all’innamoramento.
L’Orlando furioso, che subito riceve il plauso dei letterati e della corte, è dedicato al cardinale Ippolito; ciononostante, nel 1517 si ha la rottura dei rapporti con il cardinale, che vorrebbe avere con sé l’Ariosto nella nuova sede vescovile di Agria, in Ungheria.
Il poeta, che ha caro il proprio ideale di vita serena ed appartata e non vuole abbandonare Alessandra Benucci, rifiuta e passa al seguito del figlio Alfonso d’Este. In questi anni comincia anche la stesura delle Satire, che mettono a fuoco l’animo, i gusti e le inclinazioni intime del poeta, e prosegue la scrittura di commedie (Il Negromante, 1520; La Lena, 1528; l’incompiuta Gli studenti).
Tra i componenti latini troviamo un carmen indirizzato a Pietro Bembo.
Inizia anche a comporre le rime ma essendo così attento nel curare l’edizione del Furioso, Ariosto non avvia nessuna pratica analoga per le rime.
Le rime usciranno quindi postume e con l’assenza di una volontà strutturale della parte dell’ariosto. Se questo è vero in linea generale, le ultime indagini condotte su un manoscritto di rime di Ariosto, il Rossiano 633 nel quale si è intravisto la possibilità di una scelta d’autore, costituita da 48 componimenti e mirata la definizione di una sorta di piccolo canzoniere, aprono nuovi spiragli che lasciano il risolta la questione.
gli ultimi anni:
Nel 1522 Ariosto viene nominato governatore della Garfagnana, regione da poco entrata sotto il dominio estense, e quindi assai complessa da gestire.
Nel 1525 il poeta rientra a Ferrara, dedicandosi alla revisione del Furioso, alla composizione delle restanti Satire, cominciate negli anni ‘20 del ‘500 (fino a un numero complessivo di 7) e alla pace nella contrada di Mirasole, dove Ariosto trascorre gli ultimi anni, prima di spegnersi nel luglio del 1533.
Dopo la morte di Ariosto la notizia si diffonde rapidamente e gli editori ne approfittano subito, così escono varie edizioni pirata dell’Orlando Furioso.
la prima idea del Furioso:
Il primo accenno al Furioso lo dobbiamo a un amico di Ariosto, Celio Calcagnini; Egli descrive nella sua “Equitatio” che in una brigata, fra vari discorsi filosofici, si chiede ad Ariosto di dare qualche anteprima del poema che andava componendo:
egli dice che il poema “mi ha consumato tutto il cervello” (rischio preannunciato nel proemio del poema Fur. 12); si rammarica però di aver profuso il suo impegno poetico per «gallicanae ambubaiae»> (vagabonde muse francesi = letteratura d’oltralpe, contrapposte alle muse alte rappresentate dalla cultura classica) e «circumforanea argumenta» (argomenti per un pubblico di piazza/opere destinate a un consenso popolare);
si trova a un bivio fra cultura umanistica e filologica (La poesia di Ariosto è profondamente intrisa della cultura classica, come è ovvio data la Ferrara del 400) e narrativa romanzesca volgare; le due realtà erano già state unite nell’ “inventio” di Boiardo (autore dell’Orlando innamorato ; oltre che continuare il poeta di Boiardo, nella sua Inventio Ariosto riprende l’idea di Boiardo, cioè il far convivere in una stessa opera la poesia francese e quella classica).
La stesura dell’opera comincia già a partire dal 1507-1509: le lettere di Isabella e di Alfonso d’Este al cardinale Ippolito testimoniano che buona parte dell’opera era già composta nella prima decade del secolo ma non era ancora conclusa (l’opera, come per la Divina Commedia, venne composta infatti “a grappoli” e man mano veniva letta alla corte).
edizioni del Furioso:
- La princeps/1° edizione del poema (in 40 canti) appare a Ferrara nel 1516 per i torchi di Giovanni Mazzocco: il successo è enorme e immediato tanto che, cinque anni dopo, verrà stampata una seconda edizione ferrarese per sopperire all’ “esaurimento copie” della princeps.
- La seconda edizione (1521, Giovan Battista Pigna), presenta un numero considerevole di interventi linguistici in senso petrarchesco e alcune ottave vengono modificate ma, nel complesso, i cambiamenti sono di lieve entità.
- Mentre escono numerose ristampe della seconda edizione, Ariosto lavora invece alacremente ad una terza (1532), quella definitiva in 46 canti (Ferrara 1532, Francesco Rosso da Valenza).
