X esame Flashcards

1
Q

Come ha avuto inizio lo studio del bambino come oggetto di indagine nella psicologia dello sviluppo?

A

Il padre della psicologia dello sviluppo è considerato Stanley Hall, in quanto egli pose le basi per diverse ricerche nell’ambito dello sviluppo del bambino.
Anche se non si può stabilire una data certa per la nascita della psicologia dello sviluppo, maggiore interesse per il bambino si ha avuto grazie a due eventi distinti:
-il diffondersi della scolarizzazione di massa (conseguente alla nascente società industriale dell’Ottocento)
-la teoria dell’evoluzione di Darwin, i bambini divennero oggetto di studio in quanto anello poco considerato nella sequenza evoluzionistica animale-uomo.

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2
Q

Descrivi lo sviluppo motorio

A

Lo sviluppo prenatale è il processo biologico durante il quale si ha la gestazione dell’embrione, dalla fecondazione alla nascita. La nascita senza complicazioni avviene solitamente tra la trentasettesima e la quarantunesima settimana di gravidanza. Un neonato che nasce a termine ha una lunghezza media di 51 cm, e un peso che oscilla tra i 2,7 e i 4,1 kg. Un bambino che nasce prima delle 37 settimane gestazionali si definisce pretermine, una complicazione abbastanza comune che costituisce un rischio per lo sviluppo del bambino.
Alla nascita, il bambino è dotato di riflessi: delle reazioni automatiche e istintive a stimoli esterni, indice di un adeguato sviluppo neurologico, che vengono valutate nelle prime visite pediatriche (il riflesso di ricerca, il bambino gira la testa automaticamente quando gli si accarezza la guancia, il riflesso di suzione, il neonato succhia ogni oggetto che gli si avvicina alla bocca, il riflesso di Moro, in cui il neonato distende improvvisamente braccia e gambe verso l’esterno per poi riportare gli arti vicino al corpo, il riflesso di prensione, per il quale se poniamo il nostro dito nel palmo della mano del bambino tende a stringerlo, il riflesso della marcia automatica, per cui se il bambino viene sostenuto in verticale, sostenuto per le ascelle e con la pianta dei piedi appoggiata a una superficie piana, esso comincia a muovere le gambe come se volesse camminare).
Durante i primi tre anni di vita il bambino apprende moltissime abilità sia a livello grosso motorio che fine motorio. Per raggiungere queste abilità esiste una notevole variabilità interindividuale, nei tempi e nelle strategie.
* 0-3 mesi: inizia a sollevare la testa e portare le mani alla bocca
* 3-5 mesi: inizia a portare gli oggetti alla bocca e a scuoterli, sta seduto con supporto, può rotolare
* 5-7 mesi: inizia a stare seduto senza supporto, controlla bene il capo, può afferrare un oggetto per mano, e utilizzare il pollice
* 8-10 mesi: gattona, sta in piedi con aiuto
* 11-18 mesi: sta in piedi senza aiuto, inizia a camminare, spinge una palla con il piede, sale le scale carponi
* 18-24 mesi: inizia a correre, saltare, ballare, scendere le scale
* 24-36 mesi: sa scendere le scale alternando i piedi, direziona il lancio della palla, impara a tenere le forbici e la matita
* 3-4 anni: sa camminare all’indietro, usa bene le forbici, sa afferrare una palla al volo
* 4-5 anni: si solleva sulla punta dei piedi, colora uscendo poco dai bordi
* 5-6 anni: sta in equilibrio su una gamba sola, esegue saltelli su un piede solo, puoi imparare ad usare la bici a due ruote, colora senza uscire dai bordi.

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3
Q

Parla dello sviluppo dei sensi

A

La maturazione di tutti gli apparati sensoriali si svolge completamente nell’utero. Con la parola sensazione ci riferiamo alla messa in contatto dello stimolo con i nostri organi sensoriali, mentre la parola percezione si riferisce all’elaborazione elevata, ovvero l’interpretazione di ciò che viene sentito.

3.1 Percezione visiva
Alla nascita, l’acuità visiva è circa 40 volte inferiore a quella di un adulto, la migliore visibilità per il neonato è a 25 cm dagli occhi, ovvero la distanza del viso della madre durante l’allattamento. Il volto umano è uno stimolo privilegiato per il neonato, che tende ad orientare lo sguardo verso di esso. Ciò sembra avere un valore adattivo per il legame di attaccamento.

3.2 Percezione uditiva
Già negli ultimi due mesi di gravidanza, il feto è in grado di udire i suoni dall’interno del grembo materno. Alla nascita, il bambino preferisce i suoni umani ad altri tipi di suoni, i suoni della lingua materna rispetto a un’altra lingua, e la voce della propria madre tra quella di altre donne.

3.3 Percezione gustativa e olfattiva
Il sistema gustativo è funzionalmente maturo alla fine della gestazione. Il neonato preferisce il sapore dolce, e con lo svezzamento impara a conoscere gusti diversi, passando dall’alimentazione dolce del latte a una più varia. È noto che le esperienze gustative del neonato durante lo svezzamento sono in grado di influenzare e determinare le sue scelte alimentari da adulto. Alla nascita, il bambino è sensibile all’odore del latte materno e lo preferisce rispetto a quello di altre donne.

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4
Q

Parla dello sviluppo del linguaggio

A

Il linguaggio ha una funzione sociale e comunicativa.
La teoria socio-culturale di Vygotskij ritiene che lo sviluppo mentale proceda secondo un’interiorizzazione di forme culturali, per cui l’individuo si appropria dei significati di una cultura interiorizzando dei mediatori simbolici, tra cui ad esempio il linguaggio. Ecco che così il bambino impara a utilizzare questi segni (il linguaggio) durante l’interazione sociale con l’adulto, dapprima rispondendo in modo immediato a delle stimolazioni dell’ambiente esterno, fino a divenire maggiormente consapevole del significato e dei ruoli del segno, e raggiungere una vera e propria interiorizzazione del segno stesso, per cui il linguaggio si trasforma in pensiero, utile strumento per il funzionamento cognitivo.
Piaget, diversamente, sosteneva che il linguaggio dipendeva dal pensiero e non rivestisse quindi nei primi anni di vita un ruolo fondamentale e formativo sul pensiero stesso, e fosse quindi prima egocentrico e successivamente acquisisse una funzione socializzante.

4.1 Il pianto i primi vocalizzi e le prime parole per arrivare alle frasi
La principale funzione del linguaggio è comunicare. Nel primo anno di vita, quando il bambino non ha ancora imparato ad utilizzare il linguaggio verbale, il neonato utilizza pianto, sorriso e vocalizzo per esprimersi. L’intento comunicativo inizia tra i 4 e gli 8 mesi, quando il bambino inizia a cercare di produrre effetti sull’ambiente esterno. Solo verso gli 11-12 mesi però è più facile osservare comportamenti comunicativi intenzionali. Dai 6 mesi comincia il periodo della lallazione, che consiste nell’accostamento di suoni vocalici e consonantici con una certa intensità e prosodia. Tra gli 8 e i 17 mesi, quasi tutti i bambini producono le prime parole; verso i 18 mesi il lessico del bambino aumenta (esplosione del vocabolario). Dai 18 ai 24 mesi, il bambino comprende semplici frasi fino ad arrivare ai tre anni in cui comprende frasi complesse. Dai 4 ai 5 anni, la maggior parte dei bambini italiani è in grado di articolare quasi tutti i suoni tipici della lingua.

