lezioni quaquarelli: introduzione alla filologia: Flashcards
cos’è la filologia:
La filologia è un atteggiamento.
Il filologo non si accontenta di un dato, senza porsi il problema di verifica delle fonti e cose simili.
Il motivo per cui Boccaccio dà un soprannome al Decameron (cognominato ‘Prencipe Galeotto’), è un omaggio al canto 5° dell’Inferno di Dante.
Sconvolgente il fatto che Boccaccio, un prete, dedichi la sua opera alle donne, donne intelligenti che sanno raccontare.
Da qui capiamo che già solo il titolo di un’opera richiede una verifica continua di cose che non vanno prese alla leggera.
‘philologia’ = spesso, come in questo caso, la parola per indicare una disciplina vuol dire poco o nulla (amore per la parola?).
La filologia nasce in concomitanza con l’enciclopedia ( = paideia = educazione/formazione + encuclo = in ciclo > la formazione di un uomo avviene attraverso tante materie differenti) e con la biblioteca (= posto dove si tengono i libri).
La biblioteca nasce dall’idea di essere il posto dove vi sono tutti i libri, fruibili da chiunque a qualunque ora.
La migliore definizione di ‘filologia’ viene data da Joseph Bedièr nel 1903 nell’introduzione di una raccolta di suoi saggi.
sulla definizione di Bedièr:
* Prima di metterti a fare della critica letteraria, devi metterti a fare filologia. > la filologia è la condizione della critica.
* un abito mentale, cioè un’attitudine intellettuale, un ‘esprit’
* verificare cosa è vero e cosa è falso, le verità sono tutte importanti, non esistono verità minori, indifferenti o trascurabili.
lingua della letteratura italiana:
Nei primi 3 secoli dell’esistenza della letteratura italiana, essa è bilingue: gli scrittori sanno scrivere sia in latino che in volgare.
Ad esempio, Petrarca si esprime in maniera molto più semplice e meno studiata in latino, rispetto al volgare.
di cosa si occupa la filologia:
La filologia si occupa di:
1. storia della tradizione = **trasmissione del testo **arrivato a noi dal tempo in cui è stato prodotto dal suo autore.
2. critica del testo = come leggiamo noi i testi? siamo sicuri che quello che noi leggiamo lo abbiano scritto loro? Ad esempio, di Dante e della Commedia non sappiamo niente. Non abbiamo neanche una riga autografa.
Boccaccio stesso voleva capire come mai il testo di Dante era pieno di errori, di cose non scritte da lui probabilmente. Neanche i figli stessi di Dante per commentare il suo testo probabilmente non avevano un testo fededegno dell’opera.
Le ricostruzioni del testo sono approssimative, in molti punti non siamo certi.
Tasso aveva in mente di lasciare aperto il finale della Gerusalemme Liberata, ma l’ultimo editore ci ha invece dato il finale in cui i soldati si riappacificano.
La critica testuale serve a capire come valutare le testimonianze che noi abbiamo delle opere letterarie.
Critica = dal greco ‘krìnein’ (scegliere).
edizione critica di un testo:
edizione critica di un testo = è il fine ultimo della filologia
edizione = testo pubblicato + ‘critica’ in senso di scelta
l’atto di pubblicare un testo cercando di avvicinarsi il più possibile alla volontà dell’autore (l’originale).
E’ un’edizione in cui mi prendo la responsabilità di fare delle scelte che non sono fatte solo per una mia volontà di rendere il testo in un determinato modo, ma anche per fargli fare un salto superiore di qualità: amplio il ragionamento sul testimone che sto studiando studiandone altri, vado oltre il singolo testimone. Per fare questo, io mi assumo la responsabilità di trovare tutti i testimoni rimasti fino a noi, tutti, sia quelli di tradizione diretta, che quelli di tradizione indiretta, compresi vocabolari, parodie ecc. Serve tutto, servono tutte le testimonianze che ho su un testo, comprese anche le edizioni critiche precedenti, che non so se sono scadenti o delle miniere d’oro di parti mancanti oggi finché non le leggo. Oltre i testimoni devo anche studiare le lettere.
