lezioni vaccaro: introduzione alla filologia: Flashcards
i principi orientativi:
Sono i principi su cui si basa la filologia; > consistono in domande mobili a cui ogni studioso cerca di dare risposte.
Si differenziano dalle nozioni apprese durante uno studio ( > risposte fisse, che immagazziniamo nella memoria e tendiamo a perdere se non coltivate).
La filologia ha il suo cuore nel ‘principio dell’esattezza’ (comune anche alla critica letteraria).
il principio dell’esattezza:
citazione di Edward Forster, teorico > “l’attività critica è educazione, principio orientativo, attraverso l’esattezza”.
L’educazione filologica/la filologia > non è un metodo, ma è un’educazione da intendere come attitudine/disposizione mentale di stampo dogmatico (cioè volta a farsi delle domande).
Neanche nel metodo della stemmatica però esiste la verità; quando costruiamo un albero genealogico, può sempre essere messo in discussione (ad esempio basta che esca fuori un altro codice).
ermeneutica e ecdotica:
Quando si parla di filologia, si parla anche di altri due principi:
* ermeneutica, tecnica (scienza) o arte dell’interpretazione
* ecdotica, tecnica o arte di pubblicare un libro, di realizzare un’edizione critica.
Non vi è ermeneutica senza ecdotica, e viceversa.
Per interpretare un testo, ci serve il testo. Per pubblicare il testo, non può non esserci l’interpretazione del testo stesso (sia come complesso linguistico che come manufatto).
la parola ‘testo’:
la parola ‘testo’ = viene attestata con il significato di oggi in Quintiliano (‘Institutio oratoria’) ed è una conquista del mondo cristiano (nel mondo greco il concetto di testo era diverso dal nostro; per loro il testo era qualcosa di orale, che pur si muoveva sui principi dell’inventio, dispositio e locutio).
Con la parola ‘testo’ si indica il tessuto in senso metaforico; l’arte del tessere. Da qui il concetto di ‘trama’, ‘tela’ e ‘ordito’; questi tre termini vengono dal Paradiso di Dante, 17°, nel Cielo di Marte, l’ultimo canto, coi precedenti quattro, in cui parla coi suoi avi.
Chiede a loro se potrà mai rivelare ciò che ha visto nell’Inferno, quando torna sulla Terra, e Cacciaguida gli risponde con le parole trama, tela e l’ordito, che rispettivamente sono i fili disposti orizzontalmente e verticalmente su un telaio per dare un tessuto finale (l’ordito).
Anche Petrarca parla di ordito e Ariosto di fila dell’intreccio narrativo.
il ‘diasistema’:
concetto formulato dal filologo Cesare Segre > ‘diasistema’ = è il risultato dell’incontro fra il copista e il testo da cui egli sta copiando.
Noi siamo infatti ‘agenti’, cioè esseri pensanti, con un bagaglio culturale, con un sistema linguistico.
Il testo ha un suo sistema linguistico. > dall’incontro dei due nascono varianti/variazioni. Esse costituiscono il diasistema.
Quando un copista comincia a copiare soprattutto testi molto estesi, sicuro commetterà degli errori, vistosi o meno.
i copisti di professione e per passione:
In ambito medievale sopratutto, vi era una distinzione fra
* copisti di professione/a prezzo > copisti da mestiere, che magari avevano scadenze, per cui andavano di fretta e non si soffermavano parola per parole (> da qui abbiamo le ‘banalizzazioni’ quando un copista non capiva una parola o una punteggiatura. La banalizzava secondo appunto il suo sistema linguistico, generando l’errore.
Qualsiasi errore su cui si costituisce la filologia, sia esso accidentale o no, è in filologia un’innovazione al testo, che svia dal modello precedente).
