Libro - I MOMENTI DI CURA Flashcards

1
Q

Per parlare di cura, quali elementi dobbiamo considerare?

A

Per parlare di cura dobbiamo considerare a quale finalità risponde, a quale soggetto è rivolto, quale tipo di responsabilità comporta; ma anche a quale tipo di riconoscimento mira, quale atteggiamento relazionale la sostiene e la qualità della relazione che esiste tra chi cura e chi viene curato.
In base alle finalità si può parlare di:
* cura in senso riparativo (quando il percorso della cura ha come intenzione il recupero di una qualità della vita migliore; es. con malati, anziani..)
* cura in senso promotivo (quando si mettono in gioco azioni che cercano di promuovere il dispiegarsi delle potenzialità dell’altro; es. compito delle educatrici)
Parliamo di:
PRATICHE DI CURA= insieme di azioni che le educatrici compiono nei servizi all’infanzia; azioni nelle quali prendono forma pensieri ed emozioni orientati verso una precisa finalità e verso differenti possibili modi di vivere la relazione con l’altro.
Esistono 2 tipi di relazione:
♥ SIMMETRICHE ((nelle quali la responsabilità della cura è distribuita tra entrambi i soggetti)
♥ ASIMMETRICHE ( non vi è reciprocità nella cura e chi la riceve è più vulnerabile perché dipendente)
Quando l’aver cura si declina in senso promotivo essa comporta un forte investimento personale: vi è il coinvolgimento di diverse tonalità emotive: dall’ansia e dal timore che in genere si manifestano di fronte a situazioni complesse, non conosciute; al piacere e alla gioia di partecipare al rafforzamento delle potenzialità dell’altro e alla sua crescita verso l’autonomia. Pertanto, nei servizi educativi, la responsabilità della cura deve essere condivisa dall’intero gruppo educativo per poter equilibrare stili relazionali differenti, nonché manifestazioni a volte un po’ eccessive di imposizione di pareri o scelte individuali.

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2
Q

Che cos’è le dimensione fisica e materiale?

A

= è l’azione concreta fatta dalle azioni rivolte al corpo dei bambini (pulire il naso, cambiare il pannolino, imboccare…) per tanto è necessario che l’educatrice svolga queste mansioni con calma e delicatezza in modo da aiutare il bambino, senza invadere la su individualità a diventare autonomo dall’ adulto e sempre maggiormente più sicuro di se.

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3
Q

Che cos’è le dimensione organizzativa della cura?

A

=dà importanza all’ambiente in cui interagisce il bambino e la sua strutturazione.
Es. Per il momento del pasto è necessario che tutte le figure, a partire dall’educatrice
svolgano il loro compito al meglio in modo da rendere l’ambiente il più adeguato e sereno possibile per i bambini (=offrire ai bambini un momento del pranzo curato e a misura dei bambini).
È quindi importante che ogni singolo comportamento, di ogni singola persona, sia la traduzione in gesti degli scopi che il gruppo di lavoro si è dato verso i bambini e verso le famiglie.

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4
Q

Che cos’è le dimensione emotiva della cura?

A

=è la dimensione che coinvolge la figura dall’educatrice: nelle relazioni umane infatti è impossibile non provare emozioni.
Il lavoro di cura è certamente un lavoro ricco di esperienze professionali e umane:
contribuisce a conoscere l’alto da s’è, valorizza la dimensione creativa dell’atto educativo perché ogni relazione con il singolo bambino è diversa dall’altra.

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5
Q

Cos’è la conoscenza esperenziale?

A

Quando si parla di cura ci si riferisce a un fare orientato, a uno scambio relazionale che ha la caratteristica di essere progettabile e controllabile anche se permeato dall’affettività.
Si arriva a parlare pertanto di CONOSCENZA ESPERENZIALE (conoscenza non solo intellettuale e che non arriva solo da informazioni e dal ragionamento ma che si compone anche di immagini e affetti) distinta da conoscenza scientifica e da quella che deriva dal senso comune: è, infatti, una scienza che si basa sul senso e sugli interrogativi legati alla vita quotidiana.

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6
Q

Cosa significa maternage?

A

è la relazione tra madre – bambino. insieme di atteggiamenti, sensibilità, capacità di sentire e capire i bisogni
del bambino e di trovare delle risposte pertinenti alla sua individualità

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7
Q

Quali sono le tre le funzioni fondamentali che una madre mette in atto naturalmente?

A

♦ contenimento (fisico: la madre tiene nelle braccia il bambino facendolo sentire protetto. Così anche l’educatrice deve essere in grado di aprire le proprie braccia al bambino sia quando prova sentimenti di angoscia e tristezza sia quando è invaso da sentimenti di rabbia. Mentale: abilità dell’educatrice di tenere dentro di se/ricordare la storia del bambino, i modi del suo sviluppo e la sua evoluzione)
♦ manipolazione (funzione attraverso la quale si integrano nel bambino le esperienze motorie, sensoriali e funzionali, tracciando il percorso per l’unificazione della mente e del corpo. La capacità del bambino di costruire la propria immagine corporea è frutto delle esperienze di almeno tutto il primo anno di vita. È proprio attraverso i gesti dell’adulto che lava il bambino, lo accarezza, lo coccola che si sviluppa in lui la percezione del proprio io corporeo e del valore simbolico affettivo che quei gesti strutturano per il legame con l’adulto)
♦ presentazione dell’oggetto (modalità con cui la figura di accudimento sostiene nel bambino la conoscenza della realtà. In questo caso abbiamo genitori che accompagnano molto gradualmente le azioni dei figli, a volte, anticipandone anche i tempo di richiesta o di risposta e genitori che si mettono a disposizione in caso di necessità ma che sanno attendere il segnale di richiesta del loro figlio → stili di relazione).