Profonda revisione della lingua del poema: dalla lingua padana alla lingua dei modelli indicati dall’amico Pietro Bembo con le sue “Prose della volgar lingua” (1525).
* Arte del levare: arte dell’alleggerire il testo, limitando i latinismi rispetto alla prima edizione.
* Un’altra differenza è che questa volta sul frontespizio dell’edizione sono presenti delle armature e degli amorini, che simboleggiano il contenuto del poema, cioè l’amore e la guerra.
* Ariosto aveva inoltre inserito correzioni mentre il poema era già in corso di stampa»_space; differenze fra i diversi esemplari della stessa edizione.
* Vi è poi un uso ironico degli stilemi petrarcheschi, come la «dittologia sinonimica» (studi di Cristina Cabani);
Tradizioni diverse confluiscono nell’opera: classici latini, Dante, Petrarca, la tradizione dei cantari, romanzi del ciclo bretone (anche se per la presenza dei cicli arturiani si può parlare più di «intediscorsivita» che «di intertestualità» ).
Sono solo 24 le copie dell’Orlando Furioso del 1532 sopravvissute; della prima edizione non abbiamo alcun esemplare.
Ma non tutte tramandano il testo del poema allo stesso modo.
Il processo artigianale, il fatto che i fogli contenuti errori non venivano scartati, l’abitudine di vendere i volumi con le carte non rilegate, fa sì che tra le coppie di un’edizione antica possano sussistere differenze anche significative.
Sono la prova materiale di ripensamenti è cambiamenti in corso d’opera.
Abbiamo ad esempio l’aggiunta di dittonghi toscani, l’eliminazione di latinismi e di forme dialettali residue e l’inserimento di una grafia grecizzante per il nome di Olimpia (Olympia).
Di stampe in pergamena dell’edizione del 1532 sopravvivono solo 5 al mondo.
In esse la prima ottava è stata scritta a caratteri d’oro e la pergamena fa apparire i caratteri simili a segni tracciati da un calligrafo.
Così I privilegiati a cui veniva donato a una copia sul pergamena avevano una sensazione di avere fra le mani un manoscritto e non una stampa.
l’Orlando Furioso: generalità, filoni principali:
L’Orlando furioso è un poema cavalleresco in ottave di Ludovico Ariosto, iniziato nel 1503-1504 e pubblicato per la prima volta a Ferrara nel 1516 in quaranta canti.
Il poema viene poi pubblicato in altre due edizioni (1521 e 1532), con modifiche linguistiche e poi con l’aggiunta di altri canti, che portano il totale a quarantasei canti.
L’Orlando furioso si presenta come la prosecuzione delle vicende dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e, più in generale, del ciclo bretone e del ciclo carolingio.
La trama, molto articolata e stratificata, ruota attorno a tre filoni principali:
* gli amori di Orlando, Angelica e Rinaldo (e, di conseguenza, di tutti gli altri personaggi del poema cui alludono le “donne” e “gli amori” del primo verso del poema)
* la guerra tra l’esercito cristiano di Carlo Magno e i Mori (“i cavallier” e “le arme” sempre citati nel primo verso)
* il motivo encomiastico per la casata ferrarese degli Estensi, sviluppato attraverso le figure di Bradamante e di Ruggiero.
La trama del Furioso si presenta come un organismo assai complesso ed articolato, per voluta scelta dell’autore; sulla vicenda principale della guerra tra Franchi e Mori e della follia di Orlando si innestano infatti una molteplicità di vicende secondarie, che sviano, dilatano e ritardano il corso naturale degli eventi.
Il Furioso lascia intravedere inoltre in molti passaggi un rapporto stretto con le vicende contemporanee, delle battaglie che scandiscono le guerre d’Italia alla corruzione e alla crisi del clero alla vigilia delle tesi di Lutero.
E’ la dimostrazione di un poema che fa spazio fra le imprese dei cavalieri antichi ai riflessi della difficile storia dell’Italia e dell’Europa di primo 500.
Ariosto possedeva l’ambizione di realizzare un poema epico regolare, vicino ai modelli classici, ai poemi omerici e anzitutto l’Eneide.
Le riprese da Virgilio sono certo molto evidenti all’inizio e al termine del furioso, con il duello conclusivo di Ruggero e Rodomonte che riprende quello di Enea e Turno: tuttavia il poema ariostesco intreccia alle riprese epiche prelievi ampi da materiali romanzi.
