La megacariopoiesi e il midollo osseo Flashcards
Cos è e dove si svolge la trombocitopoiesi?
La trombocitopoiesi è il processo di formazione delle piastrine che avviene microambiente midollare. Il microambiente delle cellule staminali ematopoietiche (HSC) nel midollo osseo, chiamato nicchia, assicura l’omeostasi ematopoietica controllando la proliferazione, l’auto-rinnovamento, la differenziazione e la migrazione delle HSC.
Che ruolo ha il microambiente midollare nell’attività cellulare della CSE?
Partiamo da una review “Haematopoietic stem cell activity and interactions with the niche” di Paul Frenette. Il lavoro di Paul Frenette (studioso che lavorava all’Einstein Instituite situato nel Bronx a New York, un famosissimo Istituto di ricerca e ospedale), uno tra i più importanti studiosi al mondo ad occuparsi di biologia delle cellule staminali ematopoietiche, è stato fondamentale per il suo contributo nella comprensione dell’importanza della nicchia staminale, cioè il microambiente specializzato che circonda una popolazione di cellule staminali, in relazione anche ai fattori che guidano lo sviluppo differenziativo delle linee cellulari.
Nella review si analizza l’importanza della nicchia emopoietica e dell’interazione reciproca tra le cellula staminale ematopoietica e nicchia staminale. La nicchia è influenzata da segnali regolatori quali fattori legati alle cellule, fattori secreti e altri segnali fisici locali. Diversi tipi di cellule regolano la nicchia, tra cui:
- cellule non ematopoietiche, ad esempio, staminali mesenchimali perivascolari ed endoteliali
- cellule derivate da HSC, ad esempio, megacariociti, macrofagi e cellule T regolatorie
La nicchia in realtà è regolata anche dall’esterno, ad esempio dal sistema nervoso e dai fattori di crescita, prodotti in organi diversi, che partecipano all’omeostasi della nicchia stessa, garantendo la funzionalità del midollo per tutta la vita dell’individuo. Si tratta di connessioni molto particolari di cui però molto deve essere ancora chiarito.
L’interazione con la nicchia regola l’omeostasi delle cellule staminali ematopoietiche ed è determinante anche in processi come l’invecchiamento e il cancro. In questo scenario muta il concetto stesso di nicchia, che non costituisce solamente la matrice inerme che circonda le cellule, ma è invece un fattore che influenza direttamente l’emopoiesi attraverso la secrezione di matrice e citochine che influiscono sulla cellula staminale ematopoietica. La nicchia viene a sua volta modificata dalle cellule staminali ematopoietiche, sia nei soggetti sani che nel malato.
In che modo la salute della nicchia ematopoietica correla con il cancro?
Coerentemente con la regolazione dell’ematopoiesi determinata dalla reciproca interazione tra la nicchia e le staminali emopoietiche, i costituenti della nicchia possono guidare lo sviluppo di neoplasia o possono essere rimodellati per supportare le cellule maligne. Alterazioni della nicchia possono contribuire alla trasformazione maligna di alcune cellule; allo stesso modo le alterazioni prodotte da diversi tumori possono portare infatti ad un ambiente pro-infiammatorio caratterizzato da alterata differenziazione delle staminali, fibrosi, rimodellamento vascolare, che sostengono ulteriormente il tumore. Ciò ha importanti risvolti clinici per ciò che concerne lo sviluppo di nuove terapie che possano agire sulle nicchie patologiche e agire sull’interazione tra cellule e nicchie patologiche, senza tuttavia sopprimerla del tutto.
Questo è un argomento molto attuale vista l’importanza che riveste nel trapianto di midollo osseo. Il maggior ostacolo al trapianto di midollo osseo è rappresentato dalla salute della nicchia in cui si impiantano le cellule: se si trapiantano cellule staminali in un organo, in questo caso il midollo, che presenta una nicchia rimasta patologica, essa ritrasformerà le cellule in cellule patologiche o non sarà in grado di supportarne la funzionalità. Questa problematica è riassunta nella locuzione: “a good seed in a good soil” (un buon seme in un buon terreno). Questo avviene, per esempio, nelle neoplasie mieloproliferative, patologie neoplastiche, che colpiscono le cellule staminali emopoietiche, ossia le cellule midollari progenitrici dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine, circolanti nel sangue periferico. Si caratterizzano per una emopoiesi clonale, in quanto la cellula progenitrice emopoietica ha acquisito una o più mutazioni genetiche che le conferiscono un vantaggio proliferativo, con un eccesso di produzione di elementi cellulari appartenenti a una o più linee cellulari del sangue. In queste patologie, la cellula staminale mutata, attraverso la secrezione di citochine, può causare una produzione eccessiva di tessuto fibroso da parte dei fibroblasti con aumento della matrice extracellulare, che porta alla fibrosi midollare. I pazienti con questa malattia non hanno buoni risultati col trapianto, in quanto la fibrosi nel midollo non consente alle cellule di attecchire come dovrebbero, rendendoli pazienti difficili. Per tale ragione la mielofibrosi continua ad essere una delle malattie ematologiche più gravi, con aspettativa di vita di circa 5 anni.
