16) manuale Flashcards

1
Q

le origini della letteratura in volgare:

A

La letteratura italiana conosce i primi testi di ampia rilevanza culturale solo nel 13° secolo.

Essa ha un lento avvio seguito però da una crescita repentina, tanto che assumerà il ruolo di guida nell’intera cultura europea già alla fine del Duecento.

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2
Q

ispirazioni della prima letteratura volgare:

A

E’ sicuramente fortemente ispirata dalla letteratura latina sia per generi che per temi e della letteratura francese, sia in lingua d’oil per I poemi del ciclo carolingio e i romanzi arturiani, che della letteratura provenzale in lingua doc, soprattutto sul versante della lirica, con la poetica dei trovatori.

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3
Q

le prime testimonianze poetiche:

A

Il versante della lirica è sicuramente quello che conosce la maggiore ricchezza nella letteratura del 200.

Le prime testimonianze poetiche italiane si ritrovano sempre incorporate in contesti latini, all’interno di altre opere o copiate assieme a documenti pratici, per cui si parla di ‘TRACCE’, tutte riprendendo modelli galloromanzi.

Il primo documento vero e proprio della lingua italiana, considerato un testo poetico, è l’indovinello veronese (8°- 9° secolo), cioè parole di difficile decifrazione e di lingua dubbia trascritte su una pergamena ritrovata a Verona (alcuni pensano che si tratti di un primo tentativo di scrivere in volgare italiano, altri pensano che sia una forma di latino meno corretta).

Le prime tracce certe del volgare compaiono solo 3 secoli dopo, tra fine 12° e inizio 13° secolo compaioni i ritmi cioè testi di argomento religioso caratterizzati da ‘anisosillabismo’, o irregolarità del verso, legati al mondo giullaresco (ex. Ritmo di Sant’Alessio).

Nell’Italia del Duecento la poesia più rilevante è però quella amorosa.

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4
Q

la prima poesia d’amore e la poetica dei ‘trovatori’:

A

I ritmi appartengono prevalentemente a una tradizione didattica e religiosa.

Fino alla fine del secolo scorso si riteneva che le prime poesie profane di argomento amoroso composte in Italia fossero riconducibili alla Scuola Siciliana.

Questo fino a quando non venne pubblicata alla fine del secolo scorso la canzone ‘quando eu stava’, probabilmente copiata fra il 1180 e il 1210.
La lingua non è precisamente localizzabile, Infatti convivono tratti settentrionali e tratti dell’Italia mediana.
La canzone riprende integralmente i modelli della poesia dei trovatori, come ad esempio per il fatto che la donna sia rappresentata come un essere superiore nella scala gerarchica e padrona del poeta, e il rififerimento esplicito alla curtisia, parola chiave dei trovatori che sta a indicare il ‘complesso delle virtù cortesi’.

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5
Q

sulla prosa delle origini:

A

Per quanto riguarda la prosa la retorica è un tema centrale, come ad esempio dimostra Brunetto Latini, autore di una ‘Rettorica’ che è per larghi tratti è una riscrittura del ‘De Inventione’ di Cicerone.

Di Brunetto abbiamo poi il Tresor in lingua d’oil e infine, simbolizzando il passaggio al volgare, il Tresor volgarizzato, Il Tesoretto.

I volgarizzamenti si sviluppano sia sul versante dei racconti della storia antica e della classicità greco-latina, sia sul versante del patrimonio cavalleresco.

Opera importantissima di fine ‘200 è Il Milione, nato dalla collaborazione tra la voce di Marco Polo e la trascrizione di Rustichello da Pisa.

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6
Q

dalla fase ‘preistorica’ alla fase ‘storica’: i canzonieri:

A

A questa fase che si può definire preistorica, cioè la fase delle tracce, segue una fase storica, nella quale ci sono noti con certezza autori tempi e luoghi.
Alla fine del Duecento, in parallelo con la piena affermazione del volgare come lingua di comunicazione e di cultura, si assiste soprattutto in Toscana a un primo processo di selezione e di conservazione della produzione poetica italiana dalle origini : nascono i ‘Canzonieri’, cioè alcune raccolte manoscritte in cui vengono copiate centinaia di componimenti che vanno dall’inizio del ‘200 agli anni in cui sono attivi i copisti stessi.

Il più antico è il banco rari 217 conservato a Firenze.

Tuttavia i più importanti sono tre manoscritti che ci permettono di identificare tre fasi distinte dei primi secoli della poesia italiana:
1. il Vaticano latino 3793, della Biblioteca Apostolica Vaticana rappresenta l’evoluzione della poesia duecentesca dalle origini agli autori della generazione immediatamente precedente a quella di Dante
2. il Laurenziano Redi 9, monografico per la maggior parte, cioè dedicato principalmente a un singolo autore, Guittone D’Arezzo.
3. il canzoniere Chiggiano L 8 305, della Biblioteca Apostolica Vaticana, che riflette un mutamento di gusto e celebra i rimatori che secondo Dante stesso hanno rinnovato radicalmente la poesia italiana: gli stilnovisti.

Ovviamente non è detto che tra la fase delle tracce è quella dei Canzonieri ci sia stata una frattura netta.

I tre principali Canzonieri hanno probabilmente una discendenza comune, la quale è evidente sia dal confronto con i contenuti dei manoscritti e sia dalla lingua in cui i testi sono stati trascritti.
Sappiamo infatti che i poeti siciliani si erano espressi usando un siciliano illustre, mentre le poesie presenti nei tre Canzonieri sono copiate in lingua Toscana.

Ciò vuol dire che il monoscritto perduto che è all’origine dei tre Canzonieri era stato trascritto da un pompista di origine Toscana che ha tradotto i testi dei siciliani nel suo volgare.
Questo è il fenomeno di ‘adattamento’. il fenomeno più rilevante generato da questo processo è la cosiddetta rima siciliana (rima di “i” con “e” chiusa (“morire” e “cadere”) e di “u” con “o” chiusa (“distrutto” e “sotto”)).

I documenti quindi ci trasmettono il massima parte dei testi la cui veste linguistica non corrisponde a quella originale.
Esistono tuttavia delle deboli tracce di circolazione di poesia siciliana slegate dai canzonieri, come la canzone di Re Enzo, figlio naturale di Federico II, ‘s’eo trovasse Pietanza’.

Non è possibile invece ricostruire con esattezza il siciliano illustre che devono aver utilizzato i poeti della Scuola. I siciliani vanno quindi letti necessariamente nella forma già toscanizzata trasmessa dai tre canzonieri.

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7
Q

La Scuola Siciliana:

A

La proposizione inaugurale della lirica volgare è assegnata tradizionalmente alla poesia che matura intorno alla corte di Federico II di Svevia (re della Sicilia e successivamente imperatore del Sacro Romano Impero) e all’ideologia della amor cortese e della la struttura gerarchica che lo caratterizza: la lirica della corte federiciana è il prodotto dell’elaborazione raffinata di una schiera di funzionari di corte che si dedica in modo esclusivo alla tematica amorosa e che produce un patrimonio di testi fondativo sotto l’aspetto metrico e stilistico.

Caratteristiche sono sicuramente la scelta di uno stile alto, con la pratica del siciliano illustre, e la nascita della forma sonetto, attribuita a Iacopo da Lentini. a parte rare eccezioni la poetica siciliana ci è nota attraverso alcuni preziosi manoscritti antichi entro le quali le liriche sono presenti in una veste già toscanizzata.

La lirica si allarga tematiche non esclusivamente amorose grazie a Guittone D’Arezzo che apre la strada alle tematiche civili e politiche, è Interpreta anche in forma diversa la poesia amorosa, fuori dall’ideologia cortese abbracciando un’intonazione morale e religiosa
Per questo motivo Guittone rappresenta un davvero un modo nella poesia duecentesca, attraverso il quale passano le generazioni successive.

(Dal modello di Guittone si distaccano per toni e per temi i primi esponenti dello Stilnovo, come Guinizelli Cavalcanti e Cino. Accanto alla poesia alta degli stilnovisti si registra poi la poesia comico-realistica di rustico Filippi e di Cecco Angiolieri.)

I Siciliani riprendono poi lo strumento del dialogo, che per i poeti occitani è per lo più la cobla, o strofa. I trovatori si scambiano infatti coblas che si organizzano in tenzoni.

Le tenzoni siciliane sono quindi dei dibattiti sull’amore.
Nei siciliani vi è inoltre uno spiccato interesse per la fenomenologia amorosa, nel senso che la poesia dei siciliani a parte rare eccezioni e del tutto spersonalizzata. I poeti sembrano più interessati alla rappresentazione degli aspetti universali dell’amore, e non di un singolo amore.

Le forme metriche principali della poesia siciliana solo la canzone e il sonetto.

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8
Q

nascita del sonetto:

A

Sono state offerte molteplici spiegazioni della nascita del sonetto, attribuita a Giacomo da Lentini (notaio attivo alla corte di Federico II, uno dei primissimi poeti della scuola e certamente il più influente). La più convincente è quella che la lega alla cobla sparsa dei trovatori: la cobla, invece di formare con altre cobles una canzone e cioè usata isolatamente come un breve testo lirico.
A differenza della poesia occitana non vi è però alcuna traccia di musica o melodie legate ai testi della Scuola Siciliana.

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9
Q

il registro umile della scuola siciliana:

A

Nel canzoniere Vaticano latino 3793 troviamo il contrasto ‘Rosa fresca aulentissima’ di Cielo d’Alcamo.

Si tratta di un contrasto, cioè un dibattito in versi tra un ‘canzonieri’, cioè un giullare, e una ‘villana’, cioè una donna di campagna.

Secondo uno schema diffuso anche nel genere della pastorella, il personaggio maschile corteggia la donna che è inizialmente ritrosa e che alla fine cede.

Il rapporto fra ‘rosa fresca aulentissima’ e la scuola siciliana non è chiaro: è infatti difficile valutare se l’uso del registro comico corrisponde a una scelta stilistica simile a quella operata dai trovatori che scrivono una pastorella, abbandonando temporaneamente il registro cortese, o se il componimento appartenga a una tradizione diversa del tutto o in parte slegata da quella rappresentata da Giacomo da Lentini e altri.

A prescindere però si nota quindi la compresenza all’interno del canzoniere Vaticano, del registro alto normalmente riservato alla poesia amorosa e di quello basso più tipico della tradizione comico-realistica.

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10
Q

diffusione della Scuola Siciliana: dalla Sicilia alla Toscana:

A

La scuola siciliana ebbe una rapida influenza e diffusione in tutta la penisola, forse in parallelo con le vicende politiche di Federico II e dei suoi eredi.

Benché non si possa escludere che siano esistite tradizioni poetiche indipendenti dal modello dei siciliani, è certo che nel giro di pochi anni molti rimatori adottarono i generi metrici, il vocabolario e lo stile di Giacomo da Lentini e dei suoi solidali.

Si sviluppa quindi la tradizione poetica volgare e i centri più attivi sono Bologna e la Toscana.
I poeti più importanti di questa fase storica sono Guido Guinizzelli, definito da Dante ‘padre’ e ritenuto comunemente il precursore dello Stilnovo, Guittone D’Arezzo e il notaio Bonagiunta Orbicciani.

Quest’ultimo ebbe un ruolo centrale nel processo di acquisizione del modello siciliano in Toscana. Poiché da un lato i suoi componimenti sono prossimi a quelli della scuola siciliana, dall’altra influenza in maniera profonda i poeti toscani per danteschi e anticipa alcune innovazioni stilnovisti.

Tra questi due fasi si può nell’esperienza poetica di Guittone D’Arezzo, il più importante e influente rimatore del Duecento prima di Dante.

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11
Q

Guittone D’Arezzo:

A

Guittone D’Arezzo è giudicato spesso da Dante in maniera negativa, giudicandolo ‘antico’ rispetto al modo di fare poesia dei moderni, = Dante stesso, Guinizzelli e Cavalcanti.

Tuttavia anche Dante gli deve molto per alcune soluzioni stilistiche giovanili e anche per la scelta di cantare argomenti morali.

Il manoscritto preservato presso la biblioteca laurenziana di Firenze con la segnatura Redi 9 è una raccolta di poeti siciliani e toscani costruita attorno alla figura centrale di Guittone.
Nel Laurenziano troviamo da un lato i testi di carattere morale e religioso di Guittone e dall’altra quelli di argomento amoroso.

Guittone fu Infatti un poeta impegnato, poiché dimostrò molto interesse per gli eventi storici e politici, nel mezzo delle lotte fra Guelfi e Ghibellini e tra papato e impero.
Infatti se i poeti siciliani utilizzavano il volgare per comporre testi che parlavano quasi esclusivamente di amore, Guittone segue più fedelmente il modello dei trovatori e introduce dal primo della poesia italiana anche la riflessione morale, politica e religiosa.
Anch’egli decise di andare in esilio, auspicando la pacificazione tra le parti.

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12
Q

il passaggio epocale: Chigi L VIII 305:

A

Il manoscritto Chigi L VIII 305 sancisce un passaggio epocale.

Il canzoniere raccoglie infatti solo nei fascicoli finali alcuni dei rimatori della scuola siciliana, copia adesposti (cioè privi dell’indicazione dell’autore) i comico-realistici e si apre invece con un gruppo di poeti che nei manoscritti più antichi erano assenti o comunque marginali: Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia e Dante Alighieri, ai quali si aggiunge Guido Guinizzelli. Sono i poeti definiti ‘stilnovisti’.

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13
Q

la definizione di Stilnovo:

A

La nostra idea di ‘Stilnovo’ dipende principalmente da Dante stesso, più precisamente dall’espressione che trae origine da passo del Purgatorio.

Ciò vuol dire che per Dante esiste un punto di snodo tra una ‘maniera antica’ di fare poesia e una ‘maniera moderna’ che ha come progenitore Guinizzelli e che trova il suo principale esponente in Dante stesso.
!uesta poesia per Dante è nuova e dolce, dolce in senso formale, probabilmente In opposizione alla sicurezza linguistica e stilistica della poesia di Guittone.
E’ poi ispirata da amore e rivendica una più esatta corrispondenza tra ciò che il poeta prova esattamente e il modo in cui si esprime. Da cui ‘Dolce Stil Nuovo’.

Tuttavia bisogna ricordare che lo Stilnovo non è un movimento letterario organizzato e che tra i vari poeti vi sono differenze notevoli. E’ Infatti un gruppo eterogeneo in cui si può distinguere il ‘padre’ Guinizzelli e coloro che verranno dopo.

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14
Q

perchè Guinizzelli è ‘padre’:

A

L’idea di Dante di chiamare Guinizzelli ‘padre’ viene probabilmente da uno scambio di sonetti fra Guinizzelli e Guittone, in cui quest’ultimo lo chiama padre.
Guido infatti metterebbe in dubbio l’autorità di Guittone ironizzando sui suoi vizi individuali e su quelli dell’Ordine dei Gaudenti.