- copisti per passione > gli eruditi, coloro che potevano permettersi il testimone (probabilmente autografo) e copiarlo senza fretta. Da ricordare che però, a prescindere, nell’atto di copia il copista introduce sempre qualcosa di nuovo (errori).
la segnicità:
Quando parliamo di testo, parliamo di segno, di segnicità, che è la condizione della ripetibilità: un testo fatto di segni, di grafemi, viene ricopiato e fatto perdurare; quindi, una segnicità è l’atto di far perdurare questi segni che noi abbiamo trovato.
Segnicità implica ripetibilità; parlare di ripetibilità significa parlare di produzione (il manufatto, un codex, l’originale) e riproduzione (la copia), che ritornano nel concetto della circolazione (i testi sono realtà vive che parlano e navicelle che viaggiano nel tempo di mano in mano prima di arrivare da noi).
Testo concepito come tessuto linguistico, ogni testo è contraddistinto dal segno linguistico.
La segnicità porta alla ripetibilità e alla circolazione (sia in letteratura ma anche nel teatro ad esempio, con i segni del corpo).
le domande del filologo:
Maggiori domande che deve porsi un filologo:
* che cosa significa esattamente il testo?
* chi è l’autore e come lo sappiamo?
* quando è stato scritto il testo
* * come ci è giunto un testo? quale è stata e come è avvenuta la sua trasmissione fino ad oggi?
* in che modo il testo di nostro interesse è circolato e continua a circolare?
* qual è il suo grado di esattezza/autenticità?
* il testo rispecchia la presunta volontà dell’autore? o vi sono errori, lacune etc? Molto probabilmente noi non sapremo mai la volontà dell’autore. Solo nei casi in cui abbiamo un testo a stampa, che costituisce necessariamente l’ultima volontà dell’autore.
Ancora più difficile è ricostruire ad esempio la prima volontà dell’autore.
archetipo e stemma:
L’archetipo dovrebbe essere il testo che andiamo a ricostruire con la filologia della copia.
L’archetipo è infatti il più antico esemplare, diverso dall’originale, da cui discendono tutti i testimoni superstiti di un testo.
Fra archetipo e originale può essere accaduto di tutto a livello temporale. L’archetipo potrebbe costituire semplicemente un anello della tradizione, distante moltissimi anni dall’originale.
Archetipo > l’antenato prossimo/antenato comune.
Lo stemma:
Lo stemma si legge sempre all’indietro (il processo di ricostruzione avviene dalla coda alla testa, dal basso verso l’alto).
Schlegel:
Schlegel scrisse due quaderni sulla filologia (pubblicati nel 1798). Schlegel scrisse Sulla Filologia, in cui dice che un filologo deve essere storico e uno storico deve essere filologo: infatti, entrambi tengono in considerazione i documenti (però, secondo Paul Mass, padre recente della nostra filologia, la filologia nel suo fine di ricostruzione di un testo è diversa dalla storia, che invece si concentra sul fatto storico, più che sul testo).
Si apre così una discussione nella scuola tedesca fra la filosofia della storia e la filosofia della filologia > il suo obiettivo (di Schlegel) era di unire i due concetti.
In effetti storico e filologo hanno in comune il considerare i documenti.
Paul Mass:
Padre recente della filologia. La filologia ha sempre come fine il ricostruire un testo, mentre uno storico spesso fa emergere/riscostruire il fatto storico .
Wolf:
Riteneva la filologia come metodo ciclico (si parla di ‘organon della filologia’, composto da 3 discipline: grammatica = lingua, critica = attribuzione della paternità del testo, ermeneutica. Doveva costituire la prassi per il filologo).
Il fine è storico; il fine ultimo dopo tutto il processo era di inserire il testo (dopo quindi averlo studiato) in un contesto storico-culturale.
Boeckh:
aback = voci che ricorrono solo 1 volta in un testo
Studiando i testi antichi si rende conto della presenza degli abacks, ed arriva alla conclusione che sia in letteratura che in filologia non si possono compiere generalizzazioni a livello linguistico, ma bisogna tener conto delle lezioni singolari, cioè che ricorrono anche solo 1 volta nei testi.
