La megacariopoiesi e il midollo osseo Flashcards

1
Q

Cos è e dove si svolge la trombocitopoiesi?

A

La trombocitopoiesi è il processo di formazione delle piastrine che avviene microambiente midollare. Il microambiente delle cellule staminali ematopoietiche (HSC) nel midollo osseo, chiamato nicchia, assicura l’omeostasi ematopoietica controllando la proliferazione, l’auto-rinnovamento, la differenziazione e la migrazione delle HSC.

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Q

Che ruolo ha il microambiente midollare nell’attività cellulare della CSE?

A

Partiamo da una review “Haematopoietic stem cell activity and interactions with the niche” di Paul Frenette. Il lavoro di Paul Frenette (studioso che lavorava all’Einstein Instituite situato nel Bronx a New York, un famosissimo Istituto di ricerca e ospedale), uno tra i più importanti studiosi al mondo ad occuparsi di biologia delle cellule staminali ematopoietiche, è stato fondamentale per il suo contributo nella comprensione dell’importanza della nicchia staminale, cioè il microambiente specializzato che circonda una popolazione di cellule staminali, in relazione anche ai fattori che guidano lo sviluppo differenziativo delle linee cellulari.
Nella review si analizza l’importanza della nicchia emopoietica e dell’interazione reciproca tra le cellula staminale ematopoietica e nicchia staminale. La nicchia è influenzata da segnali regolatori quali fattori legati alle cellule, fattori secreti e altri segnali fisici locali. Diversi tipi di cellule regolano la nicchia, tra cui:
- cellule non ematopoietiche, ad esempio, staminali mesenchimali perivascolari ed endoteliali
- cellule derivate da HSC, ad esempio, megacariociti, macrofagi e cellule T regolatorie
La nicchia in realtà è regolata anche dall’esterno, ad esempio dal sistema nervoso e dai fattori di crescita, prodotti in organi diversi, che partecipano all’omeostasi della nicchia stessa, garantendo la funzionalità del midollo per tutta la vita dell’individuo. Si tratta di connessioni molto particolari di cui però molto deve essere ancora chiarito.
L’interazione con la nicchia regola l’omeostasi delle cellule staminali ematopoietiche ed è determinante anche in processi come l’invecchiamento e il cancro. In questo scenario muta il concetto stesso di nicchia, che non costituisce solamente la matrice inerme che circonda le cellule, ma è invece un fattore che influenza direttamente l’emopoiesi attraverso la secrezione di matrice e citochine che influiscono sulla cellula staminale ematopoietica. La nicchia viene a sua volta modificata dalle cellule staminali ematopoietiche, sia nei soggetti sani che nel malato.

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3
Q

In che modo la salute della nicchia ematopoietica correla con il cancro?

A

Coerentemente con la regolazione dell’ematopoiesi determinata dalla reciproca interazione tra la nicchia e le staminali emopoietiche, i costituenti della nicchia possono guidare lo sviluppo di neoplasia o possono essere rimodellati per supportare le cellule maligne. Alterazioni della nicchia possono contribuire alla trasformazione maligna di alcune cellule; allo stesso modo le alterazioni prodotte da diversi tumori possono portare infatti ad un ambiente pro-infiammatorio caratterizzato da alterata differenziazione delle staminali, fibrosi, rimodellamento vascolare, che sostengono ulteriormente il tumore. Ciò ha importanti risvolti clinici per ciò che concerne lo sviluppo di nuove terapie che possano agire sulle nicchie patologiche e agire sull’interazione tra cellule e nicchie patologiche, senza tuttavia sopprimerla del tutto.
Questo è un argomento molto attuale vista l’importanza che riveste nel trapianto di midollo osseo. Il maggior ostacolo al trapianto di midollo osseo è rappresentato dalla salute della nicchia in cui si impiantano le cellule: se si trapiantano cellule staminali in un organo, in questo caso il midollo, che presenta una nicchia rimasta patologica, essa ritrasformerà le cellule in cellule patologiche o non sarà in grado di supportarne la funzionalità. Questa problematica è riassunta nella locuzione: “a good seed in a good soil” (un buon seme in un buon terreno). Questo avviene, per esempio, nelle neoplasie mieloproliferative, patologie neoplastiche, che colpiscono le cellule staminali emopoietiche, ossia le cellule midollari progenitrici dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine, circolanti nel sangue periferico. Si caratterizzano per una emopoiesi clonale, in quanto la cellula progenitrice emopoietica ha acquisito una o più mutazioni genetiche che le conferiscono un vantaggio proliferativo, con un eccesso di produzione di elementi cellulari appartenenti a una o più linee cellulari del sangue. In queste patologie, la cellula staminale mutata, attraverso la secrezione di citochine, può causare una produzione eccessiva di tessuto fibroso da parte dei fibroblasti con aumento della matrice extracellulare, che porta alla fibrosi midollare. I pazienti con questa malattia non hanno buoni risultati col trapianto, in quanto la fibrosi nel midollo non consente alle cellule di attecchire come dovrebbero, rendendoli pazienti difficili. Per tale ragione la mielofibrosi continua ad essere una delle malattie ematologiche più gravi, con aspettativa di vita di circa 5 anni.

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4
Q

In che modo l’invecchiamento della nicchia influenza la cellula staminale emopoietica?

A

Le cellule staminali ematopoietiche sono influenzate anche dai cambiamenti legati all’età nella nicchia, divenendo con l’invecchiamento molto proliferative, con una maggiore differenziazione in senso mieloide (per questa ragione spesso gli anziani sono anemici) e una ridotta capacità rigenerativa; la produzione di cellule meno differenziate aumenta inoltre il rischio di sviluppo di malattie ematologiche.
Gli elevati livelli nella nicchia invecchiata di citochine pro-infiammatorie (l’invecchiamento comporta l’instaurarsi nell’organismo del cosiddetto inflammaging, uno stato di lieve infiammazione sistemica che determina variazioni nell’organismo, nella produzione e utilizzo di energia, omeostasi metabolica, senescenza immunitaria e salute neuronale. Ha effetti anche sull’ematopoiesi), specie reattive dell’ossigeno, proliferazione della matrice, influenzano la funzionalità, la differenziazione e il rinnovamento delle HSC. I meccanismi esatti di come i segnali infiammatori nel microambiente midollare contribuiscano ai cambiamenti e all’invecchiamento delle cellule staminali e come si verificano questi cambiamenti negli HSC sono ancora in fase di chiarimento. Comprendere i meccanismi dell’infiammazione durante l’età adulta e dopo l’invecchiamento avrà però importanti implicazioni cliniche nelle terapie rigenerative, nel trapianto di cellule staminali e potrebbe migliorare gli esiti del trattamento del cancro a tutte le età e rendere fattibile il trapianto e l’innesto di HSC da individui più anziani, espandendo così significativamente il pool di potenziali donatori.