In che modo l’invecchiamento della nicchia influenza la cellula staminale emopoietica?
Le cellule staminali ematopoietiche sono influenzate anche dai cambiamenti legati all’età nella nicchia, divenendo con l’invecchiamento molto proliferative, con una maggiore differenziazione in senso mieloide (per questa ragione spesso gli anziani sono anemici) e una ridotta capacità rigenerativa; la produzione di cellule meno differenziate aumenta inoltre il rischio di sviluppo di malattie ematologiche.
Gli elevati livelli nella nicchia invecchiata di citochine pro-infiammatorie (l’invecchiamento comporta l’instaurarsi nell’organismo del cosiddetto inflammaging, uno stato di lieve infiammazione sistemica che determina variazioni nell’organismo, nella produzione e utilizzo di energia, omeostasi metabolica, senescenza immunitaria e salute neuronale. Ha effetti anche sull’ematopoiesi), specie reattive dell’ossigeno, proliferazione della matrice, influenzano la funzionalità, la differenziazione e il rinnovamento delle HSC. I meccanismi esatti di come i segnali infiammatori nel microambiente midollare contribuiscano ai cambiamenti e all’invecchiamento delle cellule staminali e come si verificano questi cambiamenti negli HSC sono ancora in fase di chiarimento. Comprendere i meccanismi dell’infiammazione durante l’età adulta e dopo l’invecchiamento avrà però importanti implicazioni cliniche nelle terapie rigenerative, nel trapianto di cellule staminali e potrebbe migliorare gli esiti del trattamento del cancro a tutte le età e rendere fattibile il trapianto e l’innesto di HSC da individui più anziani, espandendo così significativamente il pool di potenziali donatori.
In che modo l’esercizio fisico influisce sulla nicchia e quindi sull’emopoiesi?
Come riporta l’articolo “Exercise reduces inflammatory cell production and cardiovascular inflammation via instruction of hematopoietic progenitor cells” di Frodermann et Al., anche l’attività fisica è in grado di alterare le cellule staminali ematopoietiche mediante la modulazione della loro nicchia, riducendo la produzione ematopoietica di leucociti infiammatori (questo studio è condotto nel topo, nell’uomo va chiarito ancora come l’attività fisica influenzi l’infiammazione). Vita sedentaria, infiammazione cronica e leucocitosi aumentano il rischio di aterosclerosi, ma l’attività fisica determina una diminuzione della produzione di leptina nel tessuto adiposo, regolando, mediante gli effetti sulle cellule midollo osseo stromale positivi al recettore della leptina, la proliferazione e la produzione di leucociti.
Quali sono i principali fattori di crescita dell’emopoiesi?
I fattori di crescita ematopoietici non sono secreti dal midollo, ma da altri organi con cui questo comunica tramite le cellule del sangue. Tra questi, per esempio il rene, è stimolato dalla carenza di ossigeno nel sangue a secernere l’eritropoietina che, a livello midollare, stimola la produzione di globuli rossi. La trombopoietina, rilasciata dal fegato, induce invece la megacariopoiesi nel midollo.
Come agisce la trombopoietina nell’emopoiesi e quali fattori regolano la sua produzione?
La trombopoietina è un fattore di crescita in grado di indurre la megacariopoiesi, clonata nel 1994 da Kenneth Kaushansky (un ricercatore di New York che ha lavorato tutta la vita in California), consentendo la definizione dei meccanismi molecolari alla base della formazione delle piastrine, di cui il principale regolatore è la trombopoietina, fattore di crescita ematopoietico che promuovere la proliferazione il differenziamento sia precoce che terminale dei megacariociti, sebbene il rilascio piastrinico sia da essa poco influenzato.