Aporia dell’usus scribendi (usus scribendi = principio per cui noi dobbiamo conoscere gli usi linguistici di un autore per poterlo studiare. Anche conoscendo i suoi usi linguistici, non è detto però che non ci troveremo davanti a situazioni particolari. Quindi neanche l’usus scribendi è un principio totalmente valido per ricostruire un testo).
San Girolamo:
A lui attribuiamo la doppia immagine di vecchiaia e giovinezza; bisogna far passare un testo da un stato di vecchiaia a uno di giovinezza.
testo/testimone base: testo da cui si sono generate tutte le contaminazioni
idea astratta di ‘archetipo’, cioè del modello da ricostruire
persistenza della vulgata: vulgata = testo che si attesta/si fissa in una determinata epoca, e che tutti utilizzano da quel momento.
Il principio della vulgata fu messa in discussione proprio dalle stemmatica e dagli studiosi seguaci di Lachmann. Per lui la vulgata andava messa da parte perchè testo contaminato.
Paul Mass:
Paul Mass scrisse la Textkritik, la Critica del Testo, una conquista per la filologia più recente, poiché rimette in discussione Lachmann.
Scrive quest’opera nel 1927.
La Textkritik costituisce una delle prime teorie della critica testuale, ad oggi ancora utilizzata sia nella terminologia, sia nel lessico.
L’importanza della novità risiede nel fatto che Mass non solo ha definito concetti, ma ha anche coniato una terminologia per la filologia che ancora oggi utilizziamo: i concetti effettivi di archetipo e di ipoarchetipo (o subarchetipo, per noi italiani) sono proprio formati per la prima volta da lui; conia anche il concetto di stemmatica; conia il fondamentalissimo leitfehler, gli errori significativi (guide che ci permettono di realizzare parentele tra testimoni, siano essi scritti a mano o a stampa).
C’è bisogno di errori significativi, evidenti: uno di questi è la lacuna, una mancanza di porzioni testuali nel confronto tra un testo e un altro (se esiste nel contrasto tra due testimoni, capiamo che i due non sono imparentati, ci fanno capire che derivano da due tradizioni diverse); un altro termine è quello degli errori congiuntivi, i binderfehler, ovvero quelli per cui un testo è integrale nel testimone A e nel testo B un endecasillabo non è più tale, risultando in una non parentela tra i due.
Parla della differenza tra storia e filologia (ovvero il fatto).
Mass utilizza nel trattatello immagini vive: una di queste è quella della sorgente pura, cristallina, di alta montagna, da cui poi si creano delle ramificazioni, con cui parla di stemmatica, di albero genealogico e di contaminazione.
La sorgente scorre dall’alto, scorre diversificandosi in varie affluenti, per poi incontrare terra e roccia, contaminandosi, fino a concludersi in valle.
Un’altra è quella di una fonte che sta sotto terra, nascosta (l’originale perso) con diverse sorgenti sottoterra, che poi si mostrano, poi si sotterrano di nuovo, per poi mostrarsi fino alla fine: l’acqua all’inizio è pura, poi si colora in diversi modi per ogni ramo e finisce per mostrarsi a noi o depurata o colorata; noi dobbiamo analizzarla chimicamente, che può riuscire o può dare un risultato spurio, con noi che, a quel punto, dobbiamo trovare il ramo più vicino alla presupposta acqua originale.
Nicolas de Clamage:
Non è nulla di nuovo, lo aveva già teorizzato Nicolas de Clamage, amico di Petrarca, in un’epistola in latino a Gontier Col ad inizio Quattrocento, in cui usa la stessa immagine della fonte.
Lui scrive che gli sta per spedire degli scritti, che devono però essere copiati: Col doveva infatti servirsi di qualche copista per ottenere delle copie degli originali autografi.
Dopo mette in risalto le preoccupazioni che anche autori come Petrarca e Boccaccio avevano, ovvero quelle degli imbrattacarte, dei copisti a prezzo, che copiavano disinteressandosi degli aspetti paleografici, grafologici e della punteggiatura; gli chiede, invece, di rivolgersi, se li trova, agli antiquares, i dotti antiquari.
