Esame emocromocitometrico Flashcards
Come viene eseguita l’analisi del sangue e perché viene richiesta?
Il sangue è il campione biologico più comunemente utilizzato per le analisi biochimico-cliniche. Le matrici del sangue sono:
- Sangue intero
- Plasma
- Siero
Esse variano per significato e validità clinica.
L’analisi del sangue avviene mediante test emocromocitometrico svolto in meno di un minuto oggigiorno, ma che nasconde dietro un lavoro di ricerca e di ingegneria estremamente sofisticato. La matrice usata nel test emocromocitometrico è il sangue intero, costituito da:
- Plasma 46-63%
- Parte corpuscolata 37-54%; questa a sua volta comprende: globuli russi per il 99,9%, e globuli bianchi (neutrofili 50-70%, linfociti 20-30%, monociti 2-8%, eosinofili 2-4%, basofili <1%) e piastrine per lo 0,1%
Nel test emocromocitometrico vengono valutati gli elementi cellulari del sangue, ma anche altre caratteristiche come per esempio l’ematocrito, il rapporto tra parte liquida e parte corpuscolata del sangue. Oggetto dell’esame è analizzare in particolare la composizione cellulare del sangue e distinguerne gli elementi presenti all’interno, in termini di:
- Globuli rossi
- Globuli bianchi
- Piastrine
È in grado anche di garantire una serie di valutazioni qualitative per comprendere appunto la qualità delle cellule nel campione di sangue. Consiste in una serie di calcoli e misurazioni che vengono poi convertite in un referto che va interpretato.
L’esame del sangue è un esame che viene richiesto in prima battuta come screening per valutare lo stato di salute di un soggetto. È un esame di prima linea che viene richiesto di fronte a sintomi molto aspecifici nel paziente quali fatica o debolezza, nel caso di sospette infiammazioni o infezioni, o anche per problemi emostatici. Spesso è lo strumento più importante per il monitoraggio di pazienti che hanno determinate patologie, in particolare condizioni che alterano la qualità del sangue, e quindi malattie a carico del sistema emopoietico o per pazienti sottoposti a chemio, che inficia la produzione di cellule da parte del midollo osseo, i quali vengono monitorati attraverso questo test per valutare l’andamento nella ripresa della loro attività emopoietica e l’efficacia del trattamento.
Come si è evoluta nella storia la caratterizzazione del sangue?
La caratterizzazione del sangue, nel corso della storia della medicina, ha riscontrato dei problemi, che sono tutt’oggi, con gli strumenti moderni, presenti nei nostri tentativi di quantificare e valutare la composizione delle cellule del sangue.
Ormai più di 450 anni fa, nel 1658 il biologo olandese Swammerdam osservò per la prima volta i globuli rossi, le cellule più abbondanti nel sangue, caratterizzati da una discreta dimensione, che, quindi, ne ha consentito l’osservazione e identificazione con i rudimentali sistemi microscopici dell’epoca. Nel 1695 van Leeuwenhoek descrisse la struttura dei globuli rossi. Per i successivi 150 anni non fu visto altro se non “corpuscoli rossi”. Nei 150 anni che seguirono le migliorie nelle tecniche microscopiche hanno consentito l’identificazione dei globuli bianchi, o leucociti, descritti per la prima volta nel 1843 da Andral e Addison. Nel 1842 il francese Donnè scoprì dei corpuscoli opalescenti, piccoli e globulari, visibili nel sangue. Nel 1843 un italiano, Bizzozero, identificò e descrisse il significato funzionale dell’ultima componente cellulare del sangue, le piastrine. Bizzozero definì le piastrine come “polvere del sangue” per via delle loro dimensioni estremamente ridotte, che all’epoca sembravano non avere le caratteristiche di strutture cellulari vere e proprie. Nel 1879 poi Paul Ehrlich sviluppò la prima colorazione ematologica che consentì di distinguere i linfociti tra i leucociti.
