Ingegneria tissutale Flashcards

introduzione di ingegneria tissutale, tecniche di lavorazione e test di biocompatibilità

1
Q

INGEGNERIA TISSUTALE

A

è un campo interdisciplinare che applica i principi della bioingegneria, della scienza dei materiali e delle scienze della vita per ottenere sostituti biologici che ripristino, mantengano o migliorino le funzioni di un tessuto o di un organo.
Quindi, si occupa dello studio e della ricostruzione di tre componenti principali:
- cellule: che andranno a formare i tessuti;
- supporti di crescita per le cellule: uno SCAFFOLD è un supporto o una matrice realizzata per facilitar la migrazione, l’adesione, la crescita di cellule o il trasporto di agenti bioattivi. Possono essere sia 2D (piastre di coltura) che 3D (realizzati con materiale polimerico);
- ambiente di sviluppo: bioreattore che applica alle cellule degli scaffold stessi stimoli a cui sono sottoposte all’interno del corpo umano.

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2
Q

PROPRIETA’ MECCANICHE DEI TESSUTI

A

il modulo elastico delle cellule varia al variare del tipo di tessuto.
All’aumentare del modulo elastico aumenta la rigidità:
fluido, sangue o mucus –> neurale –> polmoni –> seno –> tessuto endoteliale –> tessuto stromale –> muscolo liscio –> muscolo scheletrico –> cartilagine –> tessuto osseo.
In generale, i tessuti possono essere suddivisi in due categorie in base al comportamento che hanno nel grafico tensione-deformazione:
- tessuti rigidi (osso, dentina): E alto, sigma alto, epsilon basso;
- tessuti molli (legamenti, cartilagine): E basso, sigma basso, epsilon alto.

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3
Q

SCAFFOLD

A

è un supporto o una matrice realizzato per facilitare la migrazione, l’adesione o il trasporto cellulare e agenti bioattivi. Deve anche costituire un microambiente tridimensionale stabile con una porosità sufficiente da permettere la crescita cellulare all’interno della struttura.
La progettazione dello scaffold inizia con una accurata selezione del biomateriale e del metodo di fabbricazione, in modo da
ottenere tempo di degradazione e proprietà meccaniche desiderate.
I polimeri usati per costruirli sono di due tipi:
- naturali, la cui origine viene da un materiale biologico;
- sintetici, interamente sintetizzati o prodotti.
Una combinazione di materiali naturali e sintetici permette di ottenere uno scaffold con eccellente bioattività
e adeguate proprietà meccaniche.
Il biomateriale scelto non deve rilasciare prodotti di degradazione tossici o scatenare una risposta immunogenica o
infiammatoria che potrebbero compromettere il processo di guarigione.
Struttura tridimensionale e porosità devono esser progettate in modo da
permettere la distribuzione di acqua e sostanze nutritive all’interno della
struttura porosa e l’eliminazione delle sostanze metaboliche di scarto.
Per la progettazione di uno scaffold che imita un certo tipo di tessuto, è importante la distinzione:
- tessuto anisotropo: reagisce in una direzione preferenziale;
- tessuto isotropo: reagisce allo stesso modo in tutte le direzioni.

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4
Q

REQUISITI DEGLI SCAFFOLD

A
  1. BIOCOMPATIBILITA’: le cellule devono poter aderire e migrare attraverso la superficie ed eventualmente attraverso lo scaffold. Devono poi iniziare a proliferare prima di stabilirsi nella nuova matrice. Dopo l’impianto, esso deve provocare una reazione immunitaria trascurabile per evitare che si provochi una risposta infiammatoria così forte da ridurre la guarigione.
  2. BIODEGRADIBILITA’: non sono impianti permanenti; deve essere biodegradabile così da permettere alle cellule di produrre la propria matrice extracellulare. I sottoprodotti della degradazione devono essere non tossici e in grado di uscire dall’organismo.
    Per permettere la degradazione e formare il tessuto autonomamente, è necessaria una risposta infiammatoria combinata con l’infusione controllata di cellule.
  3. PROPRIETA’ MECCANICHE: idealmente compatibili con il sito in cui verrà impiantato e deve essere abbastanza resistente da permettere l’operazione chirurgica durante l’impianto. Vi è un equilibrio tra proprietà meccaniche e architettura porosa sufficiente a consentire l’infiltrazione cellulare e la vascolarizzazione.
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5
Q

POLIMERI SINTETICI

A

uno è l’acido polilattico (PLA).
Caratteristiche:
- biodegradabile;
- rigidezza proporzionale alla sua porosità (tendenzialmente molto rigido);
- tempo di degradazione: 12-18 settimane;
- ottenibile con stampa 3D;
- può essere impiantato.