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5
Q

In che modo l’esercizio fisico influisce sulla nicchia e quindi sull’emopoiesi?

A

Come riporta l’articolo “Exercise reduces inflammatory cell production and cardiovascular inflammation via instruction of hematopoietic progenitor cells” di Frodermann et Al., anche l’attività fisica è in grado di alterare le cellule staminali ematopoietiche mediante la modulazione della loro nicchia, riducendo la produzione ematopoietica di leucociti infiammatori (questo studio è condotto nel topo, nell’uomo va chiarito ancora come l’attività fisica influenzi l’infiammazione). Vita sedentaria, infiammazione cronica e leucocitosi aumentano il rischio di aterosclerosi, ma l’attività fisica determina una diminuzione della produzione di leptina nel tessuto adiposo, regolando, mediante gli effetti sulle cellule midollo osseo stromale positivi al recettore della leptina, la proliferazione e la produzione di leucociti.

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6
Q

Quali sono i principali fattori di crescita dell’emopoiesi?

A

I fattori di crescita ematopoietici non sono secreti dal midollo, ma da altri organi con cui questo comunica tramite le cellule del sangue. Tra questi, per esempio il rene, è stimolato dalla carenza di ossigeno nel sangue a secernere l’eritropoietina che, a livello midollare, stimola la produzione di globuli rossi. La trombopoietina, rilasciata dal fegato, induce invece la megacariopoiesi nel midollo.

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7
Q

Come agisce la trombopoietina nell’emopoiesi e quali fattori regolano la sua produzione?

A

La trombopoietina è un fattore di crescita in grado di indurre la megacariopoiesi, clonata nel 1994 da Kenneth Kaushansky (un ricercatore di New York che ha lavorato tutta la vita in California), consentendo la definizione dei meccanismi molecolari alla base della formazione delle piastrine, di cui il principale regolatore è la trombopoietina, fattore di crescita ematopoietico che promuovere la proliferazione il differenziamento sia precoce che terminale dei megacariociti, sebbene il rilascio piastrinico sia da essa poco influenzato.
La trombopoietina è secreta dal fegato in maniera costitutiva, cioè continua. Nel midollo si lega al recettore megacariocitico per la trombopoietina, denominato MPL (Myeloproliferative Leukemia protein), che quando lega la trombopoietina, cambia conformazione, dimerizza in modo differente; ciò comporta l’attivazione di pathway di trasduzione del segnale che passano anche attraverso l’attivazione di JAK2, un fattore che si è scoperto essere mutato nelle neoplasie mieloproliferative. Questa mutazione, la prima scoperta per queste patologie dal prof. Cazzola e dal prof. Malcovati, che si occupano anche della clinica di questa mutazione, determina un’attivazione costitutiva della proteina indipendentemente dal legame con il fattore di crescita.
I meccanismi di interazione e attivazione TPO-MPL non sono del tutto chiari. Definire queste interazioni e il modo in cui sono alterate nei disturbi ematologici, come le neoplasie mieloproliferative e le trombocitopenie, potrebbe aiutare l’identificazione e lo sviluppo di nuovi agenti terapeutici.

Il fegato rilascia, però, trombopoietina non solo costitutivamente ma anche in maniera regolata dall’età delle piastrine, come dimostrato da un gruppo di Boston diretto da Karin Hoffmeister (medico tedesco, che si è trasferita ad Harvard per studi di ricerca), con lo studio “Novel mechanisms of platelet clearence and thrombopoietin regulation”, pubblicato su Nature Medicine nel 2014.
Le piastrine nel sangue invecchiano in circa 7-10 giorni e devono poi essere rimpiazzate; sulla loro membrana presentano specifiche glicoproteine, tra cui l’acido sialico, che vengono perse nel tempo. Quando le piastrine invecchiano e perdono l’acido sialico, attivano il recettore di Ashwell-Morell (AMR) sull’epatocita, che a sua volta attiva, tramite fosforilazione, JAK2 e STAT3, inducendo la produzione di trombopoietina.
Quindi, la sintesi di TPO non è solo costitutiva, ma è anche su richiesta, tramite un meccanismo che è dipendente da JAK2, lo stesso JAK2 attivato dal recettore per la trombopoietina e che nelle cellule staminali ematopoietiche è mutato nelle malattie mieloproliferative.

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8
Q

Quali sono le conseguenze cliniche derivate dalla scoperta del meccanismo di rilascio della trombopoietina?

A

Alcune terapie per le malattie mieloproliferative tentano di inibire il recettore per la TPO sulle cellule staminali mutate inibendo JAK, ma in questo modo si può andare ad inibire anche JAK nel fegato, bloccando la produzione di TPO, e di conseguenza bloccando completamente la produzione di piastrine da cellule staminali sane. L’esecuzione di tali terapie richiede quindi molta attenzione per gli effetti collaterali che possono provocare: conoscere pathway di diversi recettori e sapere che possono intersecarsi è importante per lo sviluppo e l’utilizzo di nuovi farmaci.
Questa scoperta ha riscontri interessanti anche in campo trasfusionale. Attualmente le piastrine possono essere conservate solo per cinque giorni, durante i quali possono invecchiare. È in corso uno studio, condotto dallo stesso gruppo di Harvard, che si pone il problema di quali piastrine sia meglio trasfondere: quelle vecchie che funzionano poco come piastrine, ma che inducono la sintesi della trombopoietina e quindi la produzione di nuove piastrine, oppure piastrine giovani che siano funzionanti da sole. Probabilmente la risposta sta nel mezzo. Nel successo della trasfusione rientra quindi anche questo meccanismo che è importante conoscere per saperlo controllare.
Allo stesso modo, in un paziente con una patologia epatica, una trasfusione piastrinica avrà un effetto minore, perché manca il meccanismo di stimolazione della produzione di trombopoietina da parte delle piastrine invecchiate. Pazienti epatopatici potrebbero risultare piastrinopenici sia per un maggiore sequestro splenico (patologie croniche del fegato determinano splenomegalia congestizia e ipersplenismo (abnorme sequestro di sangue nella milza ingrandita) come conseguenza dell’ipertensione portale; questa deriva principalmente dalla maggiore resistenza al flusso del sangue nella vena porta che drena il sangue del tratto gastrointestinale addominale, della milza e del pancreas nel fegato), sia per un’inibizione della sintesi di piastrine. Alcuni studi stanno cercando di comprendere infatti qual è la quantità di trombopoietina secreta costitutivamente e quella secreta secondo questo meccanismo. Comunque, in generale, il fegato secerne la trombopoietina, come anche i fattori della coagulazione, quindi nelle epatopatie c’è un problema generale nell’emostasi e le piastrine possono essere diminuite anche per una diminuzione di trombopoietina.
Questa è stata una grossa rivoluzione ampiamente sottolineata dalla ricerca mondiale, perché spiega il collegamento vero tra due organi, tra possibili trattamenti e tra pratiche cliniche nel campo della trasfusione e della medicina in generale.