Questo tre elementi serviranno all’educatrice per essere in grado di prendersi cura del bambino in modo corretto.

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8
Q

Cos’è l’ecologia della differenza?

A

i bambini sono tutti diversi tra loro: si parla di ECOLOGIA DELLA DIFFERENZA dettata principalmente da alcune differenze fondamentali:
a. Sessuali (presenza di stereotipi legati al genere: normalmente si pensa che una bambina sia più dolce e fragile, mentre il bambino è più forte e quindi non dovrebbe piangere o meno preciso delle bambine. Le differenze coinvolgono i diversi modo di ragionare dei bambini)
b. Cognitive (anche dal punto di vista affettivo-relazionale esistono molte differenze tra i bambini, dovute alle loro storie di vita con i genitori e al loro temperamento)
c. Culturali (diversi modi di comportamento in base alla cultura con la quale vengano cresciuti. In quanto ogni cultura ha un suo modello educativo specifico).

Il riferimento a tali differenze ci esorta a partire da ogni bambina/o per costruire relazioni significative perché orientate al singolo

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9
Q

Ogni intervento educativo comporta per il bambino due apprendimenti: quali?

A
  1. Conoscenza del significato che un evento/comportamento ha per l’adulto e per la cultura nella quale vive.
  2. Conoscenza che lo stesso bambino acquisisce di s’è rispetto a quell’evento

Es. Le azioni relative alla preparazione del sonno coinvolgono più persone.
In un’unica azione, quale l’andare a dormire, il bambino imparare a:
* Regolarizzare i ritmi di sonno
* Utilizzare il lettino con competenza: non cadere, salire e scendere da solo e successivamente, coprirsi.
* Abituarsi alle abitudini culturale del contesto nel quale vive
* Conoscere se stesso in relazione al sonno: paure, gesti di rassicurazione, ritmi e predisposizioni personali.

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10
Q

In cosa consiste il binomi dipendenza-autonomia?

A

DIPENDENZA - AUTONOMIA: binomio costantemente presente in tutte le età della vita; la continuità e la discontinuità tra questi due poli è un’esperienza che accompagna l’individuo fin dalla nascita.
La dipendenza richiama i limiti e i vincoli. I bambini piccoli hanno dei limiti legati
principalmente alle tappe evolutive, ma questi stessi limiti possono diventare veri e propri vincoli nel momento in cui gli adulti non investono sul concetto del promuovere l’autonomia dei bambini e, di conseguenza, non alimentano adeguatamente la loro potenzialità.
Per quanto concerne l’autonomia è necessario ricordare la relazione adulto-bambino → riflessione sulla creatività (come agire di propria iniziativa per fare qualcosa che si ha voglia di fare. Non sempre, infatti, si riesce a capire se le azioni del bambino sono fatte per sua
iniziativa oppure a causa del peso delle aspettative adulte. Il reagire a stimoli è però non risulta utile alla costruzione dell’autonomia dei bambini perché le loro reazioni possono essere due: compiacimento o opposizione (modi non creativi). Winnicott consiglia agli adulti
che stanno in relazione con i bambini di dare ai bambini poche stimolazioni, poche
sollecitazioni a fare. Questa limitazione dell’adulto non significa sottrarsi alla responsabilità di porre dei limiti all’egocentrismo e all’onnipotenza dei bambini. Ciò che diventa significativo è porsi la questione di come far affrontare i limiti attraverso un’esperienza che sia costruttiva per i bambini.
È importante che il bambino possa sentire che la rinuncia apre la strada alla sperimentazione di azioni più autonome, più complesse, più ricche socialmente.
L’educazione esiste se il soggetto è protagonista del suo sviluppo→ pertanto con bambini molto piccoli, chi soddisfa i loro bisogni e le loro curiosità non deve mettersi al posto del bambini nell’essere soggetto dell’azione. In questo contesto l’adulto deve ritrovare il proprio equilibrio cercandolo tra il principio dell’educabilità e della libertà. Oltre la capacità del bambino di fare è importante il fare con piacere: l’agire in autonomia, se non viene ostacolato dell’adulto è fonte di soddisfazione, di apprendimento cognitivi e sociali. Il fare con piacere attiva un processo circolare: se il bambino può fare con piacere → prende iniziative →sperimenta con soddisfazione e si rimotiva per tentare nuove strategie. Attraverso le attività autonome il bambino impara a controllare i movimenti,
acquisisce la conoscenza su di se, su quello che sa fare, sull’ambiente e impara a regolarsi.
→ = autonomia come piacere di fare.
Un bambino che agisce di sua iniziativa e che poi può correggere la sua azione sempre di sua iniziativa, a seconda del successo o dell’insuccesso che ha avuto nel fare una determinata cosa, è un bambino che impara a imparare.
Tutto quello che il bambino impara rispondendo agli simili della madre e dell’educatrice è meno ricco rispetto alla qualità dell’apprendimento che il bambino raggiunge avendo fatto tutto da solo. Naturalmente l’acquisizione nell’autonomia è un processo lungo che implica delle tappe condivise: tutti i bambini attraversano tappe simili ma le attraversano con ritmi che sono anche molto differenziati tra bambini della stessa età.