Si aprono spesso episodi di marca lirica, nei quali Ariosto riprende Petrarca, oppure episodi schiettamente comici e sensuali. Questa insistita variazione di registri era già del poema di Boiardo, ma nell’Ariosto si fa ancora più ricca e nobile.
filone bellico:
L’argomento bellico, tipico della tradizione del poema epico e cavalleresco, incomincia con l’invasione della Francia e l’assedio di Parigi da parte del re saraceno Agramante, che inizialmente sembra aver la meglio sull’esercito cristiano di** Carlo Magno**, anche grazie all’aiuto del grande guerriero Rodomonte, e di Marsilio, re di Spagna, e Manfricardo, re tartaro, suoi alleati.
I due paladini più importanti dello schieramento cristiano, Orlando e Rinaldo, si perdono infatti dietro alla bellissima Angelica, e gli infedeli possono così penetrare a Parigi.
Il ritorno in campo di Rinaldo costringe però i saraceni alla ritirata ad Arles e poi alla sconfitta in una battaglia navale. Caduta anche Biserta, capitale del regno d’Africa, le sorti della guerra sono affidate ad una sfida tra i tre migliori guerrieri mori (Agramante, Gradasso e Sobrino) e i tre campioni cristiani (Orlando, Brandimarte e Oliviero) sull’isola di Lampedusa.
Orlando sbaraglia i nemici e assicura la vittoria a re Carlo Magno.
filone amoroso:
La tematica sentimentale è spesso intrecciata con quella militare, tanto da condizionare in più occasioni lo sviluppo delle battaglie e i duelli tra i singoli cavalieri.
Tutto ha inizio durante l’assedio di Parigi; Angelica, ambita sia da Orlando che da Rinaldo, è affidata da re Carlo a Namo di Baviera, con la promessa di darla in sposa a chi si dimostrerà più valoroso nello sconfiggere i mori. La fanciulla riesce però a fuggire, inseguita da molti guerrieri di entrambi gli schieramenti. La ragazza, dopo alcune traversie, incontra un giovane fante saraceno ferito, il bellissimo Medoro, di cui si innamora e con il quale fugge in Catai.
Orlando, giungendo in seguito nel bosco sui cui alberi la coppia aveva inciso scritte che celebravano il loro amore, impazzisce e si dà alla devastazione di tutto ciò che incontra. Il paladino, con la mente offuscata dalla gelosia, si aggira per la Francia e la Spagna, fino ad attraversare lo stretto di Gibilterra a nuoto.
Nel frattempo il guerriero Astolfo, dopo aver domato un ippogrifo, vola sulla Luna, dove ritrova in un’ampolla il senno perduto di Orlando.
Dopo aver attraversato l’Africa e aver compiuto mirabili imprese, Astolfo fa odorare l’ampolla a Orlando, che torna in sé e rientra in combattimento.
Altri amori “secondari” sono quelli tra Zerbino e Isabella e tra Brandimarte e Fiordiligi.
filone encomiastico:
La terza linea narrativa, quella encomiastica, riguarda Ruggiero, guerriero saraceno, e Bradamante, sorellastra di Rinaldo e cugina di Astolfo.
I due, che si amano ma che sono continuamente divisi dal susseguirsi degli eventi e delle battaglie, sono presentati come i capostipiti della famiglia d’Este, che, per via di Ruggiero, discenderebbe così addirittura dalla stirpe troiana di Ettore.
L’amore tra i due è innanzitutto ostacolato dal mago Atlante, che vuole evitare le nozze tra i due perché sa, in seguito ad una profezia, che il figlio adottivo Ruggiero è destinato a morire se si convertirà alla fede cristiana e sposerà Bradamante. Il guerriero viene quindi imprigionato in un castello incantato creato appositamente dal mago. Ruggiero è poi trattenuto sull’isola della maga Alcina, che lo seduce con le sue arti di strega.
Liberato da Astolfo da un secondo castello magico, Ruggiero può recarsi con Bradamante in Vallombrosa per convertirsi e sposare l’amata, ma il tutto è ulteriormente rimandato dalla guerra con i saraceni. Concluse le ostilità, si scopre che Bradamante è stata promessa a Leone, figlio di Costantino ed erede dell’Impero romano d’Oriente.
Dopo un duello tra Bradamante e Ruggiero (che combatte sotto mentite spoglie per non farsi riconoscere), Leone rinuncia a lei, così che si possa finalmente celebrare il matrimonio. Rodomonte irrompe però al banchetto nuziale, accusando Ruggiero d’aver rinnegato la sua fede; il capostipite della dinastia degli Estensi, dopo un acceso duello, lo uccide.
stile del furioso:
- Intorno a questi tre nuclei narrativi, ruotano vicende e personaggi minori e digressioni, abilmente intrecciati tra loro e con le storie principali secondo la tecnica dell’entrelacement, che serve appunto ad “intrecciare” vicende, tempi, spazi e personaggi del poema, stuzzicando l’attenzione del lettore (o dell’ascoltatore) del poema e favorendo il progredire delle vicende.