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6
Q

POLIMERI NATURALI

A

uno è l’alginato. E’ un polimero naturale che viene estratto da alghe.
Caratteristiche:
- biodegradabile;
- rigidezza proporzionale alla porosità;
- ottenibile con stampa 3D;
- si possono incorporare cellule da studiare mentre il materiale è in formazione.

struttura chimica: composto da due monomeri:
- acido mannuronico;
- acido guluronico.
Si possono formare strutture omopolimeriche o copolimeriche, che acquistano le proprietà di entrambi i monomeri.

CROSSLINKING
È un fenomeno reso possibile da un elemento, ione calcio, che permette di legare le catene di alginato passando da uno stato di gel “liquido” a uno più solido.
Per fornire calcio si può utilizzare:
- cloruro di calcio in soluzione: GELAZIONE ESTERNA. Il calcio viene attratto dalle catene libere e si stacca dal cloruro. Problema: processo
molto lungo perché richiede diffusione passiva.
- carbonato di calcio in polvere: GELAZIONE INTERNA. Il carbonato di calcio reagisce solamente in presenza di un reagente GDL che è in grado di scindere lo ione carbonato dal calcio.

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7
Q

CONFRONTO GEL. INTERNA ED ESTERNA

A

Volendo realizzare uno scaffold 5x5mm si mettono a confronto i due metodi:
- gelazione esterna: Si ottiene un prodotto instabile (esterno solido e interno liquido) perché la dimensione è troppo grande per
essere realizzata con questo metodo;
- gelazione interna: Se si eccede con la concentrazione di carbonato di calcio (che aumenta la densità e migliora proprietà meccaniche), si può notare un aumento della produzione di CO2 come prodotto di scarto. Ciò causa instabilità.

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8
Q

STAMPA 3D

A

È una tecnica innovativa di produzione e lavorazione di materiali che permette la realizzazione accurata fino all’ordine del
nanometro. Esistono varie tecniche:
- tecnica a getto di inchiostro;
- tecnica fused deposition modeling fdm;
- selective laser sintering;
- stereolitografia sla;
- stampa 3d biologica.

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9
Q

TECNICA A GETTO D’INCHIOSTRO

A

Il polimero in polvere si trova all’interno di un piatto (powder delivery platform) che scorre lungo l’asse z ed è in grado di rilasciare una certa quantità di polvere (strato che definisce la risoluzione) alla volta. A ogni strato, una cartuccia che contiene il liquido cross-linkante è collegata a una testina che rilascia una certa quantità in modo tale da solidificare la polvere nella forma desiderata.
Infine, viene eliminata la polvere in eccesso.

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10
Q

TECNICA FUSED DEPOSITION MODELING FDM

A

Si basa sulla deposizione di filamenti di polimero termoplastico su un supporto piano e va a generare la struttura dal basso verso l’alto: anche in questo caso la piastra con la polvere polimerica si muove lungo l’asse z, mentre la testa non contiene più liquido ma va a scaldare il polimero fino alla temperatura di rammollimento del polimero. La testina si muove in modo tale da creare la forma.
Un esempio di polimero usato è l’acido polilattico.
- pro: economica, materiali biocompatibili, buona resistenza meccanica;
- contro: bassa velocità, no materiali trasparenti.

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11
Q

SELECTIVE LASER SINTERING SLS

A

La stampa funziona in maniera simile alla stampa a getto, ma anziché liquido cross-linkante c’è una testina con un laser, che va a polimerizzare la polvere solo nelle posizioni desiderate per l’oggetto finale.

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12
Q

STEREOLITOGRAFIA SLA

A

L’SLA utilizza un laser a ultravioletti per polimerizzare (solidificare) una resina fotosensibile liquida in plastica dura, attraverso un processo che prende il nome di fotopolimerizzazione.
La principale applicazione di questa tecnologia è la prototipazione rapida, che permette di ottenere oggetti fisici da testare prima della produzione industriale. Le stampanti SLA possono tuttavia essere
utilizzate in numerosi altri ambiti, come il campo dentistico.
- pro: Materiali trasparenti, biocompatibili, buona resistenza meccanica, alta velocità di stampa, materiali morbidi opachi;
- contro: costosa, rimozione meccanica dei supporti, materiali non riciclabili.

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13
Q

STAMPA 3D BIOLOGICA

A

Funziona in maniera analoga alla tecnica FDM.
Il polimero di partenza è ad esempio l’alginato, inserito in una siringa, mentre in altre siringhe sono presenti cellule.
Attraverso un regolatore di aria compressa, vengono depositate con grande precisione le cellule nella forma desiderata, poi il polimero e infine un collante, formando uno strato alla volta.

