Infiammazione Acuta Flashcards

1
Q

Definizione di infiammazione acuta

A

(Da Burdon-Sanderson): reazione di un tessuto vivente a uno stimolo nocivo di qualsiasi tipo purchè questo non sia di grado tale da determinare la morte dei tessuti. È macroscopicamente ben diagnosticabile, sono visibili rigonfiamenti e rossore.
Ora: “ serie di reazioni prodotte da un tessuto vivente in seguito a una lesione, purché questo non sia di grado tale da determinare la morte dei tessuti”

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2
Q

Segni cardinali dell’infiammazione acuta (da Celso e Galeno)

A
  • rossore
  • calore
  • dolore
  • tumefazione
  • functio laesa
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3
Q

Eziologia dell’infiammazione acuta

A

CAUSE ESOGENE
Sono le più frequenti. Si dividono in:
- microbiche/settiche: il riconoscimento avviene tramite i PAMPs, rilasciati dal patogeno (insieme a fattori di virulenza come tossine, enzimi ecc.), che vengono riconosciuti e legati ai recettori PRR. In risposta, i tessuti danneggiati liberano DAMPs che attivano la risposta infiammatoria.
- non microbiche/asettiche/sterili: sono dovute principalmente ad agenti
1. Chimici (acidi, basi, xenobiotici, sostanze ad alta cancerogità)
2. Fisici (corpi estranei, temperature estreme, raggi X, radiazioni ultraviolette)
3. Meccanici (qualsiasi tipo di trauma)

CAUSE ENDOGENE
Possono essere 4, ovvero di derivazione cellulare, tessutale, plasmatica o extracellulare (quasi tutte portano ad accumuli che possono indurre degenerazioni associate a infiammazione).

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4
Q

Esperimento di Lewis di risposta triplice (1927)

A

(Detto “di risposta triplice” perché abbiamo tre fasi distinte che confermano tutti i modelli e studi precedenti, ovvero: vasodilatazione, vasopermeabilità e attivazione di mediatori -presenza di mediatori: dimostrata per la prima volta da Lewis).

L’esperimento consiste nel tracciare, con uno strumento appuntito ma non affilato, una pressione a linea sulla cute. Si osservano tre fasi:
1. Inizialmente si vede una linea bianca brevissimissima, visibile solo a livello cutaneo (linea bianca dovuta alla compressione del microcircolo)
2. Nel giro di 3/15 sec la linea diventa rossa (interpretata come vasodilatazione = aumento del flusso ematico = iperemia). È qui che Lewis ipotizzò che questo processo fosse fatto da un mediatore.
3. Nel tempo successivo (dopo 30 sec) la linea rossa si circonda di un alone rosso e al terzo minuto la linea è sollevata e torna bianca (dovuta a vasopermeabilità, sempre mediata da altre molecole), marcando la presenza dell’alone rosso (questo alone rosso dipende dal coinvolgimento della lesione di un riflesso assonico, che causa vasodilatazione).

Per quanto riguarda il dolore, Lewis ipotizzò l’esistenza di mediatori algesici come la bradichinina.

In conclusione, venne dimostrato come la compressione da parte del corpo sulla pelle porti al rilascio di istamina (primo mediatore scoperto) da parte dei mastociti: le fibre sensoriali inviano l’impulso meccanico al SN causando la liberazione di molecole come la sostanza P, vasodilatante e vasopermeabilizzante, oppure di neuropeptidi, che agiscono a livello del microcircolo determinando vasodilatazione e rilascio di istamina.

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5
Q

Risposta vascolare

A

Si registra la coesistenza di vasopermeabilità e vasodilatazione, scatenati dallo stesso mediatore (istamina).
- vasodilatazione: data dal rilassamento di cellule muscolari lisce (delle arteriole), di sfinteri capillari con conseguente perfusione dell’intero microcircolo. Genera TRASUDATO.
- vasopermeabilità: determinata dalla contrazione di cellule endotelliali, con conseguente fuoriuscita di liquidi e proteine plasmatiche. Questo interessa in primis le vene, le cui cellule hanno molti recettori per l’istamina, ma se il processo infiammatorio dovesse protrarsi nel tempo allora la vasopermeabilità si riscontrerebbe anche in capillari e arteriole. Genera ESSUDATO.