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11
Q

In che modo ci si prende cura del bambino attraverso l’alimentazione?

A

Uno dei principali momenti di cura si ha con la nutrizione del bambino, attraverso la quale il piccolo instaura relazioni prima con la madre (durante il periodo dell’allattamento al seno) e poi con le altre persone (familiari e successivamente coetanei e persone esterne alla famiglia dopo lo svezzamento). Pertanto questo momento, anche se apparentemente banale, è molto importante per la crescita del bambino. In particolare la relazione che si viene a creare durante il pasto e quella con la madre (prima al seno e poi con i pasti che vengono da lei preparati): infatti la nutrizione serve sì al bambini per nutrirsi ma anche per sentirsi amato e voluto bene dalla madre (importante, in questo caso, è il modo in cui la madre si approccia al bambino al momento dell’allattamento).
Pertanto il momento del pranzo deve essere considerato uno dei momenti di cura con una forte valenza educativa e formativa e deve costruire uno degli aspetti centrali del progetto pedagogico dei servizi per la prima infanzia, poiché può rivestire un’importanza cruciale rispetto alla possibilità di influire positivamente sulla crescita dei bambini.

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12
Q

Parla del momento del pranzo nei servizi per l’infanzia

A

a il momento del pranzo non implica solo l’assunzione del cibo, ma
rappresenta anche una valenza che assume importanza affettiva, cognitiva e sociale
significativa. È un’occasione di socializzazione, conoscenza e apprendimento.
Molto importante per le educatrici è tenere sempre conto che il rifiuto del bambini di
qualcosa può essere legato ai suoi stati emotivi. Per tanto è necessario, in alcuni casi,
attenersi alle esigenze del bambino e rispettare i suoi tempi. Anche nel momento
dell’ambientamento in un nido è facile che un bambino, almeno per le prime volte, abbia
difficoltà a mangiare perché si ritrova a passare da un luogo tranquillo (quale la casa) in uno
in cui deve convivere con altri bambini e adattarsi alle situazioni che si creano.
Pertanto l’educatore/ice devono sempre tener presente la stretta relazione che vi è fra
l’alimentazione e la dimensione affettiva, cognitiva, sociale nei suoi molteplici aspetti e
devono attivarsi per individuare tutte quelle cautele organizzative che vanno incontro ai
bambini, ai loro bisogni e alla loro possibilità di essere protagonisti attivi e consapevoli dei
propri processi di crescita.

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13
Q

Parla del momento del pranzo nel nido

A

Durante il periodo dell’ambientamento del bambino è importante che l’educatrice che lo
segue instauri con lui un rapporto di fiducia. Ciò si basa anche sul momento del pasto che
come abbiamo visto è fondamentale per la crescita del bambino. Pertanto l’educatrice di
riferimento del bambino, relazionandosi anche con il genitore, ha il compito di prendersi
carico del bambino ed è lei a sapere come approcciarsi al bambino anche nel momento
della pappa.
Il momento della pappa deve essere un’occasione privilegiata di rapporto intimo e di
attenzione esclusiva.
In un nido sono diverse le tipologie di bambini, sia a livello caratteriale ma anche a livello di
alimentazione: vanno infatti tenuti presenti coloro che sono intolleranti, allergici… a
determinati cibi, in modo da rendere questo momento il più tranquillo e piacevole possibile
per ciascuno.
Essendo uno dei momenti principali in cui il bambino impara ad essere autonomo,
l’educatrice deve essere in grado di dare l’opportunità al bambino di nutrirsi da solo
(versarsi l’acqua nel bicchier da solo, mangiare da solo…) senza mai scoraggiare i suoi
tentativi di autonomia, ma incitandolo.
Altro aspetto importante per la creazione di una convivenza serena è il “dovere” da parte
dell’adulto di descrivere le azioni che compie (es. soffiare il naso al bambino avvisandolo e
non pulendoglielo bruscamente, imboccarlo rispettando i suoi ritmi…), in modo da garantire
al bambini serenità e pace, perché avvertito di ciò che sta per accadere. Quando il bambino inizia ad abituarsi a questa routine sorge il rischio che gli educatori
intendano il tempo delle cure come il tempo di una educazione informale e occasionale che
si identifica con le attività destinate all’apprendimento.