- A condire il tutto c’è poi l’ironia ariostesca, che, secondo un atteggiamento già visto nelle Satire, riporta ad un senso di misura le passioni e gli eventi umani, su cui spesso cala un divertito giudizio d’autore.
Costante è la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia, valori tipicamente rinascimentali da cui traspare pure la visione del mondo di Ariosto e la sua ricerca, evidente anche nelle vicende autobiografiche, di un’esistenza tranquilla da dedicare agli affetti famigliari e alla letteratura. - La ricchezza delle fonti ariostesche (dalla tradizione dei poemi cavallereschi e dei cantari medievali sino ai modelli classici di Omero, dell’Eneide di Virgilio o della Tebaide di Stazio, senza dimenticare le Metamorfosi ovidiane) si riflette in uno stile limpido ed elegante, che porta l’ottava narrativa al massimo delle sue possibilità espressive.
- Contesto europeo: Erasmo, l’Elogio della Follia. La follia come forma di saggezza, come metis (diversa dal logos).
- Ariosto vede la poesia come celebrazione di alti ideali.
- I personaggi erelazionali, senza spessore psicologico (al contrario ad esempio dei personaggi della Gerusalemme Liberata di Tasso), esclusivi motori della narrazione.
- La Narrazione come vera protagonista.
- Le tecnica dello straniamento» (sconvolgimento della percezione abituale della realtà, al fine di rivelarne aspetti nuovi o inconsueti) per ottenere l’ironia: di situazione o di linguaggio.
- I temi: l’amore che rende furiosi, la follia (Hercules Furens di Seneca), l’avventura, le donne, i cavalieri e le armi (legame con il V canto dell’Inferno)
- Il “meraviglioso” naturale: che entra nel quotidiano
Ex. Furioso IV 2 5-8
In un ambiente comune e normale come un’osteria, dalla finestra si vede passare un ippogrifo. - il narratore è come partecipe della stessa passione amorosa che rende folle Orlando. Come già nelle satire dunque il narratore assume una voce interna e complanare alle vicende che racconta, descrivendosi come toccato dall’instabilità delle passioni che è proprio di tutti gli uomini. A questa figura Ariosto affida anche formidabili interventi sulla realtà contemporanea. L’esplosione della pazzia di Orlando è del resto solo il punto estremo di una passione che coinvolge molti altri personaggi e, lo si è visto, lo stesso narratore; è cioè il culmine di una condizione universale di follia che trova una potente metafora con valore strutturale del secondo castello di Atlante nel canto 12, nel quale tutti i personaggi inseguono all’infinito gli oggetti dei propri desideri.
- Nell’ultima parte del poema un rilievo maggiore viene assegnato alla dimensione religiosa: il recupero del segno di Orlando, la vittoria delle truppe di Carlo sono Infatti inserite all’interno di un disegno governato dalla Provvidenza.
metrica:
L’Orlando furioso è un poema in endecasillabi ( versi di undici sillabe) raggruppati in strofe da otto versi (ottave), di cui i primi 6 a rima alternata ( AB) e gli ultimi 2 a rima baciata (CC). Nell’ultima edizione conta 46 canti di diversa lunghezza.
Ariosto aveva avuto modo di conoscere l’ottava narrativa (cioè prettamente ‘discorsiva’ al contrario dell’ottava lirica, come è invece quella delle Stanze di Polizano) alla corte Estense attraverso la tradizione dei cantari (Cantare di Florio e Biancifiore, ripreso da Boccaccio nel Filoloco);
sull’‘Orlando Innamorato’:
L’Orlando innamorato, composto a partire dal 1476 circa e pubblicato nel 1483, è un poema cavalleresco nato dalla penna di Matteo Maria Boiardo. L’opera, secondo il progetto dell’autore, avrebbe dovuto svilupparsi in tre libri, ma solo i primi due sono completi.
Le vicende dell’Orlando innamorato vengono elaborate dal Boiardo durante la sua permanenza alla corte estense e, come dedicatario del poema, troviamo infatti Ercole I d’Este.
Già il titolo dell’opera ci indica i modelli adottati dall’autore, che sintetizza così il ciclo carolingio (opposto al ciclo arturiano, nordico), ponendo come protagonista del proprio scritto l’eroe carolingio Orlando, con quello bretone, da cui deriva la preminenza del tema amoroso.