L’edizione critica, inoltre, deve avere anche una nota al testo (o prefazione o nota filologica o nota editoriale), in cui l’editore deve dire tutto quello che ha fatto, ad esempio la ricostruzione del testo, in cui scrivi tutte le note scritte a p.59, ovvero la storia del testo. Ci sono testi con una documentazione enorme che ci spiega com’era il testo nello scrittoio dell’autore, e se abbiamo anche gli autografi, tutto è più divertente e più soddisfacente, in quanto hai proprio la ricostruzione del lavoro dell’autore. Nel caso di Dante, e della maggior parte dei manoscritti in realtà, non abbiamo tante tracce. Nei casi di pluralità di redazioni, che conosciamo grazie a dei documenti che li riportano, il lavoro dell’editore sta nel mettere in un solo sistema tutto questo lavoro, affinché si ricostruisca l’ultima volontà dell’autore. Nella nota al testo metti tutto il materiale dell’autore.
Altra cosa: “edizione critica” non è un’etichetta, ma è la struttura dell’edizione, data proprio dall’editore che dichiara quello che fa. L’importante è che l’editore dichiari tutto quello che fa, perché così ci permette di ristudiare il testo con criteri differenti dai suoi.
Bausi si chiede, a fine capitolo, a cosa serva un’edizione critica, d’altronde è una cosa complicatissima da fare per un editore e una cosa complicatissima da leggere per uno studente; la risposta è che ai filologi interessa la volontà dell’autore. Sta di fatto che, se abbiamo tutti questi manoscritti, lo dobbiamo a qualcuno a cui è interessata, qualcuno che ci garantisce che ci sia un testo più vicino all’originale di un altro o di una parodia. Serve anche a quelli a cui non interessa, in quanto ti dà la possibilità di scegliere uno qualsiasi dei testi, sia questo storicamente fondato o Topolino. Capiamo che serva soprattutto quando guardiamo le edizioni che critiche non sono.
L’attenzione sul testo è maggiore nei copisti che nei rubricatori e nei miniatori: ci sono casi in cui il miniatore fa una lettera tutta miniata con degli errori.
Se l’edizione critica che ho in mano non può avere altri miglioramenti, è fatta con tutti i passaggi e le notazioni e le fasi e così via dell’autore, allora abbiamo l’edizione perfetta, l’edizione in cui hai l’effettiva mente dell’autore. Non potrà mai essere così, è un’approssimazione alla perfezione, cerca di essere perfetta per dare a un testo la possibilità di essere il più vicino alla volontà dell’autore. Uno dei nostri problemi è che non capiamo niente di cosa sia vero e falso, ma nel campo della letteratura non ci cambia la vita, questo problema.
il metodo per fare un’edizione critica:
Altra cosa è l’indicazione di metodo: che metodo c’è per fare un’edizione critica? Un metodo unico e univoco non esiste: più vai avanti con lo sviluppo e col progresso delle metodologie filologiche, più ti rendi conto che non ci sono dei metodi finali. Non è una scienza matematica: il testo letterario è un prodotto dell’ingegno umano, non esiste un metodo unico.
Basta solo che ti aiuti a cercare la verità, a capire l’autore. Il metodo di cui si sta parlando è il dichiarare ciò che si ha fatto, dire i problemi riscontrati e indicare le parti che non si è riusciti a capire, indicando le proprie scelte e le motivazioni dietro. La parola critica indica una scelta, il fare il giudice.
Ci si prende le proprie responsabilità davanti ad un testo che pone dei problemi dichiarando tutte le scelte, anche quelle arbitrarie fatte dai tuoi gusti; sono, invece, da evitare le omissioni di operazioni fatte. Ogni singola scelta va resa, quindi ogni singola volta che hai scelto et al posto di e, ogni volta che hai scelto ç al posto di z e così via, per esempio.
Dentro la nota al testo si indica anche la datazione, se è possibile trovare in qualche documento un riferimento cronologico ad una determinata fase di scrittura; insomma, si indicano tutte le informazioni possibili sulle fasi del testo.