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5
Q

Spiega le fasi di Piaget

A

1 Stadio sensomotorio (dalla nascita all’età di 2 anni):

Acquisizione della coordinazione sensoriale e motoria
Progressione dalla semplice riflessione agli schemi di azione intenzionale
Sviluppo del concetto di permanenza degli oggetti

2 Stadio preoperatorio (dai 2 ai 7 anni):

Abilità di utilizzare il linguaggio e il pensiero simbolico
Pensiero egocentrico, ossia incapaci di considerare prospettive altrui
Difficoltà nel comprendere la conservazione delle quantità

3 Stadio delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni):

Acquisizione della capacità di pensiero logico e operazioni concrete
Comprendere la conservazione delle quantità e altre nozioni matematiche
Capacità di ragionare su eventi reali e concreti

4 Stadio delle operazioni formali (dagli 11 anni in poi):

Pensiero astratto e capacità di ragionamento deduttivo
Abilità di ragionare su concetti ipotetici e metafisici
Pensiero critico e capacità di formulare ipotesi
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6
Q

L’importanza della diade madre-bambino per lo sviluppo dell’identità sociale

A

Nella teoria delle relazioni oggettuali di Melanie Klein (anni ’40) la diade madre-bambino assume un’importanza fondamentale per lo sviluppo normale o patologico del bambino.
Winnicott sviluppa il concetto di “madre sufficientemente buona”, ovvero responsiva e disponibile, ma che talvolta fa sperimentare al bambino delle piccole frustrazioni, non comprendendo i suoi bisogni. Questo fa sì che il bambino esca dallo stato di onnipotenza per crearsi una visione del mondo più realistica, in cui la madre risponde ai suoi bisogni e da lei deve acquistare l’autonomia.
Bowlby introduce il concetto di attaccamento, che può essere definito come un legame stabile nel tempo che mette il bambino in una condizione di dipendenza dalla figura adulta, che per lui riveste una particolare carica affettiva. Tale legame avviene nel primo anno di vita, e ha la funzione di fornire sicurezza. Gli studiosi hanno identificato quattro pattern di attaccamento principali: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente, e disorganizzato, che possono essere individuati nel singolo bambino attraverso la tecnica della Strange Situation.

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7
Q

Erik Erikson e le 8 fasi della teoria dello sviluppo psicosociale

A

Secondo Erikson, ogni individuo attraversa otto fasi di sviluppo psico-sociale, ognuna delle quali presenta una crisi o una sfida da affrontare.
1. Fiducia vs Sfiducia delle persone intorno a loro (0-1 anno)
2. Autonomi e indipendenza vs vergogna e Dubbio (2-3 anni)
3. Iniziativa all’azione vs critiche e Senso di colpa (4-5 anni)
4. Industriosità vs Senso di inferiorità (6-12 anni)
5. Identità vs. sentirsi persi e senza direzione (13-18 anni)
6. Intimità di relazioni vs. Isolamento (19-25 anni)
7. Cercare di dare impatto positivo alla società vs. Sentirsi bloccati, non poter contribuire (26-40 anni)
8. Riflessione sulla vita passata, accettazione della morte vs. Disperazione per una vita senza significato (40+)

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8
Q

Moralità eteronoma e autonoma

A

Piaget ha individuato due livelli di moralità infantile:
-la moralità eteronoma e di responsabilità oggettiva: caratteristica del periodo preoperatorio (sotto i 6-7 anni). Il giudizio morale è dato in base all’effetto dell’azione messa in atto piuttosto che all’intenzione. Il bambino si sforza di seguire le regole date dall’adulto (che vede come autoritario), senza chiedersi il perché di queste regole
-la moralità autonoma e di responsabilità soggettiva: si acquisisce intorno ai 10 anni, anche se tra i 7 e i 10 può convivere con la moralità eteronoma. Il bambino comprende che l’intenzione e il contesto sono importanti per fornire un giudizio morale.

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9
Q

Teoria dello sviluppo della moralità di Kohlberg

A

Kohlberg riformula lo sviluppo morale secondo 3 livelli, ognuno diviso in due stadi:
-Livello preconvenzionale (4-10 anni)
* Stadio 1: Per dare un giudizio, il bambino tiene conto di possibili premi-punizioni. C’è rispetto per l’autorità superiore. Per giudicare un’azione contano le conseguenze materiali e non l’intenzione.
* Stadio 2: un’azione è giusta se porta al soddisfacimento delle necessità dell’individuo. Non c’è rispetto radicale dell’autorità.
-Livello convenzionale (13-20 anni)
* Stadio 3: C’è una forte spinta ad uniformarsi al comportamento della maggioranza.
* Stadio 4: Un buon comportamento consiste nel fare il proprio dovere e nel mantenere l’ordine sociale
-Livello post-convenzionale (regolato da principi)
* Stadio 5: le regole morali non sono fisse e immutabili, se sono state create, sono modificabili
* Stadio 6: orientamento della coscienza e dei principi universali, che possono non essere scritti nelle leggi

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10
Q

Cos’è il metodo educativo?

A

Il “metodo educativo” è il risultato pratico-operativo non solo di intuizione sul bambino e sulla sua educazione, ma di vere e proprie teorie sulla funzione stessa di alcune attività educative. Il metodo è una via, una strada che deve essere percorsa per andare in una determinata direzione.

Esploreremo il concetto di metodo a partire da quattro grandi autori della pedagogia: Pestolazzi, Frobel, Agazzi e Montessori. Le loro esperienze educative sono assunte come testimonianze di metodo, non replicabili o applicabili in modo standard acritico, ma da approfondire come struttura di riferimento di pensiero e di azione.

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11
Q

Pestalozzi: la vita

A

Pestalozzi nasce nel 1746 a Zurigo. Nel 1769 acquista una tenuta agricola a Neuhof, che trasformerà in colonia per bambini abbandonati, ispirandosi agli ideali di Rousseau di un’educazione secondo natura. È costretto a terminare il progetto dopo dieci anni per ragioni economiche. Nel 1800 diventa insegnante nella città di Burgdorf, dove avrà la possibilità di mettere a punto il metodo educativo che lo renderà noto in Europa. È autore di diversi scritti di grande valore pedagogico. Nel 1805 prende avvio la sua esperienza educativa più famosa e duratura presso l’istituto di Yverdon, dove egli dà compiacimento alle sue teorie pedagogiche approfondendo la riflessione sulla metodologia didattica. Questa esperienza si chiude vent’anni dopo a causa di divisioni interne tra colleghi dell’istituto. Nel 1826 Pestalozzi fa ritorno nella sua vecchia casa di Neuhof dove pubblica il testo che raccoglie gli scritti maturati nel ventennio a Yverdon: “il canto del cigno”.