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14
Q

Parla del momento del pranzo nella scuola dell’infanzia

A

Mentre nei nidi d’infanzia si dà importanza alla cura, nelle scuole dell’infanzia questa viene
un po’ sottovalutata (o meglio non troppo considerata) perché si è tenuti a dare più
importanza alle attività didattiche ed educative. È necessario, però, che le educatrici/
insegnanti soffermino la loro attenzione anche sulla cura, poiché i bambini non apprendono
solamente dalle attività progettate che gli vengono proposte ma anche e soprattutto da
momenti come il pasto, il cambio, il sonno…
Quindi il bambino deve essere educato e bisogna sviluppare le sue capacità sia attraverso
attività progettate dalle educatrici (normalmente i momenti di gioco, disegno… indirizzati
dall’adulto), ma anche attraverso la routine della cura (i cui momenti devono essere a loro
volta organizzati e non improvvisati).
Per quanto riguarda il pranzo nella scuola dell’infanzia:
■ è molto importante aiutare il bambino a sentirsi a proprio agio sia con l’ambiente nel
quale mangia sia con il cibo che gli viene messo nel piatto.
■ Bisogna garantire ai bambini un alto livello di autonomia.
■ Partendo da un idea di bambino attivo, curioso, competente bisogna fare in modo che il
bambini possano essere protagonisti delle esperienze che vivono. In tal modo la routine
diventa un’occasione di apprendimento, nella quale gli aspetti emotivi legati all’intimità e
al soddisfacimento dei bisogni primari si intrecciano con gli aspetti cognitivi.
■ Importante il posto fisso a tavola e che vengano rispettati i tempi e i gusti di ciascuno.
■ Momento privilegiato di comunicazione e di relazione.
■ Coinvolgere i bambini a turno nella preparazione della merenda e nell’apparecchiatura
dei tavoli, sollecitarli a servirsi da soli in base alle loro competenze, significa
RICONOSCERE, RISPETTARE e SOSTENERE la voglia di fare caratteristica dei
bambini.
■ NO affermazioni come “Bravo! Hai mangiato tutto!” → un bambino non è bravo se
mangia tutto. Se mangia tutto, significa che ha fame, sta bene, sia fisicamente che
emotivamente, che gradisce quello che gli è stato offerto→ meglio espressioni come “Ti
è piaciuto questo risotto!” o “Quanta fame avevi oggi!” → ciò anche per evitare di far
sentire a disagio gli altri bambini che per vari motivi non riescono a finire tutto.
■ Sarebbe buona cosa incaricare ogni bambino a prendersi da mangiare da solo: in modo
da insegnarli a regolarsi sulle quantità e per permettergli di prendere ciò che vuole
senza obbligarlo a mangiare ciò che non gli aggrada.
■ Ottimale è il pranzo dentro una piccola stanza, divisa dagli altri bambini, in modo da
permettere anche la relazione e la discussione tra piccoli gruppi di bambini (che è
MOLTO importante).
■ Il pranzo deve essere vissuto come momento di serenità e nel rispetto del bambino.

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15
Q

Parla del momento del pranzo nella scuola dell’infanzia

A

Mentre nei nidi d’infanzia si dà importanza alla cura, nelle scuole dell’infanzia questa viene
un po’ sottovalutata (o meglio non troppo considerata) perché si è tenuti a dare più
importanza alle attività didattiche ed educative. È necessario, però, che le educatrici/
insegnanti soffermino la loro attenzione anche sulla cura, poiché i bambini non apprendono
solamente dalle attività progettate che gli vengono proposte ma anche e soprattutto da
momenti come il pasto, il cambio, il sonno…
Quindi il bambino deve essere educato e bisogna sviluppare le sue capacità sia attraverso
attività progettate dalle educatrici (normalmente i momenti di gioco, disegno… indirizzati
dall’adulto), ma anche attraverso la routine della cura (i cui momenti devono essere a loro
volta organizzati e non improvvisati).
Per quanto riguarda il pranzo nella scuola dell’infanzia:
■ è molto importante aiutare il bambino a sentirsi a proprio agio sia con l’ambiente nel
quale mangia sia con il cibo che gli viene messo nel piatto.
■ Bisogna garantire ai bambini un alto livello di autonomia.
■ Partendo da un idea di bambino attivo, curioso, competente bisogna fare in modo che il
bambini possano essere protagonisti delle esperienze che vivono. In tal modo la routine
diventa un’occasione di apprendimento, nella quale gli aspetti emotivi legati all’intimità e
al soddisfacimento dei bisogni primari si intrecciano con gli aspetti cognitivi.
■ Importante il posto fisso a tavola e che vengano rispettati i tempi e i gusti di ciascuno.
■ Momento privilegiato di comunicazione e di relazione.
■ Coinvolgere i bambini a turno nella preparazione della merenda e nell’apparecchiatura
dei tavoli, sollecitarli a servirsi da soli in base alle loro competenze, significa
RICONOSCERE, RISPETTARE e SOSTENERE la voglia di fare caratteristica dei
bambini.
■ NO affermazioni come “Bravo! Hai mangiato tutto!” → un bambino non è bravo se
mangia tutto. Se mangia tutto, significa che ha fame, sta bene, sia fisicamente che
emotivamente, che gradisce quello che gli è stato offerto→ meglio espressioni come “Ti
è piaciuto questo risotto!” o “Quanta fame avevi oggi!” → ciò anche per evitare di far
sentire a disagio gli altri bambini che per vari motivi non riescono a finire tutto.
■ Sarebbe buona cosa incaricare ogni bambino a prendersi da mangiare da solo: in modo
da insegnarli a regolarsi sulle quantità e per permettergli di prendere ciò che vuole
senza obbligarlo a mangiare ciò che non gli aggrada.
■ Ottimale è il pranzo dentro una piccola stanza, divisa dagli altri bambini, in modo da
permettere anche la relazione e la discussione tra piccoli gruppi di bambini (che è
MOLTO importante).
■ Il pranzo deve essere vissuto come momento di serenità e nel rispetto del bambino.

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16
Q

Come si esprime la relazione corporea, la cura del corpo, da educatrice a bambino?