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9
Q

Come si caratterizza il meccanismo di biogenesi delle piastrine dal megacariocita?

A

La trombopoietina una volta rilasciata stimola la megacariopoiesi con successiva formazione di piastrine nel midollo (un recentissimo articolo riporta il polmone come possibile sito di formazione delle piastrine, ma non ha avuto ancora un seguito). Soltanto tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 il lavoro di un gruppo di Harvard, Italiano et all. 1999 “Blood Platelets Are Assembled Principally at the Ends of Proplatelet Processes Produced by Differentiated Megakaryocytes” ha chiarito il meccanismo di rilascio delle piastrine, che non avviene per frammentazione passiva dei megacariociti. La frammentazione passiva del megacariocita comporterebbe il rilascio di frammenti citoplasmatici che non avrebbero una membrana che li delimita, e non potrebbero contenere granuli. Inoltre in questo modello le piastrine non potrebbero neanche essere rilasciate in circolo. Il meccanismo di sintesi delle piastrine è invece un processo attivo in cui il megacariocita produce propiastrine da cui sono originate le piastrine.

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10
Q

Come dal megacariocita originano le propiastrine e quali sono le caratteristiche del processo?

A

Il megacariocita stimolato attua numerose endomitosi, generando nuclei che si dividono ma rimangono attaccati, divenendo polinucleato. I numerosi nuclei sono utili alla produzione di elevate quantità di proteine destinate ai granuli delle future piastrine. I granuli sono alla base del funzionamento delle piastrine; dopo l’attivazione piastrinica si ha la degranulazione che costituisce uno dei primi eventi del processo emostatico. In assenza di granuli, condizione tipica di alcune malattie, non si avvia il processo emostatico.
Il megacariocita inizia poi a formare degli pseudopodi, le cui estremità costituiranno le piastrine. Prima del distacco delle propiastrine, i granuli viaggiano dal corpo del megacariocita fino alle estremità degli pseudopodi.
L’allungamento degli pseudopodi è mediato dallo scorrimento in direzioni opposte di tubuli, che ne conferiscono la forma. Quando l’estremità è adeguatamente piena di granuli, i tubuli si attorcigliano su sé stessi, formando un loop che stringe il citoplasma e causa il distacco della propiastrina.
Vi sono ancora numerose incognite riguardo a questo meccanismo: non si conosce ancora con certezza il contenuto dei granuli, né il meccanismo con cui questi vengano distribuiti alle piastrine o i motivi per cui capiti che alcune piastrine vengano rilasciate nonostante siano prive di granuli. Si sa, però, che il meccanismo cambia in alcune patologie: per esempio in soggetti con angiopatie o infarto del miocardio è stata evidenziata la presenza di piastrine ricche di fattori proangiogenetici (tale scoperta è stata fatta da Folkman, un ricercatore di Harvard che si è occupato di angiogenesi, ed ha costituito una delle sue ultime scoperte prima di morire di infarto durante un congresso), sebbene non sia nota la causa. Con questa scoperta è stato constatato quindi che non sono i megacariociti a decidere il contenuto delle piastrine, ma altri fattori, facenti parte di un disegno più grande che, nel contesto patologico è dettato dalla patologia. Sono questi ulteriori fattori da tenere presente quando si vuole controllare le piastrine in patologia, dove bisogna considerare che sono diverse tra gli individui, rientrando a pieno nel concetto di medicina personalizzata.
Le propiastrine quindi sono processi citoplasmatici, sottili e piuttosto lunghi, osservati sia in vivo che in vitro, emanati dal megacariocita maturo da cui successivamente avranno origine le piastrine. Esse sono considerate le strutture intermedie nel passaggio da megacariocita a piastrina. Quando le propiastrine, con all’interno i granuli, sono pronte a staccarsi, il megacariocita si aggrappa al sinusoide, estende le propiastrine che sono staccate dal flusso sanguigno e rilasciate in circolo (come dimostrato in un articolo pubblicato su Science nel 2007 in cui gli autori, mediante l’uso della microscopia intravitale, sono riusciti a identificare nel topo i megacariociti che emettevano le propiastrine nei vasi; nell’uomo non è possibile osservare in vivo lo stesso meccanismo).

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11
Q

Come si svolge il processo di ramificazione delle pro-piastrine?

A

Si ritiene che il megacariocita rilasci circa un migliaio di piastrine. All’apice di ogni pseudopodio si forma una piastrina, quindi ogni pseudopodio deve avere più ramificazioni per poter produrre un numero così elevato di piastrine. La ramificazione delle propiastrine è un processo attivo che avviene in fasi:
1. La propiastrina si allunga con il citoscheletro
2. Torna indietro facendo avvicinare due punti separati sullo stesso pseudopodio
3. Dall’unione dei due punti si forma un’ulteriore estroflessione
4. L’estroflessione si allunga e forma una nuova propiastrina
Il processo si ripete più volte.

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12
Q

Quali sono i meccanismi di rilascio delle piastrine dopo la formazione delle propiastrine?

A

La costituzione della propiastrina è fondamentale per il rilascio delle piastrine: i due tubuli paralleli che la compongono si allungano in direzione opposta per raggiungere il lume del vaso; in questo processo l’uno tira l’altro fino a che in qualche modo, attraverso un meccanismo non conosciuto, avvertono che la piastrina è pronta e piena di granuli. A questo punto, i filamenti si attorcigliano, dando origine all’anello di tubulina β1, microtubulo specifico del megacariocita e della piastrina, che costituisce il citoscheletro della piastrina, la quale viene poi staccata.
La piastrina si stacca in varie forme, non è subito pronta: può essere più grossa del dovuto o a forma di “dumbbell” (manubrio – pesi da palestra) e modificarsi solo successivamente in circolo. In circolo si possono osservare:
- prepiastrine, piastrine più grandi o a forma di manubrio, ecc.
- pezzi di propiastrine, per esempio manubri più grossi
- le piastrine a cui hanno dato origine

Nel sangue di qualsiasi individuo si riscontrano infatti le forme a 8, piastrine più grandi, frammenti di propiastrine, che si attorcigliano e dividono in due piastrine. Sono note patologie in cui l’”8” non si forma ed il paziente presenta meno piastrine; si tratta di macrotrombocitopenie, di cui un esempio sono le trombocitopenie ereditarie. Va compreso quale sia la mutazione che conduce all’alterazione dell’attorcigliamento finale dei microtubuli. Tutt’ora non si sa come le propiastrine siano in grado di capire quando entrambe le piastrine in cui si stanno dividendo siano piene, entrambe funzionanti e pressappoco con lo stesso contenuto in granuli, per dare inizio alla divisione. Non si conosce neanche il meccanismo con il quale si attorcigliano.
Il processo di formazione delle piastrine è stato mimato anche in vitro con cellule di uomo grazie all’utilizzo di uno specifico bioreattore e simulando il flusso sanguigno. Tali modelli sono utilissimi per la ricerca poiché consentono di simulare i processi fisiologici ancora sconosciuti ed anche processi patologici, utili per la ricerca di nuovi target terapeutici.

