manuale: 3) la filologia della copia: Flashcards
‘filologia della copia’ e ‘filologia dell’originale’:
La distinzione fra filologia della copia e filologia dell’originale va presa con le pinze,perchè si danno situazioni ibride (ex. tradizioni in parte autografe e in parte no), perchè gli idiografi sono di fatto assimilabili agli autografi, e perchè anche in una tradizione interamente costituita da apografi possono essere presenti sicure o probabili varianti d’autore.
In linea di massima comunque:
* filologia della copia: muove da uno o più testimoni non autografi posteriori al perduto originale e si muove a ritroso verso l’ipotetico recupero di quest’ultimo > è ‘ricostruttiva’
* filologia dell’originale: prende in esame l’elaborazione del testo da parte dell’autore attraverso gli autografi noti, per ripercorrere le tappe che lo hanno condotto dalla prima ideazione dell’opera alla sua forma ultima (= la volontà dell’autore).
La filologia della copia ha come fine appunto quello di ricostruire in via ipotetica la conformazione dell’originale scomparsi, o almeno del primo manoscritto che si suppone derivi da esso (l’archetipo) e consiste sostanzialmente nell’individuare e nell’eliminare li errori e le varianti non originali.
Fin dall’antichità era chiaro ai dotti che le copie deturpano in varia misura il testo originale, e presto si ebbe chiara coscienza del fatto che il confronto di copie diverse permette di individuare i guasti e ne agevola la correzione.
Quanto alle varianti, la loro individuazione era ovviamente impossibile in presenza di un codex unicus, e nelle altre situazioni la scelta fra di esse soffriva comunque della mancanza di precisi criteri di analisi e di selezione, per cui ci si affidava al giudizio individuale.
il metodo di Lachmann:
è il più diffuso metodo ricostruttivo di testi trasmessi da traduzioni non autografe.
Nel 17° secolo il filologo Lachmann ci fornì una prima sommaria codificazione e alcune celebri applicazioni, sopratutto nelle sue edizioni del Nuovo Testamento e di Lucrezio.
Di fatto, però, quello che oggi definiamo ‘metodo di Lachmann’ è un insieme di dorme e di procedure ecdotiche solo in parte a lui riconducibili e talora, anzi, a lui del tutto estranee o formulate in modo generico.
Ricevettero una più rigorosa precisazone teorica dal filologo tedesco Paul Maas.
i capisaldi del metodo:
- il censimento (raccolta dei testimoni che trasmettono il testo)
- la collatio (il confronto fra i testimoni, fatto prendendo come permine di paragone un testo di riferimento detto ‘base’; la collazione va fatta ex novo dal filologo salvo eccezioni.)
- recensio (valutazione dei risultati della collazione allo scopo di ricostruire i rapporti fra i testimoni) > si fa lo stemma e la denominazione dei manoscritti
- examinatio (l’attenta valutazione della bontà di ogni lezione tràdita)
- l’emendatio (ope codicum, ope ingenii), cioè la correzione di eventuali errori. tuttavia, individuare un guasto testuale è più importante che volerlo a tutti i costi riparare. Il ‘codex unicus’ da un lato obbliga all’emendazione, ma dall’altro costringe il filologo a navigare a vista. + eliminatio
- la scelta/selezione delle varianti
la selezione delle varianti: gli strumenti:
Lo scoglio più insidioso è costituito dalle varianti, assai pù numerose degli errori.
Il metodo di Lachmann prevede una serie di strumenti atti a porre rimedio a questi rischi, affinchè il filologo possa contare su criteri oggettivi nel costituire il testo, facendo affidamento il meno possibile sul proprio giudizio.
- lo stemma, che in alcuni casi, quando dalla recensio non scaturisce un albero bipartito, e i rami siano costituiti da altrettanti codici che presentino, in un medesimo luogo, due o più varianti, si possa optare per la lezione maggioritaria (emendatio ope codicum).
Le varianti da prendere in considerazione sono quelle recate dai testimoni più vicini all’originale o all’archetipo, poichè le lezioni degli altri sono in genere frutto di innovazioni posteriori.