A

La relazione “corporea” che il bambino ha con l’educatore è importante: è proprio in base a
questa che il bambino inizia a costruire la propria autostima. Molto importante, pertanto, è
svolgere i “momenti di cura” (cambio pannolino, messa a letto, soffiare il naso…) con
tenerezza e delicatezza in modo da permettere al bambino di rilassarsi durante (e anche
prima) questi momenti.
È molto importante anche che l’adulto solleciti l’acquisizione dell’autonomia del bambino e
gli lasci il tempo necessario per capire come svolgere i vari compiti e come rimediare uno
sbaglio.
ATTENZIONE: può accadere che, durante i momenti di cura, il contatto con la pelle e le
parti del corpo del bambino sia brusco, sgradevole, a volte umiliante: ciò può causare, nel
bambino, momenti di frustrazione.
Nel momento della cura è necessario che l’adulto si approcci al bambino, non in modo
brusco, ma spiegando al piccolo ogni sua azione. Bisogna pertanto fare attenzione che
questi momenti non diventino routine automatiche nelle quali si perde la dolcezza e la
disponibilità alla relazione con il bambino.
Il bambino deve sentirsi voluto e coccolato.
Fino ai 2/3 anni il bambino basa le sue esperienze sulle sensazioni fisiche e non tanto sulla
dimensione sporco/pulito. In base alle abitudini e ai caratteri dei bambini, avremmo diversi
comportamenti nei confronti di ciò che viene considerato “sporco” (quali anche il semplice rotolarsi nella sabbia oppure immergere le mani nella tempera: ci sono bambini che lo fanno
e altri che si rifiutano).

17
Q

Parla della cura durante l’ora della nanna

A

Anche il momento del sonno è un momento importante e deve essere affrontato con calma
e gentilezza.
Il sonno è un bisogno primario e la sua soddisfazione è indispensabile per il benessere e
l’equilibrio del bambino.
A partire da due/tre anni ai bambini capita di avere incubi notturni, che possono presentarsi
però anche durante il riposo pomeridiano. Si tratta di una fase caratterizzata dal passaggio
dalla dipendenza all’autonomia, che comporta ogni giorno nuove avventure e difficoltà da
superare. Da ciò derivano le prime paure, alle quali si aggiungono anche i primi conflitti
della cosiddetta fase edipica. Tutte ansie che i bambini cercano di controllare esprimendole
in modo simbolico attraverso il gioco, la rappresentazione grafica, la narrazione di fiabe e i
sogni. Il modo migliore per aiutarli, quando si svegliano terrorizzati da un brutto sogno, è
quello di consolarli e rassicurarli.
A partire dai 4 mesi ca il sonno del bambino, che in precedenza era influenzato
principalmente dalle sensazioni provenienti dall’interno del suo corpo, incomincia ad essere
insensibile agi stimoli esterni. Si inizia un rituale di addormentamento che prevede una
sequenza di azioni. Importante da ricordare è che il rituale dell’addormentamento non
dovrebbe mai segnare un passaggio brusco da giochi frenetici al sonno. Meglio preparare il
bambino a questo passaggio facendolo precedere da attività più calme e rilassanti.
Importante per dare calma al bambino è lasciargli l’oggetto transizionale oppure raccontargli
una storia (infatti ascoltare una storia raccontata dall’adulto costituisce un momento di
particolare relazione e intimità, nonché una importante forma di transizione di cultura). La
narrazione di storie che parlano di paura del buio, che mettono in scena la difficoltà di
abbandonarsi al sonno, possono aiutare i bambini a sentirsi meno soli di fronte alle loro
paure, a elaborarle e a esorcizzarle.
Il verbo dormire è per il bambino sinonimo di abbandonare, lasciare, separarsi, distaccarsi.
Ecco perché rimanderebbe questo momento all’infinito, ecco perché spesso avanza
continue richieste – una piccola luce accesa, un sorso d’acqua, una storia, un’altra storia,
un bacio, un altro bacio ecc.. - per rimandare il più possibile quel momento che lo fa sentire
abbandonato. Da qui l’importanza prevedibile e rassicurante che svolge una funzione
preparatori al distacco.
Anche il passaggio da sonno alla veglia del bambino costituisce un momento delicato, che
necessita di attenzione particolare.
Il dormire è un meccanismo complesso che funziona in modo diverso per ogni soggetto.

18
Q

Parla del momento del sonno nei servizi per l’infanzia

A

Anche il momento del sonno rappresenta per un bambino un’esperienza ricca di valenze
emotive, affettive, relazionali ecc.
Quando un bambino va a dormire, avverte una vera e propria paura di separazione, teme di
perdere per sempre il rapporto con le persone e con la realtà che lo circondano e ha quindi
bisogno di essere rassicurato rispetto al fatto che invece al suo risveglio ritroverà tutto
quello che aveva lasciato.
È necessario che il momento del sonno nei contesti educativi venga progettato e
organizzato in ogni dettaglio, nel rispetto dei tempi e delle abitudini di ogni bambino.
Anche il luogo destinato al sonno e al riposo deve essere allestito e arredato in modo da
infondere serenità nel bambino e rendere tale momento il più sereno e piacevole possibile.
L’ideale sarebbe disporre di stanze medio-piccole, che possano trasmettere ai bambini un senso di intimità e di contenimento. Le stanze non devono essere troppo vivaci, si deve
poter creare una penombra che concili il sonno del bambino senza creare il buio totale.
Importante è poi personalizzare il letto di ogni bambino, perché possa riconoscerlo e
sentirlo “suo”, con un oggetto portato da casa o con un semplice ricamo sul lenzuolo o sulla
coperta fatta dalla mamma.
Per conciliare il sonno del bambino sono molto utili le ninna-nanne o cantate dall’adulte o
facendo andare un cd (meglio se cantate, così i bambini sentendo una voce conosciuta si
sentono più al sicuro).