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12
Q

Pestalozzi: le fasi di crescita e le 3 facoltà della personalità umana

A

Pestalozzi individua le tre fasi di crescita di un individuo:
- lo stato di natura: è primitivo e dominato dal bisogno e dall’egoismo
- lo stato sociale: supera le fasi di bisogni primitivi grazie all’intelligenza
- lo stato morale: in cui l’intelligenza è utilizzata per dirigere la volontà verso il bene, dove si impara a vivere in forma sociale
Pestalozzi individua nella personalità umana tre facoltà:
1. la mente: che ha la forza di superare le sensazioni e le percezioni
2. il cuore: legato al valore del bello e del bene, che ci fa provare sentimenti di amore pietà, fede, e si esprime attraverso azioni di tipo morale
3. la mano: che si esplica nella pratica, nella capacità di lavoro, di creatività, di arte.
Secondo Pestalozzi, l’educazione è integrale quando coltiva ciascuna di queste tre facoltà.

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13
Q

Pestalozzi: Dall’amore pensoso all’Anschauung

A

Pestalozzi viene considerato il primo pedagogista ad aver esaltato la figura della madre come non solo figura di accudimento ma anche di educazione. Egli credeva che la madre fosse delicata e riflessiva, che agisse per il tramite di una comprensione del cuore, di far uso, cioè, di un amore pensoso.

L’amore pensoso si riferisce all’educazione improntata all’amorevolezza e alla cura, in quanto l’amore è fondamentale per lo sviluppo dell’individuo.

L’Anschauung, invece, è un metodo di insegnamento che si basa sull’osservazione diretta e l’esperienza concreta dell’oggetto di studio.

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14
Q

Pestalozzi: la metafora del giardiniere

A

La ricerca della postura educativa è un percorso che è riguardato da vicino Pestalozzi. da lui nasce la famosa metafora del giardiniere: come un giardiniere conosce la natura e i processi di crescita delle piante allo stesso modo un educatore deve conoscere la natura dei suoi educandi, le loro potenzialità, le loro caratteristiche per accompagnarli al loro pieno sviluppo.

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15
Q

Frobel: la vita

A

Friedrich Frobel è stato un pedagogo tedesco, nato nel 1782 e morto nel 1852. Frobel conosce un discepolo di Pestalozzi, Gruner, direttore di una scuola. Frobel è stato il fondatore dei giardini dell’infanzia e una figura di spicco nella storia dell’educazione infantile. Dopo aver lavorato come insegnante per diversi anni, Frobel ha sviluppato la sua teoria pedagogica, basata sull’importanza dell’esperienza diretta e del gioco nell’apprendimento dei bambini. Nel 1837 ha aperto il primo giardino dell’infanzia, dando vita a un nuovo modello di educazione, che ha avuto un grande impatto sulla pedagogia moderna.

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16
Q

Frobel: teoria dello sviluppo

A

Secondo la pedagogia di Frobel, la natura e il bambino sarebbero manifestazioni di Dio. Egli riconosce l’innata bontà dell’infanzia, come “depositaria della voce di Dio”. Nel testo “L’educazione dell’uomo” Frobel presenta una teoria generale dello sviluppo infantile divisa in tre periodi:
1. Lattante: tutte le manifestazioni del bambino devono essere riconosciute dai genitori perché attraverso di esse il bambino riesce a cogliere dentro di sé il mondo esteriore.
2. Infanzia: caratterizzata dallo sviluppo del linguaggio. In questa fase ha inizio la vera educazione. Elemento costitutivo di questa fase è il gioco, che se privo delle storture da parte degli adulti, si trasformerà spontaneamente nel lavoro dell’uomo.
3. Fanciullezza: si sviluppa l’interiorizzazione, la curiosità, l’interesse. L’educazione diventa istruzione.

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17
Q

Frobel: il giardino e i doni dell’infanzia

A

Frobel credeva che la natura fosse l’espressione dell’ordine divino, e che la sua osservazione potesse favorire lo sviluppo spirituale dei bambini. A tal fine, Frobel intuisce che bisogna dare al bambino la possibilità di stare nella natura, nel giardino (“lo chiamerò il giardino d’infanzia: i fanciulli saranno le piante io voglio essere il giardiniere” pensiero che si ricollega alla metafora di Pestalozzi). Il giardino è diviso in una parte per il lavoro individuale e una per il lavoro di gruppo. il bambino deve essere lasciato libero di creare e agire come desidera per non ostacolare lo sviluppo della sua individualità. Il gioco è lo strumento principale del giardino dell’infanzia perché promuove nel bambino la libera espressione, ma al contempo ne indirizza l’attività sulla base della teoria dei doni. I doni dell’infanzia erano degli oggetti geometrici, per lo più in legno, facilmente manipolabili dai bambini. Lo scopo dei doni era quello di generare nel bambino il senso della quantità e della qualità in cui si esprime la natura.

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18
Q

Frobel: La continuità tra la madre e la maestra giardiniera

A

Anche per Frobel la prima figura educativa è la madre. Lo stile educativo della madre nel contesto domestico deve trovare un suo naturale proseguimento nel giardino d’infanzia, e così la maestra giardiniera (così chiamata da Frobel), dotata di una preparazione specifica, diviene regista di un incontro comunitario permanente con tutti coloro che si occupano del bambino. Nello specifico, il compito della maestra giardiniera discende direttamente dall’idea di bambino: deve lasciare libertà e spontaneità di crescita, disporre un ambiente che sia a misura e armonicamente inserito nella natura, senza proporre un programma prefissato ma seguendo le intuizioni dei bambini.

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19
Q

Agazzi: vita

A

Rosa e Carolina Agazzi sono state due sorelle italiane vissute tre il 1870 e il 1950 circa. Apprendono il metodo froebeliano e nel 1896 lo rivisitano fondano un istituto infantile a Mompiano, che verrà chiamato in seguito scuola materna. Nel 1898, Rosa viene chiamata al primo Congresso Pedagogico nazionale italiano, nel quale denuncia apertamente le condizioni degli asili di infanzia e l’impreparazione delle maestre. Dal 1910 inizia, da Trieste, un programma di diffusione di quello che viene chiamato “metodo italiano”, da parte delle sorelle Agazzi.

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20
Q

Agazzi: il metodo

A

Il fondamento del metodo agazziano risiede nell’idea che il bambino è un “germe vitale” che aspira al suo intero sviluppo, il quale può avvenire solo in un ambiente adatto e naturale come una casa. La scuola materna non viene mai presentata come un luogo sostitutivo dell’affetto e delle cure familiari, ma come un luogo dove si vive in continuità con la vita della famiglia. Le condizioni di povertà non sono un limite allo sviluppo, ma devono diventare un punto di partenza per un miglioramento sociale. Il diritto principale del bambino è quello di essere ed esprimere sé stesso.

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21
Q

Agazzi: L’impresa educativa agazziana come impresa sociale

A

In un tempo storico in cui la mortalità infantile colpiva circa il 33% dei bambini nati vivi al di sotto dei 5 anni, l’impresa educativa delle sorelle Agazzi si delineò come un’impresa sociale. La scuola materna non era semplicemente un luogo per giocare e imparare, ma un luogo salubre in cui la pulizia, l’igiene, l’ordine diventavano i modi più utili per costruire una società di pace e fratellanza.
All’interno della scuola materna delle sorelle Agazzi troviamo:
-I materiali per gli esercizi di vita pratica: oggetti di vita quotidiana di uso individuale come asciugamani e bavagli, o di uso collettivo come cesti e cassapanche, e infine i materiali per il gioco all’aperto come carriole e palle.
-I materiali speciali d’uso didattico: utilizzati per l’osservazione l’educazione linguistica la discriminazione sensoriale, fabbricati dai bambini e della maestra, che variano a seconda della fase di sviluppo dei bambini stessi.
-Il museo delle cianfrusaglie: vari oggetti che ogni bambino porta con sé (bottoni, lacci, foglie) che vengono raggruppati per formare un museo didattico nella quale ordinare gli oggetti sulla base del loro utilizzo, per acquisire i concetti di forma, colore e grandezza.
-Il sistema dei contrassegni: immagini di oggetti che ogni bambino sceglie e che hanno la funzione di segno distintivo, riprodotta su tutte le cose che gli appartengono.