Dopo aver ottenuto le copie, dice Nicolas, Col dovrà eseguire la verifica, la nostra collatio, ovvero il confronto delle copie con l’originale, solo così Nicolas potrà far circolare i testi.
Parla proprio del problema che i primi esemplari, se sono corrotti come una sorgente guasta, come possono sopravvivere, se poi ogni tratto corrompe in un modo peggiore il messaggio originale?
La richiesta finale è quella di compiere la collatio tra l’originale e il prodotto che verrà poi diffuso.
codicologia:
Il filologo deve ovviamente avere informazioni sullo studio dei codici > codicologia (concetto filologico che consiste nell’osservare e studiare il testo come manufatto, come bene culturale).
- codex, codicis in latino = indica le tavolette di legno che, unite assieme da anelli, creavano uno dei primi codici (codici lignei),
- volume = da ‘volvo’, rotolo di pergamena (volvo = avvolgere, come è avvolto il rotolo di pergamena).
- liber = tecnicamente indica la pellicola che si trova fra il legno e la corteccia esteriore degli alberi, usata per la carta.
Alphonse Dain fu un importante filologo e codicologo del secolo scorso; il concetto di ‘codicologia’ venne coniato da lui nel 1944.
Prima di lui, il filologo Charles Samaran aveva coniato il concetto di ‘codicografia’ nel 1934.
Per entrambi i termini > unione fra latino (codex) e greco (graphia, logos).
Entrambi indicano lo studio dei codici manoscritti (e del testo a stampa).
Friedrich Adolf Ebert può essere considerato il padre della ‘scienza dei manoscritti’, che per Ebert era la codicologia. Tuttavia lui era un bibliotecario della scuola tedesca, quindi visse ben prima di Dain e Samaran.
A lui si deve appunto il concetto di ‘scienza dei manoscritti/della scrittura a mano’ e anche la distinzione fra varie discipline.
Ogni disciplina viaggia da sé:
* epigrafia (materie dure)
* papirologia (papiro)
* paleografia (carta)
* diplomatica (pergamena)
come è composto un ‘folium’:
Ogni folium è composto da 4 facciate complessive, quindi da 1 recto (fronte) e da 1 verso (retro).
Infatti uno degli obiettivi del filologo è anche quello di descrivere i testimoni che va a studiare per fare un’edizione critica.
i supporti scrittori: la pergamena:
Punto di partenza è Plinio il Vecchio, che nella ‘Historia Naturalis’ (13° libro cap. 21°) ci parla già dei primi supporti di scrittura accanto al papiro (foglie di palma, cortecce di alberi..).
Questo passo ci narra di come la pergamena (anche detta ‘membrana’ o ‘carta pecora’, poiché veniva creata dalla pelle di bovini e pecore) sia nata a Pergamo e fu inventata dal re Eumene 2°, poiché Tolomeo non voleva più fornire il papiro.
In filologia abbiamo 2 grandi supporti di scrittura:
* quelli di pergamena (membranacei o pergamenacei)
* quelli cartacei
Come ottenere la pergamena:
si otteneva la ‘spoglia’ ossia la scuoiatura; abbiamo poi il trattamento del derma, cioè dello strato intermedio fra epidermide (parte esposta) e l’ipoderma (parte adiposa).
Nel derma veniva trattata la parte più interna, quella che va verso l’ipoderma.
Obiettivo era di raggiungere la ‘pergamena fluens’, cioè una pergamena di pregio, che consentiva una scrittura fluida.
Per conoscere queste operazioni facciamo testo a 2 documenti:
1. il ms. 490 della Biblioteca Capitolare di Lucca
2. il ms. Harley 3915 della biblioteca di Londra
Produrre la carta in questo modo era molto dispendioso, e lavorare la pelle era anche soggetta a rischi riguardo alle parti dell’animale da cui veniva la pelle; le parti migliori per la lavorazione erano la schiena o il collo, mentre le peggiori erano le cosce o la parte posteriore dell’animale.