19
Q

Parla del momento del sonno nel nido

A

Il momento del sonno rappresenta un aspetto significativo della giornata che il bambino
trascorre al nido.
Per potersi rilassare e abbandonare al sonno il bambino deve sentirsi sicuro, deve sapere
che cosa succederà al suo risveglio. Il momento del sonno viene vissuto con maggiore
tranquillità dai bambini se viene proposto loro quando hanno effettivamente bisogno di
dormire ed è piuttosto improbabile che tale bisogno si manifesti contemporaneamente in
tutti i bambini. L’organizzazione flessibile del servizio consentirà, per esempio, di non
svegliare un bambino anche se è ora di pranzo e di tenere in caldo il cibo fino al suo
risveglio. Con il passare del tempo l’ambientamento al nido si consolida e diventa così
possibile giungere a una regolazione dei ritmi, che diventano sempre più simili all’interno
del gruppo dei bambini, senza mai trascurare però le autonomie individuali e la
personalizzazione delle cure.
Ogni bambino vive il momento dell’addormentamento in modo differente, generalmente in
relazione alle abitudini acquisite in famiglia. È importante, quindi, che l’organizzazione
tenga conto delle particolari esigenze di ciascuno.
Durante il momenti del sonno il bambino non deve essere lasciato solo: deve esserci
sempre un adulto nella stanza a vegliare il suo sonno e ad attendere il suo risveglio.
I bambini non sopportano i cambiamenti nei rituali. Il fatto che siano ripetitivi, infatti, li rende
rassicuranti.
Il passaggio dalla veglia al sonno, in particolare in situazioni non del tutto familiari, può non
essere facile per un bambino.
Solitamente le educatrici attribuiscono grande importanza al confronto con le famiglie, allo
scopo di individuare le modalità più adeguate ai bisogni dei bambini. Pertanto fanno
normalmente ricorso ai genitori per cercare di imitare le modalità che i genitori usano per
addormentare i piccoli a casa.
Importante: un bambino non deve mai essere obbligato a dormire.
Bisogna inoltre fare attenzione ad evitare di far passare i bambini da attività frenetiche,
giochi chiassosi che provocano uno stato di eccitazione al sonno.
Se è vero che il rituale che precede il sonno non dovrebbe mai limitarsi al momento in cui il
bambino va a letto, è altrettanto vero che esso non può e non deve protrarsi all’infinito,
seguendo le sue interminabili richieste.
Maggiori difficoltà sembrano averle i genitori che non riescono a sottrarsi alle interminabili
richieste del bambino. Attraverso un colloquio l’educatrice potrebbe sostenerli e
incoraggiarli a essere fermi e determinati nel porre limiti e confini al proprio figlio.
Dire loro frasi come “Ma perché hai paura? È solo un sogno!” non serve, anzi sminuisce un
timore che per loro è reale.
Come l’addormentamento, anche il risveglio è diverso per ogni bambino e come
l’addormentamento rappresenta un momento di fragilità, che deve essere rispettato. Gli
esperti, infatti, suggeriscono di non intervenire mai bruscamente sul sonno dei bambini. Ciò che invece è importante per tutti i bambini è la possibilità di trovare, quando si
svegliano, un’educatrice dentro la stanza, che attende il loro risveglio.

20
Q

Parla del momento del sonno nella scuola dell’infanzia

A

Anche nelle scuola dell’infanzia si prevede indispensabile un momento e una zona dedicati
al momento del sonno e del riposo, in modo da rispondere opportunamente alle esigenze
dei bambini.
È importante che tale luogo, dedicato al riposo, risulti accogliente e non presenti un
eccesso di stimoli (uditivi e visivi), in modo da favorire il rilassamento dei bambini.
Tenendo conto del diritto di ogni bambino di vedere rispettata la sua identità, si potrà poi
cercare di personalizzare il più possibile lo spazio del sonno. In alcune scuole, per esempio,
ogni bambino dispone di una sacca personale e personalizzata che viene riposta in un
luogo ben preciso, a lui accessibile, e che contiene tutto ciò che gli occorre per dormire, dal
cuscino alla coperta al peluche ecc.
Poiché il momento del riposo deve essere rassicurante e deve essere vissuto con piacere
è necessario curare in ogni dettaglio tutti gli aspetti pratici.
Una certa attenzione deve poi essere prestata anche al tempo che precede il riposo, che
deve essere un tempo “disteso, poiché è un passaggio denso di micro-episodi a carattere
fortemente affettivo. Meglio quindi evitare, prima del sonno, giochi e attività che possono
eccitare i bambini, preferendo invece quelle proposte che li aiutano a rilassarsi.
Non bisogna poi dimenticare che anche per i bambini che frequentano la scuola
dell’infanzia, come quelli del nido, il momento del sonno racchiude molteplici significati
affettivi e simbolici.
Nel caso in cui un bambino si rifiuti di dormire a scuola, non va obbligato, bensì bisogna
cercare di conoscere le possibili motivazioni di tale difficoltà; confrontarsi con i genitori, ma
non bisogna mai sgridarlo.
Malgrado vi sia ancora qualcuno che sostiene che gli oggetti transizionali sono “cose da
piccoli”, in realtà, si tratta di qualcosa di molto serio, che merita l’attenzione e il rispetto degli
adulti. In molte scuole dell’infanzia i bambini che ne fanno uso vengono opportunamente
incoraggiati ad utilizzarli nel momento del sonno, in modo che tali oggetti possano
sostenerli in una situazione tanto delicata che può evocare sentimenti di separazione e di
abbandono. Non solo è necessario consentire ai bambini di ricorrervi quando ne avvertono
la necessità, ma bisogna anche evitare di mortificarli con frasi come: ”i bambini grandi non
hanno bisogno dell’orsacchiotto!”, che non fanno altro che minare la loro sicurezza e la loro
autostima.
Da segnalare come positivo l’utilizzo di una sacca personale nella quale ogni bambino
ripone l’occorrente portato da casa per dormire.
Come già spiegato in precedenza, la resistenza che un bambino oppone al sonno può
essere legata a vissuti di separazione e abbandono.