E’un primo segno del conflitto fra antichi e moderni.
La tenzone testimonia il cambiamento in atto e il distacco di Guinizelli da Bonagiunta e dagli altri poeti della vecchia maniera come Guittone.

Guinizzelli è quindi il padre della nuova poesia che trova in Dante stesso il suo principale rappresentante.
Nella produzione di Guinizelli infatti possiamo trovare delle tematiche che avranno particolare fortuna tra gli Stilnovisti, come l’elogio della donna amata e l’amore che conduce a un rinnovamento interiore, rendendo degni di accedere a una nobiltà spirituale.

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15
Q

Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia e Lapo Gianni:

A

Guido Cavalcanti verrà condannato all’esilio dai Priori di Firenze, fra i quali figura anche Dante.
Muore probabilmente in esilio nel ‘300, lo stesso anno in cui è ambientato il viaggio di Dante nella Commedia.

Dante dedica a Guido La Vita Nova, definendolo il suo primo amico.
A un certo punto fra Dante e Guido potrebbe essersi verificata una rottura, non si sa se per ragioni politiche, filosofiche o ideologiche. Infatti sappiamo che Dante colloca l’inferno il padre di Guido fra gli eretici, alludendo forse anche a uno scetticismo dell’amico in materia religiosa.

Un tema importante nella poesia di Cavalcanti è quello dell’incapacità del poeta descrivere il fenomeno al quale assiste, ciò si vede nel suo sonetto ‘Io vo’ del ver la mia donna laudare’.

In Cavalcanti si accentua la tendenza della poesia romanza a trasferire il discorso dall’esterno, con la lode della donna e il racconto degli eventi, all’interno, cioè gli stati d’animo del poeta.
Negli Stilnovisti si nota, rispetto ai poeti precedenti, un più intenso impiego di lessico scientifico e filosofico.

Un’ultimo tema che ricorre spesso nella poesia di Cavalcanti è quello della morte, come si vede nella ballata ‘per chi non spero’, in cui negli ultimi versi il poeta si rivolge alla propria anima pregandola di onorare la donna quando si troverà in sua presenza.

Altri sinovisti contenuti nel manoscritto chigiano sono Cino da Pistoia e Lapo Gianni, entrambi elogiati nel ‘de vulgari eloquentia’ per la loro scrittura.

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16
Q

Scuola Siciliana e Dolce Stilnovo:

A
  • SCUOLA SICILIANA = sviluppatasi nella prima metà del ‘200, che prevede le prime liriche scritte in volgare italico presso la corte siciliana dell’imperatore Federico II di Svevia, imperatore che aveva voluto promuovere una rinascita di tutte le arti.
    i nomi più importanti sono Iacopo da Lentini, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, lo stesso Federico II. Per loro la letteratura è uno svago, un modo per evadere dalla realtà.
    La Scuola Poetica Siciliana si esprime nel volgare siciliano, nobilitato nelle forme e nei termini; di tale volgare possediamo però pochissime testimonianze. Lo stile è ripreso da quello della lirica provenzale.
  • STILNOVO = derivante dalla scuola siciliana, è una corrente poetica italiana sviluppatasi alla fine del ‘200, dapprima a Bologna grazie al suo iniziatore, considerato Guido Guinizelli, ma poi spostatasi a Firenze dove si sviluppò maggiormente. Di essa faranno parte anche Dante e Petrarca.
    Gli stilnovisti sono cittadini, e si percepiscono come intellettuali che cercano un posto autonomo nella nascente civiltà comunale
    Se nella scuola siciliana l’amor cortese è sì il tema centrale, ma non è mai analizzato nella sua interiorità a sempre come gioco aristocratico, nello Stilnovo sono analizzati nel dettaglio gli effetti del sentimento d’amore sull’uomo e la donna viene collocata in una posizione spiritualizzata e non più umana, con le dovute differenze.
    Viene sottolineato l’effetto nobilitante del sentimento d’amore e, ad esempio in Cavalcanti, anche la sua potenza talvolta distruttiva.
    Lo Stilnovo invece si esprime nel volgare toscano, e riprende alcune movenze del siciliano; la forza sta proprio nel nuovo stile, che è dolce e limpido, senza scontri consonantici o rime troppo complicate e impervie. Vengono evitati i termini del linguaggio colloquiale e quelli che potrebbero non risultare chiari al lettore, così come le costruzioni sintattiche troppo complesse.
    Il termine ‘dolce stil novo’ è stato introdotto da Dante nel Purgatorio.
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17
Q

convivenza fra poesia comica e genere lirico:

A

I due poli del genere tragico e del genere comico coesistono nella tradizione poetica in volgare almeno a partire dalla metà del Duecento.

La poesia comica è infatti trasmessa negli stessi grandi canzonieri della lirica cortese pre-dantesca e di quella stilnovistica.
La poesia comica non ha mai conquistato quindi una circolazione esclusiva e indipendente, confluendo sempre negli stessi canali di trasmissione della lirica aulica.

Un esempio è Rustico Filippi, il primo a dedicarsi al comico in maniera non esclusiva, ma sistematica: i suoi 58 componimenti sono divisi esattamente a metà fra liriche amorose e sonetti comici. era specializzato nell’invettiva, originaria già nelle tensioni occitane

Il tono prevalente è quello del burlesco più che della vera e propria satira; siamo poi di fronte a innocue canzonature rivolte verso macchiette, personaggi della aneddotica cittadina bersagliati per le loro debolezze psicologiche e i loro comportamenti.

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18
Q

Cecco Angiolieri:

A

Scrive invettive anche Cecco Angiolieri, il primo a consacrarsi in maniera esclusiva al comico.

Sappiamo che inviò a Dante vari sonetti, ma non sono conservati i responsivi di Dante.

La poesia di Cecco ruota intorno a pochi temi costanti che si richiamano vicendevolmente, come il lamento per la povertà, il conflitto con il padre, l’amore non ricambiato per Becchina.

Ciò naturalmente non autorizza a considerare tali confessioni come il riflesso delle vicende reali dell’autore.

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19
Q

la poesia didattica:

A

Si sviluppa anche la poesia didattica, come abbiamo prova nel manoscritto Hamilton 390, in cui troviamo ad esempio il libro di Uguccione da Lodi, un poemetto strutturato come un elenco di insegnamenti religiosi e di preghiere accompagnati dalle rappresentazioni dei cieli e dell’inferno.

Altra poesia didattica è quella di Brunetto Latini nel Tesoretto. Infatti Brunetto Latini non solo fu un maestro di retorica, ma si occupò anche di filosofia e scienza nel Tresòr (in lingua d’oil), nonché di politica.
Il Tesoretto (in volgare) è una trasposizione del contenuto didattico del tesoro in una struttura narrativa in prima persona, che probabilmente ispirerà la commedia.

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20
Q

poesia sacra:

A

Accanto alla poesia che parla di amore profano, nel Medioevo si sviluppa anche la poesia che celebra l’amore divino.
Come ad esempio il ‘Cantico delle Creature’ di Francesco.

Il Cantico è in effetti una lode a Dio e a tutto il creato sul modello dei Salmi. Per quanto riguarda la lingua, il testo contiene numerosi tratti dialettali umbri e più In generale dell’area mediana, ma anche grafie latineggianti e formule bibliche.

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21
Q

le laude:

A

In rapporto con il movimento francescano si sviluppano anche le ‘laude’ che però non avranno una forma metrica precisa fino a quando non arriverà Jacopone da Todi.
Dopo Jacopone le laude andranno a coincidere con la forma della ballata.
L’inventore della lauda di tipo Umbro Toscano è Guittone D’Arezzo.

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22
Q

La prosa: volgarizzare e tradurre:

A

Se la poesia italiana delle origini si sviluppa prevalentemente in rapporto alla tradizione dei trovatori in lingua d’oc, la nascita e l’evoluzione della prosa volgare sono invece legate soprattutto ai modelli latini e oitanici.

Si può situare la nascita della retorica in volgare a Bologna, con Guido Fava.
Va poi ovviamente citata la ‘Rettorica’ di Brunetto Latini a Firenze, in cui ciascun capitolo è strutturato in due parti: prima il volgarizzamento vero e proprio, cioè la parte di Cicerone, e poi lo ‘spoponitore’, letteralmente Brunetto che espone il testo ai lettori, cioè nient’altro che un’espansione del testo ciceroniano.

In Italia si diffondono poi i romanzi francesi attraverso volgarizzamenti, come la storia di Tristano e Isotta, riportata nel Tristano riccardiano, manoscritto contenuto nella biblioteca Riccardo Diana di Firenze.

Opera importantissima di fine ‘200 è Il Milione, nato dalla collaborazione tra la voce di Marco Polo e la trascrizione di Rustichello da Pisa.
Il Milione è il resoconto del viaggio in Oriente del mercante Marco, scritta originariamente in francese.

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23
Q

epistole e novelle:

A

Anche la tecnica epistolografica era al centro dell’insegnamento dei retorica.
Il primo epistolario della letteratura italiana è quello di Guittone D’Arezzo.

Si sviluppa anche una ricca tradizione di narrativa breve in prosa. Il capolavoro è Il Novellino, una raccolta di 99 novelle, per lo più rielaborate da fonti latine e gallo-romanize, più un prologo.
Il capolavoro della prosa duecentesca è però senza dubbio la ‘Vita Nuova’ di Dante.

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24
Q

il Trecento fiorentino:

A

Con la sequenza di capolavori dovuti prima a Dante e poi a Petrarca e Boccaccio, il Trecento rappresenta una stagione eccezionale nella tradizione letteraria.

Con la Vita Nova, già nell’ultimo decennio del ‘200, Dante realizza un’opera che determina uno scarto profondo nella tradizione orale concezione dell’amore e del ruolo della Lirica.

Attraverso la vicenda di vita e morte di Beatrice, Dante intraprende un cammino di proiezione verticale della passione amorosa su un orizzonte trascendente, ciò non toglie che a quella precedente sperimentazione lirica e letteraria, di cui avverte pure i limiti, Dante si ricolleghi assai più avanti in un passaggio decisivo della Commedia.

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25
Q

la poesia del 300 dopo le 3 corone:

A

L’esperienza petrarchesca sarà destinata a restare isolata e senza continuatori almeno fino alla fine del Trecento.

E’ invece ampia la diffusione e precoce della commedia, che porterà alla toscanizzazione della lingua della poesia e che mette nell’ombra le singole tradizioni locali.

  • Il tema amoroso non è più esclusivo e perde gran parte delle sue implicazioni ideologiche; lasciò lo spazio a temi come la politica, l’autobiografismo e la narrativa.
  • La Divina Commedia porta inoltre alla diffusione del genere allegorico didascalico.
  • assistiamo a una fusione degli stili, ovvero la fine di una rigida separazione fra il registro aulico e cortese e registro comico-realistico, poiché il linguaggio comico inizia ad essere adottato per trattare gli argomenti più elevati.
  • inoltre vi è una allargamento del pubblico della poesia.
  • lo Stilnovo continua a persistere attraverso autori come Niccolò De Rossi.
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26
Q

la prosa del 300 dopo le 3 corone:

A

Mentre il latino rimane la lingua ufficiale della cultura accademica ed ecclesiastica, il volgare si fa spazio per la comunicazione pratica e letteraria.
Assistiamo alla volgarizzazione di testi latini di età classica o altomedievale.
L’ampia circolazione di volgarizzamenti può essere considerata uno dei principali fattori di espansione del Toscano sugli altri volgari italo-romanzi.

Tuttavia per la prosa i volgari locali sono ancora molto resistenti, anche per la mancanza di modelli autorevoli come Dante e gli stilnovisti

Dopo Boccaccio la novella acquista definitivamente una dignità letteraria e formale autonoma.
Nascono così tre principali raccolte di novelle trecentesche:
* ‘il ‘pecorone’ di Ser Giovanni, cinquanta novelle basate su furtivi incontri notturni del Frate fiorentino Auretto, anagramma di ‘auttore’, con una suora, Saturnina: per 25 giorni i due decidono di incontrarsi e raccontarsi storie per intrattenersi e sublimare la reciproca attrazione e scongiurare il contatto carnale che però, come si intuisce dall’ultimo novella, si compie.
* Il ‘novelliere’ di Giovanni Sercambi, scritto a inizio 400, racconta il viaggio lungo l’Italia di una comunità in fuga dalla peste. Gli incontri e gli avvenimenti che si susseguono durante il viaggio forniscono al giullare che li accompagna, l’autore stesso, occasioni per raccontare le 150 novelle che formano il libro.
* Infine abbiamo le ‘300 novelle’ di Franco Sacchetti, di cui però sono pervenute solo 222. Qui è soppressa integralmente la cornice.

Si sviluppa anche la storiografia, probabilmente a causa dei degli sconvolgimenti sociali e politici che interessano l’Italia a cavallo fra i due secoli, come la crisi dei comuni e la nascita delle Signorie.

La scelta del volgare risponde al bisogno di rivolgersi a un pubblico coincidente con quello cittadino.
Esempi sono la ‘Cronica’ di un anonimo romano, che narra la storia di Roma della prima metà del secolo e in particolare la vita di Cola di Rienzo.

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27
Q

la nuova epoca: l’Umanesimo:

A

L’umanesimo è innanzitutto la grande stagione del ritrovamento dei manoscritti che conservano le opere dell’antichità classica, rimaste a lungo sepolte nelle biblioteche, e anche il secolo dell’apertura verso il mondo della natura e la revisione del mondo della storia.
Vi è infatti una nuova sensibilità storica, che concepisce il tempo come un flusso rettilineo rispetto al quale gli uomini hanno la responsabilità di prendersi cura di ciò che giunge loro dal passato.

Ovviamente, data la riscoperta del mondo antico, nasce anche la volontà di imitare la lingua antica, abbandonando il proprio modo linguistico per entrare in quello dell’antichità.
Tuttavia Il problema era già stato posto con grande chiarezza da Francesco Petrarca, che raccomanda di scrivere senza imitare alla lettera, ma trovando un proprio modo personale di esprimersi.
Per cui semplicemente si utilizzano come modelli Cicerone per la prosa e Virgilio per i versi.

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28
Q

cosa significa ‘umanista’:

A

Il significato della parola ‘umanista’ nel Quattrocento era ‘professore di lettere’, cioè colui che che evince dalla lettura delle opere antiche anche dei contenuti morali, andando oltre al ruolo del ‘grammatico’, che si limitava alla spiegazione letterale del testo.