La cosa più complicata da fare è la scelta della restituzione linguistica, grafica e formale, che è una cosa non scritta su pietra: la punteggiatura non è mai ferma, cambia nel tempo. La punteggiatura italiana è difficilissima, poiché convivono allo stesso tempo una punteggiatura ritmica e una sintattica, e non è neanche uguale a quella di cinquant’anni fa.
Ciò vuol anche dire che nessuna edizione critica è eterna, proprio perché sono tutte delle approssimazioni. È il mito di Achille e la Tartaruga.
L’edizione critica dev’essere un andare avanti di piccoli passi, pian piano verso la verità, è un’ipotesi di lavoro con la realtà storica come fine.
Fin qui abbiamo ragionato a partire da com’è fatta un’edizione critica, com’è fatta e cosa serve per leggerla; partiamo, invece, dai testimoni per arrivare all’edizione, ora. Partiamo dallo scegliere un testo e i suoi documenti, dalla sua tradizione: come faccio a fare l’edizione di un testo? Parto dai documenti, non da una mia idea, ma da tutta la tradizione che ho, sia quella indiretta, sia quella diretta. Come faccio ordine in questa tradizione?
1. Me la guardo, cerco di capire quanto grande è e quali sono, una volta che li ho visti tutti, i manoscritti migliori per la mia edizione; d’altronde, la sopravvivenza dei documenti è puramente casuale fino ad un certo punto, in quanto si conservano solitamente di più i manoscritti più preziosi di quelli scarabocchiati (che ti fa capire uno dei motivi per cui gli appunti e le carte originali sono scomparse);
2. comincio a vedere, nella tradizione, quali sono i testimoni che contengono il testo in toto;
3. fra i testimoni interi cerco quelli che, ad occhio, mi sembrano meglio secondo il criterio base dell’antichità che, nonostante tutti gli accorgimenti da fare, è quello che mi indica testimoni con meno probabili errori (ci sono comunque momenti in cui, come per la Commedia, magari sbuca un Luca Martini che copia un manoscritto in brutte condizioni ritrovato e si scopre che è il migliore tra tutti quelli che si hanno, anche di quelli antichi);
4. scelgo un testo di collatione, che uso come testo di confronto con gli altri testimoni;
5. comincio a vedere diplomaticamente ogni manoscritto preso in considerazione e mi costruisco un metodo per capire quali rapporti ci siano tra questi testimoni, che non sono altro che oggetti che materialmente trasmettono il testo in modo cronologico;
6. inizio a capire quale sia l’edizione più giusta: l’unico modo che possa farmi da guida, di tutti quelli escogitati nei secoli scorsi, è quello di vedere le letiones di ogni singolo testo partendo da quelle manifestamente sbagliate, che non hanno senso rispetto a quello che sappiamo delle conoscenze dell’autore o delle cose che l’autore vuole dire in base a quello che sappiamo della sua vita, del suo tempo, dei suoi testi e così via, individuo gli errori;
7. creo una tavola dei rapporti genealogici dei testimoni in base agli errori ereditati, o in base alle differenze di errori (mai più continuato questo elenco, ma vede lo stemma, la scelta delle lezioni che si vuole mettere a testo, la scelta e la scrittura dell’apparato critico, l’indicazione di ogni scelta fatta nella nota al testo).
differenze di copiatura fra Boccaccio e Petrarca:
Petrarca aveva invece almeno 9 servitori, e controllava lui stesso i manoscritti.
Boccaccio, non essendo ricco come Petrarca, non aveva servitori, non aveva una bella pergamena e un buon inchiostro. Ha poi consegnato la sua ultima volontà, cioè leggiamo il testo come lui voleva.
il papiro nell’impero di Alessandro Magno:
L’impero di Alessandro Magno si basava su:
* forza militare
* forza della cultura e della lingua greca
Dell’impero di A. faceva parte ad esempio Pergamo (dove venne inventata la pergamena), l’Egitto (il luogo più pregiato dell’impero).
L’Egitto (e poi anche Pergamo) era l’unico posto ove si produceva il supporto per la scrittura, il papiro, unico supporto per la scrittura nel mondo antico e quindi di forti introiti.