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14
Q

TECNICA A ESTRUSIONE

A

Il metodo tradizionale di lavorazione di materiale polimerico, a partire da una struttura sferica, viene fuso all’interno di un tubo e poi estruso assumendo diverse forme.

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15
Q

ELETTROSPINNING

A

L’elettrofilatura è un efficace processo produttivo elettrodinamico utilizzato a livello di ricerca laboratoriale per la produzione di fibre con diametri estremamente ridotti, tipicamente inferiori al micron.
Il principio base dietro questo processo consiste nell’applicazione di una tensione
sufficiente a superare la tensione superficiale della soluzione polimerica, che porta la goccia di polimero che si forma sulla punta dell’ago ad allungarsi in modo da generare fibre molto sottili che, depositandosi, creano un intreccio non
tessuto.
Una volta estruso il polimero in forma liquida, la goccia prende la forma di cono di
Taylor per via dell’influenza del campo elettrico presente.
È molto importante avere un preciso controllo del voltaggio: se è troppo basso il campo elettrico non è in grado di creare un filamento, se è troppo alto si perde il controllo dell’elettrofilato.

POLIMERI USATI:
- riassorbibili;
- inerti;
- naturali.

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16
Q

PARAMETRI ELETTROSPINNING

A

parametri di processo: sono parametri del macchinario funzionali a ottenere l’elettrofilatura:
- voltaggio;
- portata dell’estrusione;
- distanza tra ago e collettore;
- forma del collettore: collettori piani (si ottiene l’elettrofilato in una struttura planare random), collettore a rullo (si ottiene l’elettrofilato a conformazione randomica se la velocità è bassa, o fibre allineate se la velocità è alta);
- velocità del collettore;
- diametro dell’ago.
parametri inerenti la soluzione polimerica:
- concentrazione;
- peso molecolare del polimero;
- viscosità;
- conduttività;
- volatilità.
parametri inerenti l’ambiente esterno:
- temperatura;
- umidità.

17
Q

TIPI DI ELETTROSPINNING

A
  • co-elettrospinning: Consiste in un’ulteriore tipologia di elettrospinning in cui usano polimeri diversi e quindi collettori a potenziali diversi per
    ognuno di questi. Si forma un polimero randomico o a fibre allineate a seconda del tipo di collettore.
  • wrapped elettrospinning;
  • pattern elettrospinning.
18
Q

TIPI DI NANOFIBRE

A

si possono ottenere nanofibre:
- monolitiche (piene);
- cave;
- cave con più buchi.

Le nanofibre poi possono essere:
- A struttura porosa, con diversi spazi entro cui possono essere inserite cellule,
rendendo la fibra mineralizzata;
- Caricate con nanosfere contenente farmaco in soluzione acquosa (le nanosfere
hanno la capacità di emettere fluorescenza e quindi illuminarsi);
- Nanofibre caricate con farmaco incorporato come guscio di nanofibra ( in
questo caso si può vedere il farmaco sulla superficie).

19
Q

SCAFFOLD PER TESSUTO OSSEO

A

Si può utilizzare un materiale composito unendo la struttura principale realizzata con la stampa 3D, mentre la parte del tessuto realizzata attraverso l’elettrospinning.
Questa tipologia di materiale per lo scaffold è molto utile perché le fibre hanno una certa direzionalità che può essere ben controllata, andando a mimare bene il tessuto umano di interesse.

20
Q

CELL-ELETTROSPINNING

A

È una tecnica innovativa che permette la realizzazione di scaffold con le cellule già incluse al suo interno.
Questa tecnica comporta numerosi vantaggi ma anche delle accortezze: per esempio bisogna controllare il voltaggio che, se troppo elevato, distrugge le cellule.

21
Q

TEST DI BIOCOMPATIBILITA’

A

si dice:
- distruttivo: si analizza il limite vitale della cellula in relazione alla biocompatibilità del materiale;
- non distruttivo: se può essere eseguito più di una volta senza danneggiare il campione né lo scaffold (permette di
avere meno errori e più precisione nei risultati).

22
Q

TEST DI VITALITA’: DISTRUTTIVO

A

Si verifica che un campione di cellule sopravviva a un biomateriale attraverso il test di vitalità; un classico test è il test della conta cellulare.
- test diretto: si mettono le cellule direttamente all’interno di un pozzetto di uno scaffold insieme a un campione di materiale. Si verifica dopo 24/48 ore cosa è successo alle cellule dopo che sono entrate
in contatto con il biomateriale.
- test indiretto: si mette il materiale dentro al terreno di coltura per 24h, facendo in modo che questo possa rilasciare sostanze eventualmente nocive al suo interno.
In un altro pozzetto si tengono le cellule per lo stesso tempo e, trascorse 24h, si somministra il terreno di coltura “condizionato” nello scaffold delle cellule.