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quando e dove nasce l’Umanesimo:

A

E’ difficile stabilire la data della nascita dell’Umanesimo, come è difficile stabilire il luogo. Sappiamo che Padova e Firenze giocano un ruolo centrale.
Per quanto riguarda il tempo secondo alcuni studiosi si può iniziare a vedere la nascita dell’Umanesimo già dal 1345, anno in cui Petrarca ritrova le epistole ciceroniane Ad Atticum, nella biblioteca capitolare di Verona.

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30
Q

la ‘praefatio’ di Lorenzo Valla:

A

praefatio del trattato ‘dell’eleganza della lingua latina’&raquo_space; imbarbarimento della lingua, rivendicazione della grandezza di Roma e del latino.
Incita allo sbarazzarsi degli stranieri in Italia.

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31
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prosa e poesia latina del 400:

A

Nasce la scuola di Salutati, fondamentale per l’affermazione del nascente umanesimo.
* Laudatio florentine urbis: opera di Leonardo Bruni in cui celebra il mito di Firenze.
* ‘Liber Facetiarum’: opera di Poggio composta da brevi racconti con fine morale ma anche realistici.
* ‘De falso credita et ementita Constantini donatione’, in cui Lorenzo Valla esamina il documento su cui la Chiesa basava il diritto al potere temporale. Si trattava di un documento che si credeva risalente all’8° sec. d.C. e che riportava l’atto con cui Costantino condede a papa Silvestro 1° il potere politico. Valla dimostra che il documento non era originale, e quindi non antico.
Venne processato dall’Inquisizione di Napoli ma grazie alla protezione di Alfonso d’Aragona dovette solo lasciare la città.

Molto popolare è il genere dell’epistola (in latino), sull’esempio di Petrarca e Cicerone, e il dialogo, come quelli di Luciano.

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Leon Battista Alberti:

A

Fu l’emblema di uomo umanista, poichè si interessò di svariati ambiti come l’architettura, la linguistica, la matematica, poesia, prosa.

Nasce a Genova da padre fiorentino, e in effetti Firenze fu il perno della sua vita insieme a Roma, città in cui andò spesso per i suoi servizi ai papi.

  • De Pictura, trattato in volgare
  • Libri della Famiglia, dialogo in volgare sul rapporto in famiglia e in società.
  • varie egloghe pastorali ed elegie

Organizza il ‘Certame Coronario’, gara fra poeti in volgare sul tema dell’amicizia. Tuttavia l’elite intellettuale fiorentina si oppone al tentativo di abbracciare il volgare e la gara venne boicottata.
Se i Medici erano ancora dell’opinione della superiorità del latino, a cambiare le cose è Lorenzo il Magnifico, che promuoverà il volgare.

Noi conosciamo una lettera anonima che venne mandata per protestare contro la decisione dell’elite fiorentina.
E’ durissima. Arriva a dire che si premiano i cavalli e che non sia il coraggio di premiare chi verseggia in volgare.
Parla di invidia, la capacità di capire i tempi moderni.
Si è discusso a lungo su chi le fosse l’autore, ma oggi non si hanno dubbi sul fatto che fosse lo stesso Alberti.

I giudici vengono accusati di ripudiare la lingua stessa dei loro padri. Infatti nell’antichità sappiamo che non c’è stato solo un tipo di latino; la mutazione del corpo sociale di coloro che usavano in latino, da un certo punto in poi, ha favorito le immersione di tendenze evolutive che hanno prodotto una trasformazione e una differenziazione profonda che hanno portato alla formazione delle lingue romanze.
Questo dibattito ha innescato ragionamenti che riguardavano anche la lingua volgare.

  • Intercenales, raccolta di testi latini composta da dialoghi e narrazioni comiche sul modello di Luciano.
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la ‘Grammatica’ di Alberti:

A

A Leon Battista Alberti si deve la prima testimonianza di una grammatica del volgare italiano.
Infatti fino a tutto il 14° secolo la parola ‘grammatica’ si identificava con l’unica lingua utilizzata che possedesse requisiti di regolamentazione: il latino.

La prima testimonianza di una grammatica della nostra lingua parte proprio dall’alfabeto.
La pagina in cui compare l’alfabeto è l’unica in pergamena del manoscritto: il resto è cartaceo (e non autografo).

Il testo richiama immediatamente alla mente un analogo specchietto alfabetico che compariva all’inizio di un trattatello che, per secoli, era rimasto nell’animato conservato nella Biblioteca Vaticana.
Tale testo proviene dalla biblioteca di Pietro Bembo e per molti anni gli studiosi moderni hanno tentato di individuare l’autore, senza successo.

Tuttavia la scoperta della pergamena fiorentina ha permesso di chiarire in modo definitivo il mistero.
Era evidente che l’ordine delle lettere era strettamente legato al trattato Vaticano: l’autore non poteva che essere lo stesso (pur essendo autografo solo l’alfabeto fiorentino).
Nel caso del foglio conservato a Firenze però non si trattava di una copia ma dell’originale.

Le lettere sulla pergamena sono disposte secondo un ordine che all’inizio ci sfugge.
Non c’è una progressione alfabetica, non c’è una vicinanza di suoni.
Infatti vediamo che non è il suono ad accomunare le lettere ma il segno grafico. Questo almeno fino alla sesta riga.
Nel suo alfabeto Alberti anticipa in un certo senso l’IPA, poiché Alberti aveva capito che a formare una parola sono soprattutto i suoni, che si differenziano a seconda della loro funzione.

L’importanza della grammatica di Alberti è che testimonia un modo nuovo di guardare alla lingua materna.
In quello che per molti, al tempo, era qualcosa di disorganico e casuale, Alberti vede la possibilità di una forma.
Un sistema di regole non diverso da quello esistente per il latino.

Gli studiosi pensano che ciò che si legge nel manoscritto Vaticano sia il testo che Alberti doveva aver composto in favore del volgare: anche in quest’ultimo troviamo uno specchietto con le lettere dell’alfabeto, forse leggermente modificato rispetto a quello presente nel foglio conservato a Firenze.
Alberti fa iniziare il suo testo rievocando Le discussioni sul latino parlato nell’antica Roma.

Bisogna tenere presente che la lingua che Alberti descrive è l’uso fiorentino dei suoi tempi.
Un fiorentino che si era trasformato in seguito alle mutazioni sociali che la città di Firenze aveva subito a partire dalla metà del Trecento.
Un fiorentino che era diventato qualcosa di diverso rispetto alla lingua di Boccaccio e di Petrarca su cui si fonderà l’italiano a partire dal ‘500.

Il motivo per cui la lingua descritta da Alberti è diversa dal fiorentino su cui si basa l’italiano è che la nostra lingua è stata modellata, nel ‘500, sul fiorentino del ‘300. Non sul parlato, ma sullo scritto.
Mentre nel ‘500 La lingua sarà codificata sui modelli scritti, in particolare sulla lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio (grazie a Bembo) nel caso di Alberti è la lingua comune a essere descritta.
Diciamo quindi che l’italiano è figlio di una codificazione scritta, secolare, basata sull’esempio degli autori, non su quello della lingua parlata dalla gente comune.

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prosa e poesia volgare del ‘400:

A

Il latino era considerata lingua dotta, per i documenti ufficiali, mentre il volgare si fa strada come lingua prettamente letteraria.
Eccezione fa la Toscana, in cui grazie anche alle 3 corone il volgare si espande di più anche in letteratura.

  • Novellino di Masuccio Salernitano: 50 novelle di 10 temi diversi.
  • novelle spicciolate, cioè singole, come ‘il Grasso legnaiuolo’
  • i sonetti ‘alla burchia’, cioè che mettono in scena situazioni paradossali, con metafore strane e termini rari.

Si espande la letteratura cavalleresca partendo dai cantari, componimenti in ottave come il Filostrato di Boccaccio.

Inizialmente prendono piede i romanzi cavallereschi in prosa come quelli di Andrea da Barberino (‘i Reali di Francia’).

Nascono le accademie.

Dopo il tionfo dell’Umanesimo latino dei primi anni del ‘400, nella seconda metà cresce il prestigio del volgare.

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la cultura delle corti:

A

Nel 400 la corte diventa il centro di irradiamento di una nuova cultura.

La lirica si piega così alle esigenze della corte, allo stesso modo ottiene attenzione il teatro.

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il passaggio dal manoscritto alla stampa:

A

Nel 1468 nasce la stampa a caratteri mobili di Johann Gutemberg.
Il vantaggio immediato rispetto ai manoscritti, dove ciascun libro è un prodotto diverso e unico, consiste nel poter ricavare migliaia di esemplari uguali da una copia singola.
Il primo libro a essere stampato è la Bibbia, nel.

In italia i primi libri stampati saranno il ‘Donato’, una grammatica latina, e il ‘De oratore’ di Cicerone.

Alle novità introdotte dall’officina tipografica non corrispondono però subito caratteristiche formali specifiche del libro a stampa; anzi, i libri sono fortemente influenzati dai formati manoscritti.

Infatti i manoscritti nel 400 erano divisi in 3 tipi:
* i libro ‘da banco’, in pergamena e in formato grande scritto in grafica gotica (per i libri universitari)
* il libro umanistico, di formato e materiale vario, in grafia antiqua (per i testi classici)
* il libro ‘da bisaccia’, di formato piccolo e di carta (per il popolo, composto da mercanti, pellegrini…)
Superata la primissima fase di incertezza, il sistema del libro a stampa si organizza su quello dei manoscritti, giacchè il formato, il carattere, la disposizione del testo e l’ampiezza dei margini diventano parametri indicativi per marcare tanto il genere quanto la destinazione dei testi a stampa.

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Lorenzo il Magnifico:

A

Lorenzo de’ Medici, alle lettere classiche preferisce sempre la letteratura volgare e si dedica allo studio della tradizione toscana.

  • Ancora adolescente scrive l’operetta mitologica in terzine ‘Corinto’, sull’amore non corrisposto del pastore Corinto per la ninfa Galatea.
    Come ogni umanista pratica il petrarchismo.
  • Nel ‘Simposio’ vengono presentati in rassegna i maggiori bevitori fiorentini, nell’ambito di un convito tutto prosaico. E’ una dissacrante scrittura del Simposio di Platone.
    Facilmente anti platonica nei suoi continui rimandi alla sfera carnale e corporale, il Simposio è anche una parodia dei trionfi, in cui sfilano personaggi virtuosi degni di essere ricordati.
  • comincio poi a lavorare, dopo la congiura dei Pazzi, al ‘commento de miei sonetti’, in cui, seguendo l’esempio della Vita Nuova dantesca, parafrasa in prosa i sonetti per l’amata Lucrezia Donati.
  • famosissima è poi la ‘Canzone di Bacco’, che porta avanti il tema del tempus fugit, in voga durante l’umanesimo.
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Luigi Pulci, Pico della Mirandola e Poliziano:

A

Luigi Pulci entra presso il circolo della famiglia Medici. Viene Infatti preso sotto la protezione di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo e Giuliano, ed è a lei che si deve l’incarico di comporre un poema sulle gesta di Carlo Magno, quello che sarebbe poi diventato il Morgante.
Pulci porterà avanti il progetto per vari anni anche quando si distanziarà dalla famiglia Medici. Il Morgante è composto da 23 cantari e descrive una sequenza di avventure che mescola la materia carolingia, con le imprese di Rinaldo e Orlando, a una sezione fantastica, imperniata sulla figura di Morgante, un gigante convertitore da Orlando.
La scrittura di pulci è piena di comicità aggressiva.

Giovanni Pico della Mirandola si forma fra Ferrara e Padova. Lo studio delle diverse tradizioni filosofiche porta Pico alla convinzione di una loro possibile convergenza di una Sapienza comune articolata nei diversi filosofi. Questo ideale di una possibile sintesi filosofica è quanto domina la straordinaria prova delle ‘900 Conclusiones’.
Altra sua opera famosa sono le ‘Disputationes adversus astrologos’, pubblicate postume, che comprendono un attacco contro le pretese degli astrologi di influenze dei pianeti sulla vita degli individui.

Poliziano è famoso ad esempio per l’aver tradotto l’Iliade in esametri latini.
Un’altra opera molto famosa è ‘stanze per la giostra’, un’opera in ottave in cui Poliziano narra del giovane Julio, ritratto di Giuliano, che, inizialmente dedito alla caccia e restio alla passione amorosa, viene colpito da Cupido e fatto così innamorare della giovane e bellissima Simonetta.
Inizia così un percorso di elevazione che lo porta ad abbandonare la caccia e la vita silvestre e lo spinge a invocare la virtù, l’amore e la gloria.

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Ferrara nel ‘400:

A

Ferrara nel ‘400 è la capitale di uno Stato piuttosto debole sul versante politico, sia per i continui conflitti con la potenza vicina di Venezia, sia perché la successione all’interno della casa d’Este è sempre un momento delicato.
Nel corso di questi sviluppi politici, la cultura ferrarese, tradizionalmente legata al gusto e alla letteratura francese, subisce una svolta nel 1429 con l’arrivo di Guarino Guarini, chiamato da Niccolò III come professore universitario.
Grecista, filologo, pedagogo egli è una delle più grandi figure dell’Umanesimo.
Con lui nasce il Rinascimento Ferrarese.

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Matteo Maria Boiardo:

A

Matteo Maria Boiardo è nipote di Tito Vespasiano Strozzi, allievo di Guarino e il più importante poeta latino ferrarese del tempo.
Quando Matteo Maria perderà il padre e la madre, sarà grazie agli Strozzi che potrà comunque ricevere un’educazione umanistica.
Si trasferisce a Ferrara intorno al 1461 e avrà un rapporto privilegiato con Ercole, per cui comincia a ricoprire il ruolo di primo piano agli eventi di vita di corte.

Forma la ‘Carmina in Herculem’, carmen d dedica più dieci testi, composta per celebrare le imprese napoletane di Ercole e il suo ritorno a Ferrara.

Sbbiamo poi i Pastoralia, dieci ecloghe di 100 versi ciascuna in cui Boiardo risale all’archetipo del genere, Virgilio, scavalcando le esperienze precedenti, cioè Dant, Petrarca e Boccaccio.

Al servizio di Ercole Matteo Maria si dedicherà a vari volgarizzamenti, come le Metamorfosi di Apuleio.
Si dedicherà anche alla ricreazione moderna del teatro antico, di cui però ci resta solo Il Timone dialogo di Luciano riadattato a commedia in cui si tratta il tema del possesso e del corretto uso delle ricchezze.
Compone fra il 1474 e 1476 i tre libri degli amori, una storia d’amore di cambiato, disillusione, malinconia e pentimento.

Fra il 1482 e l’inizio del 1484 Boiardo concepisce la raccolta delle Pastorali, con cui Boiardo torna alla bucolica ma in volgare.
Si impegna, come già nelle Pastoralia in una più attento recupero del modello di Virgilio. Di nuovo dieci ecloghe: 5 di tema per lo più politico e 5 di tema amoroso.