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22
Q

Agazzi: s’io fossi veramente la madre

A

“Se io fossi veramente la madre di uno di questi bimbi, sapendolo qui sarebbe tranquillo il mio cuore?” è la domanda che ricorsivamente ogni educatrice deve porsi. Nel testo “Guida per le educatrici dell’infanzia”, Rosa Agazzi presenta una summa del metodo destinato alla formazione delle educatrici. Educatrice è impegnata a sollecitare il maestro interiore, a promuovere la personalità del bambino. Ella deve seguire le leggi della natura, non affidarsi improvvisazione che non abbia un fondamento e non ripetere tecniche particolari mirate a una sola specifica esperienza.

23
Q

Montessori: la vita

A

Maria Montessori è stata una pedagogista italiana del XX secolo, nota per avere sviluppato il metodo pedagogico che porta il suo nome. Nata a Chiaravalle nel 1870, Montessori ottiene una laurea in medicina e inizia a lavorare al manicomio di S. Maria della Pietà dove viene a conoscenza di alcuni bambini con disturbi del comportamento (frenastenici) trattati come adulti malati di mente. Montessori afferma al Primo Convegno Pedagogico di Torino del 1898 che il problema in questi bambini è educativo e non medico. Dopo varie esperienze di insegnamento, inaugura a Roma, nel 1907, la prima Casa dei Bambini dedicata ai piccoli tra i 3 e i 6 anni, dove mette a frutto il risultato delle ricerche maturate anni prima nel lavoro con i bambini frenastenici: la povertà non è un limite, e all’interno di un contesto educativo strutturato e a misura di bambino tutti possono sviluppare quelle capacità che rendono l’infanzia un tempo straordinario. Successivamente vengono aperte nuove Case dei Bambini, scuole di formazione del metodo Montessori; gli scritti di Montessori iniziano ad essere tradotti ed esportati, il metodo montessoriano viene conosciuto e apprezzato anche fuori Italia. Nel 1935, Hitler ordina la chiusura di tutte le scuole montessoriane in Germania, e la stessa sorte accade in Italia. Solo nel 1947, Montessori viene invitata dal governo italiano a riorganizzare le sue scuole. Muore nel 1952.

24
Q

Motessori: teoria dello sviluppo

A

Secondo Montessori: “il neonato, anche psichicamente parlando, sembra che non vi sia nulla di costruito, proprio come non vi era un uomo già fatto nella cellula primitiva”. Nell’ambiente il bambino compie un lavoro straordinario: tra zero e sei anni assorbe tutto ciò che gli si propone e impara con naturalezza senza sforzo. Secondo Montessori, la mente assorbente consta di 2 fasi:
-inconscia: da zero a tre anni, in cui il bambino acquisisce tutto ciò che si trova nel suo ambiente in modo inconsapevole
-conscia: da tre a sei anni, in cui principalmente attraverso il gioco egli agisce in modo intenzionale e inizia ad organizzare i contenuti in categorie.
La mente assorbente costruisce e organizza contenuti con la guida dei periodi sensitivi, la sensibilità infatti dura solo temporaneamente fino al momento in cui non risulta raggiunto quello specifico obiettivo di sviluppo.

25
Q

Montessori: il metodo

A

Attraverso le sue esperienze cliniche Montessori maturò quel metodo sperimentale che prende avvio dall’osservazione e arriva alla verifica, prima di potersi esprimere nei termini di una teoria. Tuttavia, negli ultimi anni della sua carriera, Montessori riassesta la sua attenzione, non più rivolta all’impianto metodologico ma al bambino, che diventa principio dell’azione educativa, direzione stessa della sua crescita, cui l’educatore deve affiancarsi. In un discorso del 1951, Montessori afferma: “Potete capire come mi sento quando tutti guardano me e il mio dito (il metodo Montessori) con il quale io indico quel qualcosa (il bambino). Vorrei che, anziché guardare me il mio dito, la gente guardasse solo quello che io cerco di indicare.”

26
Q

Montessori: l’educatore scienziato

A

L’educatore montessoriano deve essere costantemente riconoscente del privilegio di avere cura dell’infanzia. L’educatore non deve forzare il bambino verso direzioni che non siano da lui indicate. L’educatore montessoriano è uno scienziato, deve essere preparato nello spirito dello scienziato piuttosto che nel meccanismo, maturando un abito mentale fondato sull’osservazione del bambino. L’educatore montessoriano si muove solo per riconoscere i bisogni del bambino, offrirgli i materiali necessari e, una volta che egli è autonomo nella sua attività, deve ritirarsi e restare a osservare i progressi.

27
Q

categorie della formazione, che organizzano pedagogicamente la formazione come percorso nell’età infantile

A

apprendimento, motivazione, scelta, coltivazione, cura, eventi, utopia.

28
Q

Il bambino nella prospettiva di John Dewey

A

John Dewey considerava il bambino come un individuo attivo e curioso, pronto ad esplorare il mondo circostante in modo autonomo.

-L’immaturità, per Dewey, non è una mancanza di sviluppo, perché permette al bambino di svilupparsi gradualmente, grazie all’aiuto delle figure di riferimento.
-La dipendenza non dovrebbe essere considerata una condizione permanente, ma una fase temporanea del processo di crescita.
-La plasticità del bambino, ovvero la sua capacità di adattarsi e di apprendere nuove cose in modo flessibile e creativo, dovrebbe essere stimolata dall’educazione.

L’obbiettivo fondamentale che lui suggerisce di perseguire è la crescita e lo sviluppo psicofisico armonico del bambino. Questa finalità può essere perseguita solo se il focus dell’osservazione diviene il bambino. Non possiamo pensare a strategie educative in astratto, staccate dai reali bisogni.

29
Q

Il bambino nella prospettiva di Guardiani

A

1-La simbiosi madre/bambino termina con la nascita, però a questa separazione fisica è necessario che corrisponda una scissione psicologica.
2-È nocivo considerare il bambino come una soggettività incompiuta.
3-L’obiettivo dei genitori è di incentivare l‘autonomia.
4-Nel periodo che Guardiani definisce “involucro” (fino agli 8-12 mesi), il bambino vive in una dimensione di inconsapevolezza e, auspicabilmente, di beatitudine.
5-Il bambino si rapporta alle situazioni e agli altri senza secondi fini o pregiudizi impliciti.
6-Dopo il primo anno di vita, il bambino sviluppa una capacità sempre crescente di simbolizzazione, che manifesta prevalentemente attraverso i giochi e i disegni.

30
Q

Quali sono gli elementi che caratterizzano un servizio educativo?