Il papiro si conservava in rotoli all’interno di tubi di pelle, era molto delicato e sensibile all’umidità, si scriveva solo da un lato e poteva contenere circa 1000 versi. Per essere conservato negli anni, ha bisogno di condizioni climatiche molto specifiche.
Intorno all’anno 0 nasce il libro come lo conosciamo noi, che chiamavano ‘codex’.
Non era fatto di papiro, che era troppo fragile, ma di pergamena.
Tolomeo 2° e la biblioteca di Alessandria:
Ad Alessandria d’Egitto il monarca era un macedone generale di Alessandro Magno, che ereditò parte dell’impero dopo la sua morte.
Tale generale era Tolomeo, capostipite della dinastia (greci in Egitto) che si esaurirà con Cleopatra (ultima regina dell’Egitto ellenistico).
Tolomeo 2° (circa 280 a.C., 50 dopo la morte di Alessandro) ha l’idea di dotare il suo regno di un centro culturale per speculare, studiare, ampliare le conoscenze umane in qualsiasi disciplina. Questo centro lo chiamerà ‘museo’ (da ‘muse’, cioè le divinità che proteggono gli studi).
Per studiare erano ovviamente necessari i libri, e così nasce l’idea della biblioteca annessa al museo; si ha l’idea di una biblioteca universale, per contenere tutti i libri scritti dall’uomo, di qualsiasi genere > la biblioteca di Alessandria. Alcune biblioteche (anche pubbliche) esistevano già, ad esempio ad Atene (i templi).
Gli studiosi, per realizzare questo proposito, si pongono già il problema della qualità dei testi.
i dettagli per la filologia:
Articoli di Bausi: ‘Dio (o il diavolo?) sta nei dettagli. Martelli e la filologia a dieci anni della morte’ > i dettagli servono a capire cose che altrimenti non capiremmo.
Del passato non sapremo mai tutto, abbiamo solo frammenti. I testi letterari sono però la cosa che dal passato si è conservata meglio, nonostante anch’essi come abbiamo visto presentino differenze come erano nel passato.
come fa Dante a riempire le sue opere di citazioni senza avere i suoi libri davanti:
Quando è in esilio Dante riesce a comporre la maggioranza delle sue opere facendo moltissime citazioni metatestuali pur non avendo i suoi libri poiché all’epoca i poeti avevano una grandissima capacità mnemonica.
Dante = priore, cioè gli ufficiali che comandavano firenze. Erano al potere per 2 mesi, perché il loro potere era enorme e non poteva durare molto.
Erano poi odiatissimi, tanto che non uscivano quasi mai dal palazzo dove risiedevano.
la filologia come ricerca storica: Dante e Petrarca:
La filologia non è altro che ricerca storica; non è solo un esercizio puramente teorico, non è una scienza ( = disciplina con poco margine alla soggettività).
ricerca storica = cercare di arrivare a un’approssimazione della verità, poiché la verità al 100% non è possibile.
Alcune ricerche sono pià semplici di altre; le cose più semplici da ricostruire sono gli eventi storici, come ad esempio ricostruire una battaglia.
Infatti ovviamente si capiscono le strategie di una guerra, le decisioni prese dai comandanti, i retroscena, si conoscono solo dopo. All’epoca dei fatti tutto era segretato.
Di solito poi la storia la scrive chi ha vinto, solo pochi i casi in cui noi conosciamo come le cose funzionavano nel paese perdente.
Per fare invece ricerca storica intorno a un testo, i documenti che ci servono sono più facilmente reperibili, ma di tutto quello che c’era è rimasta solo una piccolissima percentuale.
Ad esempio, non abbiamo nulla di autografo di Dante, ma abbiamo la Commedia.
E’ strano che neanche Jacopo e Pietro avessero un libro in casa con la grafia di Dante, neanche la moglie.
Dei RVF di Petrarca abbiamo un codice non proprio autografo, ma è stato dettato da Petrarca e scritto dal suo (o i suoi) copista/i, poi riletto e controllato da Petrarca (nei casi in cui trovasse errori li correggeva di mano sua).