La composizione delle Pastorali cadde negli anni in cui viene stampata la perduta edizione dei libri 1-2 dell’Innamoramento di Orlando.
Pubblicato postumo in 3 libri nel 1495, l’innamoramento di Orlando è lasciato incompiuto per la morte di Boiardo nei giorni in cui il Ducato è attraversato dalle truppe francesi di Carlo VIII: l’evento che pone fine al mondo delle corti quattrocentesche.

L’amore è presentato da Boiardo con inarrestabile forza naturale, cosmica e civilizzatrice che conduce l’uomo al bene per sé e per gli altri, aa una vita lontana dal vile attaccamento ai beni materiali.
Novità dell’Innamoramento di Orlando è l’introduzione di un nuovo personaggio, Ruggiero.
Il romanzo si interrompe sull’innamoramento della giovane Fiordispina per Bradamante, con un ottava che registra la rovina l’Italia.

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la ‘Raccolta Aragonese’:

A

Per volere di Lorenzo il Magnifico si organizza a fine Quattrocento una raccolta di poesia toscana da indirizzare come omaggio a Federico d’Aragona, figlio ed erede di Ferdinando D’Aragona Re di Napoli.
Così nasce la raccolta aragonese: centinaia di poesie, da Dante fino allo stesso Lorenzo de’ medici, vengono assemblate in uno stesso volume per dimostrare ai vertici della dinastia aragonese il rilievo della tradizione toscana.

42
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la questione della lingua:

A

Il Cinquecento si apre con la questione della lingua: ovvero il desiderio di giungere a una norma universale e condivisa.
Vii erano varie ipotesi, come quella di una lingua modellata su quella in uso nelle corti italiane di Baldassar Castiglione, quella di Niccolò Machiavelli che rivendicava la centralità del fiorentino contemporaneo e quella di Pietro Bembo, che con le sue ‘prose della volgar lingua’ definisce modelli Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.

Quella di Bembo sarà la teoria che alla fine prenderà piede.

43
Q

Pietro Bembo:

A

Pietro Bembo nasce a Venezia nel 1470.
Laprima opera a stampa di Bembo è il dialogo latino ‘De Aetna’, una discussione erudita su temi scientifici e filosofici.
Successivamente cura due edizioni personalmente: Il ‘Canzoniere’ di Petrarca e la ‘Commedia’ di Dante.

Nel 1505 stampa la sua prima opera in volgare, il dialogo ‘gli Asolani’, un trattato sul tema amoroso. il titolo dell’opera deriva dal luogo in cui è ambientata, cioè Asolo, paese nell’entroterra Veneto, in cui tre giovani in compagnia di alcune donne hanno una discussione sul tema dell’amore e sugli effetti che esso produce produce.
Il dialogo è organizzato in 3 libri: il primo sull’amore infelice, il secondo sull’amore felice e il terzo in cui il fenomeno moroso viene eletto attraverso linee neoplatoniche, riconoscendo in esso una possibile strada di perfezionamento per l’uomo.
I modelli sono il De Amore di Marsilio Ficino o il commento di Lorenzo de’ Medici sui suoi sonetti amorosi.
Probabilmente il modello laurenziano ha suggerito a Bembo l’idea di alternare la prosa del suo trattato con alcune liriche.

Una volta trasferitosi a Padova Bembo mette mano al completamento del trattato sulla lingua italiana, che probabilmente aveva ideato già nei primi anni del ‘500 e al quale aveva lavorato con intensità tra gli anni dieci e venti.

Nel 1525 viene pubblicato ‘prose della volgare lingua’.

Il dialogo è ambientato a Venezia e vede come protagonisti alcuni degli amici di Bembo, a ciascuno dei quali è affidato un ruolo prestabilito.
All’umanista Ercole Strozzi spetta il compito di ergersi ai difensore della superiorità della lingua latina, posizione contro la quale si muovono gli altri personaggi uniti dal riconoscimento del prestigio della lingua volgare, ma divisi tra loro da idee differenti circa la lingua volgare da leggere a modello.
La posizione di Pietro Bembo viene rivendicata dal fratello Carlo Bembo, che porta avanti la teoria sui modelli di Petrarca e di Boccaccio.
L’esigenza da cui prende le mosse la trattazione di Bombo è la necessità di uscire da una situazione di crisi legata al particolarismo delle lingue cortigiane, condannate al rapido oblio.

La teoria di Bembo è rafforzata dall’idea che non esista una lingua se alle sue spalle non vi è una letteratura che la forma e la legittima.
L’analisi di Bembo sulla lingua da scegliere è centrata sulla forma, cioè sulla scelta e la disposizione delle parole, che devono essere adeguate al contenuto che intendono esprimere, per poi affrontare il problema della varietà tra estremi dello stile, rispettivamente la gravità e la piacevolezza, due variabili che il poeta eccellente deve saper modulare armoniosamente.

Bembo offre un campione esemplare della nuova lingua poetica con le rime, andate a stampa per la prima volta nel 1530.

Bembo, dopo la prima edizione, continua a lavorare alla definizione del suo libro di rime sostanzialmente sino alla morte nel 1547.

44
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Umanesimo e Rinascimento:

A

L’umanesimo designa la corrente di pensiero filoletteraria, mentre il rinascimento rappresenterebbe il periodo storico in toto (comprendendo le arti, scienze etc.).

Secondo altri l’umanesimo si rifà al periodo 1350-1450, mentre il rinascimento al 1450-1550 (data la presenza di artisti come da Vinci e di biografi come Vasari).

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Jacopo Sannazaro:

A

Jacopo Sannazaro è una figura esemplare della ripresa del classicismo, poiché a Sannazaro si deve l’Arcadia, romanzo pastorale erede della tradizione bucolica.

L’‘Arcadia (1507) è un prosimetro di natura pastorale fitto di richiami classici e intriso di elementi simbolici. I modelli sono Teocrito, Virgilio e la Vita Nuova di Dante.

L’Arcadia nella sua relazione ultima è divisa in 12 parti precedute da un prologo e concluse da un congedo. L’Arcadia rappresenta un esempio emblematico di letteratura dell’utopia, un rifugio alternativo alla realtà e vicino alla mitica età dell’oro, ma anche un luogo interiore. Infatti nell’Arcadia, la regione dell’antica Grecia, si trova anche l’autore narratore, Sannazaro-Sincero, giunto da Napoli fino allaregione greca per trovare sollievo alle sventure amorose.

Qui Sincero vive fra i pastori in una nuova comunità umana e letteraria e civile.
Eppure l’apparente serenità del luogo non riesce a far dimenticare le angosce dal protagonista, turbato da continui segni inquietanti e soprattutto la stessa Arcadia appare come una prospettiva deludente, incapace di porsi come alternativa efficace al mondo reale.

46
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Baldassarre Castiglione:

A

Baldassarre Castiglione è famoso per il suo libro del ‘Cortegiano’, dialogo in cui Castiglione presenta l’individuazione del perfetto cortigiano, uomo al servizio del principe e presenta le qualità che un cortigiano deve possedere, come la grazia, il buon giudizio e la sprezzatura. L’opera viene concepita all’inizio del 16 secolo, in cui si avverte fortemente il bisogno di definire modelli ideali indifferenti ambiti culturali.

Diviso in 4 libri, il Cortegiano è un trattato in forma di logica ambientata alla corte di Urbino.
Il dialogo, di derivazione platonica e ciceroniana, permette di dare vita a varie voci e presentare differenti punti di vista.
Si tratta di una discussione da cui verrà delineata l’immagine del perfetto Cortigiano.

47
Q

Francesco Guicciardini:

A

Guicciardini nasce da una famiglia filo medicea.

  • Intorno al 1508 compone senza portarle a termine le storie fiorentine, in cui descrive la crisi della aristocrazia fiorentina.
  • del modo di ordinare il governo popolare, in cui Guicciardini afferma che la soluzione alla crisi economica e politica di Firenze è una costituzione mista in cui gli elementi caratterizzanti delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia) sono riuniti per costruire un modello di governo più stabile e duraturo
  • Dialogo del Reggimento di Firenze, che si articola in due parti: la prima svolge un’analisi storica della crisi, la seconda riproponendo le tesi del discorso di ordinare il governo popolare, si propone una possibile soluzione istituzionale per la città entrambe sono opere anacronistiche composte come privato esercizio.
    Gli interlocutori sostengono opposizioni accuratamente differenziate, fra cui Bernardo del Nero difende il governo ed è il portavoce dell’autore.
  • Considerazioni intorno ai discorsi di Machiavelli, in cui emerge la distanza fra la ricerca di Machiavelli di regole teorico politiche generali, espresso espressione dell’idea di una universalità storia, e la convinzione guicciardiana dell’incomparabilità di realtà storiche diverse e della necessità di valutare con l’iscrizione ogni circostanza.
  • la consultazione dei documenti d’archivio, la discussione critica delle fonti è l’interpretazione analitica degli eventi fanno della Storia d’Italia l’inizio di una nuova e moderna storiografia.
    Divisa in 20 libri, la Storia d’Italia si configura come la storia di una tragedia: Il racconto Infatti si apre su un quadro di pace, garantito dalla figura di Lorenzo il Magnifico, e si chiude con la morte del Papa Mediceo Clemente VII, fatto prigioniero durante il Sacco di Roma, evento che, nel 1527, sancisce la perdita della libertà degli stati italiani
    Secondo Guicciardini sono stati i nostri principi stessi a distruggere la libertà, poiché la storia è storia di individui, di capitani e di Stati d’eserciti.
48
Q

il teatro del ‘500:

A

Nel primo Cinquecento prende forma in modo unitario la tradizione teatrale italiana alla luce di un aperto confronto con i modelli classici.

Oltre alla commedia e alla tragedia nasce il genere misto della favola pastorale.
Inoltre si sviluppano i cantari e le farse, una genere drammatico basato sulla messa in scena di piccoli quadri di vita matrimoniale con evidenti doppi sensi osceni.

Ovviamente la traduzione in lingua italiana dei testi classici rappresenta un passaggio decisivo per la formazione di un moderno teatro in volgare.

Erano comuni le favole mitologiche pastorali pensate per la corte, come la Fabula di Orfeo di Poliziano.

E’ solo nel pieno 500 che si registra una forte convergenza verso forme omogenee del teatro, poiché vi è una progressiva definizione delle norme del testo teatrale.
Allo spettacolo viene Infatti dedicato uno spazio autonomo, il teatro appunto, si precisano le tipologie della scenografia e viene infine costituendosi un insieme di professionisti specializzati nella realizzazione di spettacoli.

A partire dalla rappresentazione della Cassaria di Ludovico Ariosto vi è il punto d’avvio per la nuova commedia volgare.
Il modello della commedia antica è Terenzio e Plauto, ma anche Il Decameron di Boccaccio veniva usato come un enciclopedia del comico da cui prelevare occasioni narrative, personaggi, singole battute o sentenze Memorabili

La struttura della Commedia era universalmente in cinque atti. In prima istanza si poneva un’alternativa fra l’adozione del verso in ossequio ai modelli latini e quella della prosa.
In generale però la prosa resta la soluzione più generalmente adottata.

Una componente significativa della forza comica era riservata alla deformazione espressiva del linguaggio, per cui si sviluppano forme di plurilinguismo.

Se questi elementi costituiscono i tratti che garantiscono una omogeneità del teatro comico italiano persiste comunque una diversificazione degli esiti dovuta alle corti italiane.

Un primo esempio che crea delle differenze è l’organizzazione del potere politico degli Stati, come documenta il caso di Firenze, che nel tormentato passaggio dagli istituti di matrice repubblicana al Principato, registra anche un diverso controllo delle espressioni culturali.
È infatti possibile rilevare un progressivo irrigidimento del teatro.
Inoltre anche le tradizioni locali esercitano importanti influenze. Lo si osserva per il territorio Veneto, dove la tradizione della commedia in dialetto dà nuova vita al ricco repertorio di matrice farsesca ben presente per tutto il secondo Quattrocento.

49
Q

Bernardo Dovizi:

A

Bernardo Dovizi è un attento cultore delle forme del comico, tanto che in questa veste viene introdotto come personaggio nel trattato del Cortigiano di Baldassarre Castiglione.

La Calandria, commedia nella quale vengono rappresentate le avventure di due gemelli che fuggiti dalla città greca di Modone, quasi sicuri il mondo della morte dell’altro, si ritrovano a Roma nel bel mezzo di un intricato gioco di combinazioni amorose.
La vivace comicità della Calandria è alimentata anche dai numerosi prelievi dal Decameron.

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Ruzante e il plurilinguismo:

A

Il pavano è una deformazione del dialetto di area veneta che il commediografo Ruzzante usava delle sue opere.

La ‘Moschetta’ è una commedia il cui titolo fa riferimento al parlar moschetto, cioè una lingua eccessivamente affettata, segno della volontà di alcuni personaggi di voler usare in modo tendenzioso e disonesto un linguaggio apparentemente alto, una parodia del linguaggio cortigiano, per ingannare e ottenere il proprio tornaconto.
La commedia ruota attorno a quattro protagonisti, tre uomini che a vario titolo si contendono le grazie dell’unica donna, al di là delle ragioni che animano i singoli personaggi, il vero motore che muove l’azione della commedia è lo snaturale, una sorta di forza istintiva che induce personaggi ad agire con l’offesa per sopravvivere.

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la tragedia nel ‘500:

A

Se grazie alla influenza dei classici si muove lo sperimentalismo del genere tragico, ciò è in parte dovuto al peso della Poetica di Aristotele, trattato nel quale alla tragedia e attribuita una supremazia del sistema dei generi letterari.
Nella sostanziale assenza di una tradizione recente, come accade per la commedia, nel caso della tragedia i diversi testi che si succedono nel secolo si assumono anche il compito di fondare una nuova tradizione.

L’iniziatore del genere tragico è Giovanni Giorgio Trissino con la sua ‘Sofonisba’. Trissino condivide il pensiero di Pietro Bembo nel fondare un nuovo classicismo volgare; tuttavia Trissino pensava che la nuova letteratura moderna si dovesse basare sul recupero pieno della cultura greca contro quella romana, una istanza applicata con rigore in tutti i generi sperimentati, dalla lirica al teatro.
Trissino riconosce la supremazia della tragedia nel sistema dei generi letterari e attribuisce alla catarsi, cioè alla capacità di creare compassione e tema, di coinvolgere il pubblico, la funzione essenziale del linguaggio tragico.
Credeva infatti che fosse necessario usare la lingua italiana e fare ricorso all’endecasillabo sciolto, un verso cioè privo di legami trimici.