A seguito dell’identificazione delle cellule del sangue, gli studiosi iniziarono a porsi il problema della conta delle cellule sanguigne. Uno dei primi pionieri in questo ambito fu Karl Burker che nel 1905 sviluppò un’efficiente camera di conta e di valutazione del numero di cellule presenti in un campione. La camera messa a punto da Burker tutt’oggi è presente nei laboratori, dove viene utilizzata per avere un’indicazione sul numero di cellule in un campione biologico, anche se non estremamente precisa.
Le camere per la conta delle cellule nel sangue, seppur rudimentali, utilizzate in laboratorio sono ad esempio la camera di Burker e quella di Neubauer (introdotta nel 1907). Sono dei supporti su cui vengono disegnate griglie e dopo aver fatto depositare un piccolo campione di pochi μl di sangue, le cellule si dispongono sulla griglia; dal conteggio del numero di cellule presenti nei diversi campi della griglia, tenendo conto del volume utilizzato e della superficie, che è costituita da ogni singolo quadrato della griglia, è possibile applicare una formula matematica per ottenere una stima del numero di cellule presenti nel campione. Ciò è l’inizio primordiale delle tecniche di conta cellulare.
Quali sono i metodi attuali su cui si basa l’esame emocromocitometrico?
Se pensiamo al numero di esami emocromocitometrici ogni giorno compiuti, ad esempio in un ospedale, è impensabile fare riferimento ancora a queste tecniche per valutare la composizione cellulare di un campione di sangue. L’ingegneria, l’utilizzo della fluorescenza e tecniche microscopiche sempre più sofisticate hanno consentito lo sviluppo della citometria. La citometria è una tecnica che consente di arrivare a una risoluzione di singola cellula per ottenere informazioni sulle caratteristiche morfologiche delle cellule.
Numerosi passi in avanti nell’ultimo secolo hanno consentito lo sviluppo di questa tecnica. Evento fondamentale è stata la scoperta da parte di Wallace Coulter, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (tra 1947 e 1949), dell’omonimo principio di Coulter, alla base dello sviluppo delle tecniche di citometria. Il principio consente di ottenere informazioni sulla dimensione delle cellule, sfruttate dagli strumenti moderni per caratterizzarle e discriminarle.
L’esame emocromocitometrico moderno, è basato su sistemi automatizzati che sono in grado di applicare principalmente due metodi:
- Metodo dell’impedenza che applica il principio di Coulter
- Sistemi ottici che forniscono informazioni sulla morfologia cellulare
Questi metodi sono alla base di ogni apparecchio contaglobuli o macchina per l’esame emocromocitometrico.
Il principio dell’impedenza è basato sul principio di Coulter. Coulter osservò che il passaggio di cellule in un campione liquido attraverso due elettrodi comportava una variazione del campo elettrico direttamente proporzionale alle dimensioni della cellula. Su questo principio fondamentale si basano le apparecchiature nel laboratorio analisi per valutare le dimensioni cellulari.
Il principio delle unità ottiche si basa sul fatto che le cellule, quando colpite perpendicolarmente da un fascio di luce, deviano e riflettono la luce in direzioni diverse. Quindi, come risultato, quando la cellula viene colpita dal fascio di luce essa genera una diffrazione della luce definita forward scatter, una dispersione frontale al passaggio, che è un indice del volume e delle dimensioni cellulari, similmente al principio dell’impedenza. Contemporaneamente e analogamente, la cellula, quando passa attraverso questi fasci di luce, oltre a generare una diffrazione frontale, respinge lateralmente la luce, creando il cosiddetto side scatter, parametro che dipende da caratteristiche strutturali cellulari, in particolare la complessità cellulare, cui concorrono il contenuto di granuli, nuclei (rapporto con citoplasma, compattezza cromatina, morfologia, dimensioni), organuli, ecc. Più una cellula contiene un nucleo polilobato e grande, ad esempio, maggiore sarà la sua complessità; più granuli e altre strutture una cellula contiene, più queste saranno in grado di modificare la quantità di luce riflessa lateralmente al suo passaggio. I globuli rossi, per esempio, non presentano nucleo o granuli e avranno side scatter inferiore rispetto a quello dei granulociti, ricchi di granuli.