La trombopoietina è secreta dal fegato in maniera costitutiva, cioè continua. Nel midollo si lega al recettore megacariocitico per la trombopoietina, denominato MPL (Myeloproliferative Leukemia protein), che quando lega la trombopoietina, cambia conformazione, dimerizza in modo differente; ciò comporta l’attivazione di pathway di trasduzione del segnale che passano anche attraverso l’attivazione di JAK2, un fattore che si è scoperto essere mutato nelle neoplasie mieloproliferative. Questa mutazione, la prima scoperta per queste patologie dal prof. Cazzola e dal prof. Malcovati, che si occupano anche della clinica di questa mutazione, determina un’attivazione costitutiva della proteina indipendentemente dal legame con il fattore di crescita.
I meccanismi di interazione e attivazione TPO-MPL non sono del tutto chiari. Definire queste interazioni e il modo in cui sono alterate nei disturbi ematologici, come le neoplasie mieloproliferative e le trombocitopenie, potrebbe aiutare l’identificazione e lo sviluppo di nuovi agenti terapeutici.
Il fegato rilascia, però, trombopoietina non solo costitutivamente ma anche in maniera regolata dall’età delle piastrine, come dimostrato da un gruppo di Boston diretto da Karin Hoffmeister (medico tedesco, che si è trasferita ad Harvard per studi di ricerca), con lo studio “Novel mechanisms of platelet clearence and thrombopoietin regulation”, pubblicato su Nature Medicine nel 2014.
Le piastrine nel sangue invecchiano in circa 7-10 giorni e devono poi essere rimpiazzate; sulla loro membrana presentano specifiche glicoproteine, tra cui l’acido sialico, che vengono perse nel tempo. Quando le piastrine invecchiano e perdono l’acido sialico, attivano il recettore di Ashwell-Morell (AMR) sull’epatocita, che a sua volta attiva, tramite fosforilazione, JAK2 e STAT3, inducendo la produzione di trombopoietina.
Quindi, la sintesi di TPO non è solo costitutiva, ma è anche su richiesta, tramite un meccanismo che è dipendente da JAK2, lo stesso JAK2 attivato dal recettore per la trombopoietina e che nelle cellule staminali ematopoietiche è mutato nelle malattie mieloproliferative.
Quali sono le conseguenze cliniche derivate dalla scoperta del meccanismo di rilascio della trombopoietina?
Alcune terapie per le malattie mieloproliferative tentano di inibire il recettore per la TPO sulle cellule staminali mutate inibendo JAK, ma in questo modo si può andare ad inibire anche JAK nel fegato, bloccando la produzione di TPO, e di conseguenza bloccando completamente la produzione di piastrine da cellule staminali sane. L’esecuzione di tali terapie richiede quindi molta attenzione per gli effetti collaterali che possono provocare: conoscere pathway di diversi recettori e sapere che possono intersecarsi è importante per lo sviluppo e l’utilizzo di nuovi farmaci.
Questa scoperta ha riscontri interessanti anche in campo trasfusionale. Attualmente le piastrine possono essere conservate solo per cinque giorni, durante i quali possono invecchiare. È in corso uno studio, condotto dallo stesso gruppo di Harvard, che si pone il problema di quali piastrine sia meglio trasfondere: quelle vecchie che funzionano poco come piastrine, ma che inducono la sintesi della trombopoietina e quindi la produzione di nuove piastrine, oppure piastrine giovani che siano funzionanti da sole. Probabilmente la risposta sta nel mezzo. Nel successo della trasfusione rientra quindi anche questo meccanismo che è importante conoscere per saperlo controllare.
Allo stesso modo, in un paziente con una patologia epatica, una trasfusione piastrinica avrà un effetto minore, perché manca il meccanismo di stimolazione della produzione di trombopoietina da parte delle piastrine invecchiate. Pazienti epatopatici potrebbero risultare piastrinopenici sia per un maggiore sequestro splenico (patologie croniche del fegato determinano splenomegalia congestizia e ipersplenismo (abnorme sequestro di sangue nella milza ingrandita) come conseguenza dell’ipertensione portale; questa deriva principalmente dalla maggiore resistenza al flusso del sangue nella vena porta che drena il sangue del tratto gastrointestinale addominale, della milza e del pancreas nel fegato), sia per un’inibizione della sintesi di piastrine. Alcuni studi stanno cercando di comprendere infatti qual è la quantità di trombopoietina secreta costitutivamente e quella secreta secondo questo meccanismo. Comunque, in generale, il fegato secerne la trombopoietina, come anche i fattori della coagulazione, quindi nelle epatopatie c’è un problema generale nell’emostasi e le piastrine possono essere diminuite anche per una diminuzione di trombopoietina.