23
Q

TEST DI VITALITA’ INDIRETTO

A

Ammettiamo che stia facendo un test indiretto, dopo 24/48/72 ore che ho messo il terreno condizionato a contatto con le cellule in coltura vado a svolgere delle misure.
Considero 3 pozzetti con delle cellule sul loro fondo:
a. 3 campione di controllo: : terreno di coltura che non è andato a contatto con il
biomateriale. È il mio riferimento.
b. 3 campione trattato: stessa popolazione di cellule che è stato messo a contatto con il terreno condizionato.
Analizzo il primo pozzetto dopo 24h, il secondo dopo 48h e il terzo dopo 72h.
Stacco le cellule attraverso un enzima di restrizione che si chiama tripsina
(enzima che taglia i legami tra cellula e superficie del pozzetto) e le metto nella
camera di Burk, che è una griglia divisa in diversi quadranti.
Problema: le cellule nei bordi presentano ambiguità nella possibilità di essere contate o meno –> misura fortemente operatore-dipendente.
Al microscopio guardo solo le cellule che ricadono nei 4 quadranti (C, D, E, F) e
non nelle altre zone.
Conto le cellule in ogni quadrante e poi faccio la media (dividendo per 4) e
moltiplico per un fattore standard pari a 10^4 (𝐶𝑒𝑙𝑙𝑢𝑙𝑒 𝑣𝑖𝑣𝑒 = 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 ∙ (𝑓𝑎𝑡𝑡. 𝑑𝑖𝑙𝑢𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒)10ସ).
Poi confronto con la coltura di controllo a distanza dei vari intervalli di tempo (24/48/72 ore).
Ci possono essere tre possibili risultati:
- materiale biocompatibile e non dannoso: Il trattato mantiene gli stessi valori medi del controllo (almeno il 70%), e cresce a 48/72h;
- materiale biocompatibile ma dannoso: Il trattato mantiene gli stessi valori medi del controllo (almeno il 70%), ma non cresce a 48/72h;
- materiale non biocompatibile: Il trattato ha valori medi minori del controllo (<70%).

24
Q

TEST LIVE-DEAD: NON DISTRUTTIVO

A

può essere eseguito senza danneggiare le cellule, quindi il campione può essere utilizzato per più esperimenti (risparmio a livello di costo e di tempo e si riduce l’errore, poiché si vede l’effetto sullo stesso campione).
Il test viene eseguito all’interno dello scaffold e risulta distruttivo solo per questo.
Si utilizzano dei fluorocromi, ossia delle sostanze in grado di colorarsi a seconda che la cellula sia viva (verde, calceina) o morta (rosso, etidio):
- la calceina è capace di penetrare dentro il citoplasma della cellula, che si colora di verde se è viva;
- l’etidio riesce a penetrare le membrane dei nuclei delle cellule. Colora i nuclei di rosso.
vantaggio: invece di dividere i campioni in 3, misuro sempre gli stessi campioni e posso farlo perché la fluorescenza può essere lavata via con una soluzione
tampone e quindi posso ripetere la misura nella stessa popolazione.
Se trovo che si sono più cellule vive allora il biomateriale è biocompatibile, se ci sono più cellule morte non lo è.
Problema: fornisce una risposta qualitativa e non quantitativa.
Per avere una risposta quantitativa si può fare uno studio sull’immagine per estrarre un istogramma che ha nelle ascisse l’informazione che identifica il colore e nelle ordinate il numero di pixel dell’immagine ottenuta: si ha un picco per il nero, uno per il verde e uno per il rosso (questi picchi saranno in posizioni diverse del grafico perché allo 0 sta il nero e poi
andando avanti ci sono gli altri colori).
Queste immagini sono visibili al microscopio ottico a fluorescenza.

25
Q

TEST VITALE: TEST PRESTOBLUE

A

PrestoBlue è un nuovo reagente a base di resazurina per valutare la vitalità cellulare e la citotossicità.
Si tratta di un test metabolico: si verifica l’attività metabolica di una coltura di cellule. All’aumentare del numero di cellule aumenta la saturazione del colore.
Per quantificare la variazione del numero di cellule si utilizza lo spettro fotometro, per misurare fluorescenza o assorbanza.
Questi test sono non-distruttivi perché è possibile “lavare” con un PBS il fluorocromo, quindi è possibile eseguire il test sullo stesso campione.