L’applicazione di questi principi ha richiesto lo sviluppo di strumenti con una fluidica estremamente controllata, per cui le cellule di un campione, ad esempio di sangue, in cui le cellule sono diffuse all’interno del volume, potessero passare in maniera ordinatamente allineata, in modo da consentire il passaggio individuale nei punti in cui sono applicati i sistemi di misurazione e quantificazione di variazione di voltaggio elettrico (per ciò che riguarda l’impedenza) o di calcolo e quantificazione di luce riflessa lateralmente e frontalmente dalle cellule al loro passaggio.
Ulteriori metodiche negli strumenti moderni, derivati dall’evoluzione di nuove tecniche e dalla ricerca, hanno aumentato la sensibilità degli strumenti e la quantità di informazioni ottenute del campione. In particolare, la citometria a flusso, ulteriore sviluppo della citometria, integra tecniche di fluorescenza, tecniche di lisi cellulare selettiva, destinate cioè solamente a certi tipi di cellule nel campione di sangue rispetto ad altre, colorazioni specifiche che mettono in evidenza sostanziali caratteristiche cellulari.
Qual è la modalità di analisi nel test e quali informazioni consente di ottenere?
Il campione nell’esame emocromocitometrico è il sangue intero anticoagulato, poiché avendo bisogno di analizzare le cellule, la matrice non necessita separazione della frazione cellulare da quella liquida, né come plasma né come siero. L’anticoagulante utilizzato è l’EDTA, chelante del Ca2+, che mantiene in modo migliore la morfologia e le caratteristiche cellulari.
In una macchina per l’esame emocromocitometrico vi sono molte camere diverse in cui avvengono le misurazioni e le quantificazioni generali, ma anche camere destinate a misurazioni specifiche, ad esempio quella dell’emoglobina che avviene nell’unità di spettrofotometria, e camere destinate a colorazioni specifiche, fatte avvenire nel campione di sangue per mettere in luce peculiarità cellulari, come quelle utilizzate per risolvere l’eterogeneità dei globuli bianchi.
Nel primo passaggio dell’esame, il campione di sangue intero è immesso nella macchina, che ne aspira una piccola quantità; questa viene immediatamente suddivisa in diverse porzioni che sono destinate alle diverse analisi, nelle diverse camere dello strumento.
Riguardo la caratterizzazione morfologica, passaggio fondamentale è la fluidica dello strumento che consente di modificare l’impacchettamento cellulare presente nel campione di sangue intero, per permettere il passaggio delle cellule individualmente, per poterle analizzare.
Le analisi morfologiche avvengono, nei citometri a impedenza, nel primo punto in cui le cellule, a livello individuale, sono fatte passare in una fessura in cui è applicato il campo elettrico, permettendo di misurare, in base al principio di Coulter, la variazione del voltaggio elettrico e quindi avere un idea delle loro dimensioni.
Le cellule del sangue presentano dimensioni variabili e caratteristiche del tipo cellulare. Le piastrine sono le cellule più piccole nel sangue (1,5-3,5 μm), cui fanno seguito i globuli rossi, leggermente più grandi (7-8 μm), e infine i globuli bianchi.
Il secondo passaggio è rappresentato dalla prosecuzione delle cellule nei capillari dove sono investite dal fascio di luce (raggio laser semiconduttore) che consente di separare le cellule utilizzando due diversi segnali: la luce riflessa in avanti (forward scatter o FSC) e la luce riflessa lateralmente (side scatter o SSC). Il sistema quantifica il livello di luce riflessa lateralmente e frontalmente dal campione per avere le informazioni sul volume cellulare, basandosi sul forward scatter, e sulla complessità cellulare, basandosi invece sul side scatter.
Utilizzando tali parametri, lo strumento trasforma la quantificazione di luce in numeri e abbina la quantità di side scatter e forward scatter in un singolo punto per fornire uno scatter plot (dot plot), un grafico in cui ogni singolo punto è un evento cellulare che la macchina ha misurato. Questo evento cellulare è la trasformazione numerica di side scatter e forward scatter della singola cellula. Questa prima analisi consente di dividere le componenti cellulari sulla base delle loro proprietà fisiche: alcune cellule sono estremamente omogenee riguardo dimensioni e complessità cellulari, altre più eterogenee.