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13
Q

Quali sono i meccanismi di trasporto dei granuli alla piastrina?

A

I granuli prodotti dal megacariocita percorrono tutto lo pseudopodio fino all’apice, ma non riescono a migrare in autonomia. I granuli vengono infatti trasportati lungo i filamenti del citoscheletro che percorrono le propiastrine. Vi sono numerose proteine che hanno questa funzione nel citoscheletro e la mutazione di una qualsiasi di queste può portare a un mancato ingresso dei granuli nella piastrina a causa del trasporto difettoso.
Il citoscheletro della propiastrina è costituito sia da microtubuli che da filamenti di actina, quindi il trasporto di organelli lungo le propiastrine in rotta verso lo sviluppo delle piastrine potrebbe avvenire su microtubuli, filamenti di actina o una combinazione di entrambi. Uno studio condotto sempre dallo stesso gruppo di Boston (Richardson, Shivdasani, Boers, Hartwig, Italiano), che è stato uno dei primi a occuparsi di ricerche in questo campo, ha dimostrato, inibendo diverse proteine del citoscheletro, che l’actina non sembra essere essenziale per il trasporto dei granuli lungo la propiastrina.
Lo studio è stato condotto valutando la localizzazione di actina, tubulina e granuli al microscopio elettronico. Poiché i filamenti di actina non sono richiesti per il trasporto di organelli e granuli su larga scala lungo le propiastrine, è probabile che i microtubuli che rivestono la propiastrina e forniscono la forza per l’allungamento, forniscano anche la forza per i movimenti degli organelli. L’ipotesi è stata confermata mediante tecniche di microscopia e immunofluorescenza, che hanno consentito di osservare che gli organelli e i granuli sembrano essere più abbondanti nelle regioni in cui i microtubuli sono massimamente concentrati definite swelling, punti in cui i fasci di microtubuli divergono per un breve tratto per poi ricongiungersi ad ispessire localmente lo stelo propiastrinico, e lungo la lunghezza dei microtubuli delle propiastrine.

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14
Q

Qual è la regolazione spaziale della trombopoiesi?

A

Nella trombocitopoiesi, quindi, le cellule staminali si differenziano in megacariocita, che abbraccia il vaso e produce le piastrine. Bisogna tuttavia comprendere quale sia la regolazione spaziale nel midollo, cioè comprendere se ad esempio vi sia un unico vaso in cui differenzia il megacariocita, uno in cui differenzia il globulo bianco e così via. Il midollo però non è costituito da un solo vaso verso cui si dirigono tutti i progenitori delle cellule del sangue per rilasciarle nel flusso, ma è un insieme di matrici e vasi numerosissimi.
Ogni progenitore ha il suo tipo di vaso: i globuli bianchi vengono rilasciati nelle arteriole, i globuli rossi e le piastrine nei sinusoidi, che sono capillari e quindi più piccoli. Quindi cellule più piccole vengono rilasciate in vasi più piccoli.
Sorge quindi la domanda su come facciano i progenitori a scegliere il vaso. In precedenza si riteneva che migrassero all’interno del midollo osseo man mano che si differenziavano: dalla nicchia osteoblastica, contenente le cellule staminali, queste migravano verso la nicchia vascolare per diventare progenitori più maturi e rilasciare, nel vaso dei megacariociti, le piastrine.
In realtà un gruppo tedesco attraverso uno studio, riportato nell’articolo “Thrombopoiesis is spatially regulated by the bone marrow vasculature”, ha dimostrato la presenza di un elevato numero di vasi nel midollo, intorno ai quali i progenitori delle cellule devono migrare poco. I vasi sono talmente tanti che le nicchie osteoblastiche ne sono circondate.
Nel midollo non vi è quindi una netta divisione tra nicchia osteoblastica e vascolare, ma vi è una commistione di nicchie che però sono regolate separatamente, sebbene non siano separate fisicamente (in questo scenario varia il concetto stesso di nicchia, che col tempo si sta modificando). Ciò potrebbe avere conseguenze anche in ambito clinico, poiché dato che i megacariociti non hanno bisogno di migrare molto nel microambiente midollare per raggiungere i vasi, le terapie per aumentare il numero di megacariociti potrebbero essere sufficienti per aumentare il conteggio delle piastrine. Attualmente non è possibile osservare il midollo osseo da vicino, per questo vi sono solo ipotesi che devono poi esser verificate con diversi strumenti; questo studio per esempio è stato condotto sfruttando anche simulazioni al computer combinate con tecniche microscopiche avanzate.
In sintesi, vi sono due tipi di vasi che circondano la nicchia: l’arteriola e il sinusoide. Non è chiaro come le cellule progenitrici scelgano il vaso, ma si sa che ci sono più elementi all’interno della nicchia e più connessioni con il sangue periferico.

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15
Q

In che modo la single cell analysis viene utilizzata per gli studi di organizzazione spaziale del midollo?

A

La composizione cellulare e l’organizzazione spaziale nelle distinte nicchie del midollo restano ancora da chiarire. Oggigiorno, tecniche di single-cell analysis e trascrittomica risolta spazialmente vengono utilizzate per mappare sistematicamente la composizione molecolare e cellulare delle del midollo.
Sono state applicate per risolvere la complessità molecolare del microambiente del midollo osseo e comprendere la sua risposta allo stress, elementi non ancora del tutto chiariti che però hanno un ruolo chiave nella regolazione dell’ematopoiesi. La valutazione dei profili trascrizionali delle popolazioni di nicchia vascolari, perivascolari e osteoblastiche a risoluzione a cellula singola sia nell’omeostasi che nell’emopoiesi sotto stress ha rivelato un elevato livello di eterogeneità cellulare all’interno della nicchia nel midollo, rivelando un significativo rimodellamento trascrizionale di questi elementi di nicchia in condizioni di stress. I numerosi dati ottenuti da questo studio, rielaborati e compattati da un bioinformatico, hanno consentito di comprendere meglio l’architettura della nicchia e la sua sensibilità allo stress.

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16
Q

Qual è l’utilità degli studi in vitro del processo di trombocitopoiesi e quali sono state alcune applicazioni?