Non è quindi un autografo, ma è un ‘idiografo’ > documento scritto sotto il controllo dell’autore del testo, che lo ha dettato e poi ricontrollato.
Abbiamo autografo il ‘codice degli abbozzi’, una ‘mala copia’, un taccuino in cui quando era giovane Petrarca buttava giù dei sonetti.
in quali ambiti si fa questa ricerca intorno a un testo?
La critica lett è un esercizio che uno svolge intorno a un testo, ma un conto è farlo senza preoccuparsi se il testo è quello che davvero pensava l’autore e cose così, altro conto è farla se queste informazioni effettivamente le abbiamo.
Di fronte a un testo, il filologo non si preoccupa subito di un’interpretazione complessiva, ma si porrà queste semplici domanda, strettamente legate al testo:
1. preoccuparsi di cosa esattamente il testo significa, parola per parola, lettera per lettera. Se non è tutto chiaro/spiegato, non faremo mai un’analisi critica corretta.
Non si può fare un’edizione critica senza un commento.
2. chi è l’autore, perchè diciamo che l’autore è x e non y.
3. la datazione del testo e se la cronologia tradizionalmente fissata sia esatta o plausibile, o se invece possa e debba essere modificata.
4. se ciò che si legge nel testo corrisponde davvero a ciò che l’autore scrisse, o se alcune parole sono state sostituite da altri. Capire se il testo che abbiamo davanti sia davvero da attribuire all’autore o se qualcun altro, volendo o meno, ha inserito una parola diversa da quella decisa dall’autore.
tradizione del testo e percorso evolutivo: il caso di Manzoni:
Interessante è quando all’interno della documentazione troviamo il percorso evolutivo del testo; (il viaggio che il testo al di fuori del controllo dell’autore, cioè quando il testo viene pubblicato, è chiamato ‘tradizione del testo’, che ha nel mondo una volta solitamente una volta terminato. Qui non parliamo della tradizione, ma del percorso evolutivo che il testo ha prima di arrivare ai lettori).
Poi vi sono le questioni intermedie, ex. quella dei ‘Promessi Sposi’; Manzoni cominciò a scriverlo (‘Fermo e Lucia’ = 1° redazione), quando decise di metterlo via e dedicarsi ad altro, senza rivederlo.
Quindi questa redazione non diventerà mai un’edizione
Edizioni saranno quelle dette:
* ‘ventisettana’ (perchè i 3 volumi in cui era diviso il romanzo vennero finiti di pubblicare nel 1827) > 2° redazione.
* ‘quarantana’ > 3° redazione. (“lava i panni nell’Arno”).
Dato che la ventisettana ebbe un grande successo sì di vendite, ma vi fu anche un grande lavoro di pirateria. Inoltre i libri costavano parecchio, e quindi per permettere di leggere il romanzo a tutti decide di far uscire i ‘Promessi Sposi’ a puntate/fascicoli.
Per scongiurare la questione delle copie pirata Manzoni ha l’idea di renderlo un libro illustrato (una figura ogni 3 pagine).
la parte del testo su cui gli autori si concentrano di più:
La parte del testo su cui gli autori si concentrano è l’inizio; Guicciardini fece e rifece più volte la parte iniziale, con ovviamente esiti diversi (ad esempio spostando pezzi dell’inizio alla fine e viceversa).
Quando Guicciardini trova poi la versione dell’opera che gli piace, allora cambia il senso di tutta l’opera.
Guicciardini inizia ‘Storia d’Italia’ con una domanda; come può essere stato possibile che l’Italia, in pochissimo tempo, si sia sgretolata con l’arrivo di potenze straniere se siamo stati per anni a capo del mondo.
Da qui spiega come secondo lui è stato possibile.
La fine è la parte meno curata.
varianti, lacune e interpolazioni:
Troviamo poi, sempre leggendo la tradizione di un’opera, delle parole o frasi diverse rispetto a quelle che l’autore aveva scritto. È il caso delle varianti. Ci rendiamo conto dell’errore se conosciamo bene il modo di scrivere di quell’autore. Parliamo in quel caso di variante, che è una parola ambigua; quando, invece, ci rendiamo conto che manca qualcosa, parliamo di lacune, che possono essere volontarie oppure involontarie.