Trissino riprende o traduce letteralmente diversi passaggi da Euripide o da Sofocle, i grandi esempi greci su cui intende modellare la nuova grammatica del linguaggio tragico in volgare. Non mancano però, nell’esperimento trissiano, forti riprese dalla tradizione italiana, soprattutto Dante e Petrarca.

Una proposta in parte alternativa al modello trissiniano sarà avanzata quasi vent’anni dopo dal Ferrarese Giovan Battista Cinzio nella lettera ‘Intorno al comporre delle commedie e delle tragedie’ Cinzio credeva infatti che si dovesse mediare fra le forme antiche e i modelli moderni in nome di un’idea della letteratura a forte indirizzo didattico e morale. Utilizza come modello Seneca, come ad esempio nelle Orbecchie.

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la poesia nel ‘500:

A

Si presenta la volontà di superare la cosiddetta poesia cortigiana di fine Quattrocento, avvertita come superficiale e troppo ancorata alle occasioni sociali contingenti per cui era stata ideata e composta.

Nel 500 fiorisce anche il genere delle antologie liriche, delle raccolte cioè di autori moderni.

Nel pieno 500 la lirica religiosa assume piena rilevanza.
* Abbiamo ad esempio il Petrarca spirituale opera del frate francescano Girolamo Malipiero, che riformula in direzione spirituale i testi petrarcheschi.
* Oppure abbiamo le rime spirituali di Vittoria Colonna.
* Anche Michelangelo fu autore di una serie di liriche di argomento religioso.
Inoltre lascia il fenomeno delle riscritture in volgare del libro biblico dei salmi.

Nascono generi letterari specializzati, come le lagrime, componimenti che drammatizzano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento o della vita dei Santi.

Data la straordinaria diffusione della poesia nel Cinquecento, prende vita proprio per il desiderio di identificare una forma della poesia più elitaria e complessa, antidoto all’imitazione seriale, una lirica orientata a enfatizzare gli aspetti stilistici più difficili.
Se nelle ‘prose della volgar lingua’ Bembo aveva riconosciuto nella perfetta armonia tra i principi della gravità e della piacevolezza il criterio stilistico al quale improntare la poesia, a partire dai primi anni quaranta prende invece forma una poesia nettamente sbilanciata sul fronte della vita, una soluzione stilistica che comporta la ricerca di sonorità aspre e la programmatica asimmetria fra periodo sintattico e misura metrica, con la conseguenza di privilegiare figure come l’enjambement o l’inarcatura.

Campione indiscusso di questo indirizzo stilistico è Giovanni Della Casa, che diventerà il modello della generazione di Torquato Tasso.

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le poetesse nel ‘500:

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Nella metà del Cinquecento per la prima volta nella storia della letteratura italiana si riscontra una presenza femminile di grande rilievo.
Alla donna non è più quindi riservato solo il ruolo di oggetto dell’attenzione poetiche altrui, ma diventa essa stessa protagonista attiva.
Vittoria Colonna, Veronica Gambara, la quale reinterpreta in modo personale la topica amorosa di Petrarca nutrendola di sapori filosofici, Gaspara Stampa.

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le poesia comica nel ‘500:

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La poesia comica che si sviluppa nel corso del Cinquecento raccoglie l’eredità di quella del secolo precedente.
Rimangono gli argomenti trattati nei testi quattrocenteschi, come la povertà, la satira, la misogina, l’amore rusticale e la parodia religiosa.
Dal Quattrocento al Cinquecento si assiste a un mutamento metrico: il metro della poesia comica e satirica, in genere corrispondente al sonetto, viene ora identificato con il capitolo in terza rima, soprattutto grazie all’impulso di Berni.

  • Francesco Berni fu un innovatore e un modello da imitare per la poesia giocosa del 500. Utilizzava spesso la lode paradossale, ossia lode di un argomento o un oggetto insignificante che non è altro che una contrapposizione alla poesia più nobile.
    Possedeva poi una vocazione anticlassicista, cioè orientata a forzare le misure di armonia ed equilibrio che si può apprezzare attraverso le riscritture di componimenti lirici in chiave parodica. Ad esempio il sonetto chiome d’argento fino, irte et torte rovescia crin d’oro crespo e ambra tersa e pura di Bembo.
  • Giovanni Della Casa fece parte dell’Accademia dei Vignaioli, un gruppo di letterati che diedero vita intorno agli anni trenta del Cinquecento a una produzione burlesca che predilige l’utilizzo del capitolo giocoso in terza rima.
  • Teofilo Folengo è conosciuto per l’utilizzo della lingua macaronica, basata su un impasto di latino, volgare e della mente dialettali padani al fine di irridere la cultura latina dei dotti. Così nasce il Liber Macaronices, il cui protagonista è il bizzarro eroe Baldo. il testo non è altro che il rovesciamento del modello epico dell’Eneide.
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la prosa del ‘500:

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Dopo che Bembo impose Boccaccio come modello della prosa, la novella gode nel Cinquecento di un’ampia fortuna e di un incremento considerevole, vista come un’occasione di intrattenimento a Corte. Anche il dialogo si sviluppa, come uno strumento satirico è dissacratorio.

  • Pietro Aretino fu un autore molto controverso su cui gravò una sorta di dmnatio memoriae soprattutto per la sua condotta politica, segnalata da frequenti capovolgimenti di fronte, e a causa di alcuni scritti etichettati come pornografici.
    Egli fu anche accademico e anticlassicista. inizialmente divenne famoso per le sue ferocissime pasquinate, componimenti satirici anonimi, in genere in forma di sonetto o di capitolo in terza rima affisse su un torso marmoreo romano chiamato Pasquino.
    Al servizio del nuovo Papa Giulio de’ medici, eletto con nome di Clemente VII, Aretino scrive La cortigiana, commedia dai toni pasquineschi che critica aspramente la Curia.
    Scrisse inoltre 16 soletti, i cosiddetti sonetti lussuriosi, su disegni di natura erotica, esibendo un linguaggio erotico molto spinto.
    Poco dopo la morte, avvenuto nel 1556, Aretino venne condannato dalla Chiesa Cattolica e le sue opere entrano a far parte dell’indice dei libri proibiti.
  • Dopo il grande exploit rappresentato dal cortigiano di baldassare Castiglione, la trattatistica sul comportamento conosce una significativa crescita nella fase centrale del Cinquecento. abbiamo ad esempio il Galateo di Giovanni Della Casa.
    Il titolo Galateo corrisponde alla latinizzazione del nome di battesimo di Galeazzo Florimonte, ecclesiastico da molti anni amico di Della Casa: una figura che viene dunque scelta come interlocutore ideale del trattato.
    In questa opera di impronta pedagogica Della Casa mira a regolare il comportamento raffinato dei gentiluomini nelle relazioni, senza però indicare un preciso contesto d’azione, come invece avveniva nel caso del Cortigiano.
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le scritture d’arte fra ‘400 e ‘500:

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Tra 400 e 500 la produzione inerente all’arte conosce un’evoluzione significativa.
1. Abbiamo ovviamente il trattato della pittura di da Vinci, costituito da una serie di appunti in cui Leonardo esprime la propria idea sulla superiorità della pittura.
2. le vite di Giorgio Vasari, che è migliore del genere della biografia umanistica e il cui scopo consiste nel fissare la memoria dei migliori architetti, pittori e scultori che costituiscono modelli a fini educativi.

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la fine del Rinascimento:

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La stagione conclusiva del Rinascimento è un’epoca controversa di difficile interpretazione. Alcuni considerano il Concilio di Trento, avvenuto fra il 1545 e il 1563 come la conclusione simbolica del Rinascimento, lasciando quindi fuori la fase del secolo finale, per la quale si impiegava la etichetta di età del manierismo.

Tuttavia la Gerusalemme Liberata liberata era ancora a pieno titolo un capolavoro del Rinascimento: per la straordinaria libertà con cui interpreta il rapporto con i modelli e con cui assume, filtrandole e in parte attenuandole, le leggi della poetica di Aristotele.
La seconda parte della produzione tassiana, d’altra parte, e la stessa cesura simbolica della reclusione del poeta a Sant’Anna esprimono il peso dei condizionamenti esterni, riflettendo in pieno la crisi delle corti italiane e il rilievo delle preoccupazioni religiose.

Per cui Secondo molti studiosi la parabola di Tasso può essere adottata, sia pure solo a livello simbolico, come passaggio conclusivo del Rinascimento. (morte di Tasso = 1595).

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Battista Guarini:

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Battista Guarini vive la conclusione del Rinascimento Ferrarese con la fine della Signoria degli Este, nel 1597, e la completa rottura del reciproca solidarietà fra il rapporto del principe e l’ormai totalmente subordinato Cortigiano.

Fu professore a Ferrara r occasionale poeta di corte. questo fino a quando non entrò ufficialmente al servizio del duca Alfonso II d’Este, ultimo duca di Ferrara.

Nel 1583 Guarini compone il Pastor Fido, tragicommedia pastorale in cinque atti che nasce in competizione con l’Aminta: ne riprende infatti personaggi e moltissimi topoi narrativi.

L’opera parla in generale dell’amore fra Mirtillo, il pastor fido, e Amarilli.

Qualche anno dopo nascerà una polemica sull’opera poiché il cipriota Giasone de Nores nega lo statuto di genere regolare alla favola pastorale, poiché inverosimile e indebita trasposizione scenica dell’ecloga, e alla tragicommedia, per essere un misto di elementi e generi diversi.
Guarini era ovviamente per la legittimazione.

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Gian Battista Marino:

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Giovan Battista Marino nasce nel 1569. Sappiamo che si trasferirà presto a Napoli, città in cui comporrà i suoi primi esordi poetici.

In parallelo a questi anni di formazione letteraria, Marino conduce un’esistenza all’insegna dell’eccesso: nel giro di due anni, fra il 1598 e il 1600, viene per due volte condannato al carcere. Si trasferirà presto a Roma.

Già con le sue Rime, Marino si rivela al pubblico italiano come un autore dall’ingegno vivacissimo.
Sul piano generale di struttura, le Rime chiudono definitivamente con il modello del canzoniere unitario, su un esempio petrarchesco, e vanno verso la divisione per capi di ordine tematico che era sta già avviata da Tasso.
Nel 1605 in una lettera Marino annuncia di aver pronti 5 prometti, fra cui l’Adone, per i quali teme però le opposizioni dell’Inquisizione: segnale indiretto che i testi mariniani spingevano sul versante licenzioso, espressione di quella vena lasciva che sarà sempre presente nel Marino maggiore.

Si trasferisce per un breve periodo a Ravenna e successivamente a Torino, grazie all’occasione della doppie nozze delle due figlie di Carlo Emanuele primo di Savoia con i principi delle casate d’Este e Gonzaga.
Per i due matrimoni Marino comporrà due testi encomiastici.

Fa circolare una serie di testi parodici contro Gaspero Murtola, con l’evidente intenzione di scalzarlo dalla posizione di poeta di corte dei Savoia.
Lo scontro, iniziato forse in maniera scherzosa, diventa molto presto aspro e violento: Marino scrive una serie di sonetti burleschi a cui Murtola risponde per le rime ( rispettivamente i murtoleide e i marineide).

Nel gennaio del 1609 Murtola tende a Marino un agguato per strada e cerca di ucciderlo. Marino si salva micro miracolosamente mentre il Murtola viene arrestato.
Così Marino verrà promosso a cavalier Marino

Il trasferimento a Torino sembra dunque l’ennesimo riconoscimento di un’eccellenza, ma in realtà, Marino, accusato di aver composto poesie oscene lascia frettolosamente Ravenna perché inseguito da un ordine del tribunale dell’Inquisizione.
Tuttavia Marino non si astiene ancora una volta da una condotta rischiosa. Nei suoi primi mesi torinesi scrive infatti dei testi poco riverenti verso il duca, e per tutta risposta viene rinchiuso in prigione.

Nel 1614 Marino compone le Dicerie Sacre, che rappresentano il capolavoro decisivo del primo barocco in Italia. Marino ne pubblica a tre
* la pittura, dedicata alla Sacra Sindone è fondata sulla metafora del Cristo pittore
* la musica, rielaborazione a partire delle parole pronunciate da Cristo sulla croce
* il cielo, celebrazione della materia celeste

Marino arrivo anche alla corte di Francia, corti di Maria de’ Medici, in cui stamperà le due raccolte la Galeria e la Sampogna.
La Galeria è una raccolta di vari testi poetici, soprattutto sonetti e madrigali, ciascuno dedicato a un’opera d’arte.
La Sampogna è invece una raccolta di dodici idilli di materia mitologica, con alcuni testi di marca pastorale.
Prevede la riscrittura di episodi celebri del patrimonio classico.

Quando arriva a stampa, nei primi mesi del 1623, l’Adone è un poema a cui Marino sta lavorando da ormai trent’anni.
Per molto tempo l’Adone rimane però un poemetto, quindi abbastanza breve, diviso nei tre tempi dell’innamoramento, degli amori e della morte.
Tuttavia arrivato in Francia Marino decide di allargare il disegno del poema muovendosi su una materia ovidiana, permettendosi Infatti degli azzardi che sarebbero stati rischiosi in Italia.

Il poema si incentrata sull’amore che lega Venere ad Adone, un giovane bellissimo di stirpe regale: una favola mitologica in opposizione alla materia storica che doveva caratterizzare un poema epico.
L’elemento decisivo dell’Adone è rappresentato dall’ampiezza: la storia dei due amanti, conclusa in poche decine diversi nelle metamorfosi di Ovidio, diventa la base per il poema più lungo della letteratura italiana.

Il poema si conclude con la morte di Adone per mano di un cinghiale durante una battuta di caccia.

Un’altra novità sta anche nella descrizione del protagonista, Adone, un antieroe dai tratti femminili, e dalla narrazione sensuale mirata soprattutto ai piaceri della passione amorosa.
Motivo per cui dopo la morte di Marino verrà inserito nell’indice dei libri proibiti.

Sulla storia principale si innestano una serie di episodi che Marino aggiunge negli anni, digressioni e racconti secondari.
Si tratta di un’altra divaricazione rispetto al genere epico, dove le digressioni sono strettamente funzionali alla favola principale, là dove segna la perdita di una narrazione compatta e logicamente coerente.

E’ considerato il padre della letteratura barocca.

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la poesia barocca: fra classicismo e sperimentazione:

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Fino all’800 la stagione della poesia barocca è stata giudicata un’epoca di decadenza segnata da un eccesso di sperimentazione che sfocia nel cattivo gusto.
Solo negli ultimi decenni si è ritenuta un’epoca molto ricca e complessa.