Novità rivendicata dal Boiardo è quella di presentare tutti i paladini di Carlo Magno, e in particolare il più virtuoso fra tutti, Orlando, come innamorato.
All’inizio del primo libro dell’Orlando innamorato ci troviamo alla corte di Carlo Magno durante i festeggiamenti di un torneo tra cavalieri. Qui giunge la bellissima principessa del Catai Angelica, accompagnata dal fratello Argalìa.
Angelica e il fratello Argalìa, figli del re del Catai, vogliono uccidere i cavalieri di Carlo Magno. Per questo, durante il banchetto, promettono che Angelica sposerà colui che riuscirà a battere il fratello.
Argalìa decima i cavalieri di Carlo Magno grazie alle sue armi magiche, ma viene sconfitto dal saraceno Ferraù.
Angelica, che non vuole sposare Ferraù, scappa in Oriente inseguita da due cavalieri innamorati di lei, Orlando e il cugino Ranaldo.
Durante il viaggio però, Ranaldo e Angelica bevono da una fonte magica, che fa lei innamorata di lui e Ranaldo disinnamorato.
Dopo poco Angelica torna in patria, dove si rifugia nella fortezza di Albraccà, dove verrà assalita dal cavaliere Agricane, poi difesa da Orlando e Sacripante (Orlando lo uccide, ma Agricane prima di morire si converte al cristianesimo). Verrà raggiunta da Ranaldo e Orlando.
Per evitare che Orlando uccida Ranaldo, di cui era innamorata, Angelica manda Orlando in missione.
Mentre la Francia è in guerra contro Agramante e Marsilio , Angelica torna in patria, dove ribeve l’acqua magica con Ranaldo.
Sacripante, re saraceno, è convinto che, mentre si trovava momentaneamente in Oriente mandato dal padre di Angelica, Galafrone, a chiedere aiuto ai re della zona, Orlando abbia preso la donna da lui amata.
Ranaldo e Orlando sono entrambi innamorati di lei, ma per porre fine alla questione Carlo Magno la affida al vecchio Namo, duca di Baviera, promettendola in sposa a chi dei due avrebbe ucciso più Mori. Il terzo libro dell’Innamorato non sarà mai concluso.
L’Orlando Furioso parte proprio da Angelica che scappa (poichè Namo era stato imprigionato e quindi lei era stata lasciata incustodita).
Ariosto, nello scriverlo, attinge sia al ciclo carolingio per le tematiche, e sia dal ciclo arturiano, per gli aspetti magici e fantasiosi.
sul ‘400: secolo senza poesia:
Spesso il 400 viene definito “secolo senza poesia” (ex. da Benedetto Croce) poichè successivo all’epoca d’oro di Dante e Petrarca, ma in realtà non solo il 400 presenta una vasta produzione poetica, ma anche filologica (ex. Valla con il Nuovo Testamento, La falsa Donazione di Costantino, che gli costò anche un processo all’Inquisizione).
In realtà bisogna riscrivere questo secolo pensando alla sua modernità.
Esempio di poeta classicista del 400 è Guarino Veronese; ma in questo secolo fioriscono ovviamente anche altre arti (ex. l’architetto, scultore e autore Leon Battista Alberti).
L’arte del teatro ad esempio rinasce principalmente grazie ad Ariosto, le cui opere hanno le radici nella Ferrara del 400. (Ex. viene riscoperto Plauto e Terenzio) Guardiamo ad esempio gli “Spectacula di Pellegrino Prisciani” (trattato di teoria registica teatrale).
Inoltre in questo periodo nasce il fenomeno della “volgarizzazione”, ovvero la traduzione in volgare di opere classiche latine o greche così da renderle fruibili a tutti.
la prima idea del Furioso:
Il primo accenno al Furioso lo dobbiamo a un amico di Ariosto, Celio Calcagnini; Egli descrive nella sua “Equitatio” che in una brigata, fra vari discorsi filosofici, si chiede ad Ariosto di dare qualche anteprima del poema che andava componendo:
egli dice che il poema “mi ha consumato tutto il cervello” (rischio preannunciato nel proemio del poema Fur. 12); si rammarica però di aver profuso il suo impegno poetico per «gallicanae ambubaiae»> (vagabonde muse francesi = letteratura d’oltralpe, contrapposte alle muse alte rappresentate dalla cultura classica) e «circumforanea argumenta» (argomenti per un pubblico di piazza/opere destinate a un consenso popolare);
si trova a un bivio fra cultura umanistica e filologica (La poesia di Ariosto è profondamente intrisa della cultura classica, come è ovvio data la Ferrara del 400) e narrativa romanzesca volgare; le due realtà erano già state unite nell’ “inventio” di Boiardo (autore dell’Orlando innamorato ; oltre che continuare il poeta di Boiardo, nella sua Inventio Ariosto riprende l’idea di Boiardo, cioè il far convivere in una stessa opera la poesia francese e quella classica).