Un disturbo nel continuum della scrittura possiamo notarlo o nella perdita o nella aggiunta di altre parti messe lì che non sono farina del sacco dell’autore: in questo caso parliamo di interpolazioni.
Capita poi spesso che l’autore stesso cambi idea/volontà.
Ad esempio, se Manzoni fosse morto nel 1828, la sua volontà sarebbe rimasta quella della ventisettana. Successivamente invece cambia con la quarantana.
a cosa sono dovuti gli errori dei copisti:
Gli errori del copista sono dovuti a:
1. la mano: se è mancino ad esempio ha più difficoltà > ‘tre dita scrivono, ma tutto il corpo fa fatica’ dicevano molti copisti.
2. la penna: quelle dell’epoca andavano caricate continuamente, erano delicatissime
3. l’inchiostro: era fatto artigianalmente, spesso fatto in casa con gli scarti della cucina (la cenere del camino, il fondo del vino (la gromma), piante…)
4. il supporto: ex. la pergamena, che aveva una lunghissima preparazione (spesso fatta dal cartolaio). Quando verrà introdotta la carta, sarà molto più economica della pergamena (che era pelle di capra), poichè viene da piante (ex. canapa).
Ovvio era che la carta era meno spessa della pergamena e meno robusta, per questo chi usava la pergamena, quando la carta venne portata dagli arabi in occidente, era diffidente nei suoi confronti.
Infatti vi sono prove di documenti che dovevano essere fatti solo sulla pergamena, non sulla carta.
La differenza principale fra pergamena e carta era il costo;
scrivere non era sinonimo di essere colto, leggere lo era. Per questo a copiare erano i servi.
Scrivendo a mano (da copista professionista) si commettono meno errori di quanto pensiamo. Da 2 a 4 errori (singole lettere) a pagina.
esiste un testo trascritto senza errori?
Dal 1200 al 1500 la maggior parte dei testi che noi possediamo è stata conosciuta e trascritta esclusivamente attraverso la trascrizione manuale (o dall’autore stesso = autografo, o da qualcun altro).
La trascrizione di un testo è un’operazione che porta inevitabilmente alla creazione di errori, non esiste un trascrittore neutro.
Anche chi fa il copista di mestiere ha le sue abitudini, le sue distrazioni, la stanchezza, il non vedere bene al buio…
fattori che rendono difficile la lettura di un testo:
I testi poi possono essere complicati da leggere; il primo ostacolo è paleografico (leggere correttamente ciò che hai davanti).
secondo ostacolo: ciò che il testo dice; vi sono due scuole di pensiero:
* quella che pensa che il migliore copista sia quello che non capisce il testo, e che quindi lo copia in modo meccanico. Quest’idea però è sbagliata perché non è detto che questa imitazione inconsapevole porti un risultato migliore di una copia consapevole. > gli errori ci sono ancora.
* quella che pensa che pensa che sia meglio un copista colto, poichè in situazioni in cui non si capisce cosa dica parte del testo, entra in gioco la sua cultura della lingua.
Questo può al massimo sbagliare per eccesso > ha la presunzione di correggere l’autore, magari banalizzando la scrittura raffinata dell’autore.
Le prove ci dicono che è meglio che il copista sia colto, e che quindi capisca ciò che scrive l’autore. Ovviamente, la cosa migliore sarebbe un copista colto e fedele.
Un copista di professione fa circa da 2 a 4 errori per pagina. Gli errori veri sono quelli che un copista non può correggere.
come si copia un testo:
Copiare un testo è una roba molto complicata e per farlo in modo professionale serve costruirsi un modo, un protocollo della copia.
Parola per parola? Frase intera per frase intera? Riga per riga?
Sappiamo che i copisti medievali ne leggevano un pezzo (un periodo intero o un verso), non parola per parola (lo capiamo perché se facessero parola per parola, oltre che ci metterebbero molto più tempo, gli errori che troveremmo nei manoscritti sarebbero diversi).