Le piastrine presenteranno forward scatter basso e side scatter più elevato, che riflette una buona complessità, dovuta alla presenza di α-granuli, granuli densi, lisosomi, mitocondri.
I globuli rossi avranno un forward scatter leggermente superiore a quello delle piastrine, ma side scatter inferiore, dovuto all’assenza del nucleo e alla presenza nel citoplasma per lo più di emoglobina, con scarsa presenza di organuli.
I globuli bianchi, distinti in granulociti (neutrofili, eosinofili, basofili), monociti e linfociti, sono una popolazione estremamente eterogenea. Nel caso di una analisi dei leucociti, in base alle loro caratteristiche fisiche essi formano popolazioni distinte nello scatter plot:
- Linfociti, cellule abbastanza omogenee per side scatter e forward scatter, quindi simili tra loro per dimensioni e complessità
- Monociti, leggermente staccati dai linfociti, hanno una più elevata dimensione e complessità. Sono quindi superiori in forward e side scatter, leggermente diversi tra loro ma formano ugualmente una popolazione compatta
- Granulociti, popolazione molto eterogenea, sono leucociti che presentano caratteristiche morfologiche differenti per dimensioni e complessità cellulare, formando quindi una popolazione più disomogenea dal punto di vista dei parametri fisici. Nonostante ciò si differenziano dalle altre sottopopolazioni leucocitarie
Gli attuali strumenti non si basano solo sui parametri fisici, con l’analisi di side scatter e forward scatter, ma per addentrarsi ulteriormente nella caratterizzazione cellulare implementano anche colorazioni, sonde fluorescenti, lisi cellulari, in modo, in ogni analisi, da quantificare e far emergere anche popolazioni rare nei campioni di sangue. Nella citometria a flusso i segnali registrati sono tre, oltre a side scatter e forward scatter, includendo anche la luce a fluorescenza laterale (side-fluorescence light o SFL). La fluorescenza laterale indica la quantità di DNA e di RNA presenti in una cellula (nota bene: il campione nello strumento viene diluito in un rapporto prestabilito e etichettato con un marcatore di fluorescenza appropriato che si lega specificamente agli acidi nucleici).
L’esame emocromocitometrico fornisce una conta cellulare ma anche informazioni e parametri qualitativi quali:
- Quantificazione della Hb nel campione
- Ematocrito, il rapporto parte corpuscolata e parte liquida
- Misure e indici qualitativi relativi ai globuli rossi (oltre alla loro conta) per capire la loro morfologia e qualità nel campione
- Conta differenziale dei globuli bianchi
- Conta delle piastrine e volume corpuscolare piastrinico, valore che riguarda la morfologia delle piastrine nel campione del soggetto
Il risultato è un referto in cui sono presenti i valori legati alla composizione cellulare del campione e la valutazione delle diverse sottopopolazioni cellulari. Importanti sono anche le unità di misura nel test e l’intervallo di riferimento che si applica a ognuna di queste misurazioni. Nel referto l’asterisco indica un valore al di fuori dell’intervallo di riferimento, cui va data la specifica importanza.
Quali sono le variabili cui è soggetto il test emocromocitometrico?
L’esame emocromocitometrico tiene conto di variabili analitiche divise in:
- Variabili pre-analitiche, cioè qualità di raccolta del campione di sangue, giuste procedure di conservazione e utilizzo del campione, anamnesi del paziente. Molti parametri e i loro valori di riferimento dipendono da età, sesso e anche altre variabili cliniche
- Variabili analitiche, che riguardano alterazioni della macchina. Sebbene i sistemi automatizzati moderni siano molto simili tra loro, possono utilizzare kit e tecniche leggermente diversi, avendo tuttavia la capacità di controllare il processo di analisi tramite controlli interni, controlli positivi per monitorare che non vi siano errori nella valutazione e analisi dell’esame emocromocitometrico
- Variabili post-analitiche, errori di referto, valori di riferimento che possono leggermente variare tra i laboratori dove vengono svolti. Infatti tra i laboratori, anche se si tratta di piccolissime variazioni, l’utilizzo di macchine che possono applicare test leggermente diversi, comporta, nella valutazione dei parametri, la necessità di stabilire valori di riferimento leggermente diversi. Per questo spesso si suggerisce di svolgere le analisi sempre nello stesso posto con le stesse metodiche
Come viene quantificata l’emoglobina nell’analisi?