  1. Abbiamo ad esempio Gabriello Chiabrera, che nella lirica riprende i modelli della tradizione classica, pur dimostrandosi capace di una sperimentazione inedita nell’ambito dei metri e dei ritmi. Si vede ad esempio nelle sue canzoni pindariche, pubblicate con il titolo di Canzonette.
    Ne risulta una lirica molto originale nella sua leggerezza, nei suoi toni apparentemente facili che lascia infine da parte il modello di Petrarca e che approda a una ricerca ritmica e fonica, in dialogo con la coeva esperienza della poesia per musica.
    La proposta di Chiabrera è dunque distinta dal concettismo e dagli infittirsi del tessuto in metaforico che caratterizza l’agevolazione dei poeti di primo Seicento, conservando una posizione autonoma.
  2. Abbiamo poi Girolamo Preti, appartenente all’Accademia dei Gelati di Bologna, con Salmace, raffinata rielaborazione ed aplificazione del racconto di Ovidio.
  3. Attraverso l’accademia degli umoristi di Roma abbiamo anche Alessandro Tassoni, che pubblica le Considerazioni sopra le rime del Petrarca nel 1609 in cui mostra un atteggiamento non riverente verso il Canzoniere.
    Il nome di Tassoni è però soprattutto legato alla formazione del genere eroicomico.
    Abbiamo ad esempio il poema in ottave La secchia rapita, dove il ‘memorando sdegno’ perde il posto dell’Ira di Achille nell’Iliade ed Elena, causa della guerra troiana, si trasforma in una secchia; la storia racconta Infatti dello scontro fra modesi e bolognesi, nato dopo che una secchia è stata rubata alla città di Bologna, nel corso dell’opposizione fra Guelfi e Ghibellini del Trecento italiano. Non è altro che una parodia del genere epico.
  4. Si profila fra Roma e Bologna anche una linea culturale alternativa che trova il suo centro intorno al cardinale Maffeo Barberini.
    Maffeo ispira la linea di un ritorno a una classicità composta e sorvegliata, critica contro una poesia a base mitologica, come quella Mariniana, caratterizzata da un ricorso ampio alle lascivie e da contenuti potenzialmente immorali.
    L’opposizione alla poetica di Marino diventa evidente, così come anche la proposta di una poesia che congiunge il modello di Petrarca sul piano dello stile con quelli di Pindaro e Orazio, prediletti per il nitore dei risultati e per la misura morale.
    Utilizza anche il famoso memento mori, la fugacità del tempo E la transitorietà della Dimensione umana.

Giunge in un certo senso a chiudere la stagione l’opera di sistemazione teorica più importante del Seicento italiano, Il cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro.
Essa è una opera fuori tempo, di lenta gestazione, che arriva tardi sulla scena della cultura barocca.
Sin dal titolo, cannocchiale aristotelico, evocativo di uno strumento moderno accostato al paradigma classico per eccellenza, cioè Aristotele, l’opera mira a una teorizzazione della poesia moderna accentuando il valore conoscitivo delle figure retoriche.

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contesto storico del ‘600:

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Nel Seicento ci troviamo davanti alla dominazione spagnola, alla riorganizzazione della Chiesa Cattolica e della sua posizione nei confronti del mondo protestante, che sfocia nell’assolutismo papale.

In questo periodo matura la questione intorno alla ragion di Stato, termine coniato a metà Cinquecento con cui, sulla scia del Principe di Machiavelli, si riflette sul rapporto della politica con l’etica rispetto al passato, nel periodo della Controriforma.
Con ragion di Stato i teorici affermano l’assoluta previminenza della politica sulla morale, per salvaguardare l’interesse dello Stato; una posizione che può confliggere con la difesa dei valori morali e religiosi, la quale, con la riforma e la controriforma, si era Imposta come una esigenza di primaria importanza.

Vi è anche il recupero dello storico latino Tacito, che negli Annales aveva descritto il dispotismo dell’imperatore Tiberio, nel quale aveva apprezzato le capacità di governo e allo stesso tempo biasimato il comportamento morale.
L’Impiego di Tacito permette di introdurre velatamente gli elementi più forti del pensiero di Machiavelli, autore ripudiato e messo all’indice, senza una citazione diretta.

  • Autore è importante di questo periodo è Paolo Sarpi, che entrando in rapporto con la Curia e i suoi esponenti a Roma ed anche entrando in contatto con Giordano Bruno e Galileo Galilei, lo resero antipatico alla Chiesa e ciò lo avvicinò alla politica della Repubblica di Venezia.
    Nei primi anni del Seicento le frizioni fra questa e lo Stato della Chiesa si fanno più aspre a causa della questione della relativa autonomia e della laicità dello Stato difese a oltranza da Venezia.
    Nel 1606 Venezia riceve dal Papa l’interdetto, ossia la proibizione di celebrare le funzioni religiose all’interno del suo territorio. così Sarpi, diventato canonista e teologo della Repubblica pubblica il Trattato dell’interdetto, in cui sostiene la dimensione è pienamente autonoma e laica dello Stato.
  • Abbiamo anche l’autore Traiano Boccalini, che nelle sue opere prende posizione contro la politica spagnola. Infatti egli fece esperienza diretta della politica spagnola durante vari suoi incarichi governativi, e ne capì la corruzione, i forti limiti e la patente incapacità, caratteristiche che diventeranno oggetto di profonda riflessione e di accusa nei suoi scritti. Inoltre nel suo dialogo religione e regioni di Stato, mostra il suo dissenso verso quest’ultimo.
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la narrazione nel ‘600:

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  • Nel 1600 secolo il romanzo prende piede. In Italia la produzione del romanzo è circoscrivibile nel periodo fra il 1625 e il 1675 e soprattutto in area Veneta e Ligure.
    Caratteristiche del romanzo sono ovviamente l’ampie estensione narrativa, i temi vari e il destinatario, che non è un pubblico necessariamente costituito da letterati.
    A Francesco Fulvio Frugoni si deve l’ideazione del romanzo che ha come oggetto la storia contemporanea
  • si sperimenta poi col genere della novella, anche questa che fiorisce in area Veneta e Ligure.
  • trovò anche forma le espressioni letterarie in dialetto, in cui si rivendica il primato dell’elemento dialettale contro il predominio della lingua Toscana
  • abbiamo ad esempio Giulio Cesare Croce, che si muove con agio fra scritture italiano e in dialetto, contesti in prevalenza di carattere burlesco in cui l’autore parla delle classi più umili, della vita di città e dell’alimentazione.
    Altro esempio è Giulio Cesare Cortese, primo esponente di una produzione poetica in napoletano con una nuova dignità artistica e una piena conoscenza letteraria.
    Tra le sue opere spicca la ‘Vaiasseide’ (il poema delle serve/vaiasse), che racconta la vita della plebe napoletana, in particolare di alcune serve che decidono di ribellarsi alla loro condizione.
  • Giovan Battista Basile, famoso per ‘lo cunto de li cunti’ (la fiaba delle fiabe).
    Si tratta di una racconta di 50 fiabe di origine popolare in dialetto.
    Una delle fiabe più famose è ‘la Gatta Cennerentola’, cioè la prima redazione scritta di Cenerentola.
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L’Arcadia:

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Alla fine del 600 si afferma anche in italia l’idea di una generale diversità e superiorità della modernità rispetto ai secoli precedenti.

In questo contesto nasce l’accademia dell’Arcadia a Roma nel 1690.
Si basava sul ripristino del buon gusto, con una lettura critica del passato (cesura fra i secoli aurei del 300 e del 500 con la degenerazione del 600 marinista).

Le poesie dei primi arcadi mostrano un’attenzione estrema all’aspetto formale, la ricerca di un’eleganza ottenuta attraverso la selezione di un linguaggio misurato e la costruzione-descrizione di immagini raffinate.
Nel giro di poco tempo, in questo modo, si verifica una significativa transizione: nei primi decenni del 700 si definisce una poesia guidata da un ideale di misura, nella quale alla precedente linea di sperimentazione pindarica si preferisce il più sicuro ritorno al modello di Petrarca.

Le premesse dell’Arcadia sono dovute all’Accademia Reale, fondata dalla ex regina svedese Cristina, a Roma.
Ne fanno parte i maggiori esponenti del classicismo di fine 600. L’esigenza era il distacco dalla corruzione del marinismo, di ripristino dell’eleganza formale e della semplicità sentimentale dei classici greci e latini, l’imitazione dei poeti trecenteschi e cinquecenteschi.

Saranno poi 14 letterati tutti appartenuti all’Accademia Reale a fondare l’Arcadia, come risposta alla critica del francese Bouhours, che critica i versi degli italiani per la loro eccessiva e vuota ornamentazione retorica e la concomitante mancanza di rispetto per la verità storica del contenuti.

  1. Il primo custode dell’Arcadia è Giovan Mario Crescimbeni, a cui la carica, che pure era intesa come temporanea, verrà rinnovata fino alla morte.
    Egli indirizza la produzione poetica verso forme poetiche semplici e contenuti facili (sonetti, arie, canzonette).
    Con lui nascono in tutta italia succursali dell’Arcadia.
    Altra personalità importante del periodo è Gian Vincenzo Gravina, che stabilisce l’uso del lessico pastorale in ogni attività dell’associazione.
    Gravina e Crescimbeni erano divisi anche sul fronte sociale: gesuita, legato alla curia e filopontificio Crescimbeni, antigesuita, filoasburgico Gravina.

La rottura dell’Arcadia avviene nel 1711, occasionata dal contrasto sull’interpretazione della legge che regola la sostituzione dei membri del collegio: il tentativo di Gravina di attenuare il verticismo che ormai caratterizza il governo dell’Adunanza è respinto e Gravina si stacca fondando ‘l’Arcadia Nuova’.

Gravina proponeva un classicismo più severo; tuttavia Crescimbeni uscirà vincitore dallo scisma e con la morte di Gravina la scissione è ricomposta.

L’ultimo custode dell’Arcaida è Luigi Godard, vari anni dopo Crescimbeni. Dopo gli sconvolgimenti rivoluzionari e napoleonici dell’800, l’Arcaida, priva di ogni mezzo e prestigio, si riduce a una dimensione esclusivamente romana.

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i poeti dell’Arcadia:

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  • Giambattista Zappi, uno dei fondatori, insieme alla moglie Faustina Maratti; pubblicano delle rime con argomenti sentimentali.
  • Eustachio Manfredi, che propone un ritorno a Petrarca
  • Paolo Roli, formatosi alla scuola di Gravina.
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Metastasio:

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Contro gli eccessi barocchi ma anche contro le condanne arcadiche, proseguendo il tentativo di riforma di Apostolo Zeno, Pietro Metastasio si dedica al teatro per musica riformandolo: opta per un dramma che mette al centro l’uomo e la parola, ritenendo i suoi drammi rappresentabili anche senza musica in virtù dell’armonia infusa nei propri versi.
Per Metastasio la tragedia è una tragedia della felicità, sia per il diletto che procura, e sia per il fatto che il teatro diventa un luogo di educazione per popoli e re.

Pietro Trapassi già ha dieci anni aveva straordinarie capacità di parlare in versi su qualunque soggetto all’improvviso. Verrà notato da Gravina, che lo sceglie come discepolo e che gli grecizza il cognome in Metastasio.
Pietro è allievo devoto ma indipendente, poiché legge anche gli sconsigliati Tasso, Guarini e Marino, scostandosi dall’insegnamenti del maestro.
Alla morte di Gravina Metastasio entra in Arcadia.

A Napoli il Vicerè gli commissiona per il compleanno di Elisabetta imperatrice d’Austria la cantata ‘Gli orti esperidi’.
Questa e altre occasioni teatrali destinate a spettacoli privati per un pubblico aristocratico portano Metastasio sostanzialmente fuori dall’ortodossia arcadica che considerava non riformabile l’opera per come si era andata definendo nel pieno e tardo Seicento, con la parola poetica subordinata alla musica.

Per Metastasio la parola infatti ha il primato insieme alla necessità di coerenza drammatica rispetto alla musica e alle altre parti che contribuiscono a realizzare lo spettacolo drammaturgico.

Il suo primo melodramma si chiama la ‘Didone abbandonata’, è di ispirazione virgiliana ed è costituito tutto sull’impulsiva figura di Didone.

Metastasio diventa poeta delle emozioni e degli stati d’animo, autore di drammi in cui conta il percorso di formazione morale che attraverso il variare costante opposti affetti porta al loro temperamento e alla ragionevole quiete interiore.

I successi di pubblico e i contatti con la nobiltà fino asburgica napoletana dando frutto, Infatti Metastasio viene invitato a succedere ad Apostolo Zeno nella carica di poeta Imperiale.
Così Metastasio giunge a Vienna nel 1730.

Metastasio scrive quindi per un pubblico colto e internazionale e si concentra perciò sulla semplificazione dei drammi, poco concedendo all’aspettacolarità scenica maculando attentamente la funzione drammatica della gestualità dei personaggi e l’approfondimento della loro psicologia.
Nasce ad esempio ‘L’olimpiade’, che trae spunti dal ‘Pastor fido’ e dall’‘Aminta’.
il re Clistene a posto la bella figlia Aristea come premio al vincitore delle gare di Olimpia.

Negli ultimi decenni della vita di Metastasio egli si dedica anche a comporre riflessioni teoriche a partire da alcuni fondamentali testistici, come su Orazio e Aristotele.
Sono lavori che gli consentono di enunciare una serie di consolidate e convinzioni teoriche.
Per Metastasio i suoi brani sono tragedie come quelle antiche, interamente cantate, sebbene non siano orrose e abbiano conclusioni felice.
Egli giunge perciò a una formulazione diversa e più ragionevole della catarsi, alla quale devono concorrere tutte le passioni e non solo il terrore e la compassione.

Per Metastasio è quindi dalla funzione pubblica e sociale dell’opera che risiedono anche la necessità della conclusione felice dei melodrammi, che suggella il governo delle passioni e soprattutto l’utilità loro e dell’opera del poeta.

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L’illuminismo a Napoli e in Veneto:

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L’illuminismo ha il suo epicentro nella Milano di metà secolo, ma non è l’unica zona d’Italia in cui si espande. Anzi, gli esiti della riflessione illuminista variano in base al contesto sociale e politico.