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6
Q

Risposte di permeabilità vascolare

A

L’entità dell’essudato dipende dalla risposta vascolare al traume: più questo sarà intenso, più verranno stimolati i vasi e più grande sarà la quantità di liquido che formerà l’edema.
Lo studio del modello sperimentale di Blueing ha permesso di distinguere tre diverse risposte di permeabilità:
1. Risposta immediata sostenuta: insorge subito dopo lo stimolo provocando un rigonfiamento durevole nel tempo, conseguente a un danno grave. Si ritrova in tutte le lesioni che implicano necrosi delle cellule endoteliali. Questa risposta, a differenza delle altre due che sono dovute all’azione di mediatori, è invece data dal danno diretto dell’agente lesivo a livello locale. Il danno intacca l’intero microcircolo.
2. Risposta immediata transitoria: insorge subito dopo lo stimolo, ma questa è di brevissima durata: in mezzora l’essudato viene completamente drenato e riassorbito. È una risposta di tipo istaminico e avviene generalmente a livello venulare.
3. Risposta ritardata prolungata: il rigonfiamento si verifica ore dopo il danno e raggiunge il suo apice nelle ore ancora successive. Non è una risposta di tipo istaminico, perché agiscono mediatori che aumentano la permeabilità dei vasi (detti mediatori di nuova sintesi: chinine, prostaglandine, leucotrieni). Ex: scottatura solare.

Queste risposte sono dette “monofasiche”, dipendenti dall’entità della lesione ma indipendenti le une dalle altre. Esiste anche una risposta di permeabilità “bifasica” che consiste in una risposta immediata transitoria seguita da una ritardata prolungata, ottenuta specificatamente da uno stimolo termico.

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7
Q

Formazione di essudati e trasudati

A

Dal momento che l’infiammazione è un processo stereotipato, avrà sempre una fase essudativa: a causa dell’iperemia che si riscontra durante il processo infiammatorio, la pressione idrostatica capillare sale dal 32 mmHg a 50 mmHg, causando fuoriuscita del liquido dal microcircolo (perché molto maggiore della pressione oncotica -25 mmHg).

Trasudato: liquido privo di proteine fuoriuscito a causa della vasodilatazione.
Edema: concentrazione proteica bassa (cut-off: 2,5-3 g/dL). Il pH è sempre neutro.
Essudato: se concentrazione proteica del liquido è superiore a 2,5-3 g/dL, è per definizione infiammatorio. Il pH è sempre acido. Origina dalla vasopermeabilità.

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8
Q

Migrazione leucocitaria: definizione, fasi e descrizione di queste

A

Per migrazione leucocitaria si intende processo attivo (diverso da diapedesi, che è invece il passaggio passivo degli eritrociti all’essudato) che porta al trasferimento dei globuli bianchi alla sede della lesione. Si divide in 4 fasi:

  1. Chemotassi: è definita come il movimento cellulare direzionato secondo un gradiente di concentrazione chimico, generato appunto da fattori chemotattici (sostanze chimiche). Questo avviene grazie alle chemochine, un sottogruppo di citochine che inducono chemotassi.
    Questa fase migratoria è stata scoperta grazie all’esperimento della camera di Boyden e, una volta scoperta la risposta chemotattica dei leucociti e la loro altissima sensibilità a questi fattori, vennero elaborate due teorie in merito alla capacità di recepire lo stimolo e di muoversi verso di esso:
    - meccanismo temporale (tipico dei batteri flagellati, così anche i leucociti si spostano nel tempo attraverso dei cambi di traiettoria -detti capitomboli- per testare la concentrazione a determinati intervalli di tempo);
    - meccanismo spaziale (i leucociti percepiscono attraverso dei recettori gli agenti chemotattici e si dirigono laddove la concentrazione di questi sia maggiore).
    - considerando l’instabilità della concentrazione degli essudati, si è diffusa una nuova teoria definita aptotassi: il fattore chemotattico non è libero nel fluido, ma è legato a proteine della matrice creando così il cosiddetto gradiente solido.
  2. Marginazione: è un processo attraverso il quale i leucociti escono dalla circolazione sanguigna centrale e interagiscono con le cellule endoteliali con stretto contatto meccanico (ambiente ottimale garantito dalla vasodilatazione). (NB: fisiologicamente gli ertitrociti scorrono nei vasi in posizione assiale, mentre i leucociti sbattono spesso sulla parete ma senza aderire mai alle cellule endoteliali). In caso di stimolo flogogeno, si verifica un’iperemia passiva, in cui gli eritrociti sono impilati tra loro per formare i ROULEAUX, che influenzano la velocità di eritrosedimentazione rallentando i leucociti e spingendoli verso la parete capillare. La marginazione è divisa in diverse fasi:
    - fase di attivazione = della cellula endoteliale, a carico dell’istamina (prodotta dai mastociti), che induce cambiamenti conformazionali per la produzione di citochine e per esposizione di selectine P ed E (con l’aumento della [Ca] si stimola la fagocitosi dei granuli di Weibel-Palade, che contengono le secretine).
    - prima fase = rolling, conseguente all’interazione tra molecole di adesione (esposte sulle cellule endotelliali) dette selectine: il rotolamento è detto quindi selectino-dipendente. In tessuti con vasi particolarmente fenestrati il rotolamento non avviene.
    - seconda fase: di adesione salda, mediata dalle integrine espresse sui leucociti che legano molecole appartenenti alla famiglia delle immunoglobuline.
    - terza fase: il crawling, ovvero l’appiattimento del leucocita e il suo spostamento verso le giunzioni della cellula endoteliale, per poi attraversarle.
    - quarta fase: migrazione attiva verso il sito flogistico.
  3. Migrazione: è principalmente un meccanismo paracellulare, perchè i leucociti attraversano le cellule endoteliali a livello giunzionale (+ rara possibilità di fenomeni transcellulari, come nei tumori, in grado di attraversare interamente l’endotelio). Fasi della migrazione:
    A) Quando il MAC interagisce con le Ig, si attivano processi biochimici che consentono alla cellula endoteliale di contrarsi e allo stesso tempo di destrutturare le giunzioni, in particolare mediante l’eliminazione della VE-caderina
    B) Ca, Rho, p38 MAPK e altri secondi messaggeri garantiscono l’adesione salda con propaggini, mentre durante il passaggio sono coinvolte tutte le proteine del LBRC (compartimento del riciclaggio del bordo laterale), quali CD31, ICAM-2, CD99 e le JAM’s (molecole di adesione giunzionale)
    C) L’ultimo ostacolo, la membrana basale viene superato grazie all’azione delle metalloproteasi prodotte dai leucociti attivati.

In questa fase della migrazione avviene anche l’attivazione del leucocita, definita come la comparsa di nuove attività: si tratta quindi dell’acquisizione di nuove funzioni che lo trasformano da fenotipo circolante a fenotipo adeso. L’attivazione del leucocita è rappresentato dal passaggio di questo dalla fase G0 (inattivo), alla fase G1 (attivo ma non proliferativo) e infine alla fase S (attivo e proliferante). Il passaggio da G0 a G1 è possibile grazie a fattori di competenza, mentre quello da G1 a S da fattori di progressione.

Durante l’attivazione, il leucocita percepisce il fattore chemotattico, si lega a un GPCR, stimolando la cascata della PLC, che partendo da PIP2 forma IP3 (solubile, diffonde nel citoplasma e determina il rilascio di Ca dal RE. Un suo aumento di concentrazione è indispensabile per l’assemblaggio di filamenti di actina e miosina che consentono la motilità del leucocita, l’aumento del numero e delle affinità delle adesine, l’attivazione della PLA2 che termina con la sintesi di mediatori dell’infiammazione) e DAG (liposolubile, raggiunge e attiva la PKC che determina la fosforilazione di alcune proteine tra cui quelle che determinano degranulazione dei leucociti e Respiratory burst ovvero l’aumento del consumo di O2, catabolismo del glucosio e produzione di ROS)
Per quanto riguarda le tempistica di migrazione, in ordine di reclutamento abbiamo:
1. Neutrofili: sopravvivono per 24-48h al di fuori del torrente sanguigno. Sono i più abbondanti
2. Monociti: se attivati a macrofagi sopravvivono per mesi nel connettivo
3. Linfociti: intervengono se la risposta innata non è in grado di eliminare l’agente flogogeno.