Abbiamo poi una lettera del 1507 scritta da Isabella d’Este e Gonzaga da Mantova, per ringraziare il fratello Ippolito di un dono inatteso.
Per distrarla nelle lunghe giornate in cui è costretta a letto per via di una gravidanza difficile, Ippolito le ha inviato uno dei poeti al suo servizio: Ludovico Ariosto.
La lettera ci racconta come, per due giorni, Ariosto abbia intrattenuto la marchesa raccontando l’opera che stava componendo.
l’importanza di Leon Battista Alberti:
Alberti è il primo umanista a pensare al teatro come una dimensione simbolica della vita reale; nelle sue opere latine infatti, Alberti utilizza la parola “persona” come “maschera”, poiché egli in un certo modo preannuncia la dimensione pirandelliana dell’esistenza umana come un insieme di maschere, che si scioglie solo quando l’uomo muore.
Nelle sue commedie egli riprende Plauto, dimostrando che il sapere (“le scienze”) sia l’unico modo per attraversare la vita, che è precaria (preannuncia Leopardi).
Alberti fu spesso a Ferrara (città in cui Ariosto vivrà dal 1482), stringendo amicizie alla corte estense. Nei suoi trattati, egli conciliava il sapere matematico, pittorico, architettonico etc.
cosa resta quindi di autografo del Furioso?
Rimangono manoscritte solo 59 carte del grande lavoro di revisione e correzione del decennio precedente all’ultima edizione, conservate a Ferrara nella Biblioteca comunale Ariostea e, in minima parte, nella Biblioteca Nazionale di Napoli e nell’Ambrosiana di Milano.
Frammenti che compongono i materiali di lavoro dei nuovi episodi che Ariosto vuole aggiungere alla terza e ultima edizione del poema pubblicata nel 1532.
Materiali che fanno crescere il poema di altri sei canti: da 40 a 46.
Essi sono episodi che, nelle centinaia di ottave del Furioso, non sono altro che ulteriori digressioni sulle vicende dei Paladini.
La prima parte del manoscritto contiene la storia di Olimpia.
Un’ulteriore testimonianza del complesso e tormentato lavoro di costruzione del capolavoro ariostesco sono i cosiddetti Cinque Canti, in cui sono narrati alcuni foschi episodi - stilisticamente e tematicamente dissonanti rispetto al poema, trattanti il tema dei maganzesi (stirpe nemica a Carlo Magno) - che furono esclusi per via del loro contenuto da tutte le edizioni del Furioso (controversa è la loro datazione) pubblicati postumi, dal figlio dell’autore, Virginio, presso gli eredi di Aldo Manuzio (1545).
Si è a lungo discusso dei rapporti fra i ‘cinque canti’ e il poema: una prosecuzione? un blocco narrativo da inserire all’interno del poema?
il testo critico del Furioso:
Il testo critico dell’Orlando Furioso, rispettando l’ultima volontà dell’autore, si è basata sull’edizione del 1532 nell’edizione critica curata da Santorre Debenedetti e Cesare Segre che riporta a testo l’ultima redazione C (1532) e, in un apparato genetico (fascia posta sotto il testo), le lezioni superate delle edizioni del 1516 (A) e del 1521 (B).
la storia di Olimpia:
Le carte raccontano l’inizio del 9° canto: Orlando si è appena travestito per andare a cercare Angelica nell’accampamento dei Mori senza però riuscire a trovarla.
Per dare l’idea di una ricerca in ogni dove, e le prime due edizioni Ariosto aveva scritto un’ottava che riassumeva in poche righe un tempo lunghissimo: La ricerca, si leggeva, prosegue per tutto l’inverno e poi nella primavera ma ciò che Orlando fa in questi mesi rimane fuori dal racconto.
Quando decide di aggiungere pezzi per la nuova edizione, Ariosto sceglie di riempire con lo spazio narrativo con la storia di Olimpia, riflesso deformato di Angelica.
La vicenda si articola per decine di ottave, distribuite inoltre 3 canti.
Ariosto la costruisce in modo da dare, in principio, illusione di una storia d’amore di cui si vedrà presto il lieto fine.
Orlando, giunto in una zona fra la Bretagna e la Normandia, chiede aiuto a una donzella per passare un fiume in piena.