  • Nella Napoli borbonica l’illuminismo si distingue per gli esiti originali in direzione riformistica, in particolare nell’economia,nel commercio e nel diritto.
    Manifesto è il trattato ‘Della Moneta’ dell’abate Ferdinando Galiani, in cui difende l’invenzione della moneta, soffermandosi sulla sua utilità e sulla comodità.
    Abbiamo anche una riflessione sul regno di Napoli di Piatro Giannone.
  • In Veneto abbiamo i fratelli Gasparo e Carlo Gozzi. Pur non favorevoli all’adesione alle idee illuministiche, sono promotori di una serie di attività di rilievo nella Venezia settecentesca, fra letteratura, teatro e giornalismo.
    Emblematica in questo senso è l’Accademia dei Granelleschi, in cui le discussioni vertono su questioni di natura linguistica, caratterizzate da un atteggiamento conservatore e volte alla difesa delle posizioni della Crusca, di Dante e della lingua trecentesca contro le mode francesizzanti.
    Gasparo Gozzi si interessa alla drammaturgia, scrivendo commedie e maturando una riflessione su un tentativo di riforma verso un teatro borghese e innervato da istanze morali.
    Dai primi anni 40 fino ai 50, quando infine si affermerà la riforma di Goldoni.
    Carlo Gozzi manifesta un atteggiamento conservatore, rigido e contrario alle idee illuministiche e all’esterofilia. Si scaglierà contro Goldoni, promotore di una riforma che mira a fondare un teatro moderno.
    Altro illuminista è Giuseppe Baretti, famoso per la sua ‘Frusta Letteraria’, periodico da lui fondato in cui l’autore esprime (dietro pseudonimo) giudizi impietosi e polemici nei confronti della letteratura coeva e del cattivo gusto imperante. Lancia infatti invettive contro le mode diffuse, contro la cultura polverosa esemplificata dall’erudizione settecentesca e la letteratura priva di freschezza e vivacità (in parte rappresentata dall’Arcadia).
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Carlo Goldoni:

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Carlo Goldoni nasce a Venezia nel 1707. Diventa avvocato ma sarà sempre interessato al teatro, tant’è che dal 1734 inizia a collaborare con il teatro San Samuele di proprietà Grimani e con il San Giovanni Crisostomo, specializzato nella proposta di opere musicali; anni dopo scrive il momolo cortesan, una commedia nella quale accanto alle indicazioni sommarie riservate agli attori, la parte del protagonista è scritta per intero, precisata in battute definite.
La donna di garbo è il primo caso di commedia interamente scritta, con battute definite per tutti gli attori.
Nel periodo del San Samuele Goldoni mette a fuoco gli elementi chiave della sua riforma.

Nel 1744 è costretto a lasciare Venezia per ragioni economiche e finirà a Pisa dove resterà tre anni come avvocato e si iscriverà all’Arcadia.
Tornato poi a Venezia Goldoni sottoscrive un contratto per cinque anni con l’impresario Medebach, e sceglie di perseguire in modo esclusivo la professione teatrale.
Nasce ad esempio la putta onorata, commedia nella cui protagonista Bettina, Goldoni Proietta un ideale di virtù misurata e pudica.
Goldoni si mostrerà sempre dalla parte delle classi più operose, e nella borghesia, vero motore economico della società veneziana.

Nel 1750 esce il teatro comico, una riflessione è rappresentazione della sua riforma.
La commedia, di impostazione metà teatrale, mette infatti in scena una compagnia di attori che provano una commedia dello stesso Goldoni e in questo modo discutono del testo e mettono in luce le novità dell’esperienza goldoniana.
Viene presentato il quadro di decadenza della commedia dell’arte, capace di suscitare solo passioni vini per una comicità di natura volgare, disattendendo il compito di correggere i vizi.

Secondo Goldoni invece non solo andavano studiati gli autori precedenti della tradizione, ma soprattutto il mondo, come palestra per l’analisi e la comprensione delle passioni dell’uomo, e il teatro.
In questo modo egli riprende una tensione a nobilitare la pratica del teatro collocandola all’interno di una prospettiva alta pedagogica.
Inoltre Goldoni dice che la lingua e lo stile devono essere ‘di natura’, giustificando così il carattere poco sorvegliato della propria scrittura.
Mondo e teatro, con una scrittura prossima alla natura, diventano così i due poli che orientano la scrittura in una combinazione di analisi di costumi e realtà e di abile resa scenica.

L’erede fortunata va incontro a un brusco insuccesso. Il fiasco spinge Goldoni a rilanciare per la stagione successiva non le 8 commedie previste dal suo contratto ma il doppio, 16.
Così nasce la bottega del caffè, una commedia corale, e La locandiera, protagonista della quale è la locandiera Mirandolina e i suoi corteggiatori.

Dall’anno successivo, 1752, Goldoni firma un contratto decennale per passare al Teatro San Luca di Antonio Vendramin.
Per sostituire proprio Goldoni al teatro Sant’Angelo viene chiamato il romanziere Pietro Chiari, esplicitando così una rivalità nata negli anni precedenti.
Dopo qualche anno un altro focolaio polemico è quello con Carlo Gozzi; in una serie di scritti Gozzi rimprovera a Goldoni un atteggiamento ambiguo teso a irretire il pubblico, con esiti oscillanti tra il sentimentalismo e la materia umile delle commedie più popolari.
Inoltre dà giudizi negativi sulla qualità della scrittura. Di contro Gozzi propone una produzione teatrale di impronta marcatamente fiabesca.
Così comincia il declino di Goldoni, che presto lascerà a Venezia per Parigi, dove scriverà i memoir, una sua autobiografia scritta in francese.

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l’illuminismo lombardo:

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Fra il 1761 e il 1862 a Milano nasce l’Accademia dei Pugni, nome che ne indica l’animosità dei dibattiti: uno spazio di socialità dove si traducono in territorio milanese le idee di rinnovamento culturale politico ed economico della società civile elaborate dagli illuministi francesi Voltaire, Rousseau, Diderot eccetera.
Di questa società di amici, animata dai conti Pietro e Alessandro Verri, farà parte anche il giurista Cesare Beccaria.

‘Il Caffè’, periodico, nasce proprio come costola di questa accademia.

Il presupposto di fondo è lo svecchiamento civile della società attraverso il superamento del sistema feudale, ottenuto attraverso la promozione del ceto borghese.

Inoltre Alessandro Verri propone una serie di articoli fra cui ‘la rinunzia’, in cui si sottrae all’autorità del Vocabolario della Crusca, che obbliga a scrivere e parlare soltanto con determinate parole, rivendicando la necessità di attingere ad altre lingue per arricchire il patrimonio di lessico e di conoscenze dell’italiano.

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Giuseppe Parini:

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Giuseppe Parini aveva una vocazione sia per l’essere poeta ma anche per l’essere un educatore.
La sua estrazione provinciale, povera e plebea, è all’origine del particolare punto di vista da cui egli osserva la società e gli uomini, e ne Immagina la riforma.

D’altra parte vi è l’orgogliosa consapevolezza di essere poeta, di far parte di una aristocrazia spirituale, che lo rende cosciente di essere diverso dai plebei per nascita e per spirito.
Parini investe su una letteratura che, da un lato, con le armi della satira e dell’ammonimento inviti ed educhi a una riforma razionale e morale dell’uomo e della società, dall’altro la versione alla verità e la proposta di una bellezza incontaminata, celebri il vero oro e la vera nobiltà dell’esistenza.

Giuseppe Parino, poi Parini, nasce a Bosisio.
Il suo esordio come poeta sono le ‘alcune poesie di Ripano Eupilino’.
L’utilizzo dello pseudonimo Ripano, anagramma di Parino, e Eupilino, indicante la provenienza dell’autore, rivelano la preoccupazione per quei versi.
L’antologia infatti è divisa in due parti: la prima di sonetti seri amorosi, e la seconda di poesie piacevoli, cioè sonetti burleschi o satirici.

Presto inizierà a far parte dell’Accademia dei Trasformati, ricostituita a Milano.
Gli accademici difendono la letteratura dialettale, praticano ironia e satira come mezzo di critica e educazione morale.

Sarà In questo ambiente che Parini verrà a conoscenza dell’illuminismo inglese e francese.

Per quanto riguarda la prosa, Parini pubblica 2 dialoghi:
* Il Dialogo sopra la nobiltà, in cui Parini sottopone a critica l’insensatezza del vanto di una nobiltà di sangue disgiunta da una personale nobiltà di spirito. L’opera nasce dal dialogo fra due cadaveri, di un poeta e di un nobile, accidentalmente finiti accanto.
* il Dialogo sopra la poesia, in cui Parini afferma che la poesia non è il vano intrattenimento per gente oziosa, ma un piacere universale utile come la religione le leggi e la politica.

Nel frattempo vengono pubblicate le prime odi civili:
1. la vita rustica, in cui Parini afferma la superiorità dell’Agricoltura all’apido mercantilismo.
2. la salubrità dell’aria, in cui Parini paragona la sanità di Bosisio con l’aria inquinata di Milano (lessico aulico della tradizione letteraria per giudicare i problemi della realtà contemporanea).

Negli anni successivi nasce il Mattino, pometto che ha per tema le inattività di un giovane aristocratico e offre quindi un giudizio globale sulla nobiltà Lombarda.
Infatti Parini copre i panni del poeta satirico con quelli del maestro di eleganza e di divertimento.
Utilizza l’ironia, le antifrasi e la continua celebrazione stilistica di vite e oggetti preziosi ma fatui, che incessantemente rimandano a una realtà sociale di oppressione, sfruttamento e ingiustizia.

Il mattino si apre con l’ironica dedica ‘alla moda’, che governa la nostra gioventù; da essa dipendono la scelta dell’indecasillabisciolti.

L’inizio vero e proprio della mattinata del ‘giovin signore’, che, reduce dalla nottata di festeggiamenti, si corica al canto del gallo che invece richiama all’opera contadini e artigiani, presentati anche qui come modelli di vita laboriosa.

La mattina del nobile, risvegliatosi a giorno fatto, sarà tutto occupata dalla preparazione per l’uscita in carrozza. Scopo dei preparativi è la comparsa nel bel mondo e l’accompagnamento della dama di cui il giovin signore è il cavalier servente, il cicisbeo.

Conclusi i preparativi e gli indugi, finalmente il giovin signore si precipita alla dimora della sua dama, con la quale trascorrerà le altre parti della giornata.

  1. Nasce lode l’educazione, composta per la guarigione di Carlo Imbonati e dedicata ai principi di una vera formazione umana.
    Infatti Parini desidera l’investimento nella formazione di un aristocrazia illuminata e riformatrice, che sappia elevare il fortunoso privilegio della nobiltà di sangue col merito della virtù.
  2. l’innesto del vaiolo, in cui Parini si dimostra favorevole ai vaccini contro il vaiolo.

Nel 1765 è pubblicato il secondo poemetto sulla giornata del nobile, il mezzogiorno.
Vengono alla ribalta la dama, che si è lungamente preparata, i corteggiatori, e il marito inebetito a cui è vietato la gelosia.

  1. Nasce l’ultima ode civile, il bisogno, in cui, come Beccaria, Parini sostiene l’inutilità di pene aspre se non si pone rimedio alle cause del crimine.

Abbiamo poi altre tre odi, pubblicate anni più tardi con argomento non civile:
6. la laurea, per l’adattamento Pavese in giurisprudenza di Pellegrina Amoretti.
7. la caduta, in cui Parini racconta del poeta che cade a terra in una giornata di pioggia e che è soccorso da un uomo che gli consiglia di trarre utile dall’arte, suscitando così lo sdegno di Parini che si ritorna da solo a casa. Questo per dire che Parini non si è mai umiliato per entrare nelle Grazie dei potenti.
8. per l’inclita Nice, cioè per la contessa Maria Rita Castelbarco che aveva mandato a chiedere notizie del poeta infermo.
9. A Silvia, contro la moda francese.
10. Alla Musa, testamento poetico ed educativo di Parini. Il tema è l’educazione al culto della bellezza.

Parini lascia incompiuta la sua opera maggiore, poiché riprenderà la Sera solo negli anni ‘80.
Durante il processo di revisione però attuerà lo cambio strutturale dell’opera che verrà divisa in quattro parti: Mattino, Meriggio, Vespro, Notte.
Tuttavia per le ultime due parti abbiamo solo frammentari manoscritti e appunti in prosa che indicano alcuni dei temi che Parini intendeva sviluppare.

Probabilmente Parini abbandonò l’opera sia per le difficoltà strutturali interne ma anche perché il mondo aristocratico, messo alla berlina dalla Rivoluzione Francese, che non rappresentava più la pena di infierire.
Forse proprio nell’impossibilità di educare un ceto ormai destinato alla fine sta anche una delle chiavi per comprendere l’incompitezza a cui Parini abbandona la sua, ormai inutile, satira.

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Vincenzo Monti:

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Vincenzo Monti è considerato il campione del neoclassicismo letterario italiano insieme a Ugo Foscolo.
Nasce in Ravenna, per poi spostarsi a Roma dove comincia la sua attività poetica.

Opera importante è la basvillana, polemica riguardo all’episodio della morte del messo francese Ugo Bassville nel 1793 in seguito ha un’aggressione popolare; l’episodio è all’origine di alcuni componimenti filo papalini e anti rivoluzionari.
L’opera parla del viaggio dell’anima di Bassville fino a Parigi, testimone oculare degli scempi perpetrati da rivoluzionari per poter giungere infine alla redenzione.

Acausa del suo avvicinamento alla causa giacobina Monti scappa da Roma e giunge a Milano dove è nominato segretario per gli affari esteri. Infine scapperà a Parigi.
Ormai lontano da Roma, Monti tenta di rinegoziare il significato politico anti-rivoluzionario della basvigliana. Ad esempio nasce il Prometeo, prometto che attribuisce a Napoleone la missione civilizzatrice incarnata dall’eroe mitico simbolo del progresso umano.

L’apice della celebrazione Napoleonica è rappresentato però dal Bardo della Selva Nera, poema incompiuto sulle imprese napoleoniche, e L’Iliade, anticipata dall’esperimento di traduzione dell’Iliade, in cui Monti decide di cantare epicamente l’imperialismo Napoleonico secondo la grammatica del Neoclassicismo.

Monti è sicuramente conosciuto per il suo parere sulla questione della lingua.

Fra il 1806 e il 1811 il sacerdote Antonio Cesari pubblica a Verona una ristampa cresciuta del Vocabolario della Crusca. Il vocabolario intende dare un preciso orientamento per arricchire la lingua, prima invadendo l’importanza della lezione degli scrittori e proclamare in età di innovazione, il primato della fase antica e originaria della tradizione italiana.
Il movimento purista vuole ripristinare una supposta ‘puritas’ linguistica, presente in uno spazio e in un tempo ben definiti e non negoziabili ,quella appunto della Toscana del Trecento.

Alla posizione del Cesari Vincenzo Monti si contrappone con tre dialoghi.
Questi dialoghi insistono in particolare sull’assenza di distinzione, all’interno della Crusca, tra arcaismi, cioè forme non più vive nella lingua parlata, e lessico dell’uso, assenza che ne fa di fatto uno strumento inservibile nel presente.