A

In vitro si può riprodurre il processo di trombocitopoiesi in modo da studiare i meccanismi fisiologici di produzione delle piastrine, ma anche per riprodurre i fenotipi di alcune patologie, sebbene ancora non si riesca a riprodurre il numero corretto di piastrine prodotte dal megacariocita, che risultano nettamente minori rispetto al numero prodotto in vivo. Il motivo risiede nel fatto che non si conoscono ancora tutti i fattori che ne stimolano la produzione; la stessa trombopoietina stimola la formazione del megacariocita maturo ma non delle piastrine.
Esistono numerose condizioni patologiche, come neoplasie mieloproliferative e trombocitopenie ad esempio, in cui i pazienti affetti presentano un alterato numero di piastrine.
Il paziente I è il controllo con piastrine normali. Il paziente II, in questo caso, presenta mielofibrosi primaria, caratterizzata da megacariociti più piccoli che producono poche piastrine in vitro: si possono osservare solo due propiastrine prodotte, situazione che corrisponde alla carenza in circolo di piastrine. In figura III e IV si osservano megacariociti di pazienti che presentano una neoplasia mieloproliferativa, patologia che presenta vari sottogruppi tra cui la trombocitemia essenziale (III), con netto aumento della produzione di piastrine, e la policitemia vera (IV), che presentano la stessa mutazione (a carico del gene MPL) ma un fenotipo differente. In queste condizioni nel midollo osseo, come osservabile anche in vitro, i megacariociti formano grovigli di propiastrine, ma non è noto il meccanismo patologico per cui il citoscheletro risulti così attivo. La produzione eccessiva di piastrine in vitro sicuramente corrisponde al numero di piastrine in circolo ma non se ne conosce ancora la causa.

Poter simulare la produzione di piastrine in vitro è un ottimo strumento per lo studio dei meccanismi di malattia ed il ruolo di farmaci e terapie utili a risolverla.
Consideriamo ancora lo studio di pazienti con trombocitopenia ereditaria dovuta ad una mutazione della MYH9, catena pesante della miosina 9 (Myosin heavy chain 9), proteina contrattile del citoscheletro.
Nello studio, il controllo è il paziente sano. I pazienti affetti presentano macrotrombocitopenia, con propiastrine con una diminuita efficacia, corrispondente alla gravità della malattia o al tipo di mutazione, e rilascio prematuro delle piastrine. Le piastrine presentano inoltre anche alterazioni funzionali, rimanendo più grandi della norma, con conseguenze nei movimenti nei piccoli vasi dei capillari. Spesso, soprattutto in passato, gli individui sono diagnosticati erroneamente come affetti da trombocitopenia autoimmune, che può esporli a un rischio elevato di ricevere trattamenti clinici inappropriati, come splenectomia o trattamento immunosoppressivo con corticosteroidi anche per anni prima che venga riconosciuta la patologia. In realtà è una patologia a base ereditaria di cui però ancora molto resta da scoprire circa i meccanismi patologici che la caratterizzano.

Esistono anche patologie in cui le piastrine presentano un’alterata funzionalità e struttura, rimangono grandi, non si dividono. Anche queste patologie sono riproducibili in vitro e quindi è possibile studiarle.
In questo caso si osserva un paziente con una delle prime trombocitopenie ereditarie mai scoperte, la sindrome di Bernard-Soulier dovuta ad una mutazione che coinvolge il recettore GPIb-V-IX per il fattore di von Willebrand. Il complesso GPIb-V-IX legando il VWF consente alle piastrine, rallentate da tale legame, di aderire e di formare il tappo piastrinico a livello delle lesioni vascolari. In questa malattia si riscontrano piastrine giganti in circolo; queste sono riscontrate anche in vitro. È evidente la differenza tra il controllo (E) e il riquadro patologico (F) che presenta piastrine di grandi dimensioni, proprio come accade in vivo. Le ragioni per cui mutazioni nel recettore per il VWF comportino difetti di formazione delle piastrine non sono state ancora completamente chiarite.

Lo studio in vitro consente, in ultima analisi, di studiare i meccanismi patologici e il laboratorio della professoressa, in collaborazione con un gruppo di Parigi, si occupa proprio dello studio di trombocitopenie ereditarie tramite l’utilizzo di un bioreattore con flusso. Stanno cercando di capire la causa per cui le piastrine sono giganti e per cui il flusso non riesce a promuovere l’ultima divisione, lasciando piastrine grandi e poche, con alterata funzionalità.

17
Q

Che ruolo ha il megacariocita nel mantenimento dell’omeostasi delle staminali?

A

L’interesse nei confronti dei megacariociti non è dovuto solamente al fatto che siano i progenitori delle piastrine, ma anche perché a livello del midollo osseo, per quanto rari, regolano le cellule staminali. I megacariociti sono infatti sostanziali per la rigenerazione del pool di cellule staminali, che produce le cellule del sangue per tutta la nostra vita. I megacariociti mantengono l’omeostasi delle cellule staminali, la loro quiescenza, e ne promuovono la rigenerazione nel caso di alterazioni del midollo osseo.
Ciò è riportato in due articoli usciti in parallelo su Nature Medicine, “Megakaryocytes maintain homeostatic quiescence and promote post-injury regeneration of hematopoietic stem cell” di Linhheng Li e “Megakaryocytes regulate hematopoietic stem cell quiescence through CXCL4 secretion” di Paul Frenette.
La regolazione avviene attraverso il contatto con le cellule, mediato dalla secrezione di alcuni fattori. La distinzione tra le nicchie che un tempo veniva utilizzata, anche per questioni didattiche, in realtà in vivo viene quindi a mancare. Il midollo è un misto di influenze e regolazioni reciproche da parte di cellule, nicchie e altri costituenti. È un concerto che deve essere regolato affinché tutto sia a tempo. Il concerto è tenuto insieme e sorretto dalla matrice extracellulare.

18
Q

Qual è il ruolo della matrice nella regolazione della funzionalità cellulare?