Non sappiamo se leggessero a voce alta o a mente, sappiamo che nel ‘300 la lettura interiore era molto rara.
quando è l’autore stesso a commettere errori:
Anche quando è l’autore stesso a fare il copista, commette errori. Gli errori veri e propri in filologia sono più che altro i casi in cui l’autore scrive una cosa erronea (ad esempio l’autore che attribuiva a qualcosa un nome, che però non è corretto. Noi per rispettare la cultura dell’autore non lo correggiamo).
ex. Montale che scrive ‘diaspori’ al posto di ‘diosperi’ (diospero = caco/cachi).
In un’edizione successiva Montale correggerà il termine.
Può anche succedere che l’autore riporti qualcosa di errato, ma che lo faccia apposta (ex. Machiavelli che deve far fare la figura dello stupido al marito della protagonista della Mandragola, e quindi dice sciocchezze, come un proverbio sbagliato).
la lettera ‘Ghiribizzi al Soderino’
Oggi la maggior parte dei contributi critici (non solo filologici) sugli autori prima del 500 ha un contributo filologico del modo in cui i testi sono stati trasmessi.
Anche da piccoli dettagli possiamo trarre informazioni.
Bausi parla del caso di un testo di Machiavelli, ‘Ghiribizzi al Soderino’, testo epistolare.
Ghiribizzo = cosa di poca importanza. Il testo era una ‘minuta’ cioè un abbozzo, probabilmente mai spedito al Soderino.
Machiavelli morì senza aver dato indicazioni sul sistemare le sue opere, che vennero curate da un gruppo di amici.
Non sappiamo precisamente però chi mise opere alle carte, e nell’ultimo periodo della sua vita molte opere sono state stravolte, ricomposte e ripensate.
Il nipote Giuliano de Ricci, tardo ‘500, con altri amici, ricopiò tutto ciò che trovò in casa di Machiavelli, e a ciò dobbiamo le opere che studiamo oggi (ex. la lettera a Vettori).
Non sappiamo come la lettera fosse autografa, se fosse diversa, se nella versione che studiamo noi ci siano errori di lettura e non.
‘Ghiribizzi in Raugia (Ragusa) al Soderino’: manoscritto risalente al 1512-1513
in Raugia = a Ragusa, dove era stato esiliato Soderini dopo la cauta della Repubblica di Firenze.
Soderino = il capo di Machiavelli quando questo era secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina.
Piero Soderini era il capo gonfaloniere di Firenze, Machiavelli era invece un semplice funzionario che poteva essere licenziato in qualunque momento.
Tuttavia, quando la Repubblica di Firenze viene smantellata e i Medici tornano al potere, Soderini non è più perpetuo. Viene esiliato a Firenze.
L’interpretazione della lettera è falsa, la copia che era stata fatta 60 anni dopo la morte dell’autore diceva cose che l’originale non diceva.
Lo sappiamo perché anni fa un filologo, nel 1960, trova nella biblioteca Vaticana l’autografo della lettera. Innanzitutto l’autografo non è indirizzato a quel Soderini, ma a un altro, il figlio: Giovan Battista Soderino (grande amico di Machiavelli).
Non è indirizzata ‘a Raugia/Ragusa’, ma scritta in Perugia; Machiavelli era appena stato a Perugia nel 1506, per cui la lettera va datata nel 1506.
Il tema della lettera è lo stesso, cioè la sfiducia nello stato. Il quadro e la cronologia sono completamente diversi, come anche la persona a cui è indirizzata, che era un pari, infatti il tono era amichevole e alla mano.
Il principe sarà il sunto dell’idea politica di Machiavelli, già anticipata in questa lettera. Per Machiavelli le signorie = i principati romani > da qui ‘De Principatibus’.
il codice Capponiano 107:
Il codice Capponniano 107 (I Capponi sono un’antica famiglia di Firenze) si trova nella biblioteca vaticana ed è quello di cui parlavamo l’altra volta riguardo Machiavelli: è un codice messo insieme da pezzi sparsi, è complicatissimo per la fascico-lazione ed è l’autografo del ghiribizzo ai Soderini.