  1. Fagocitosi: è definita come la capacità di un fagocita di inglobare, uccidere e degradare patogeni ed eventuali altre sostanze, dendriti o cellule, da eliminare. In breve, si tratta del processo attraverso il quale i fagociti ingeriscono batteri, microorganismi vari, cellule e sostanze estranee, per eliminarle in difesa dell’organismo. Il fagocita, a contatto con il corpo da eliminare, fromando due braccia che inglobano la preda, formando il fagosoma. Ciò che aggredisce e uccide veramente il patogeno fagocitato, però, è sempre l’acido ipocloroso, prodotto nei fagociti da alogenuri come il cloro. NB: la fagocitosi avviene grazie a due tipi di organismi:
    - fagociti professionali: dispongono di recettori specifici per la fagocitosi (recettori opsonici e non). Ne fanno parte i mastociti, le cellule dendritiche e i macrofagi.
    - fagociti non professionali: organismi che fagocitano per mantenere la clearance del tessuto, senza avere recetori specifici per questa azione. Ne fanno parte cellule endoteliali ed epiteliali.
    La fagocitosi nel dettaglio viene trattata in un’altra card.
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9
Q

Molecole di adesione coinvolte nella marginazione dei leucociti

A
  • selectine: si legano alle mucine e la loro esocitosi è dipendente dal Ca. Esistono tre famiglie, tra cui le L-selectine (sui leucociti), le P-selectine (scoperte sulle piastrine ma presenti anche sui leucociti) e le E-selectine (sulle cellule endoteliali). Creano legami deboli e instabili.
  • integrine: sono membri della famiglia delle immunoglobuline, si trovano sui leucociti e sono responsabili dell’adesione salda. Tra le più importanti ricorda la LFA-1 -la prima individuata sui leucociti-, la Mac-1 -situata su macrofagi e cellule dendritiche- e le VLA-4 e α4β7 -su monociti e linfociti T, sono prodotte in fase inattiva-. (Mutazioni: malattie LAD).
  • mucine: oligosaccaridi siliati legati a glicoproteine che agiscono come legandi delle secretine.
  • molecole appartenenti alla superfamiglia delle immunoglobuline: esposte sulla superficie endoteliale, le più importanti sono ICAM-1 e ICAM-2 (adesione intracellulare), VCAM-1 e VCAM-2 (adesione vascolare) e PECAM-1/CD31 (l’unica che crea interazione omotipiche con molecole uguali).
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10
Q

Fagocitosi: fasi, caratteristiche, tipologie, alternative

A

Le tre fasi della fagocitosi:

1) Il riconoscimento, che può avvenire attraverso due meccanismi:
- indiretto = è il più efficace, viene chiamato indiretto perché il suo effetto è mediato da recettori per le opsonine. Queste sono sostanze che facilitano il riconoscimento circondando il materiale da fagocitare. I recettori opsonici più importanti: CR3 (lega i frammenti del complemento, è il più rapido perchè nell’essudato è presente il complemento che, se attivo, mostra frammenti riconoscibili al recettore opsonico) e FcγRIIA + FcγRIIB (riconoscono il frammento cristallizzabile delle immunoglobuline, sono più specifici del CR3 ma più lenti perchè, per far avvenire il riconoscimento, è necessaria l’attivazione dell’immunità adattiva. Hanno bassa affinità con IgG libere ma altissima affinità con IgG+patogeno -immunocomplessi).
- diretto = se il patogeno non è associato ad altre molecole. I recettori sono quelli non opsonici (PRRs), utili per riconoscere componenti della superficie batterica (in particolare riconoscono i peptidi N-formilmetionilati). Si occupano di mediare il legame con il patogeno. Esempi: i recettori per il mannosio (importanti i CD206 e CD169) e del fucosio, il TLR (riconosce glicoproteine, tossine, lipopolisaccaridi), gli Scavengers (hanno interazione con LDL ossidate) e i recettori per le citochine (utili anche per il meccanismo di fagocitosi, più che per il riconoscimento).

2) Formazione del fagosoma: questa fase segue il riconoscimento e il legame con il patogeno. La cellula inizia a formare delle protuberanze dette pseudopodi che circondano e rinchiudono il patogeno, formando il fagosoma. Il patogeno resta vivo finchè non si attivano i meccanismi di uccisione vera e propria.