A

La matrice extracellulare è costituita principalmente dal collagene, che dà struttura al nostro organismo. Come afferma anche il ricercatore inglese Orgel, che ha studiato la matrice extracellulare per tutta la vita: “La forma è probabilmente una delle questioni più importanti in biologia. Strutture permanenti e riproducibili ma non necessariamente rigide dal punto di vista molecolare, forniscono lo stampo in cui si sviluppano i sistemi nervoso, circolatorio e digerente e subiscono cambiamenti nella patologia molecolare. Su scala più ampia, le forme animali sono mantenute dai loro tessuti connettivi, o più precisamente dal tessuto connettivo della matrice extracellulare (ECM). La forma e l’organizzazione di ciascuna ECM dipende dal suo contenuto di collagene e dall’architettura, da altri componenti ECM e dalle cellule che si trovano nel posto giusto al momento giusto.” Le stesse variazioni di forma devono avvenire nel momento giusto, nel punto giusto per assicurare la corretta funzionalità cellulare.
La matrice, nei confronti delle cellule, non ha solo un ruolo di supporto, ma anche di regolazione della funzione cellulare. È un rapporto attivo, che è stato identificato solo recentemente in realtà: è una ricerca attuale e ancora più recenti sono le scoperte per quanto riguarda la matrice del midollo osseo (studiata anche nel laboratorio della professoressa). Se la matrice viene alterata, sarà alterata anche la regolazione cellulare e in ultima analisi la funzione cellulare. Condizioni patologiche della matrice, ad esempio fibrosi del midollo, del fegato o di altri organi, determinano quindi un’alterazione della funzionalità cellulare. Lo stesso accade anche in caso di malattie del collagene o altre patologie legate alla matrice, che ne cambiano la struttura.
La cellula percepisce il tipo di matrice, il tipo di collagene e le altre matrici con cui è in contatto, e da inizio ad una “early interaction” tramite i recettori. Quando vengono stimolati i recettori cellulari vengono messe in moto cascate di segnale che attiveranno la cellula e daranno luogo ad una specifica funzione cellulare in quella che è definita “late interaction”.

19
Q

In che modo la rigidità della matrice determina variazioni della funzionalità cellulare e che implicazioni ha ciò?

A

L’importanza della matrice è dimostrata anche da un recente studio, in cui si è evidenziato che la matrice esercita la regolazione delle funzioni cellulari non solo tramite la biochimica, quindi mediante variazioni molecolari innescate dai recettori, ma anche tramite la fisica, attraverso la rigidità della matrice. Questa è determinata dall’organizzazione in fibrille di diversi tipi di collagene: il collagene di tipo I è molto forte, lo si trova in particolar modo nei tendini; il collagene IV invece è meno fibrillare, ed è un costituente delle membrane basali. L’organizzazione non è determinata solo dalle fibre de collagene, ma può variare anche in base ad altri componenti della matrice, quali proteoglicani e altre molecole che ne costituiscono la struttura. Variazioni nella struttura, rigidità ed elasticità del tessuto, che variano anche con l’invecchiamento, determinano una variazione anche della regolazione delle cellule.
Una pubblicazione di Dennis Discher, che attualmente lavora a Philadelphia ed è stato tra i primi a comprendere l’importanza del ruolo della matrice, consente di osservare che in vitro (ma accade anche in vivo) è possibile orientare il differenziamento di cellule mesenchimali solo variando l’elasticità della matrice: più si aumenta la rigidità, più una cellula mesenchimale si differenzia in osso; più si diminuisce, più la cellula si differenzia in adipociti. La cellula mesenchimale ha la capacità intrinseca di differenziarsi in entrambe le linee cellulari, ma la direzione del differenziamento sarà determinata dall’elasticità della matrice o del substrato in generale, in vitro.

Questi meccanismi hanno applicazioni anche in vivo, ricollegandoci anche all’ambito dei biomateriali. Se si inietta un biomateriale in un ginocchio o in una frattura scomposta del femore, il biomateriale deve avere specifiche caratteristiche biochimiche e fisiche. Sarà quindi necessario studiare il tipo di biomateriale corretto per supportare la funzione cellulare che si vuole raggiungere. Bisogna utilizzare un biomateriale il più simile possibile al materiale originale, per simulare più parametri possibili correttamente.
Per esempio, nella sostituzione di osso si utilizzeranno materiali rigidi, e si applicherà peso sulla struttura, così che le cellule, che reagiscono alla rigidità trasformandosi in osso, si differenzino adeguatamente. Allo stesso modo, quando si applica uno stent, questo deve essere progettato e studiato in maniera approfondita, non solo per essere medicato, ma perché abbia la giusta rigidità che comporti la neoformazione di endotelio da parte delle cellule. Allo stesso modo, se, idealmente, si volessero trapiantare cellule editate geneticamente, eseguire terapie cellulari, sarebbe sistematicamente necessario utilizzare metodi di raccolta e trattamento delle cellule che consentano di mimare l’organo nativo.

Una cellula subisce cambiamenti diversi sulla base di sollecitazioni fisiche: in un substrato morbido la cellula non cambia forma, il suo citoscheletro rimane tondo; se è a contatto con superfici più rigide, vi si àncora e cambia forma per la formazione di stress fibers. Nei due casi vengono esercitate forze diverse che attiveranno diversi pathways.
Per questi motivi è importante studiare la cellula in relazione al suo organo. L’organo più morbido nel corpo umano è il midollo osseo, cui in ordine crescente di rigidità seguono cervello, grasso, muscolo, cartilagine e osso. Infine più rigida di tutte queste matrici è la plastica usata nelle colture.
La plastica è un materiale troppo duro per poter simulare il nostro corpo; le cellule in coltura risulterebbero polarizzate e non mimerebbero a livello funzionale il comportamento nell’organo, a meno che si voglia valutare come queste di modifichino a contatto con un substrato rigido. Per eseguire correttamente una coltura è quindi necessario utilizzare modelli tridimensionali in cui impiantare le cellule o organoidi, in cui è possibile modulare la rigidità per ottenere risposte cellulari che simulino il più possibile il comportamento in vivo. Il midollo è morbido e quindi le cellule che lo abitano avranno struttura più tondeggiante; nel midollo, le cellule si differenzino e svolgono le loro funzioni in relazione ad una matrice morbida.
In patologie come la fibrosi, cambia l’elasticità del substrato e quindi la struttura, fattore che altererà di conseguenza la funzionalità delle cellule. Da qui, l’idea che la patologia cambia la struttura e, di conseguenza, la funzionalità cellulare.

20
Q

In che modo i meccanosensori consentono alla cellula di percepire la fisica della matrice?

A

L’importanza delle forze locali e della geometria, in termini di rigidità ed elasticità della matrice nella regolazione delle funzioni cellulari è sottolineata anche nella review “Local force and geometry sensing regulate cell functions” di Viola Vogel, ricercatrice inglese che si occupa dell’argomento. Ogni cellula è abituata alla rigidità e all’elasticità del suo organo.
Le cellule percepiscono sia la geometria che la forza applicata alla matrice tramite recettori di superficie, i meccanosensori.
La meccanotrasduzione quindi è il processo mediante cui la forza e la geometria del tessuto, quest’ultima percepita ad esempio in funzione dell’orientamento delle fibrille, sono convertite in segnali biochimici, tramite variazioni molecolari locali (pathways attivati) che si traducono infine in funzione cellulare, quella che viene definita meccanorisposta. In altre parole, la cellula, mediante i meccanosensori, avverte cambiamenti di ciò che la circonda e si adatta di conseguenza.
La percezione della geometria implica il rilevamento locale delle variazioni nella conformazione delle proteine, incluso l’unfolding delle proteine, ma anche dello spazio corretto tra i siti proteici raggruppati in cluster, nonché il rilevamento dei cambiamenti nella curvatura della membrana o nelle dimensioni complessive dei complessi proteici. La meccanotrasduzione implica l’attivazione di diversi pathway di segnalazione, che includono le piccole proteine G, le proteine G trimeriche, fosforilazioni della tirosina, livelli di calcio, il metabolismo lipidico dell’inositolo e altri.
I meccanosensori attraverso la percezione della forza (rigidità) attivano diversi processi biologici quali l’apertura di canali ionici, l’unfolding di proteine della matrice, l’unfolding delle proteine citoplasmatiche, l’alterazione della cinetica enzimatica e la formazione di legami.