Tuttavia la procedura meccanica nella selezione delle varianti è inapplicabile in presenza di una contrapposizione seca fra due lezioni paritariamente attestate o quando discordano fra loro tutti i i rami di uno stemma pluripartito; per cui abbiamo altri due strumenti. - l’usus scribendi (ope ingenii)
- la lectio difficilior (ope ingenii)
reggimento chiuso = può applicarsi l’ope codicum
reggimento aperto = non ci si può affidare alla legge della maggioranza
i limiti del metodo lachmanniano:
Bèdier era un filologo romanzo che lavorava su testi francesi medievali: questo gli permise di cogliere alcuni precisi limiti che il metodo lachmanniano presenta una volta applicato ai testi volgari. Tre sono i principali limiti:
1. scientificità apparente: le soluzioni meccaniche sono praticabili solo in pochi casi, mentre spesso è necessario ricorrere al tanto deprecato ‘iudicium’ nella scelta delle varianti
2. in non pochi casi si manifesta la possibilità di delineare, per la tradizione di una medesima opera, più stemmi fra loro altermnativi e ugualmente plausibili.
3. il metodo di Lachmann porta a stabile testi ricostruiti in laboratorio attingendo a più testimoni e a rami diversi della tradizione; testi che hanno carattere del tutto o provalentemente ipotetico.
il metodo di Bèdier:
Sulla base di ciò, nella sua seconda edizione del poemetto francese del 18° secolo ‘Lai de l’ombre’ di Jean Renart, Bèdier rinuncia a proporre uno stemma codicum, e seleziona un solo codice (A) sul fondamento del quale stabilire il testo.
A viene privilegiato non perchè ritenuto più vicino all’originale degli altri, ma perchè offre un testo generalmente molto ‘sensato e coerente’ e infine perchè è quello che presenta meno spesso lezioni singolari e che meno spesso si è tentati di correggere.
Nella scelta e nella correzione di certe lezioni non viene messo in campo un procedimento meccanico fondato sulla classificazione dei manoscritti, ma si fa affidamento sul personale iudicium, ossia sulla sensbilità e sul gusto;
il lettore deve essere debitamente informato di ogni intervento dell’editore e delle ragioni che glielo hanno dettato.
Bèdier ha voluto offrire al lettore niente più che il testo di un ‘buon manoscritto’, corretto in pochi luoghi ben dichiarati.
Il metodo ha poi piena dignità scientifica, poicè prevede:
* la ricognizione integrale della tradizione
* la scelta motivata del buon manoscritto
* la fedeltà a tutte le lezioni di quest’ultimo, eccezion fatta per gli errori palesi e per le varianti al limie con l’erroneità
* l’allestimento di un apparato critico.
Per cui, un’edizione bèderiana può definirsi ‘critica’.
considerazioni sui due metodi:
La posizione di Bèdier differisce da quella dei filologi pre-lachmanniani che ponevano alla base dele loro edizioni un ‘codex optium’ solitamente identificato con il manoscritto ritenuto più antico (‘codex vetustus’).
Le etichette ‘metodo di Lachmann’ e ‘metodo di Bèdier’ si applicano da tempo, per convenzione, a una molteplicità di procedure ecdotiche solo in parte corrispondenti all’effettiva teoria e prassi del filologo di cui il metodo porta il nome.
Sono poi come sempre l’oggetto e la situazione a consigliare l’adozione di un metodo piuttosto che un altro. Ex.
* di fronte a tradizioni foltissime e difficili o impossibili da dominare
* quando la recensio non conduse a esiti plausibili, cioè non consente una soddisfacente razionalizzazione dei dati della tradizione
* quando (per la natura o per il modesto valore dell’opera) non vale la pena o non è possibile esplorare a fondo l’intera tradizione e affrontare la fatica e tempi lunghi della recensio. (ex. per la ‘Mandragola’ di Machiavelli).
La soluzione bèderiana è poi l’unica possibile di fronte a testi popolari e non autoriali, come ad esempio i cantari cavallereschi, trasmessi spesso da una pluralità di testimoni.
Nella filologia dei testi volgari si pone, in assenza di autografi, il delicato problema della restituzione formale, in virtù del bel noto fenomeno per cui i fatti di lingua sono soggetto nei codici a una continua poligenesi dell’innovazione.