Questa è stata una grossa rivoluzione ampiamente sottolineata dalla ricerca mondiale, perché spiega il collegamento vero tra due organi, tra possibili trattamenti e tra pratiche cliniche nel campo della trasfusione e della medicina in generale.
Come si caratterizza il meccanismo di biogenesi delle piastrine dal megacariocita?
La trombopoietina una volta rilasciata stimola la megacariopoiesi con successiva formazione di piastrine nel midollo (un recentissimo articolo riporta il polmone come possibile sito di formazione delle piastrine, ma non ha avuto ancora un seguito). Soltanto tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 il lavoro di un gruppo di Harvard, Italiano et all. 1999 “Blood Platelets Are Assembled Principally at the Ends of Proplatelet Processes Produced by Differentiated Megakaryocytes” ha chiarito il meccanismo di rilascio delle piastrine, che non avviene per frammentazione passiva dei megacariociti. La frammentazione passiva del megacariocita comporterebbe il rilascio di frammenti citoplasmatici che non avrebbero una membrana che li delimita, e non potrebbero contenere granuli. Inoltre in questo modello le piastrine non potrebbero neanche essere rilasciate in circolo. Il meccanismo di sintesi delle piastrine è invece un processo attivo in cui il megacariocita produce propiastrine da cui sono originate le piastrine.
Come dal megacariocita originano le propiastrine e quali sono le caratteristiche del processo?
Il megacariocita stimolato attua numerose endomitosi, generando nuclei che si dividono ma rimangono attaccati, divenendo polinucleato. I numerosi nuclei sono utili alla produzione di elevate quantità di proteine destinate ai granuli delle future piastrine. I granuli sono alla base del funzionamento delle piastrine; dopo l’attivazione piastrinica si ha la degranulazione che costituisce uno dei primi eventi del processo emostatico. In assenza di granuli, condizione tipica di alcune malattie, non si avvia il processo emostatico.
Il megacariocita inizia poi a formare degli pseudopodi, le cui estremità costituiranno le piastrine. Prima del distacco delle propiastrine, i granuli viaggiano dal corpo del megacariocita fino alle estremità degli pseudopodi.
L’allungamento degli pseudopodi è mediato dallo scorrimento in direzioni opposte di tubuli, che ne conferiscono la forma. Quando l’estremità è adeguatamente piena di granuli, i tubuli si attorcigliano su sé stessi, formando un loop che stringe il citoplasma e causa il distacco della propiastrina.
Vi sono ancora numerose incognite riguardo a questo meccanismo: non si conosce ancora con certezza il contenuto dei granuli, né il meccanismo con cui questi vengano distribuiti alle piastrine o i motivi per cui capiti che alcune piastrine vengano rilasciate nonostante siano prive di granuli. Si sa, però, che il meccanismo cambia in alcune patologie: per esempio in soggetti con angiopatie o infarto del miocardio è stata evidenziata la presenza di piastrine ricche di fattori proangiogenetici (tale scoperta è stata fatta da Folkman, un ricercatore di Harvard che si è occupato di angiogenesi, ed ha costituito una delle sue ultime scoperte prima di morire di infarto durante un congresso), sebbene non sia nota la causa. Con questa scoperta è stato constatato quindi che non sono i megacariociti a decidere il contenuto delle piastrine, ma altri fattori, facenti parte di un disegno più grande che, nel contesto patologico è dettato dalla patologia. Sono questi ulteriori fattori da tenere presente quando si vuole controllare le piastrine in patologia, dove bisogna considerare che sono diverse tra gli individui, rientrando a pieno nel concetto di medicina personalizzata.
Le propiastrine quindi sono processi citoplasmatici, sottili e piuttosto lunghi, osservati sia in vivo che in vitro, emanati dal megacariocita maturo da cui successivamente avranno origine le piastrine. Esse sono considerate le strutture intermedie nel passaggio da megacariocita a piastrina. Quando le propiastrine, con all’interno i granuli, sono pronte a staccarsi, il megacariocita si aggrappa al sinusoide, estende le propiastrine che sono staccate dal flusso sanguigno e rilasciate in circolo (come dimostrato in un articolo pubblicato su Science nel 2007 in cui gli autori, mediante l’uso della microscopia intravitale, sono riusciti a identificare nel topo i megacariociti che emettevano le propiastrine nei vasi; nell’uomo non è possibile osservare in vivo lo stesso meccanismo).