È una quantificazione che consente di avere una stima di emoglobina in g/dL nel campione di sangue.
Per ottenere questo parametro lo strumento deve svolgere un analisi ad hoc, in quanto l’Hb è contenuta nei globuli rossi e per quantificarla quindi è necessario il suo rilascio da parte dei globuli rossi presenti nel sangue. Per farlo lo strumento dedica una quota del campione di sangue all’analisi, in cui viene introdotto un detergente che lisa i globuli rossi determinando il rilascio in sospensione della Hb (emolisato). Oltre alla lisi, lo strumento deve essere in grado di quantificare l’Hb. Viene quindi iniettato un reagente, il laurilsolfato di sodio (SLS) che si complessa spontaneamente all’Hb riversata in sospensione, consentendo una variazione nel colore emesso dal complesso SLS-Hb che può essere quantificato dallo strumento tramite uno spettrofotometro dedicato all’analisi, che misura l’assorbanza ad una lunghezza d’onda di 555 nm, a cui viene rilevato il complesso tra reagente ed emoglobina. Utilizzando uno standard interno, scala di Hb come controllo positivo, la macchina quantifica l’Hb nel campione.
L’Hb è espressa in forma di g/dL, ma bisogna fare attenzione anche in questo caso alla variabilità pre-analitica; in generale l’intervallo varia tra uomo e donna, per l’uomo 13-17 g/dL, per la donna 12-16 g/dL. Sull’Hb influiscono anche l’altitudine, l’idratazione, la gravidanza, il fumo, tutte variabili da considerare per la definizione di valori di riferimento ideali per il paziente in esame. Nei sistemi moderni, lo strumento è in grado di settare il referto sui valori di riferimento adatti al paziente dopo la registrazione dei suoi dati.
Come viene valutato l’ematocrito?
Insieme all’Hb, l’ematocrito è un parametro che ha un importante valore diagnostico, specie per le anemie. È il rapporto tra parte corpuscolata e parte liquida di un campione sangue. In precedenza era misurato mantenendo il campione in verticale, sfruttando la forza di gravità, che consentiva che le cellule si depositassero sul fondo della provetta progressivamente; poi era utilizzato un righello per misurare il rapporto tra parte cellulare impacchettata sul fondo e plasma liquido che rimaneva invece nella porzione superficiale del campione di sangue.
La macchina, invece, misura questo parametro differentemente, non in modo diretto e senza dedicarvi un’analisi specifica, ma calcolandolo, al termine delle analisi, tramite una formula, che prevede la moltiplicazione del volume corpuscolare medio per il numero dei globuli rossi, diviso mille, che consente una stima dell’ematocrito del campione di sangue.
HCT= MCV(fL)xRBC(10^6/mm3)/1000
Le variabili pre-analitiche sono simili a quelle dell’Hb. I valori hanno differenze tra uomo e donna, nell’uomo 40-52% nelle donne 36-47%.
Un incremento di ematocrito si trova in malattie mieloproliferative, ad esempio nella policitemia vera in cui si ha incremento nella sintesi di globuli rossi, oppure in pazienti sottoposti a doping e quindi all’utilizzo di eritropoietina esogena che stimola l’eritropoiesi. Diminuisce in pazienti con anemie e altre malattie ematologiche.
Come viene valutato il numero dei globuli rossi?
La macchina può inoltre fornire la conta dei globuli rossi, una quantificazione nel campione in milioni per μl. Il range di riferimento varia in base a sesso ed età: nell’uomo adulto 4,3-5,9 milioni/μl, nelle donne 4,5-5,1 milioni/μl, con variazioni alla nascita e durante la crescita.