Per questo il passaggio dalla carta pergamena alla carta normale era stato epocale.
Inoltre, la pergamena doveva essere riciclata il più possibile e per riutilizzarla erano necessarie tecniche amatoriali; uno degli errori era di semplicemente raschiare via, ma questo andava a bucare la pelle.
Per questo per ripulirla era usato il bagno nel latte, che andava a sbiancare l’inchiostro sulla pergamena, che veniva poi rimosso con una spugna.
Dopo la pulizia, le fonti di parlano dell’uso della farina o della calce per sbiancarla. A questo punto la si lasciava asciugare.
Tuttavia, il motivo per cui si parla di ‘palinsesto’ è che parte del testo (invisibile a occhio nudo, ma visibile con i raggi uv) permaneva anche dopo la pulizia.
Il palinsesto = manoscritto di papiro o pergamena, di epoca antica o medievale, il cui testo originario (scriptio inferior) sia stato cancellato mediante lavaggio e raschiatura e sostituito con altro (scriptio superior) disposto nello stesso senso o in senso trasversale al primo.
Gli inchiostri erano artigianali, realizzati soprattutto con la noce di galla (malformazione che creano le piante quando vengono punte da tanti insetti); la noce di galla veniva trattata con l’allume e poi usata per l’inchiostro.
come ottenere la carta:
Come ottenere la carta:
Innovazione per il Medioevo fu la nascita del mulino ad acqua, che velocizzava la produzione della carta.
Oltre al mulino, per fare la carta servivano gli stracci, cioè indumenti di lino, canapa e cotone.
Uno dei maggiori studiosi di papirologia e codicologia fu Peter Tschudin; grazie a lui sappiamo che l’invenzione della carta è riconducibile al cinese Ts’ai Lun (105 d.C.).
Tschudin fu anche lo stesso che ribadì le origini di una delle prime cartiere al mondo, la cartiera di Samarcanda (751 d.C.).
Samarcanda > via della seta, Uzbekistan. Grazie alla via della seta arrivava la carta in Europa (sopratutto Spagna).
In Italia la carta arrivava dall’Egitto sopratutto, grazie a 2 repubbliche marinare (fra le 4, con Venezia e Pisa): Amalfi e Genova
Rivoluzione = cartiera di Fabriano (Marche).
Gli ‘strazzaroli’ erano coloro che raccoglievano gli stracci e li portavano alla cartiera, dove le cernitrici selezionavano gli indumenti e li sminuzzavano, li mettevano a macerare in acqua bollente per ottenere una poltiglia di fibre che creavano la carta.
Fabriano scopre il mulino ad acqua con maglie di piombo, che laceravano i tessuti e creavano la poltiglia.
Altra novità di Fabriano era il telaio rigido e la filigrana (oggi rapportabile al ‘marchio di fabbrica’).
La filigrana consente al filologo di avere un’idea del periodo in cui quel codice è stato realizzato. Essa era un segno (stemmi, lettere…) visibile in controluce.
Ci aiuta a ricondurlo a un bacino di produzione in attività in un determinato periodo.
Il telaio rigido, o modulo, prendeva dei colonnelli, dei rettangoli che distribuivano uniformemente la poltiglia, che formavano un reticolato, che tu immergevi, ad unire le fibre in intrecci diversi.
Sopra questa struttura c’è il cascio, un altro rettangolo che serviva a buttare via l’eccesso della poltiglia. Infine, nel reticolato si disegnava la filigrana, cosicché, in essiccatura, uscisse in controluce il disegno.
lo scriptorium:
Scorsa volta abbiamo parlato della Textkritik, che ci permette oggi di parlare dell’errore guida. Qual è la procedura che fa determinare l’errore e che il filologo deve conoscere? Partiamo dal dire che cosa è lo scriptorium, ovvero il luogo dove avveniva l’atto della copia.