Come si svolge il processo di ramificazione delle pro-piastrine?
Si ritiene che il megacariocita rilasci circa un migliaio di piastrine. All’apice di ogni pseudopodio si forma una piastrina, quindi ogni pseudopodio deve avere più ramificazioni per poter produrre un numero così elevato di piastrine. La ramificazione delle propiastrine è un processo attivo che avviene in fasi:
1. La propiastrina si allunga con il citoscheletro
2. Torna indietro facendo avvicinare due punti separati sullo stesso pseudopodio
3. Dall’unione dei due punti si forma un’ulteriore estroflessione
4. L’estroflessione si allunga e forma una nuova propiastrina
Il processo si ripete più volte.
Quali sono i meccanismi di rilascio delle piastrine dopo la formazione delle propiastrine?
La costituzione della propiastrina è fondamentale per il rilascio delle piastrine: i due tubuli paralleli che la compongono si allungano in direzione opposta per raggiungere il lume del vaso; in questo processo l’uno tira l’altro fino a che in qualche modo, attraverso un meccanismo non conosciuto, avvertono che la piastrina è pronta e piena di granuli. A questo punto, i filamenti si attorcigliano, dando origine all’anello di tubulina β1, microtubulo specifico del megacariocita e della piastrina, che costituisce il citoscheletro della piastrina, la quale viene poi staccata.
La piastrina si stacca in varie forme, non è subito pronta: può essere più grossa del dovuto o a forma di “dumbbell” (manubrio – pesi da palestra) e modificarsi solo successivamente in circolo. In circolo si possono osservare:
- prepiastrine, piastrine più grandi o a forma di manubrio, ecc.
- pezzi di propiastrine, per esempio manubri più grossi
- le piastrine a cui hanno dato origine
Nel sangue di qualsiasi individuo si riscontrano infatti le forme a 8, piastrine più grandi, frammenti di propiastrine, che si attorcigliano e dividono in due piastrine. Sono note patologie in cui l’”8” non si forma ed il paziente presenta meno piastrine; si tratta di macrotrombocitopenie, di cui un esempio sono le trombocitopenie ereditarie. Va compreso quale sia la mutazione che conduce all’alterazione dell’attorcigliamento finale dei microtubuli. Tutt’ora non si sa come le propiastrine siano in grado di capire quando entrambe le piastrine in cui si stanno dividendo siano piene, entrambe funzionanti e pressappoco con lo stesso contenuto in granuli, per dare inizio alla divisione. Non si conosce neanche il meccanismo con il quale si attorcigliano.
Il processo di formazione delle piastrine è stato mimato anche in vitro con cellule di uomo grazie all’utilizzo di uno specifico bioreattore e simulando il flusso sanguigno. Tali modelli sono utilissimi per la ricerca poiché consentono di simulare i processi fisiologici ancora sconosciuti ed anche processi patologici, utili per la ricerca di nuovi target terapeutici.
Quali sono i meccanismi di trasporto dei granuli alla piastrina?
I granuli prodotti dal megacariocita percorrono tutto lo pseudopodio fino all’apice, ma non riescono a migrare in autonomia. I granuli vengono infatti trasportati lungo i filamenti del citoscheletro che percorrono le propiastrine. Vi sono numerose proteine che hanno questa funzione nel citoscheletro e la mutazione di una qualsiasi di queste può portare a un mancato ingresso dei granuli nella piastrina a causa del trasporto difettoso.
Il citoscheletro della propiastrina è costituito sia da microtubuli che da filamenti di actina, quindi il trasporto di organelli lungo le propiastrine in rotta verso lo sviluppo delle piastrine potrebbe avvenire su microtubuli, filamenti di actina o una combinazione di entrambi. Uno studio condotto sempre dallo stesso gruppo di Boston (Richardson, Shivdasani, Boers, Hartwig, Italiano), che è stato uno dei primi a occuparsi di ricerche in questo campo, ha dimostrato, inibendo diverse proteine del citoscheletro, che l’actina non sembra essere essenziale per il trasporto dei granuli lungo la propiastrina.