La donzella, in cambio, chiede a Orlando di portare aiuto a Olimpia, sua signora e contessa dolanda
Così Orlando, credendo che Angelica sia stata rapita dagli stessi che tengono prigioniera Olimpia, decide di salvarla.
Ciò serve anche a tenere ancorato questo episodio alla tensione che attraversa l’intero poema.
In un monologo Olimpia racconta la sua sventura: è la storia classica di un amore contrastato per ragioni di potere.
Olimpia, figlia del conte d’Olnda, vuole sposare Bireno ma è richiesta in moglie dal re di Frisia, Cimosco, per il proprio figlio.
Il rifiuto di Olimpia scatena la guerra: Cisco fa prigioniero Bireno e minaccia di ucciderlo se Olimpia non si consegnerà a lui.
Olimpia indifesa viene soccorsa da Orlando mentre è vittima di una nuova invenzione che flagella gli uomini: l’archibugio.
Per risolvere il problema dell’assenza del fucile nel resto del libro, Ariosto lo fa buttare in fondo al mare e così lo fa sparire dalla faccia della terra.
Infatti il fucile altererebbe gli equilibri del coraggio e della valenza su cui si basa il mondo cavalleresco ed è quindi bene che scompaia.
Nel fascicolo successivo successivo, che rappresenta la parte più delicata poiché la fragilità della carta non ha tenuto la rilegatura e i fogli sono staccati, la scrittura si distende su ogni porzione possibile: procede dall’alto verso il basso ma anche in altre direzioni.
Essi erano probabilmente fogli di riuso, per fissare ciò che balena per un momento nella mente.
Ciò che scrive qui è l’ultimo segmento della storia di Olimpia. Le prime ottave si ricollegano alla scena di Orlando che getta il fucile in acqua.
Servono per raccontare come quella diabolica invenzione sia tornata a essere uno strumento di guerra dopo essere stata sepolta per secoli nel fondo del mare.
Cancella e riscrive più volte, sotto le cancellature gli aggettivi si sostituiscono gli uni agli altri in una ricerca che Indaga le possibilità verbali del negativo.
Nelle ottave successive Ariosto scrive una scena che ripete, a breve distanza, uno dei momenti più sensuali di tutto il poema: Angelica legata nuda allo scoglio, pronta per essere divorata, che viene liberato da Ruggero dopo un combattimento contro l’orca Marina.
Una scena che il lettore a letto nel canto precedente, l’ottavo. Un doppio, insomma.
Lo scoglio è lo stesso di regolare stessa l’immagine sensuale del corpo nudo legato alla pietra, ma invece di Angelica c’è Olimpia e invece di Ruggiero c’è Orlando.
In basso al foglio è possibile leggere anche schegge, pezzi diversi che poi verranno sviluppati in seguito. E’ forse, in tutto lo scritto, la zona più primitiva della scrittura: quella del primo oggetto.
differenze Boiardo e Ariosto:
- Boiardo: NOSTALGIA per i valori perduti.
- Nel Furioso di Ariosto: l’IRONIA prende il posto della malinconia.
Il rapporto con il riso filosofico di Leon Battista Alberti e la centralità del «comico» nella visione della complessità del mondo. - se l’Orlando di Boiardo è un eroe perfetto, senza macchia, come era tipico nei poemi cavallereschi, quello di Ariosto, dall’essere per tradizione l’eroe più valoroso di tutti, impazzisce, è furioso, cosa che lo rende ancora più interrssante agli occhi del lettore.
Calvino e Ariosto:
Calvino scrisse una riscrittura dell’Ariosto, e dell’opera afferma che:
* al contrario ad esempio di Dante, Ariosto non si pone obblighi di simmetria per quanto riguarda le strofe (ex. Ariosto utilizza anche l’espediente della coplas capfinidas, cioè l’ultima parola di una strofa è uguale a quella della strofa dopo )o per il numero di canti, e nemmeno per i numero o la varietà di registri utilizzati o per la ripetizione delle tematiche.
* Calvino poi esalta l’ironia
la propensione al gioco di Ariosto, che è tanto importante quanto gli altri aspetti della letteratura.
l’Ariosto diplomatico: le lettere:
Ariosto fu anche un autore pratico, oltre che letterario, cioè si occupa anche di problemi ad esempio politici.
Le sue lettere (214 in totale (213 in volgare e 1 latina, scritta all’editore Aldo MAnuzio), collocate fra il 1509 e il 1525;
Nell’archivio di Stato di Modena ne sono conservate 61) sono da considerarsi missive dal carattere estemporaneo e contingente che nascono dalla magmatica urgenza degli eventi, e non lettere che formano un epistolario umanistico o letterario esemplato sul modello petrarchesco (ad esempio quello di Pietro Bembo).