3) Uccisione e degradazione: dopo la formazione del fagosoma, si riscontra la formazione del fagolisosoma, dato dall’unione del fagosoma con lisosoma. All’interno di questo nuovo complesso vengono liberati enzimi per la degradazione, ovvero lisozimi, proteasi e defensine. Quest’ultime, in particolare, sono molecole che creano dei pori sulla superficie batterica, alterando gli scambi ionici della membrana batterica indebolendola. Una proteasi fondamentale è la lattoferrina che sequestra ferro per bloccare la divisione batterica. Tuttavia, gli enzimi sono utili nella fase di degradazione che in quella di uccisione: infatti per ottenere la morte del patogeno è necessario attivare prima il meccanismo di “respiratory burst” (processo che porta alla formazione di specie reattive dell’ossigeno ROS, ossidanti) che, coordinato con il meccanismo detto “sistema di Klebanoff” (mette a disposizione la mieloperossidasi MPO, un enzima presente nei granuli neutrofili), permette di combinare ROS + MPO per formare l’acido ipocloroso (candeggina). Questo processo di uccisione è detto meccanismo OSSIGENO DIPENDENTE, poiché per creare ROS nel respiratory burst è necessario grande consumo di ossigeno (si distingue, quindi, dal meccanismo ossigeno indipendente, che è quello che usa solo enzimi come le proteasi, defensine, lattoferrina e lisozimi).
Riassumendo, i 4 eventi essenziali per la respiratory burst sono:
- elevato consumo di ossigeno
- aumento catabolismo glucosio
- formazione acqua ossigenata H2O2
- liberazione di ione superossido O2- (ROS).
Poi ci sarebbe tutta la trafila per la produzione di ROS a livello leucocitario: vedi a pag. 105 del file. In ogni caso, ricorda che le reazioni hanno come substrato la NADPH-ossidasi che forma O2-, per poi essere combinato con 2H+ per formare H2O2 e così via.

Tipologie di fagocitosi
- fagocitosi frustrata: ha difficoltà a realizzarsi, perché il patogeno ha dimensioni superiori a quelle del macrofago. Quindi non si forma il fagolisosoma ma vengono semplicemente rilasciati i fattori per danneggiare il patogeno a livello superficiale: questo permette di lesionare la parete del patogeno per avviarne la distruzione.
- fagocitosi di superficie: nel caso di turbinio dell’essudato (matrice troppo in movimento rende più difficile la cattura dei patogeni da parte dei macrofagi). La cattura diventa possibile grazie alla presenza nell’essudato di reticoli di fibrina/collagene che permettono l’immobilizzazione del patogeno e quindi la sua immobilizzazione. Anche qui no fagolisosoma ma solo liberazione dei granuli.
- fagocitosi frustrata di superficie: combina entrambe le tecniche. È completamente inefficace, viene messa in atto nel caso di batteri ricoperti da biofilm (mucillagine protettiva prodotta dagli agenti patogeni).

Alternative alla fagocitosi
- batteriolisi: specifica dei batteri, i macrofagi contengono enzimi per rompere la membrana batterica
- nettosi: sfrutta l’abilità dei neutrofili di formare delle reti che contengono DNA, enzimi lisosomiali, MPO e ROS per creare ambiente battericida.

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11
Q

Malattie genetiche che portano a inefficienza immunologica

A

Queste malattie genetiche sono tutte caratterizzate da un quadro clinico in cui le infezioni sono ricorrenti, ma la risposta infiammatoria non è efficace. Il quadro clinico può essere più o meno grave a seconda del tipo di difetto.
Tra le patologie genetiche si distinguono le LAD (Deficienza di Adesione Leucocitaria), che hanno grande rilevanza per gravità e diffusione. Ne esistono quattro varianti:

> LAD1, scoperta nel 1980, è quella con il quadro clinico più grave, caratterizzato da infezioni ricorrenti e necrotizzanti e difetti nella guarigione dei tessuti. La mutazione che determina questa patologia è nel gene (detto CD18) che codifica per la catena β delle integrine: le più importanti sono LFA-1 e MAC-1, responsabili dell’adesione salda dei leucociti
sulla cellula endoteliale, il che rende inefficace il rolling. L’alterazione di CD18 determina, inoltre, un’immunosoppressione perché CD18 è coinvolta nell’attivazione della risposta adattativa sia dei linfociti B che dei linfociti T. Quindi i pz con LAD1 avranno sia la risposta immunitaria innata che quella adattiva compromessa: questo rende la sopravvivenza limitata, con pz che presentano cute necrotizzata, danno agli organi, onfalite e problemi dentali.
LAD2, scoperta nel 1992, ha un quadro clinico meno grave. I pz si presentano con infezioni ricorrenti, ritardo mentale e dello sviluppo. La mutazione è nel gene che codifica per l’enzima fucosiltransferasi, responsabile della sintesi degli oligosaccaridi sialilati (recettori delle selectine): viene quindi perso il rotolamento dei leucociti.
LAD3, scoperta nel 1997, è caratterizzata da infezioni ricorrenti e sanguinamenti. Il gene mutato è quello che codifica per la kindlina-3, una proteina strutturale che permette il cambio conformazionale delle integrine. Senza di questa, viene a mancare il legame tra leucocita e integrine inibendo l’adesione salda.
LAD4, scoperta nel 2005, è quella associata alla fibrosi cistica, La mutazione in questa malattia genetica è a carico del gene che codifica per CTFR, una proteina che regola l’apertura e la chiusura dei canali del Cl. Essendo CTFR implicata nell’attivazione delle integrine durante la migrazione leucocitaria, i pz che soffrono di fibrosi cistica avranno, oltre ai tipici difetti polmonari e pancreatici, anche deficienza di adesione leucocitaria e quindi problemi immunitari.

• Malattia granulomatosa cronica, fa riferimento ad un difetto nella fagocitosi: essendo questa patologia data da una mutazione del gene che codifica per NADPH-ossidasi, si osserva un ridotto respiratory burst, in quanto la riduzione o la totale mancanza di ROS rende meno efficace l’uccisione dei patogeni. Questo porta, in caso di permanenza dei patogeni, a una patologia cronica che porta alla formazione di granulomi che non riescono ad essere eliminati. (NB: visto che di NADPH-ossidasi esiste sia la variante citosolica che di membrana, se la componente mutata è quella di membrana allora è una patologia legata al cromosoma X, se a essere mutata è la componente citoplasmatica, allora si tratta di una malattia autosomica recessiva).

• Deficienza di mieloperossidasi, viene inficiato il sistema di Klebanoff con riduzione della produzione di ipoclorito.

• Sindrome di Chediak-Igashi, dove i granuli dei leucociti, invece di fondersi con il fagosoma, si fondono tra loro e si ha un difetto nel riversare il contenuto nel fagosoma. Comporta un difetto nel processo di fagocitosi.

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12
Q

Classificazione delle infiammazioni acute (+ polmonite)

A

La classificazione si basa sulle caratteristiche dell’essudato e sulle proteine contenute in questo.

  • infiammazioni eritematose: sono le uniche che hanno vasodilatazione ma senza dare essudato. Sono infiammazioni blande che passano nel giro di poche ore, come l’eritema o la dermatite solare.
  • infiammazioni sierose: portano alla formazione di essudato sierico, chiaro, fluido e acellulare. Tipicamente, le infezioni sierose si mostrano con delle bolle di essudato, poiché questo si raccoglie tra derma ed epitelio, e tipicamente sono le bolle da ustione, da varicella e da allergia.

-infiammazioni siero-fibrinose: essudato con piccola componente di fibrina, tipica delle sierositi (inf. delle tuniche sierose)