Errori nella conta possono esservi, in quanto, nonostante la sofisticazione delle tecniche, vi è comunque difficoltà nel quantificare cinque milioni di globuli rossi per μl di sangue, per cui vi è un piccolo margine di errore che negli strumenti moderni è stimato del 2%; in passato con le tecniche manuali era del 20% circa.
Quali sono gli indici eritrocitari che lo strumento fornisce?
Lo strumento fornisce anche indici eritrocitari, parametri qualitativi che riflettono lo stato di salute di globuli rossi nel campione. Sono denominati con varie sigle. Sono:
- MCV, volume corpuscolare medio dei globuli rossi
- MHC, Hb corpuscolare media
- MCHC, concentrazione di emoglobina corpuscolare media
- RDW, red blood cell distribution width, l’ampiezza di distribuzione dei globuli rossi
Come viene valutato l’MCV con esame emocromocitometrico?
L’MCV o volume corpuscolare medio è una valutazione del volume medio dei globuli rossi; è espresso dello strumento in femtolitri (fL) e corrisponde alla media del volume di ogni globulo rosso presente nel campione. Può essere misurato dalla macchina direttamente al passaggio del globulo, applicando il principio di Coulter o mediante il forward scatter o tramite una formula matematica in cui si ricorre al rapporto tra ematocrito e il numero dei globuli rossi moltiplicato per dieci.
MCV= [HCT/RBC(milioni)] x 10
I valori di riferimento sono 80-97 fL. Qui cade il volume dei globuli rossi in condizioni fisiologiche. È importante perché alcune condizioni patologiche possono influenzare le dimensioni dei globuli rossi nel sangue. In particolare valori al di sotto degli 80 fL si osservano in condizioni di produzione di globuli rossi microcitici, come avviene in alcune condizioni di anemia dovute a deficit di ferro o in alcune forme di talassemia. L’MCV può essere invece aumentato, maggiore di 97, con produzione di globuli rossi macrocitici, in forme di anemie dovute a deficit di vitamina B12 e folato.
Come viene quantificata l’emoglobina corpuscolare media?
L’MHC o emoglobina corpuscolare media è una quantificazione di Hb per globulo rosso. È espressa sotto forma di massa; l’unità di misura sono i pg, poiché in ogni globulo rosso è presente una quantità molto piccola di Hb. La quantificazione dell’emoglobina corpuscolare media avviene attraverso una formula in cui viene divisa l’emoglobina totale per il numero di globuli rossi, moltiplicato per dieci.
MHC=[Hb/RBC(milioni)] x 10
In condizioni fisiologiche l’MHC è pari a 27-31 pg per globulo rosso. È importante in quanto alterazioni di questo parametro sono tipiche di condizioni patologiche in cui si ha tendenza ad alterata produzione di Hb, ad esempio nelle emoglobinopatie, in cui si ha una ridotta presenza di Hb nelle cellule, o accumulo e precipitazione per le varianti qualitative di Hb presenti nella popolazione cellulare. Valori inferiori a 27 pg sono tipici di globuli rossi ipocromici, mentre valori maggiori di 31pg sono tipici di condizioni di ipercromia.
Come viene quantificata la concentrazione di emoglobina corpuscolare media?
La macchina fornisce anche l’MCHC, ulteriore parametro che tuttavia, insieme al RDW, ha un valore clinico leggermente inferiore rispetto agli altri.
L’MCHC rappresenta la concentrazione di emoglobina corpuscolare media. Dà un idea del rapporto tra il peso di emoglobina e un determinato volume di globuli rossi. Si ottiene dal rapporto tra Hb e ematocrito moltiplicato per 100.
MCHC=[Hb/HCT] x 100
È espresso sotto forma di percentuale e i valori di normalità sono compresi tra il 32 e il 36%. Condizioni di ipocromia e ipercromia si associano ad alterazioni non solo dell’MHC ma anche del parametro MCHC.
Come si valuta l’ampiezza di distribuzione dei globuli rossi?