A
  • servizio pubblico o privato che offre attività educative, diurne o residenziali, in strutture deputate oppure a domicilio;
  • può fare parte di una serie di interventi di tipo sociale e/o sanitario;
  • il cuore dell’intervento è la relazione educativa, singola o di gruppo, in cui vi sia almeno una figura educativa professionale;
  • l’attenzione educativa è dedicata agli educandi, con un grado di presa in carico genitoriale di diverso genere;
  • l’intento è quello di promuovere la cura e la crescita degli educandi e del loro contesto
  • l’intenzionalità educativa è espressa tramite una documentazione specifica per ciascuna tipologia, garante del processo educativo, attraverso la tempistica che caratterizza ciascuno di essi.

La crescita viene misurata in termini di raggiungimento di obiettivi educativi, garantendo a ognuno il rispetto dei propri tempi

31
Q

Nidi e micronidi

A

Dimensione pedagogica
I nidi e i micronidi sono servizi educativi normati dal Decreto 65/2017. Accolgono bambini da 3 a 36 mesi per la loro cura, educazione e socializzazione. Essi operano in continuità con la scuola dell’infanzia e presentano diverse modalità organizzative e di funzionamento. La storia dei servizi dedicati alla prima infanzia risale alla metà dell’Ottocento con i presepi, mentre la legge n.1044 del 1971 introduce la dimensione psico-pedagogica del nido. I nidi si costituiscono come luoghi educativi e di crescita della prima infanzia, in sincronia con i tempi di crescita dei bambini e con particolare attenzione alle dimensioni emotive e relazionali della loro vita sociale.

2.2 Professionalità educativa
La professione di educatore della prima infanzia è regolamentata nel Decreto 65 del 2017, che richiede una laurea in Scienze dell’Educazione con curriculum specifico. Il lavoro con i bambini piccoli richiede conoscenze, abilità e attitudini specifiche, e la professionalità educativa è costituita da tre dimensioni:
-sapere: conoscenze;
-saper fare: professionalità;
-saper essere: essere consapevole del privilegio che è stare al cospetto del bambino e di gestire le proprie emozioni per creare un ambiente di accoglienza.
La relazione tra educatore e bambino è coevolutiva e contribuisce alla crescita personale e comunitaria.

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Sezioni primavera

A

Le sezioni primavera sono un’offerta formativa per bambini di età compresa tra 24 e 36 mesi, introdotte dalla legge n. 296 del 27 dicembre 2006. Sono aggregate alle scuole dell’infanzia e nascono per garantire la continuità del percorso formativo dell’asse 0-6 anni, rispondendo ai bisogni delle famiglie con bambini nella fascia 0-3 anni. Il Decreto 65/2017 le ha finalizzate a rispondere a specifiche funzioni di cura.

In questi anni sono state riscontrate diverse criticità:
* presenza di sezioni che superano il numero massimo di bambini;
* iscrizione di bambini di età inferiore a 24 mesi;
* mancato rispetto del rapporto numerico 1/10
* diversità dei titoli di accesso del personale;
* differenza nei contratti di lavoro stipulati

Sono tre gli elementi più significativi delle sezioni primavera:
* contrastare l’anticipazione alla scuola dell’infanzia;
* svolgere un ruolo di completamento del percorso della prima infanzia;
* garantire un accompagnamento più strutturato alla dimensione infantile.

La presenza di personale laureato nella L-19 indirizzo prima infanzia è la chiave di volta delle sezioni primavera, in quanto svolge il delicato compito di cerniera tra la prima e la seconda infanzia, con competenze relative a questi due tempi della vita.

33
Q

Scuole dell’infanzia

A

Dimensione pedagogica
Come indicato nel Decreto 65/2017 la scuola dell’infanzia è la cerniera che garantisce la continuità tra i servizi educativi per l’infanzia e la scuola primaria, e accoglie bambini tra 3 e 6 anni di età.

La storia della scuola dell’infanzia in Italia:
-Nel 1968, la “scuola materna” diventa statale, gratuita e non obbligatoria.
-Con gli Orientamenti del 1991 si affaccerà la nuova denominazione di “scuola dell’infanzia” in quanto scuola del bambino, che troverà un suo definitivo riconoscimento con la legge 53 del 2003.
-Nel 2007 gli Orientamenti vengono sostituiti dalle Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e della scuola primaria.
-Nel 2013 le Indicazioni per il curricolo vengono riviste evidenziando come la finalità principale della scuola d’infanzia è di promuovere autonomia di pensiero e di scelta.

La scuola dell’infanzia è organizzata secondo sezioni omogenee per età dei bambini (piccoli, medi e grandi) o eterogenee, e si esprime attraverso una pluralità di modelli istituzionali, pubblici o privati, senza avere carattere obbligatorio.

La figura che opera nella scuola dell’infanzia è l’insegnante formata attraverso la laurea quinquennale a ciclo unico LM 85-bis, con indirizzo insegnante di scuola dell’infanzia.

Alla scuola dell’infanzia va elaborato il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (il PTOF), in cui sono indicate le linee guida del percorso formativo offerto dalla scuola. Discenderà poi dal PTOF anche la programmazione annuale, educativa e didattica, in cui le insegnanti di ogni scuola indicheranno gli obiettivi educativi, i percorsi, i modi e i tempi di apprendimento e di valutazione, in relazione a quanto delineato nelle Indicazioni Nazionali.

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Spazi gioco

A

Gli spazi gioco fanno parte dei servizi integrativi per l’infanzia, sono normati anche essi dal Decreto 65/2017. Accolgono bambini da 12 a 36 mesi, organizzato con finalità educative, di cura e di socializzazione, non prevedono il servizio di mensa e consentono una frequenza flessibile, per un massimo di 5 ore giornaliere.
Possono essere comunali o privati, a pagamento o gratuiti.

Gli obiettivi fondamentali degli spazi gioco riguardano l’opportunità di uscire dall’ambiente domestico per aprirsi ad altre relazioni sociali.

Il servizio deve avere un progetto pedagogico, e deve essere gestito da personale educativo qualificato (L-19, curricolo educatore dei servizi all’infanzia).
Il tratto comune di qualsiasi spazio gioco è quello di rispondere a una duplice esigenza:
* sostenere lo sviluppo del bambino attraverso attività ludiche (sia libe re sia strutturate), adeguatamente progettate per ogni fascia d’età;
* offrire una presenza supportiva ai genitori

Oltre alle attività strutturate, l’educatore propone e anima delle vere e proprie sedute di gioco spontaneo, autonomo, da non chiamare, «gioco libero», giacché il gioco spontaneo è un bisogno, non è un bene da concedere.

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Centri per bambini e famiglie

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Dimensione pedagogica
I centri per bambini e famiglie (CBF), anche essi servizi integrativi per l’infanzia, accolgono bambini e bambine dai primi mesi di vita insieme a un adulto accompagnatore, offrono un contesto qualificato per esperienze di socializzazione, apprendimento e gioco e momenti di comunicazione e incontro per gli adulti sui temi dell’ educazione e della genitorialità, non prevedono il servizio di mensa e consentono una frequenza flessibile.
I centri per bambini e famiglie si sono posti questi obiettivi:
* fornire servizi flessibili, capaci di favorire il gioco tra pari, la socializzazione tra genitori e l’aggregazione spontanea delle famiglie;
* offrire ai bambini nuove figure adulte con cui sviluppare una socialità integrativa a quella familiare;
* garantire personale educativo adeguatamente formato
L’accesso ai CBF è consentito senza vincoli, viene richiesta solo la continuità della figura adulta di riferimento che accompagna il bambino. I CBF offrono anche degli incontri rivolti agli adulti, con l’intervento degli stessi educatori o di professionisti esterni riguardo l’educazione del bambino.