Qualche anno dopo Monti stigmatizza nella sua proposta lemmi inesistenti o ortograficamente scorretti tratti da edizioni non filologicamente attendibili o da testi a penna non verificabili, oppure lemmi fiorentini, in nome di quell’antimunicipalismo, cioè di quella lotta contro i particolarismi per costituire una lingua comune della nazione che anima il pensiero linguistico di Monti.
Fra le aggiunte di lemmi trovano posto con posti greco latini e parole tratte dagli autori prediletti come Dante e Ariosto.

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dinamiche fra Neoclassicismo e Romanticismo:

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Melchiorre Cesarotti, nel suo ragionamento sopra l’origine e i progressi dell’arte poetica, premesso alla traduzione di due tragedie di Voltaire, pur accogliendo il progetto imitativo dell’estetica neoclassica basato sulla ripresa dei modelli greco-latini, pone l’accento sulla molteplicità delle forme della natura e sulla conseguente, infinita possibilità di reinterpretazione creativa da parte del poeta.
Per cui è necessario uno svecchiamento della cultura letteraria italiana.

Nel 1763 pubblica le poesie di ossian, antico poeta celtico, una silloge/antologia di poemi epici in endecasillabi sciolti e altri metri che lo impone come maestro e modello poetico per le generazioni a lui contemporanee e successive.
Il testo in inglese di partenza è una contraffazione di James Mcpherson, il quale dà alle stampe qualche anno prima due poemi epici in prosa che finge essere di originali canti gaelici del 3° secolo dopo Cristo, composti da Ossian, visto come uno Omero nordico e anticlassicista.

Cesarotti non è interessato alla loro autenticità, ma ne è attirato in quanto indicano una via all’epica diversa da quella classicista, una via più primitiva accordata sulla tonalità preromantica data dalla relazione non mediata con una natura indomabile e sublime.
L’effetto dell’uscita dei poemi oceanici è dirompente, in quanto propongono temi, situazioni e atmosfere inedite svolte con soluzioni linguistiche o stilistiche nuove rispetto al paradigma neoclassicistico egemone.

Intorno ai primi anni dell’Ottocento assistiamo a uno scontro fra classicismo e romanticismo, in particolare dopo la pubblicazione del trattato Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni di Madame de Staël, tradotto da Pietro Giordani, fra i fondatori della rivista su cui sarà pubblicato, la ‘biblioteca italiana’.
La De Stael è legata all’Italia grazie alle relazioni di amicizia con Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte, Melchiorre Cesarotti e altri, da qui il suo interesse nei confronti della scena letteraria italiana, su cui esprime la sua opinione.
Secondo la De Stael l’Italia è arretrata rispetto all’Europa romantica e dovrebbe quindi smettere di ispirarsi ai modelli classici ma ai modelli europei.

Il primo a rispondere è proprio il traduttore dell’opera, cioè Pietro Giordani.
Giordani è un classicista atipico: pur propugnando ideali estetici classicisti, non estende il suo conservatorismo sul piano politico, nel quale al contrario si distingue per lucidità di ideali progressisti.
Nella risposta a Madame de Stael Giordano è d’accordo sul giudizio negativo sul teatro italiano ma afferma ancora l’onore della tradizione dei miti come eredità di temi e immagini da riattualizzare e ridefinire ma assolutamente da non rigettare.

Nel 1818 a Milano verrà fondata la rivista ‘il Conciliatore’, con un programma nazionale liberale.
Infatti il programma della rivista sosteneva la necessità che le lettere, in particolare i suoi generi più popolari cioè il teatro e il romanzo, fossero al servizio del progresso della società civile.

Il redattore Giovanni Berchet nel 1820 si iscrive alla società segreta della Carboneria, e, prima di essere arrestato, scappa a Parigi.
Nella lettera semiseria di grisostomo al suo figliolo, composta a partire dalle considerazioni attorno a due ballate romantiche tedesche da lui tradotte, Berchet propone una riflessione sulla rinnovata relazione fra produzione letteraria e pubblico borghese.

Adottando l’espediente funzionale del pedagogo che espone al figlio le teorie estetiche romantiche, per giungere all’ironica ritrattazione finale in cui lo ammonisce a tenersene bene alla larga essendo fedele al sistema classicistico.

Altro esponente romantico è sicuramente Silvio Pellico, che verrà arrestato a causa dei moti di matrice carbonara del 1821, che nelle sue prigioni racconta delle vicende di cui è stato protagonista.

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le 3 corone dell’800:

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Per la generazione di scrittori nati fra gli anni 60 e 70 (da Foscolo a Manzoni) Napoleone incarna un vero e proprio mito classico.
Allo stesso tempo però, iniziano così i primi temi romantici come il patriottismo nazionale, scaturito dalla dipendenza dalla Francia.

Non è un caso che, come 5 secoli prima all’avvento del volgare la rivoluzione culturale e linguistica aveva fatto nasce il mito delle 3 corone in Dante, Petrarca e Boccaccio, nel passaggio fra ‘700 e ‘800, fra classicismo e romanticismo, le tre corone dell’800 diventino Foscolo, Manzoni e Leopardi.

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Leopardi e le ‘Operette Morali’:

A
  • Nel 1835 i Borboni hanno bloccato con un editto la pubblicazione di alcune opere di Leopardi, mentre quelle già pubblicate vengono sequestrate poco dopo l’uscita (il primo tomo dei due previsti per le Operette Morali viene interrotto alla vendita).
  • Nell’emergenza dell’epidemia di colera Leopardi progetta un edizione che possa essere stampata a Parigi lontano dalla censura.
  • delle operette morali erano già uscite due edizioni: la prima a Milano nel 1827 e la seconda a Firenze nel 1834, ma tra le migliaia di carte che ha portato con sé nel suo viaggio nel Regno di Napoli ha anche la prima versione scritta interamente di un suo pugno.
    È uno dei pezzi più importanti del lascito testamentario che Antonio Ranieri dispose nel 1888 per la biblioteca nazionale di Napoli, quando ormai l’amico era morto da più di 50 anni e lui era un Senatore del Regno d’Italia.
  • questo non è l’unico luogo in cui siano oggi conservati autografi leopardiani, tuttavia vi sono alcuni degli autografi più importanti delle sue poesie, le edizioni delle sue opere corrette, migliaia di fogli dello Zibaldone e molte delle sue lettere.
  • l’autografo delle operette morali è frutto dell’unione di fascicoli diversi cuciti insieme con una cordicella. Le carte erano ancora sciolte quando Leopardi scriveva ma l’unione dei fascicoli in un unico manoscritto è stata fatto da lui stesso; lo sappiamo grazie alla numerazione di sua mano.
  • Leopardi, come Ariosto, aveva l’abitudine di piegare i fogli in verticale per dividere ogni pagina in due zone ben distinte: quella interna per il testo e quella esterna per correzioni, aggiunte o varianti.
  • le operette morali sono una riflessione sulla condizione umana composta nel 1824 e tramandata dall’autografo che noi abbiamo.
    Esse si aprono con un racconto in cui gli dei osservano con stupore e curiosità la rovina dell’uomo: ‘storia del genere umano’.
  • per quanto riguarda la scrittura Leopardi usava depositare sui margini grappoli di sinonimi in attesa della soluzione migliore, un po’ come faceva anche Boccaccio.
  • Dietro alla scrittura c’era un lavoro enorme sulla lingua affidato in massima parte allo Zibaldone.
    Il giorno in cui inizia a lavorare sul manoscritto delle operette morali segna una serie di annotazioni sui diminutivi positivati: parole che, pur avendo la forma di un diminutivo, hanno però assunto col tempo un valore pieno.
    Riempie poi i propri appunti di rinvii al greco, al francese o al latino.
    Si avverte uno scollamento rispetto alla lingua dell’uso quotidiano, per lo più confinata nel dialetto, ma anche la difficoltà di una lingua letteraria credibile che non apparisse imbalsamata e bloccata in una sterile ripetizione di formula del passato.
    Nel 1823 però non solo l’Italia è lontana dal diventare una nazione, ma la sua lingua appare bloccata e senza soluzioni, prigioniera di quella tradizione che aveva costituito a lungo la sua forza.
  • la parte più complessa da rendere, dal punto di vista stilistico, era probabilmente quella dei dialoghi; delle 20 operette che Leopardi mette insieme nell’autografo napoletano, ben 13 sono dialoghi.
  • non c’è solo la lingua, però. Nei margini del manoscritto e in coda ai testi Leopardi segna chiarimenti, rinvii ad altri libri etc.
    Sembrano anche questi elementi ha esclusivo uso interno ma questa volta non è così.
    Nell’autografo napoletano, Leopardi predispone appositamente un apparato di note in fondo al volume: 7 pagine.
    Non tutte finiranno nell’edizione: anche per questo l’autografo napoletano è fondamentale per gli studiosi.
  • le note in fondo al monoscritto non sono l’unico indizio che avvicina questo manoscritto a una stampa. Leopardi segna gli ‘a capo’ e indica delle correzioni strutturali, ad esempio sul titolo di alcuni testi.
  • una particolarità è il fatto che non vi sia il titolo sul manoscritto. Se un titolo c’era infatti era in un altro fascicolo o su un foglio anteposto al volume che oggi non abbiamo più.
    Il nostro titolo compare per la prima volta a quanto ne sappiamo in un elenco che Leopardi stila come indice delle sue produzioni dal1809 in poi.
  • Sempre a Napoli è conservata l’edizione su cui Leopardi ha fatto le ultime correzioni alle operette morali: la sua copia personale.
    In questo volume è contenuta però solo la prima parte delle operette poiché il resto è stato bloccato dalla censura borbonica prima che venisse stampato.
  • l’edizione completa è curata Da Ranieri solo nel 1845.
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Eugenio Montale e ‘Satura’:

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A Pavia sono conservate le carte legate alla composizione di Satura, la raccolta che Montale pubblica nel 1971.
Tacquini, dattiloscritti, fotocopie di originali. Abbiamo in particolare un taccuino in cui sono scritti con una biro blu i primi versi di una delle poesie di Satura.
E’ una delle brevi poesie che compongono la serie di Xenia, le poesie scritte per la moglie morta che verranno comprese nella Satura.

  • ‘Xenia’ significa dono, offerta, in particolare è una parola greca accolta nella lingua latina usata per indicare i doni che si facevano all’ospite.
  • Ovviamente gli appunti che abbiamo di Satura comprendono poi interventi di revisione, come il fatto che fossero incluse le date con giorno e mese di tutti i componimenti.
    Mentre nelle edizioni pubblicate abbiamo solo l’anno di composizione.
  • I versi più antichi di Xenia rimandano al 10 aprile 1964. Quel giorno Montale scrive la poesia che ancora oggi apre la sezione e in cui il soprannome ‘Mosca’ viene evocato in modo esplicito.
  • Su 103 poesie solo 61 hanno un titolo mentre le altre sono indicate per mezzo del semplice incipit.
    E’ infatti a partire dal Seicento e soprattutto del Settecento che il titolo diventa qualcosa di costitutivo della poesia lirica.
    La rottura con la codificazione poetica precedente che caratterizza il ‘900 fa sì che anche il titolo venga spesso eliminato a favore di una frammentarietà e un’autonomia della scrittura poetica.
  • la preistoria di Xenia è in realtà legata a un quaderno che non è a Pavia ma in una collezione privata. Montale lo chiamava il ‘quaderno giapponese’ per il modo in cui i fogli si aprivano a fisarmonica e non a blocchetto.
    Qui Montale ha fatto confluire i pezzi che via via componeva tra il 1964 e il 1967.
    Il quaderno giapponese testimonia cambiamenti introdotti da Montale in stesura progressiva.
  • Ovviamente le cartelline contenute a Pavia non contengono solo materiali di Xenia, ma anche di altri componimenti di Satura.
  • Per quanto riguarda la lingua Montale mostra un gusto per la parola inconsueta, un po’ come Pascoli e D’Annunzio.
    In particolare ha gusto per la difficoltà, come nell’antichità.
    In Xenia vi sono raramente parole difficili, ma anche nelle altre poesie di Satura la loro presenza è quasi sempre controbilanciata da escursioni lessicali in senso opposto.
    La lingua di Montale è poi caratterizzata dalla rottura di ogni retorica, di ogni lirismo impostato, l’ironia nei confronti della critica letteraria che cerca di etichettare ciò che non è etichettabile.
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Umberto Eco e ‘il nome della rosa’:

A
  • I documenti legati alla stesura del Nome della Rosa sono contenuti a casa di Umberto Eco, ora curati dalla moglie Renate Ramge.
  • abbiamo 3 cartelline: una che contiene le stesura iniziale del romanzo; una seconda in cui sono raccolti gli schemi e gli appunti per la costruzione della trama; la terza che comprende la prima stesura battuta a macchina da un assistente e poi rivista.
  • i primi fogli della prima cartellina ovviamente rimandano all’inizio del libro: Il racconto del finto ritrovamento del testo medievale in cui si narra la catena dei delitti nell’abbazia.
    Nell’edizione a stampa, questa introduzione avrà la data del 5 gennaio 1980, giorno in cui Eco compiva 48 anni.
    La scrittura di quello che sarebbe diventato il nome della rosa era iniziata solo un paio di anni prima.
  • La scrittura di Eco è animata da doppi fondi, botole e citazioni.
  • Modelli sono sicuramente Borges, autore di ‘Pierre menard, autore del Chisciotte’, in cui Borges Immagina un autore francese che negli anni trenta del Novecento decide di comporre di nuovo il Don Chisciotte; una riscrittura che in un tempo diverso produce un testo diverso anche se identico nelle parole. Esso è un modello sia per l’idea della biblioteca labirintica, ma anche poiché anche Eco scriveva una storia medievale che agli occhi di un contemporaneo avrebbe avuto significati diversi.
  • Eco racconta che la scrittura iniziale dei suoi libri avviene sui supporti diversi, a seconda del momento e del luogo in cui si trova.
  • nel 1983, mentre il nome della rosa spopolava in Europa e in America Ecco pubblica un saggio in cui descrive il processo di composizione del romanzo: ‘postille al nome della rosa’.
    Qui Eco afferma che un altro modello è Sherlock Holmes (Conan Doyle), oltre al fatto che il personaggio Jorge da Burgos è una citazione a Jorge Luis Borges.
    Altri modelli sono Italo Calvino, Marco Polo e Manzoni per il tono di alcune battute.
  • in una serie di fogli ci sono le stesure di alcune delle rubriche che Eco porrà in testa a ogni capitolo.
  • il libro si chiude con due righe finali che riproducono le formule con le quali, nel Medioevo, colui che aveva trascorso mesi a tracciare linee su una pergamena prendeva congedo dall’oggetto che aveva con tanta cura e fatica vivificato per mezzo della scrittura.