21
Q

Qual è la differenza tra eduazione visibile e invisibile?

A

♥ educazione visibile (= processi consapevolmente attivati e orientati su obiettivi
prestabiliti: attività con bambini; strutturazione spazi; offerta materiali…)
♥ educazione invisibile (= schemi di comunicazione che gli adulti mettono in atto,
spesso senza avere la consapevolezza della loro valenza educativa, non sempre
costruttiva, per la relazione con i bambini piccoli)

22
Q

Quali sono i due modelli di riferimento della professione educativa nel campo dell’infanzia?

A
  1. sociale elaborato dall’adulto (pone l’accento sul rispetto delle norme e delle pratiche
    educative che sono normalmente orientate a promuover la formazione dei bambini
    attraverso un processo di conformazione assolutamente necessario per viver la
    quotidianità in contesti sociali ma è spesso privo del carattere della promozione delle
    potenzialità dei bambini)
  2. pre-sociale rispondente al modo di essere dei bambini nella fascia d’età prescolare
    (si focalizza sulla valorizzazione dell’autonomia dell’infanzia, sul riconoscimento ai bambini di aver propri percorsi di pensiero e di socializzazione che vanno conosciuti
    dagli adulti e sostenuti con continuità)
23
Q

Cos’è la soggettività dell’osservazione?

A

Il modo di osservare implica non solo la capacità di osservare e ascoltare l’altro, ma anche
la capacità di osservare e ascoltare se stessi mentre si osserva e si ascolta l’altro per
comprender cosa passa nella relazione. Questa pluralità nello sguardo osservativo, cioè la
capacità di osservare l’altro ma anche se stessi nella relazione con l’altro, rimanda alla
questione della SOGGETTIVITÀ DELL’OSSERVAZIONE.
L’osservazione di bambini e adulti coinvolge parti profonde del mondo interno
dell’osservatore, molti aspetti della sua personalità, i modi di sentire e di capire la realtà.
Imparare a osservare, prima ancora che comportare l’apprendimento di differenti strumenti
di rilevazione, deve significare l’inizio di un processo formativo che deve orientarsi verso
una duplice azione di individuazione:
* individuazione della percezione dell’oggetto (bambino) come oggetto specifico, con
proprie caratteristiche
* individuazione della percezione di sé come oggetto capace di sentire in modo
profondo il proprio mondo interno.

24
Q

Quali sono i 3 principi metodologici sui quali si basa l’osservazione?

A
  1. importanza della dimensione sociale ed emotiva nella quale l’osservazione si colloca
  2. attenzione ai dettagli (cioè quando il bambino dice una certa cosa, gioca in un certo
    modo)
  3. lo studio della continuità generica, in quanto ogni comportamento o processo
    mentale deve essere considerato come una tappa in una serie in evoluzione.
25
Q

Quali sono le capacità relazionali dell’adulto?

A

Possiamo considerare come capacità relazionali dell’adulto le capacità di:
♦ ascolto
♦ osservazione
♦ sentire gli altri e se stessi
♦ comunicare
♦ pensare(prima di fare)
♦ avere pazienza
♦ essere in contatto con i sentimenti dell’altro e con i propri
♦ tollerare la frustrazione
♦ contenere l’ansia
♦ apprendere dall’esperienza
♦ cambiare
♦ assumersi la responsabilità nel lavoro e verso gli altri

26
Q

QUANDO POSSIAMO PARLARE DI BUONA CURA IN AMBITO EDUCATIVO?