21
Q

In che modo le variazioni fisiche della rigidità comportano un cambiamento nella struttura della cellula?

A

La struttura di una cellula varia quindi in funzione della struttura in cui è immersa e al suo fenotipo fisico. Su una superficie rigida la cellula è in grado di ancorarsi e questo accade anche quando le cellule sono poste su una capsula di Petri; ne consegue un cambiamento del citoscheletro. Invece in una matrice più morbida la cellula riesce a muoversi senza ancorarsi, riesce a stare più dentro sé stessa e a modificare il proprio citoscheletro, riuscendo anche a differenziarsi. Il midollo quindi deve essere morbido, essendo un organo così attivo dal punto di vista della differenziazione cellulare.
Una cellula ancorata invece può mimare le cellule staminali che nel midollo, nella nicchia osteoblastica rimangono attaccate alla nicchia, mantenendo le loro caratteristiche, così importanti da mantenere.

22
Q

In che modo gli studi si stanno orientando all’integrazione di concetti di bioingegneria e meccanobiologia in clinica?

A

In ingegneria tissutale, gli ambienti artificiali devono essere progettati in modo che le cellule attraversino fasi diverse nel tempo; tuttavia, la modifica dell’ambiente da parte delle cellule pone un problema importante e complesso. L’interazione dinamica tra le cellule e le loro matrici biologiche attraverso i diversi cicli di meccanosensing, trasduzione, risposta cellulare integrata e rimodellamento della matrice, rendono difficile capire come le cellule sappiano se crescere, differenziarsi o subire l’apoptosi.
Infatti, cellule immerse in un biomateriale possono modificarlo e il biomateriale avrà funzioni differenti man mano che la struttura viene modificata, dato che la struttura è così importante. Bisogna quindi capire come modulare il biomateriale in funzione della sua interazione con le cellule e con il tessuto in vivo.
Un biomateriale utile in clinica sarà, quindi, quello che una volta impiantato, a seguito delle successive modifiche attuate dalle cellule, manterrà la sua funzionalità.
Sono nati istituti come l’MBI (istituto di meccanobiologia inizialmente situato a New York, ma attualmente con sede principale a Singapore e collegato anche con l’istituto AIRC-IFOM di Milano, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro-Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) che studiano meccanobiologia, l’applicazione della bioingegneria dei materiali alla clinica, ma anche l’applicazione di questi concetti allo studio direttamente nell’organo per comprenderne fisiologia e patologia e le possibilità di intervento.
Questi studi sono fondamentali in clinica: nel tentativo di trattare la mielofibrosi del midollo osseo, per esempio, bisogna individuare la cellula malata che altera la nicchia e capire come contrastare l’alterazione della nicchia, in modo che, una volta curata la malattia, si possa ritornare all’interazione fisiologica tra cellula e nicchia. Si tratterà di contrastare per esempio le alterazioni della matrice laddove si possono contrastare (in clinica si sta lavorando sullo splicing alternativo e su come questo si possa contrastare).

23
Q

Quali sono le conseguenze dei difetti della meccanotrasduzione nell’uomo?

A

L’articolo “Mechanotransduction gone awry” di Diana E. Jaalouk e Jan Lammerding riprende l’importanza della percezione dell’ambiente fisico da parte delle cellule, che avviene attraverso la meccanotrasduzione, traducendo le forze meccaniche e le deformazioni in segnali biochimici, come cambiamenti nella concentrazione di calcio intracellulare o attivando diverse vie di segnalazione. A loro volta, questi segnali attivati possono attivare specifici fattori di trascrizione nel nucleo, regolare la struttura cellulare ed extracellulare e determinare specifiche risposte cellulari. Questo feedback meccanosensibile modula funzioni cellulari diverse come migrazione, proliferazione, differenziazione e apoptosi ed è cruciale per lo sviluppo degli organi e l’omeostasi. Di conseguenza, i difetti nella meccanotrasduzione - spesso causati da mutazioni o da una cattiva regolazione delle proteine, ​​che compromettono la meccanica cellulare o extracellulare - sono implicati nello sviluppo di varie malattie, come distrofie muscolari, cardiomiopatie, progressione del cancro e metastasi; altre malattie associate alle alterazioni dei recettori della meccanotrasduzione (e/o della matrice) sono difetti di sviluppo, alterazioni dell’udito, difetti nell’osso e nella cartilagine, miopia assiale, glaucoma e arteriosclerosi. Una nicchia malata porta ad avere cellule malate e viceversa.
I cambi improvvisi nella matrice extracellulare, il suo rimodellamento e il risultante disturbo nella tensione citoscheletrica e nei segnali di meccanotrasduzione sono emersi come importanti fattori che promuovono la trasformazione maligna delle cellule, la tumorigenesi e lo sviluppo di metastasi. La matrice, che prima era considerata una barriera per la metastasi in realtà si è rivelata esserne una promotrice. A seconda della struttura della matrice infatti si può avere una diffusione della metastasi o una trasformazione maligna delle cellule per esempio indotta da un’aumentata rigidità della matrice.
Sono numerose le patologie associate a difetti nella meccanotrasduzione e presentano maggiori referenze man mano che si sottolinea l’importanza dell’interazione tra ambiente e cellula; le più studiate rimangono tumori e metastasi. Il professore Stefano Piccolo, a Padova, studia il tumore in relazione alla rigidità dell’ambiente e della membrana e la conseguente attivazione della trasduzione del segnale all’interno del nucleo. Ha scoperto le proteine YAP/TAZ che collegano i meccanotrasduttori al nucleo, e quindi la rigidità dell’ambiente al nucleo. Ciò è alterato nella malattia e può esserlo anche nel tumore; inoltre, sta studiando la possibilità di contrastare queste proteine alterate in patologia e questi meccanismi di trasduzione del segnale dalla matrice al nucleo. L’articolo di riferimento è “Role of YAP/TAP in mechanotransduction” di Stefano Piccolo e del suo gruppo.

24
Q

Quali sono i fattori che determinano difetti e variazioni nella meccanotrasduzione?