L’aspetto singolare di questa tipologia di servizio è quello della triangolazione educativa, perché il rapporto è costantemente a tre: dopo la prima fase di inserimento in cui l’educatore accompagna la coppia alla conoscenza del contesto, sarà l’adulto accompagnatore a promuovere lo spazio di autonomia del bambino, a scegliere con lui (e non per lui) le attività, ad allargarne l’esperienza ludica e a curare il riordino del materiale. In questo gioco triadico, l’educatore promuove una reciproca fiducia con la coppia e guida a una progressiva proposta di situazioni di gioco collettivo. ln qualche modo, questa esperienza, diventa anche un luogo di apprendimento tra adulti, per una corretta postura adulta nei confronti del bambino.

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Servizi educativi in contesto domiciliare

A

Dimensione pedagogica
Il servizio domiciliare ha sede in una vera casa (solitamente la stessa casa dell’educatore) all’interno della quale, in maniera naturale e mai forzata o standardizzata, il bambino trascorre la sua giornata, seguendo le routine adatte al suo tempo di crescita, godendo di un gruppo ridotto di compagni e di tempi più distesi e personalizzati. Secondo il Decreto 65/2017, i servizi educativi domiciliari accolgono bambine e bambini da 3 a 36 mesi e concorrono con le famiglie alla loro educazione e cura. Essi sono caratterizzati dal numero ridotto di bambini affidati a uno o più educatori in modo continuativo. L’aspetto più significativo è dato dalla capacità di educare in un contesto non istituzionale, fuori da quei circuiti storicamente costituiti di risposta ai bisogni educativi della prima infanzia, seppur con la garanzia di un ente gestore (pubblico oppure privato) che ha funzioni di controllo e verifica della qualità del servizio, sia dal punto di vista amministrativo sia dal punto di vista pedagogico.

7.2 Professionalità educativa
La figura dell’educatore di un servizio in contesto domiciliare risulta di per sé abbastanza innovativa nel panorama nazionale. La figura professionale è formata sempre attraverso la laurea L-19. La messa a disposizione della propria casa è una condizione fondamentale del servizio: al di là delle caratteristiche strutturali e di sicurezza, la casa deve essere disponibile all’accoglienza dei bambini pur mantenendo la sua connotazione peculiare e personalizzata, legata alla vita stessa dell’educatore. È importante ricordare che questo servizio necessita di un’attiva e continuativa attività di supervisione esterna.

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Comunità mamma-bambino e comunità familiari

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Le comunità mamma-bambino sono servizi che accolgono nuclei di mamme e bambini che si trovano in uno stato di disagio, di marginalità sociale o di violenza e che hanno bisogno di tutela e sostegno nella gestione della loro quotidianità. Le situazioni che possono comportare la necessità di accoglienza sono dettate da principalmente da provvedimenti di allontanamento dalla famiglia emanati dal Tribunale dei minori, o da condizioni di emergenza o gravi disagi familiari su invio dei servizi sociali.

Il percorso prevede una fase di primo colloquio alla presenza del servizio inviante, cui consegue la stesura e la condivisione del progetto individuale dal quale prende avvio il percorso di accoglienza che prevede come esito la fase di reinserimento e autonomia, dove possibile, e in situazioni che lo consentono anche percorsi di coinvolgimento di familiari o di sostegno alla cogenitorialità.

La quotidianità segue i ritmi della vita famigliare supportando le ospiti nelle loro funzioni genitoriali (pulizia, pasti, svago, ecc.) e offrendo ai bambini relazioni positive sia con gli adulti che con i pari.

Le comunità familiari, invece, che accolgono solo i minori, intervengono quando ci sia la necessità di allontanare il bambino dal suo nucleo familiare: esse svolgono un ruolo di supplenza temporanea alla famiglia naturale finalizzata a una ricostruzione dei rapporti affettivi parentali (quando questo non è possibile, verranno previste modalità di affido o di adozione). Anche in questo caso, i ritmi della comunità seguono l’andamento della quotidianità familiare, quindi i bambini frequentano i servizi educativi adeguati alla loro età, e vivono in comunità i pasti, il riposo, il gioco, assieme ai coetanei, sulla base della loro fascia d’età.

L’educatore diviene colui che condivide quotidianamente un tratto del percorso di vita di madri e bambini in una fase molto delicata. La postura educativa deve essere improntata alla massima accoglienza, alla sospensione del giudizio e alla disponibilità a entrare in una relazione educativamente familiare con la diade o con il bambino, adeguandosi a modalità di intervento molto delicate, di vicinanza e di condivisione quotidiana senza travalicare il limite professionale. È necessario mantenersi su quel giusto equilibrio di partecipazione/distacco, senza il quale non è possibile arrivare a obiettivi di sviluppo per gli educandi.

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Servizi di educativa territoriale domiciliare

A

(home visiting) Si tratta di interventi educativi di durata diversa (da pochi mesi a più anni) rivolti al bambino e al suo nucleo familiare, sulla base di una progettualità che viene condivisa tra servizi sociali, educatori e famiglia e che si svolgono nella casa e nei contesti quotidiani di quest’ultima. Spesso sono rivolti a bambini da 0-6 anni (se necessario anche fino a 10+ anni). Le situazioni che necessitano l’attivazione di questi interventi sono per lo più legate a marginalità, disagio sociale, temporanea difficoltà familiare.

Fasi:
1. c’è una segnalazione dei servizi sociali,
2. un primo contatto congiunto tra servizi sociali, famiglia e educatori,
3. una fase di osservazione per la stesura del progetto educativo da parte dell’educatore,
4. la realizzazione dell’intervento nel tempo previsto (con possibili modifiche sulla base delle condizioni di sviluppo)
5. la chiusura dell’intervento.

Anche in questo caso il titolo necessario per lavorare in questo servizio è la laurea L-19 in Scienze dell’educazione. In altra sede (Madriz, 2021) questa figura educativa è stata definita un educatore in punta di piedi: l’espressione intende riconoscere la caratteristica di entrare in maniera delicata nella vita e nella casa delle famiglie e dei bambini. Il ruolo educativo è triangolato, perché l’educatore agisce in maniera contemporanea sia sul genitore (in alcuni casi, zii o nonni) sia sul bambino.

L’incontro con un bambino che soffre perché maltrattato o trascurato in famiglia porta immediatamente, istintivamente a una squalifica dei genitori, ma l’educatore deve sospendere il giudizio e cercare le risorse dell’adulto su cui investire. Soprattutto quando i bambini sono molto piccoli, l’unico modo per generare un clima adeguato alla loro crescita è proprio agire sul genitore, dimostrando di essere dalla sua parte, di voler dare supporto ai suoi compiti genitoriali, senza giudicare, senza porsi a modello, ma rispettando anche il comprensivo timore e la naturale resistenza alla presenza dell’educatore in casa.