A

3 parametri:
1. Finalità della cura quale sfondo valoriale nel quale inserire il ragionamento sulla
professione educativa dei servizi.
Prendersi cura dei bambini comparta azioni educative significative per la creazione di un
ambiente relazionale armonioso e incoraggiante.
Con il tempo l’accento è stato fortemente posto sulla dimensione educativa, troppo
spesso, interpretata come organizzazione dii attività mirate a stimolare lo sviluppo
cognitivo dei bambini a scapito dell’attenzione alle cure, che sono state relegate in
secondo piano e chiamate “momenti di routine”.
Per molto tempo si è distinto un duplice ruolo dell’educatrice;: da un lato la “cura” del
bambino (con una tendenza a sottovalutare il valore affettivo); dall’altro “l’educazione”, la
stimolazione cognitiva, motoria e della creatività dei bambini.
La professione educativa e soprattutto le pratiche di cura, sono segnate da una forte
intensità emotiva che richiede specifiche competenze relazionali per poterla gestire
costruttivamente.
“… un’’educazione alla cura implica anche una sorta di sensibilizzazione allargata, che
potremmo chiamare educazione sentimentale”, perché saper ascoltare gli altri,
organizzare il proprio lavoro assumendosene le responsabilità ma anche sapendo
lavorare in equipe, aver cura delle cose sono fondamentali competenze trasversali che
devono essere introiettate giorno per giorno attraverso la convivenza quotidiana.
Affinché i momenti di cura possano costruire lo spazio-tempo nel quale si crea la
relazione tra adulto e bambino, occorre riflettere sulla strutturazione dei gruppi dei
bambini e sull’intero servizio.
2. Atteggiamento di cura quale dimensione del pensiero che orienta successivamente i
comportamenti dell’educatrice
Il lavoro di cura richiede competenze complesse, di un atteggiamento pensoso e
riflessivo, di un pensiero progettuale che richiede anche la padronanza della capacità, da
parte dell’educatrice, di un progressivo distanziamento con il quale la relazione e il fare
con il bambino vengono fatti oggetto di riflessione.
La competenza professionale dell’educatrice si compone dell’intreccio tra le riflessioni
che fa intorno al suo bagaglio teorico ed esperienziale e la conoscenza che deve avere
del bambino.
La concezione che abbiamo in mente di un lavoro di cura “sufficientemente buono” si
riferisce a un lavoro denso di competenze relazionali e comunicative, fatto di capacità di
ascolto, di cura dei corpi, di capacità di osservare l’altro per decifrarne i messaggi
comportamentali anche in assenza di parole.
È importante evitare di sovrapporre gli schemi di pensiero adulto al personale modo di
sperimentare dei bambini.
Nelle relazioni di cura il rapporto tra educatrice e bambino è più intimo, più coinvolgente
dal punto di vista emotivo.
L’emotività scorre quindi fortemente nella relazione con i bambini ma, perché vi sia
positività nella relazione, occorre che l’adulto sappia nutrire fiducia nel bambino, nelle
sue capacità e nel suo desiderio di trovare strategie proprie. Ma è anche fondamentale
che il bambino possa fidarsi dell’educatrice.
I bambini possono nutrire fiducia negli adulti che si occupano di loro se sentono
emotivamente che l’educatrice sta offrendo una relazione sufficientemente buona, una
relazione cioè calda nei toni emotivi, prevedibile e, quindi, rassicurante.
L’atteggiamento relazionale più significativo per una buona cura è la disponibilità a
mettere a disposizione le proprie capacità e le proprie risorse personali nella relazione
con l’altro. È necessario attivare un atteggiamento di ricettività e cioè la capacità di far
posto all’altro.
È la conoscenza dell’altro che permette di entrare in sintonia con i suoi stati d’animo.
Per far posto all’altro occorre liberare dentro di sé uno spazio vuoto”, vuoto dalle
eccessive preoccupazioni e dai pregiudizi sui comportamenti altrui.
Per essere ricettivi occorre avere sempre un’attenzione vigile ai comportamenti dei
bambini in tutte le situazioni della giornata educativa, facendo attenzione a non
sottovalutare la ricorrenza di alcuni loro gesti quali segnali-tipo di un loro stato d’animo
che va colto, perché sempre i bambini comunicano le loro emozioni e le loro difficoltà
attraverso la gestualità. La capacità di attenzione, se è continuità nel tempo, diventa
un’importante dimensione dell’atteggiamento di cura perché è in grado di fornire quelle
informazioni necessarie per riuscire a intervenire nella relazione con il bambino quando
è opportuno. È importante, perciò, saper attivare una profonda capacità di ascolto
necessaria a comprendere ciò che l’altro cerca di comunicare.
Ascoltare è “sapere fare dentro sé uno spazio per l’altro”.
Per promuovere una buona cura l’altro fondamentale atteggiamento, insieme a quello
della ricettività, è quello della responsività (=saper rispondere in modo adeguato,
pertinente ai segnali dell’altro).
È importante essere attenti e conoscere bene il percorso di crescita di ogni bambino,
preoccuparsi di sostenerlo nel suo modo di essere e di pensare.
È importante dedicare tempo alla comprensione del modo di essere dell’altro, delle sue
necessità e dei suoi desideri.
Per conoscere meglio l’altro è importante garantire la stabilità delle relazioni.
La stabilità delle relazioni è inoltre importante affinché i bambini possano prevedere i
gesti d’interazione con l’adulto e quindi anticipare le modalità di cura di chi si occupa di
lui.
3. gesti di una buona cura
Come l’educatrice può aiutare il bambino a rafforzare le sue strategie e a raggiungere
l’autonomia? Attraverso:♦ progettazione dello spazio (per un bambino piccolo deve essere progettato in
modo da aiutarlo ad esprimere quello che lui preferisce fare, quello che lo
soddisfa di più; deve capire che ci sono delle regole da rispettare ma che ci
sono delle possibilità di fare da solo e per riuscirci; molto importante la
posizione degli oggetti; materiali sempre a disposizione, curati e ordinati,
permettono al bambino di fare scoperte, di mettersi in relazione con gli altri,
dando voce ad emozioni ed idee. Queste precise azioni delle educatrici
riflettono la volontà di dare spazio ai bambini, di credere nelle loro potenzialità
e nelle capacità di fare. Importante far leva sulle capacità, sull’iniziativa e
sull’attività del bambino in modo che impari a conoscere il proprio corpo, le
principali proprietà dei vari oggetti e gli si offre la possibilità di prendere da
solo le decisioni, e di sviluppare e rafforzare la propria identità e la coscienza
di sé. I bambini non devono essere sostituiti dall’adulto: devono essere
protagonisti delle loro azioni, delle loro scoperte, dei loro tentativi di relazione
sociale.
♦ osservazione
♦ ascolto
♦ calma nei gesti di cura