Infatti copisti e stampatori adattano i testi o li regolarizzano.
Oggi è invalsa a questo proposito una duplice prassi: quella di costruire il testo critico secondo il metodo di Lachmann e la resa formale secondo quello di Bèdier.
il testimone unico:
Un caso particolare è quello dei testi trasmessi da un ‘codex unicus’, cioè da un solo testimone, sia esso autografo o meno.
In situazioni del genere non è ovviamente applicabile il metodo lachmanniano, perchè non si danno nè collatio nè recensio, e non si può disegnare uno stemma; si devono tuttavia ugualmente praticare l’examinatio e l’emendatio.
L’editore deve quindi adottare una sorta di bèdierismo obbligato, pubblicando il testo sulla base di un unico manoscritto.
La differenza rispetto alla procedura bèderiana è che la correzione è sempre congetturale/non così soggettiva, e le lezioni singolari non possono essere riconosciute come tali.
E’ vero che aspirazione dei filologi è risalire il più possibile dalla pluralità all’unità, arrivando a lavorare con il solo archetipo, ma in una tradizione pluritestimoniale vige quasi sempre una possibilità di confronto e di scelta che il manoscritto unico preclude, obbligano il filologo a vagliare con le sue sole forze la bontà della lezione.
Ancora più lampanti sono gli inconvenienti del codex unicus quando, di un testo edito fino a quel momento solo sulla base di esso, venga alla luce l’autografo.
I problemi non scompaiono neppure se il codex unicus sia autografo, perchè l’autore può commettere errori, soprattutto se il manoscritto in questione non sia una copia completa in pulito, ma una miniatura, un abbozzo o una copia non riveduta; nè, a maggior ragione, qualora il testimone unico sia una stampa, soprattutto se non sorvegliata dall’autore.
altri metodi: antiquati e informatici:
Esistono anche metodi alternativi, pur con dei limiti.
Alcuni di tali metodi sono definti ‘antiquati:
* come quello del ‘textus receptus’; che consiste nell’adottare il testo della vulgata o comunque di un’edizione a stampa autorevole e impostasi nel tempo (metodo desueto nella filologia italiana);
* quello del ‘codes plurimi’; che fonda il testo sullla collazione di codici molteplici, ma senza procedere alla recensio e quindi al loro raggruppamento in famiglie.
* quello del ‘codex optimus’, che differisce dal metodo bèderiano perchè affida la scelta del manoscritto-base ad elementi puramente esterni (solitamente identificandolo con il codex vetustissimus).
Al capo opposto collochiamo i metodi informatici, che prevedono l’impiego di programmi e algoritmi per l’analisi quantitativa della tradizione.
Il ricorso a metodi alternmativi si impone quando l’ampiezza e la complessità della tradizione esigono, per l’impossibilità di pervenire a una credibile razionalizzazione dei dati e di concludere l’edizione in tempi ragionevoli, l’adozione di procedure che consentano la semplificazione delle fasi più onerose e impegnative del metodo lachmanniano.
Le soluzioni praticabili sono due:
1. o si procede a una collazione per campioni dell’intero testimoniale
2. o si esamina per intro solo una fetta, generalmente molto limitata, di tutta la tradizione.
La prima soluzione si identifica col metodo dei ‘loci critici’, che prevede l’individuazione di un congruo numero di passi filologicamente problematici; solo su quelli viene poi condotta la collazione di tutti i manoscritti noti, e sulla base di essa si giunge allo stemma.
L’altra soluzione consiste in una vigorosa potatura della tradizione, cosa che può farsi in base a criteri cronologici (privilegiando i manoscritti più antichi), geografici (ex. manoscritti che hanno un collegamento con i luoghi dell’autore) o codicologici (testimoni più affidabili di altri).
Il criterio cronologico è quello più comune, e coincide con il metodo delll’antica vulgata (quello utilizzato per la Commedia da Carlo Negroni, edizioneche non venne mai alla luce).
Petrocchi usò lo stesso procedimento ma con strumenti ecdotici più raffinati, fissando lo spartiacque al 1355.
congettura:
ricostruzione ipotetica della lezione originaria, là dove la tradizione, manoscritta o a stampa, non suggerisce un testo accettabile.