Sieli (2006) individua tre diversi ruoli che l’educatore agisce in questo servizio:
* il ruolo di guida, portando alla luce le risorse positive e le competenze nel contesto reale della famiglia;
* il ruolo di cornice, nel senso che genera cambiamento e accompagna l’evoluzione naturale della famiglia;
* il ruolo di completamento, rispetto al quale egli non si sostituisce ai genitori ma ha fiducia nelle loro capacità di cura e le rinforza.

39
Q

Funzioni fondamentali di una madre

A

Sono tre le funzioni fondamentali che una madre mette in atto naturalmente e senza
pensarci. Questo tre elementi serviranno all’educatrice per essere in grado di prendersi cura del
bambino in modo corretto:
♦ contenimento (fisico: tenere in braccio il bambino. Mentale: abilità dell’educatrice di tenere dentro di se/ricordare la storia del bambino, i modi del suo sviluppo e la sua evoluzione)
♦ manipolazione (attraverso i gesti dell’adulto che lava il bambino, lo accarezza, lo coccola che si sviluppa in lui la percezione del proprio io corporeo e del valore simbolico affettivo che quei gesti strutturano per il legame con l’adulto)
♦ presentazione dell’oggetto (modalità con cui la figura di accudimento sostiene nel bambino la conoscenza della realtà).

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Q

I momenti di cura: l’alimentazione

A

Alimentazione: tenere sempre conto che il rifiuto del bambino di qualcosa può essere legato ai suoi stati emotivi. Per tanto è necessario, in alcuni casi, attenersi alle esigenze del bambino e rispettare i suoi tempi. Essendo uno dei momenti principali in cui il bambino impara ad essere autonomo, l’educatrice deve essere in grado di dare l’opportunità al bambino di nutrirsi da solo (versarsi l’acqua nel bicchier da solo, mangiare da solo…) senza mai scoraggiare i suoi tentativi di autonomia, ma incitandolo. Altro aspetto importante per la creazione di una convivenza serena è il “dovere” da parte dell’adulto di descrivere le azioni che compie (es. soffiare il naso al bambino avvisandolo e non pulendoglielo bruscamente, imboccarlo rispettando i suoi ritmi…), in modo da garantire al bambino serenità e pace, perché avvertito di ciò che sta per accadere.
NO affermazioni come “Bravo! Hai mangiato tutto!” → un bambino non è bravo se mangia tutto. Se mangia tutto, significa che ha fame, sta bene, sia fisicamente che emotivamente, che gradisce quello che gli è stato offerto→ meglio espressioni come “Ti è piaciuto questo risotto!” o “Quanta fame avevi oggi!” → ciò anche per evitare di far sentire a disagio gli altri bambini che per vari motivi non riescono a finire tutto.

41
Q

I momenti di cura: l’ora della nanna

A

Ora della nanna: fase caratterizzata dal passaggio dalla dipendenza all’autonomia. Da ciò derivano le prime paure (2/3 anni) che possono portare ad incubi.
A partire dai 4 mesi ca il sonno del bambino, che in precedenza era influenzato principalmente dalle sensazioni provenienti dall’interno del suo corpo, incomincia ad essere insensibile agi stimoli esterni. Si inizia un rituale di addormentamento che prevede una sequenza di azioni.
Importante per dare calma al bambino è lasciargli l’oggetto transizionale oppure raccontargli
una storia. Il verbo dormire è per il bambino sinonimo di abbandonare, è importante prepararlo al distacco, il bambino ha bisogno di essere rassicurato rispetto al fatto che al suo risveglio ritroverà tutto quello che aveva lasciato. Un bambino non deve mai essere obbligato a dormire.
Dire loro frasi come “Ma perché hai paura? È solo un sogno!” non serve, anzi sminuisce un timore che per loro è reale.
In molte scuole dell’infanzia i bambini che fanno uso di oggetti transizionali vengono opportunamente incoraggiati ad utilizzarli nel momento del sonno, in modo che tali oggetti possano sostenerli in una situazione tanto delicata che può evocare sentimenti di separazione e di abbandono. Non solo è necessario consentire ai bambini di ricorrervi quando ne avvertono la necessità, ma bisogna anche evitare di mortificarli con frasi come: ”i bambini grandi non hanno bisogno dell’orsacchiotto!”, che non fanno altro che minare la loro sicurezza e la loro autostima.

42
Q

Differenza tra educazione visibile e invisibile

A

♥ educazione visibile (= processi consapevolmente attivati e orientati su obiettivi prestabiliti: attività con bambini; strutturazione spazi; offerta materiali…)
♥ educazione invisibile (= schemi di comunicazione che gli adulti mettono in atto, spesso senza avere la consapevolezza della loro valenza educativa, non sempre costruttiva, per la relazione con i bambini piccoli)

43
Q

Nell’ambito dello studio della pedagogia dell’infanzia nel corso della storia, troviamo tre dimensioni principali, quali?

A

-Dimensione fenomenica: ovvero il bambino com’è concretamente, in epoche diverse.
-Dimensione simbolica: il filtro attraverso cui gli adulti hanno visto ed interpretato l’infanzia.
-Dimensione pedagogica: ovvero l’insieme di teorie, interventi, esperienze educative.

44
Q

Qual è l’oggetto di studio della pedagogia dell’infanzia?

A

La pedagogia dell’infanzia non studia il bambino, ma i modi della relazione educativa della fascia 0-6, i tempi, i metodi. Comporta rintracciare il bambino nei luoghi e nelle istituzioni in cui si colloca la società dell’infanzia: il nido d’infanzia, la scuola dell’infanzia, il parco giochi, la sua casa o la comunità minori 0-6, gli spazi della salute. Inoltre, cogliendo il bambino in una pluralità di condizioni, non si riferisce al “bambino” nel senso di concetto generale di bambino, ma a tanti e diversi bambini unici in situazioni variegate e difformi. L’infanzia va colta nella sua ecologia (concetto riconducibile a Bronfenbrenner, che si riferisce ad avere una visione completa non solo dell’individuo, ma dell’individuo nei vari livelli di contesto, e la loro interazione)

45
Q

Come si sono evoluti nel tempo i diritti per l’infanzia?

A

Per ricordare:
1923 Eglantyne Jebb scrive la carta dei diritti del bambino, in cui sancisce i diritti inviolabili del bambino, come cure, protezione, e cibo.
L’anno dopo la sua carta viene avallata dalla società delle nazioni con la Dichiarazione dei diritti del fanciullo.

1959 l’assemblea generale delle nazioni unite redige la Dichiarazione sui diritti del bambino, che entra in vigore nel 1989 con la Convenzione sui diritti per l’infanzia (che viene ratificata in Italia nel 1991)

…………………………………………………
-1923: A seguito della WWI, Eglantyne Jebb, fondatrice di Save the Children, scrisse la prima Carta dei diritti del Bambino, sancendone i diritti inviolabili (cure, cibo, protezione).
-1924: La “Carta dei diritti del Bambino”, redatta da Eglantyne Jebb, fu avallata dall’Assemblea generale della Società delle Nazioni, con l’approvazione della “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”, il primo atto formale che sancisce i diritti del bambino.
-1959: viene promulgata la “Dichiarazione sui diritti del bambino”, dall’Assemblea generale della Nazioni Unite
-1989: La “Dichiarazione sui diritti del Bambino” entra in vigore nella forma della “Convenzione sui diritti dell’Infanzia”, la fascia 0-18. (Dichiarazione e convenzione non sono la stessa cosa. Prima si dichiara e poi si conviene. Attenzione al lessico!)
-1991: La “Convenzione sui diritti dell’Infanzia” viene ratificata in Italia.