Per questo motivo, Ariosto non scrisse le sue lettere con lo scopo di consegnarle ai posteri (e per questo sappiamo che le sue lettere contengono fatti veritieri e non ad esempio idealizzati, inoltre spesso sono presenti riferimenti impliciti a luoghi i situazioni che a distanza di 500 anni non riusciamo a comprendere).
Scrisse le sue lettere in veste di”officiale” di Alfonso I d’Este, ad esempio verso Giulio II e Leone X.
Antonio Cappelli, nominato vice-direttore della Biblioteca estense (8 marzo 1860), iniziò a reperire la maggior parte delle carte che oggi compongono il corpus ariostesco conservato nel fondo Cancelleria, Archivio per materie, Letterati.
Con il progredire delle scoperte documentarie, Cappelli incomincia a pubblicare le lettere con edizioni e scritti a cadenze ravvicinate (1862, 1864, 1866, 1868, 1875, 1887) che testimoniano quanto grande sia l’interesse del tempo per Ariosto e con quanto desiderio letterati ed eruditi accedono alle carte estensi dopo il periodo della Restaurazione.
In tempi recenti (1965, 1984) il filologo Angelo Stella ha prodotto accurate edizioni critiche inserendo alcuni inediti, anch’essi confluiti nel faldone ariostesco.
Esso è attualmente composto di 61 carte autografe, includendo sia le lettere firmate da Ariosto, sia quelle vergate di sua mano come segretario, comprese tra il 1505 e il 1524.
Epistolario
1: Epistola ad Aldo Manuzio: 1498
2: Commendatizia di Ippolito: 1505
3-9: Guerre e Missioni Diplomatiche: 1509-10
10-29: extravaganti sull’attività letteraria 1511-20;
30-186: Garfagnana
187-214: attività letteraria dell’ «Ultimo Ariosto» 1531-32
I temi delle epistole sono gli stessi delle Satire (Ex. Satira I; in questa Satira Ariosto spiega di rifiutarsi di accompagnare Ippolito d’Este in una missione).
Ariosto e i cani (epistola 4):
Ferrara, 22 ottobre 1509, al cardinale Ippolito d’Este (poichè Ariosto, in quanto segretario di Ippolito d’Este, doveva render conto di cosa accadeva a Ferrara in quek periodo)
Ariosto informa Ippolito di una sua visita al cardinale Giuliano Cesarini (abate di Nonantola dal 1505 al 1510). In questa occasione il “fedele servitore” racconta di essersi sentito obbligato a donare all’illustre ospite la sua bracca, cagna di grande bellezza e di razza, per preservare il bellissimo levriero che apparteneva al maestro di stalla di Ippolito, su cui si era posato lo sguardo del porporato cinofilo. Si riporta poi la notizia di un duello d’onore che dovrebbe avvenire tra due siciliani, Marino da la Maitina, lo zio di una fanciulla sedotta di cui si sono dissipati i beni, e il presunto genero, Francesco Salamone (che aveva partecipato alla disfida di Barletta e che sarà capitano alle dipendenze del Guicciardini). Si rileva anche l’insorgere a Ferrara di un malcontento popolare per le imposte che vengono inflitte dal Duca.
«Son rimaso senza un soldo»> (epistola 10):
Ariosto rivolge un’accorata preghiera ai due segretari del cardinale Ippolito perché convincano Sua Signoria a pagargli lo stipendio dovuto per l’anno 1509, o almeno provvedano a risarcirlo con roba.
Egli infatti ha dovuto saldare alcuni debiti ed è «rimasto senza un soldo»>. Necessita di abiti nuovi per non dover portare anche in estate l’unico abito invernale e tornare a Parma con l’usurata veste di cuoio («buricco de coro») suscitando l’ilarità generale («darei troppo a tutti vuj che ridere»). Raccomanda tuttavia che questa richiesta sia coperta dalla massima discrezione e non diventi di dominio pubblico, suggerendo per questo ai due destinatari di utilizzare un messaggio cifrato (espressione cifrata=frase di senso compiuto che significa qualcos’altro) nella loro responsiva per comunicargli le decisioni del Cardinale.
Da rilevare anche un’espressione («mettere al muro») che verrà ripresa nelle Satire (II 186).
Dato che la lettera è rivolta ai suoi pari, il tono ed il linguaggio è intrinseco di autoironia.