A

Elementi che determinano l’alterazione della meccanotrasduzione sono:
- Variazioni dell’ambiente extracellulare dovute all’applicazione di forze e deformazioni. Un esempio è dato dalla pressione: la pressione alta induce uno stress maggiore sulle cellule endoteliali, quindi cambia la meccanotrasduzione dell’endotelio. Inoltre, la variazione dell’ambiente extracellulare è una conseguenza anche della modificazione della composizione della matrice che porta a variazioni della stiffness (rigidità)
- Variazioni della struttura cellulare e dell’organizzazione dei tessuti. La rigidità dei tessuti varia in funzione della rigidità dell’ambiente (cambia la rigidità della cellula). Recentemente è uscito un articolo che ha messo in luce variazioni della rigidità e nella struttura della membrana cellulare nella leucemia che porta alla proliferazione e trasformazione maligna delle cellule. Tali variazioni sono dovute a cambiamenti delle proteine transmembrana, delle proteine del citoscheletro, alla generazione di forza citoscheletriche, a variazioni delle proteine della membrana nucleare e delle proteine nucleari, come per esempio gli istoni
- Variazioni della percezione cellulare e segnalazione, dovute a modificazioni nei meccano-sensori cellulari, nelle proteine che li regolano, e nei pathway di segnale interni alla cellula

25
Q

Qual è il ruolo della matrice midollare rispetto alla funzionalità cellulare?

A

La Professoressa Balduini si occupa della ricerca sul midollo osseo e sulla sua rigidità. “Extracellular matrix structure and nano-mechanics determine megakaryocyte function” di Alessandra Balduini e i suoi collaboratori, “Myosin-II inhibition and soft 2D matrix maximize multinucleation and cellular projections typical of platelet-producing megacaryocyte” di Dennis E. Discher e i suoi collaboratori, “Importance of enviromental stiffness for megacaryocyte differantiation and proplatelet formation” di Catherine Lèon e i suoi collaboratori sono i tre articoli che hanno fatto la storia della meccanotrasduzione nel midollo. Trattano l’impatto della rigidità del midollo sulla meccanotrasduzione e la proliferazione piastrinica, e in generale sulla funzionalità delle cellule.

26
Q

Quali sono le conseguenze delle variazioni di rigidità nella matrice midollare sulla funzionalità cellulare?

A

Il midollo osseo è costituito da numerose matrici diverse: più tipi di collagene, fibronectina, laminina ecc. Consideriamo alcune biopsie di midollo osseo umano: nella linea di controllo (paziente sano) si evidenziano, colorati in marrone, i diversi tipi di matrice, che varia per il contenuto e la quantità dei suoi componenti, per esempio di collagene. Nelle tre linee inferiori, invece, si osserva cosa accade quando il midollo osseo diventa fibrotico: queste immagini sono esemplificative delle modifiche che le cellule potrebbero subire a seguito del cambiamento della rigidità della matrice. Le tre inferiori rappresentano tre stadi della mielofibrosi. Nella terza e ultima fase è difficile fare il trapianto e l’ematopoiesi si sposta nella milza: i pazienti hanno meno cellule del sangue mature in circolo, ma presentano in circolo numerose cellule progenitrici ematopoietiche, che escono dal midollo. Il midollo nella fibrosi si riempie di matrice, soprattutto fibronectina e collagene di tipo III, e la funzionalità dell’organo risulta alterata.
La matrice regola la funzionalità cellulare circondando completamente le cellule. I megacariociti nel midollo sono avvolti da anelli di matrice e fibronectina che ne regolano la funzione. Quindi la matrice non solo regola e supporta l’organo, ma regola direttamente la funzionalità cellulare.
I diversi tipi di collageno differiscono per caratteristiche strutturali sostanziali:
- Collagene di tipo I, ha fibre spesse a bande regolari
- Collagene di tipo III, è detto microfibrillare
- Collagene di tipo IV, è amorfo, non ha fibrille
Ovviamente collageni diversi permettono un differenziamento diverso e una diversa funzionalità cellulare. Per spiegare questa affermazione consideriamo un esempio: una cellula staminale a contatto con collagene di tipo I differenzia in megacariocita, ma non produce piastrine perché fisiologicamente il collagene I ha caratteristiche più simili all’osso, in cui la cellula deve rimanere staminale, e differenti rispetto a quelle del vaso in cui deve rilasciare le piastrine. Il collagene IV, caratteristico di membrane basali e vasi, a contatto con le cellule staminali induce invece la maturazione delle cellule, perché è simile all’ambiente dove le piastrine devono essere rilasciate. La matrice ha un impatto sostanziale quindi sulla funzionalità delle cellule.

27
Q

Come le modificazioni di rigidità del collagene modificano le risposte dei megacariociti?

A

Se in vitro si modifica il collagene di tipo I, facendo perdere la geometria e la rigidità delle fibrille, si ottiene un collagene biochimicamente I, in grado per esempio di legare gli stessi recettori, ma fisicamente non più I perché più morbido, meno rigido e meno elastico. Il collagene I, normalmente inibirebbe la funzione delle cellule di produrre piastrine. I megacariociti in contatto con questo collagene I alterato risultano invece attivi e producono piastrine. Come nel caso della cellula mesenchimale che in un substrato rigido differenzia in osso, mentre in un substrato più morbido differenzia in tessuto adiposo, così il megacariocita in un substrato, inizialmente rigido ma reso più morbido attraverso l’N-acetilazione, forma piastrine e propiastrine. Il collagene I modificato, meno rigido, non riesce ad attivare, attraverso i meccanosensori, i pathway attivati invece da altri meccanosensori stimolati dalla stiffness, che inibiscono la maturazione del megacariocita e la formazione delle piastrine. La fisica diventa biochimica.
Nel midollo osseo ci sono diverse zone con matrice costituita da forme di collagene diverse a seconda della zona. Il collagene di tipo I è presente in maggior quantità nella nicchia osteoblastica, dove le cellule staminali restano staminali; intorno ai vasi invece è presente una sorta di membrana basale costituita per lo più da collagene di tipo IV, meno rigido (all’inizio si pensava che i sinusoidi non avessero membrana basale). Questa matrice viene degradata da metalloproteasi che cellule, in questo caso i megacariociti, secernono mentre rilasciano le cellule mature (piastrine) nel sangue. Quindi la matrice, non solo è meno rigida, ma viene disgregata man mano che le cellule si aggrappano alla nicchia vascolare. La regolazione delle due nicchie non è solo dovuta alle componenti cellulari, ma anche alle componenti della matrice. Il midollo è un organo complesso, regolato da:
- Fattori solubili
- Fattori cellulari generali, cioè cellule che supportano l’ematopoiesi e cellule che la fanno
- Fattori fisici, le matrici, l’elasticità del tessuto che stimola e regola i meccano sensori