46
Q

Come e dove nasce la cura per l’infanzia?

A

La cura per l’infanzia nasce a fine ‘700 nelle regioni più industrializzate d’Europa, in Inghilterra, perché c’era bisogno di forza lavoro e che le donne entrassero a pieno regime nel mondo del lavoro. Siamo nell’epoca della rivoluzione industriale. I piccoli venivano sì tolti dalla strada, ma spesso venivano tenuti chiusi per tante ore in luoghi malsani, dove non c’era un impegno di tipo educativo.

Le prime istituzioni di questo tipo furono:
-Dame School (UK): luoghi in cui le mamme potevano lasciare i propri figli a delle dame che non avevano preparazione. Non si teneva conto delle diverse età e capacità dei bambini.
-Scolette o custodie (IT): sale private di ordine religioso con l’idea di alfabetizzare precocemente, con un’ottica utilitaristica: la manodopera alfabetizzata era ricercata
-Sale di custodia o “Brefotrofi” (Chiamati così perché erano luoghi dove viene dato trofeo (=nutrimento) al bambino): erano sale, asili di ricovero per bambini poveri o abbandonati.
-Ricovero dei bambini: Nasce nella seconda metà del ‘700, in Alsazia, fondato da Oberlin. Una delle prime strutture che guardavano alla figura del bambino e ai suoi bisogni. Non ci si limitava ad un’idea utilitaristica o caritatevole, ma con un intento sia di tipo intellettuale (basi per leggere, scrivere e far di conto), morale, utilizzandoil gioco per lo sviluppo.
-Scuole di Neuhof: Pestalozzi usa il metodo dello studente come maestro: gli studenti più anziani diventano i maestri dei bambini più piccoli. Le competenze sono più facili da acquisire se chi te le passa è più vicino a te.

47
Q

Chi fu Jean Jacques Rousseau?

A

Fu uno dei primi pensatori che difese appassionatamente il bambino e l’infanzia come periodo speciale della vita attraverso il suo trattato “Emilio o dell’educazione” (1762), nel quale l’autore mostra rispetto e considerazione per la personalità, il valore, le esigenze, gli interessi, la libertà di espressione del bambino, che deve essere protetta attraverso un’educazione libera.

48
Q

Chi fu Elkonin, e quali idee sosteneva?

A

Elkonin, educatore e psicologo sovietico, sostiene che l’infanzia abbia un’origine storica e sia un fenomeno socioculturale, piuttosto che puramente biologico. Afferma che il comportamento umano è acquisito e che, con lo sviluppo della società, l’infanzia si estende e cambia qualitativamente in termini di struttura e contenuto. Elkonin enfatizza l’importanza dello studio storico dell’infanzia per comprendere lo sviluppo mentale del bambino, poiché le fasi dell’infanzia umana sono strettamente legate allo sviluppo della società e alle leggi che lo governano.

49
Q

In cosa consiste la concezione moderna dell’infanzia?

A

-Attenzione sistematica da parte di diverse scienze verso l’infanzia
- la percezione del bambino come essere attivo e dell’infanzia come un periodo peculiare, necessario e importante nella vita di una persona; tenendo conto della natura del bambino, dei suoi bisogni e interessi
-Il nuovo comportamento nei confronti del bambino è un comportamento di comprensione, di amore, ma soprattutto di rispetto e riconoscimento del suo valore.

50
Q

In cosa consiste la visione liberal-democratica del movimento dell’educazione nuova e quali sono i suoi principi?

A

Il movimento dell’educazione nuova (che si occupa di riforma dell’istruzione) inizia la sua attività tra le due guerre mondiali.
La sua visione liberal-democratica consiste in alcuni principi fondamentali, sostenuti da tutte le società democratiche e organizzazioni internazionali che si occupano dei bambini (UNICEF, UNESCO):
- stabilire la pace nel mondo attraverso l’educazione delle giovani generazioni;
- parità di accesso all’istruzione per tutti i bambini indipendentemente dall’origine sociale e dalle caratteristiche intellettuali dei bambini.

51
Q

In cosa consiste il concetto di scuola attiva e come si collega all’idea di educazione nuova?

A

L’educazione nuova e la scuola attiva sono strettamente collegate in quanto entrambe fanno parte di un movimento pedagogico che si oppone all’educazione tradizionale basata sulla trasmissione passiva di conoscenze. L’educazione nuova, promossa da educatori come John Dewey, Maria Montessori e Rudolf Steiner, enfatizza l’importanza dell’apprendimento attivo, dell’autonomia, dell’esperienza diretta e del coinvolgimento dei bambini nel processo educativo.

La scuola attiva è un approccio all’insegnamento che mette in pratica i principi dell’educazione nuova. In una scuola attiva, gli studenti sono coinvolti attivamente nel loro apprendimento, partecipando a progetti, discussioni, attività pratiche ed esperienziali. L’obiettivo è di sviluppare le capacità critiche, creative e sociali degli studenti, oltre alle loro conoscenze accademiche. In sintesi, l’educazione nuova fornisce i principi e la filosofia pedagogica, mentre la scuola attiva rappresenta l’implementazione pratica di tali principi.

52
Q

In cosa consiste il decreto 65 del 13/04/2017?

A

Il decreto 65 del 13/04/2017 si occupa dell’istruzione per bambini da 0 a 6 anni, garantendo pari opportunità in educazione, istruzione, cura, relazione e gioco. Prevede la creazione di un Sistema integrato di educazione e istruzione, che mira a unificare nido d’infanzia (NON SI DICE ASILO NIDO) e scuola dell’infanzia. Tra gli obiettivi del sistema ci sono: promuovere la continuità educativa, ridurre gli svantaggi, sostenere l’inclusione, rispettare e accogliere le diversità, sostenere le famiglie, favorire la conciliazione tra lavoro e cura dei bambini e promuovere la qualità dell’offerta educativa attraverso la formazione del personale. Sebbene nido d’infanzia e scuola dell’infanzia abbiano identità pedagogiche diverse, entrambi concorrono alla cura, educazione ed istruzione dei bambini.

53
Q

Che cosa dice il Decreto Ministeriale n. 43 del 24 febbraio 2021 “Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia”?

A

Il Decreto Ministeriale n. 43 del 2021 riguarda gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia, che sono entrati in vigore un anno fa e si rivolgono ai servizi educativi per l’infanzia, compresi quelli della fascia 0-3 e delle sezioni primavera delle scuole dell’infanzia. Il documento sottolinea l’importanza del patrimonio del passato, la necessità di riconoscere le potenzialità dei bambini e di lavorare in alleanza educativa con i genitori. Il capitolo 4 si concentra sulla professionalità educativa, che deve essere riflessiva e capace di comunicare in modo chiaro con i bambini, i genitori e gli altri adulti coinvolti nei servizi educativi. L’obiettivo è evitare conflitti tra i vari servizi educativi e lavorare insieme per il benessere dei bambini.