Per arrivare, però, a fare parte di uno scriptorium, necessitavi un certo cursus di studi, a cui dovevi anche aggiungere due requisiti:
* La regolarità della scrittura, ovvero il criterio estetico, ovvero la perspicuitas, la chiarezza grafica e formale della scrittura, la sua calligrafia, in quanto queste scuole dovevano raggiungere un’identità propria di scrittura finale;
* La correttezza del testo, ovvero il non fare errori di copiatura, il cercare di copiare il testo nel modo più giusto e corretto possibile.
due modi principali in cui avveniva l’atto della copia:
- singolarmente: quando a un copista veniva affidato un intero testo
- in gruppo: ogni copista trascriveva un blocco testuale, alla fine veniva assemblato tutto e fatta una revisione testuale. In questo secondo modo i tempi di produzione erano velocizzati.
Se da una parte abbiamo un atto di copiatura fatta da un solo individuo col suo sistema, dall’altra abbiamo una velocizzazione della copiatura del modello con revisione finale, anche se aumentano gli errori.
Alphonse Dain (colui che copiò il termine ‘codicologia’) ci dà un ritratto dell’amanuense, che ritrae nel suo atto di copia solitario. Questo cancella e riscrive dove può, oppure segna hic nihil deest dove non c’è da aggiungere nulla, o deficit se deve aggiungere qualcosa, oppure R per indicare una correzione, e varie altre parole per indicare le fasi dell’amanuense quando copiava o emendava.
Per copiare, il copista non copia parola per parola, ma, avendo una memoria a lungo termine, immagazzinava un blocco testuale di varia lunghezza.
errori accidentali: poligenetici e monogenetici:
Quelli più frequenti sono quelli accidentali, che nel manuale sono distinti in poligenetici e monogenetici: i primi sono quegli errori che due copisti possono compiere indipendentemente l’uno dall’altro (es. omissioni di piccole parole, banalizzazionianche se può essere di varia natura;
il secondo è quello significativo, quello che ci consente di creare parentele o separazioni nel lavoro di ricostruzione. Solo grazie a questi possiamo dare vita alle parentele o non parentele fra i vari testimoni, muovendoci nel campo di ‘filologia della copia’ o ‘costitutio textus/ricostruzione del testo’.
Solo in questa noi andiamo idealmente a ricostruire l’ipotetico archetipo (l’archetipo è un’idea astratta di quello che è l’antenato ‘più prossimo’ dell’originale perduto)
Tra quelli poligenetici abbiamo quelli di:
1. Aplografia > cadono delle lettere; errori che non servono a ricostruire parentele, in quanto sono incidenti di stanchezza;
2. Dittografia, per cui si aggiungono lettere (per esempio, sperperare al posto di sperare);
3. Fraintendimento ottico, per cui si scambiano lettere per altre lettere (si collega all’ortografia, alla calligrafia, come c e g che si confondevano, stessa cosa per la f e la s sonora a forma lunga),
4. anche omeoarchia, cioè una copiatura veloce che ci spinge a leggere solo le prime lettere di una parola, per poi completarla senza finire di leggere la parola, e quindi sbagliandola (es., per “tradizione” scrive “traduzione”)
5. salto per omoteleuto ( = si ha quando due o più parole terminano alla stessa maniera o similmente.)/salto a pesce/lezione scorciata, per cui accade la pericope (es. manoscritto B70 del De Principatibus di Macchiavelli, che vede nell’originale una ripetizione di tenerlo, con tutto il tratto in mezzo ai due omoteleuti cancellato nella copia; sempre nello stesso manoscritto, accade la stessa cosa anche per parole che sembrano simili).
costitutio textis:
Quando parliamo di filologia della copia, parliamo di ricostruzione del testo, di costitutio textis, tramite cui ricostruiamo l’ipotetico archetipo, che è l’idea astratta del testimone più prossimo all’originale perduto.