L’RDW o red blood cell distribution width è l’ampiezza della distribuzione dei globuli rossi, un parametro che indica una rappresentazione del coefficiente di variazione del MCV. Indica la variabilità morfologica dei globuli rossi nel campione. Viene calcolato mediante una formula matematica:
RDW= (ds MCV/media MCV) x 100
Si possono avere condizioni in cui tutti i globuli rossi aumentano di MCV, prodotti cioè con dimensione maggiore; si possono avere anche situazioni più eterogenee, per esempio nella sferocitosi, in cui i globuli sono prodotti con MCV alterato ma viene alterata anche la loro morfologia, non più discoidale ma a falce, incidendo molto sulle variazioni del parametro di RDW. È espresso come percentuale e la variabilità dell’MCV nei globuli rossi è in genere compresa tra 11,5%-14,5%. Si evidenzia un aumento in molte condizioni di anemia, specialmente nelle forme di anemie falciformi.
Come vengono quantificati i reticolociti?
L’ultimo parametro da considerare sono i reticolociti, gli ultimi precursori nell’eritropoiesi prima dell’eritrocita maturo; hanno già perso il nucleo (hanno subito l’enucleazione nell’eritropoiesi) ma mantengono tracce di materiale genetico, in particolare rRNA, che li caratterizza a livello citoplasmatico. A livello di dimensioni, sono leggermente più grandi degli eritrociti, hanno un MCV di circa 100-120 fL e rispetto agli eritrociti maturi hanno un emivita differente; un globulo rosso resiste circa 120 giorni in circolo, un reticolocita circa 24-48 ore.
Lo strumento li quantifica dedicando un analisi specifica per queste cellule, che deve far emergere dalle enormi quantità di globuli rossi nel sangue. Lo fa avvalendosi di una sonda fluorescente che si lega al materiale genetico presente nei reticolociti e non negli eritrociti, colorandoli e permettendone la discriminazione nei dot plot e, quindi, una loro quantificazione specifica rispetto alle cellule mature.
La loro presenza in circolo è significativa poiché sono precursori che abbandonano il midollo nelle ultime fase dell’eritropoiesi, che quindi possono essere identificati e discriminati rispetto ai globuli rossi. Forniscono informazioni sullo stato di salute del midollo osseo e riflettono l’attività dell’eritropoiesi midollare. Corrispondono allo 0,5-1,5 talvolta anche 2% dei globuli rossi nel sangue.
Quali informazioni consente di ottenere l’esame emocromocitometrico per quanto riguarda i globuli bianchi e come si ottengono tali informazioni?
Un esame emocromocitometrico fornisce anche una quantificazione dei globuli bianchi, cui lo strumento si dedica in contemporanea rispetto alla parte dedicata agli eritrociti. Le due più importanti informazioni che si ottengono da un esame emocromocitometrico, sono la conta leucocitaria, cioè la conta totale dei globuli bianchi, e la conta differenziale, che dà un idea del sottotipo dei leucociti che sono aumentati o diminuiti nei pazienti.
Le metodiche sfruttano parametri fisici in prima analisi, che distinguono i leucociti da globuli rossi e piastrine per via del loro diametro maggiore e per via delle loro composizioni cellulari, che consentono la formazione delle loro peculiari popolazioni. Per metterle in luce, lo strumento dedica un analisi specifica, che come prima tappa ha la lisi dei globuli rossi, rendendo così i globuli bianchi le cellule principalmente presenti, con le piastrine, nel campione, e permettendone la quantificazione attraverso forward e side scatter. Per distinguere la sottopopolazione di globulo bianco presente nel campione lo strumento svolge analisi più dettagliate.
Il numero totale di globuli bianchi si attesta a poche migliaia per μL, è di circa 4500-11000 per μL di sangue, con una distribuzione caratteristica in condizione fisiologica. A livello fisiologico, infatti, i neutrofili sono i principali leucociti presenti a livello periferico (40-60%), poi i linfociti (20-40%), poi le frazioni meno rappresentate sono i monociti (2-8%) e basofili e eosinofili presenti in percentuali bassissime (circa 1%).