Soderini parla a Macchiavelli come fosse un fratello, per questo gli scrive con molta tranquillità.
L’indirizzo è A Perugia o dove sia: i viaggi per le lettere erano complicati e rischiosi, poiché i tempi di consegna potevano variare da un giorno ai tre/quattro. Scrive ‘o dove sia’ nei casi in cui la lettera fosse arrivata prima che Machiavelli arrivasse a Perugia oppure dopo la partenza.
E’ a questa lettera del Soderino che rispondono i ghiribizzi di Machiavelli, scritti in Perugia.
Nelle lettere c’è tutta una tipologia. Abbiamo davanti un foglio che è stato scritto e piegato su se stesso fino ad ottenere una specie di bigliettino da mettere dentro un foglio di carta piegato allo stesso modo: si tratta di un carteggio. Tra il 13 e il 21 settembre Machiavelli è a Perugia.
Alla fine, ci sono i testimoni della lettera: V.C è il Vaticano, e vediamo che non vengono numerate per pagine, ma per carte, che indicheremo con retto o verso. E’ conservata comeMinuta autografa, ciò vuole dire che è una malacopia, cioè non è quella che effettivamente è stata spedita; quindi, non sappiamo se effettivamente Machiavelli l’avesse davvero inviata.
A.R: apografo Ricci; si specifica tra parentesi che è un apografo, cioè una copia di un’altra cosa.
sull’idea di “epistolario”:
Petrarca è uno dei primi uomini a concepire l’idea di epistolario come lo intendiamo noi oggi, ovvero come il mettere insieme una raccolta di lettere.
Per Cicerone era una raccolta di lettere destinate alla famiglia.
Certe lettere sono un’operazione letteraria concepita dall’autore per dare una certa immagine di sé, mentre altre sono inviate anche a destinatari fittizi come esercizio retorico: questo è ciò che si intende per epistolario.
Il carteggio è quando andiamo a cercare tutto quello che troviamo di buono di lettere scritte e inviate da un personaggio. Spesso troviamo non solo le lettere che l’autore ha scritto, ma anche quelle che ha ricevuto. Delle lettere che Machiavelli scrive, di pochissime conosciamo la risposta, mentre abbiamo molti pezzi. Spesso e volentieri queste lettere sono sincere, scritte senza nessun intento di autoglorificazione, quindi dei carteggi .
‘U’ significa ‘vostra’; non scrive “lettera” ma lett, cioè, abbrevia; 10 è scritto con una X con in apice una c; seguono poi delle righe cancellate da un tratto di penna, per far capire che quello non gli andava più bene (per questo si parla di minuta).
Siamo in una edizione critica. Si riporta una
parte di testo sulla quale vuoi attirare l’attenzione del lettore. L’editore mette in corsivo i suoi *commenti *e in tondo quello che c’è nel testimone. Cancella la frase, la corregge, ma poi la cancella ancora (cassato significa cancellato). Le pieghe sul foglio, invece, fanno capire che quella lettera ha viaggiato: al tempo non c’erano buste, quindi, una volta ripiegata, la lettera veniva chiusa con la cera lacca e poi volendo poteva anche venir aggiunto il si-gillo personale, che indicava che, se intatto, la lettera non era stata ancora letta; dopo aver sigillato il biglietto ripiegato, si scriveva l’indirizzo. A volte il foglio poteva rompersi, poiché veniva piegato così tanto e così spesso, da farci trovare oggi i buchi.
Un caso come questo ci insegna ancora una volta l’importanza dei particolari come, per esempio, la datazione corretta del testo, l’identificazione di coloro che vengono citati nella lettera (anche il destinatario) e il luogo.
filologia come arte dell’approssimazione alla verità:
filologia = arte dell’approssimazione alla verità, si avvicina alla verità.
La letteratura è un arte a metà fra l’astratto (un testo può essere imparato a memoria…) e il concreto (il supporto del testo).
Ad oggi è difficile che un testo venga perso completamente, poichè il nostro tempo fa copie di tutto. Fino a 100-200 anni fa non era così, e molti testi (antichi e non) sono andati persi.