Lo studio è stato condotto valutando la localizzazione di actina, tubulina e granuli al microscopio elettronico. Poiché i filamenti di actina non sono richiesti per il trasporto di organelli e granuli su larga scala lungo le propiastrine, è probabile che i microtubuli che rivestono la propiastrina e forniscono la forza per l’allungamento, forniscano anche la forza per i movimenti degli organelli. L’ipotesi è stata confermata mediante tecniche di microscopia e immunofluorescenza, che hanno consentito di osservare che gli organelli e i granuli sembrano essere più abbondanti nelle regioni in cui i microtubuli sono massimamente concentrati definite swelling, punti in cui i fasci di microtubuli divergono per un breve tratto per poi ricongiungersi ad ispessire localmente lo stelo propiastrinico, e lungo la lunghezza dei microtubuli delle propiastrine.
Qual è la regolazione spaziale della trombopoiesi?
Nella trombocitopoiesi, quindi, le cellule staminali si differenziano in megacariocita, che abbraccia il vaso e produce le piastrine. Bisogna tuttavia comprendere quale sia la regolazione spaziale nel midollo, cioè comprendere se ad esempio vi sia un unico vaso in cui differenzia il megacariocita, uno in cui differenzia il globulo bianco e così via. Il midollo però non è costituito da un solo vaso verso cui si dirigono tutti i progenitori delle cellule del sangue per rilasciarle nel flusso, ma è un insieme di matrici e vasi numerosissimi.
Ogni progenitore ha il suo tipo di vaso: i globuli bianchi vengono rilasciati nelle arteriole, i globuli rossi e le piastrine nei sinusoidi, che sono capillari e quindi più piccoli. Quindi cellule più piccole vengono rilasciate in vasi più piccoli.
Sorge quindi la domanda su come facciano i progenitori a scegliere il vaso. In precedenza si riteneva che migrassero all’interno del midollo osseo man mano che si differenziavano: dalla nicchia osteoblastica, contenente le cellule staminali, queste migravano verso la nicchia vascolare per diventare progenitori più maturi e rilasciare, nel vaso dei megacariociti, le piastrine.
In realtà un gruppo tedesco attraverso uno studio, riportato nell’articolo “Thrombopoiesis is spatially regulated by the bone marrow vasculature”, ha dimostrato la presenza di un elevato numero di vasi nel midollo, intorno ai quali i progenitori delle cellule devono migrare poco. I vasi sono talmente tanti che le nicchie osteoblastiche ne sono circondate.
Nel midollo non vi è quindi una netta divisione tra nicchia osteoblastica e vascolare, ma vi è una commistione di nicchie che però sono regolate separatamente, sebbene non siano separate fisicamente (in questo scenario varia il concetto stesso di nicchia, che col tempo si sta modificando). Ciò potrebbe avere conseguenze anche in ambito clinico, poiché dato che i megacariociti non hanno bisogno di migrare molto nel microambiente midollare per raggiungere i vasi, le terapie per aumentare il numero di megacariociti potrebbero essere sufficienti per aumentare il conteggio delle piastrine. Attualmente non è possibile osservare il midollo osseo da vicino, per questo vi sono solo ipotesi che devono poi esser verificate con diversi strumenti; questo studio per esempio è stato condotto sfruttando anche simulazioni al computer combinate con tecniche microscopiche avanzate.
In sintesi, vi sono due tipi di vasi che circondano la nicchia: l’arteriola e il sinusoide. Non è chiaro come le cellule progenitrici scelgano il vaso, ma si sa che ci sono più elementi all’interno della nicchia e più connessioni con il sangue periferico.
In che modo la single cell analysis viene utilizzata per gli studi di organizzazione spaziale del midollo?
La composizione cellulare e l’organizzazione spaziale nelle distinte nicchie del midollo restano ancora da chiarire. Oggigiorno, tecniche di single-cell analysis e trascrittomica risolta spazialmente vengono utilizzate per mappare sistematicamente la composizione molecolare e cellulare delle del midollo.
Sono state applicate per risolvere la complessità molecolare del microambiente del midollo osseo e comprendere la sua risposta allo stress, elementi non ancora del tutto chiariti che però hanno un ruolo chiave nella regolazione dell’ematopoiesi. La valutazione dei profili trascrizionali delle popolazioni di nicchia vascolari, perivascolari e osteoblastiche a risoluzione a cellula singola sia nell’omeostasi che nell’emopoiesi sotto stress ha rivelato un elevato livello di eterogeneità cellulare all’interno della nicchia nel midollo, rivelando un significativo rimodellamento trascrizionale di questi elementi di nicchia in condizioni di stress. I numerosi dati ottenuti da questo studio, rielaborati e compattati da un bioinformatico, hanno consentito di comprendere meglio l’architettura della nicchia e la sua sensibilità allo stress.