  • infiammazioni fibrinose: risultato di patologie più gravi e importanti, dove l’essudato ricco di fibrina è compatto tipo spugna. Esempi tipici: polmonite (“epatizzazione,”, perchè al microscopio il polmone sembra un fegato), pleurite secca, che danno al polmone un aspetto rigido e spugnoso a causa del deposito di fibrina sugli alveoli e sulle membrane pleuriche.
    È importante vedere nel dettaglio le fasi cellulari dell’infiammazione da polmonite:
    1. Congestione (alveoli ricchi di essudato sieroso, colorabile con eosina)
    2. Epatizzazione rossa (essudato emorragico, a causa del versamento polmonare)
    3. Epatizzazione grigia (tornano visibili i limiti degli alveoli, ma con comparsa di struttura a reticolo: si tratta della fibrina, che arriva agli alveoli a causa del danno del microcircolo)
    4. Epatizzazione gialla (vengono richiamati i granulociti neutrofili dalla fibrina, che attiva anche la fibrinolisi)
    5. Carnificazione (si insatura se i processi di fibrinolisi non funzionano e la fibrina persiste a livello alveolare: si forma quindi tessuto fibroso, irreversibile)
  • infiammazioni muco-catarrali: tipiche dei tessuti che producono muco (quindi organi con cellule calciformi municipare o ghiandole acinose, come bronchi/stomaco/faringe). L’essudato ha tutte le caratteristiche tipiche ed è associato al muco, che ha funzione difensiva (ingloba e blocca batteri)
  • infiammazioni purulente: causate da batteri (tipo streptococco, stafilococco, gonococco). Presentano degli ascessi, ovvero lesioni in cui il pus si raccoglie in cavità neofromate, createsi quindi dall’attività tossica dei batteri e dall’azione di enzimi (diverso dal versamento, dove l’essudato si raccoglie in cavità già fisiologicamente presenti - detto “epiema” se l’essudato è pus).
    I due fattori che determinano la creazione di ascesso sono il danno diretto del microrganismo patogeno e l’attivazione dei processi di guarigione dei tessuti circostanti, che causano la formazione di una membrana (detta piogena) che rende difficile anche il trattamento con antibiotico. Gli ascessi si possono fistolizzare.
  • infiammazioni allergiche: ipersensibilità di tipo I mediata dalle IgE e dalle mastcells (che producono istamina).
  • infiammazioni emorragiche: sono le più gravi, perché l’essudato emorragico è indice di danno massivo al microcircolo. Patologie da infiammazione emorragica sono il vaiolo, il carbonchio e le glomerulonefriti.
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13
Q

Fasi dell’infezione acuta

A
  1. Fase essudativa, è quella che determina risposta vascolare e migrazione leucocitaria
  2. Fase terminale, che può procedere per tre vie:
    - guarigione, processo per l’eradicazione del patogeno
    - suppurazione, formazione di pus (rallenta la guarigione) che poi verrà eliminato insieme all’agente patogeno per permettere la guarigione
    - cronicizzazione, quindi passaggio da infezione acuta a cronica
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14
Q
A
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15
Q

Mediatori chimici endogeni dell’infiammazione acuta

A

Si definisce mediatore chimico endogeno qualsiasi molecola generata in un focolaio infiammatorio che regola la risposta flogistica.

Possono essere divisi in classi:
- cellulari, prodotti dalle cellule infiammatorie (quindi si parla di leucociti, cellule endoteliali e fibroblasti)
- plasmatici, si trovano nell’essudato e derivano dal plasma (non sono quindi prodotti da cellule infiammatorie, ma da epatociti!).

Caratteristiche dei mediatori:
> la maggior parte lega recettori specifici di membrana (istamina, citochine, chemochine), ma alcuni non si legano a recettori (ROS).
> hanno come bersaglio una o più cellule e legandosi a diversi recettori attiveranno diversi meccanismi (ex: TGF-beta che attiva fibroblasti ma disattiva macrofagi).
> hanno emivita molto breve, perché se mantenuti in circolo troppo tempo diventerebbero pericolosi. Esistono molti meccanismi per bloccare questi mediatori: enzimi specifici (istaminasi blocca istamina, chininasi blocca bradichinina), autodisattivazione e autodegradazione, sistemi di cattura (ROS).
> possono essere primari (prodotti subito e agiscono preventivamente per gestire le prime fasi dell’infiammazione) oppure secondari (indotti dai mediatori primari per agire in un secondo momento.)
> possono creare circuiti di amplificazione o inibizione.

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16
Q

Mediatori preformati (+ azione dei singoli)

A

Sono mediatori già presenti e pronti all’uso, rilasciati nel momento in cui ci sia uno stimolo flogogeno.
La cellula responsabile della loro produzione è la mast cellula, ricca di granuli che contengono amine vasoattive, che possono o regolare il processo infiammatorio.
Tra le amine vasoattive si riconoscono l’istamina (presente anche in mastociti, basofili, piastrine) e la serotonina (ha gli stessi effetti dell’istamina, presente anche lei in mastocellule, basofili, piastrine e soprattutto in cellule neuroendocrine dove agisce come neurotrasmettitore). Le amine vasoattive vengono prodotte da una singola decarbossilazione, l’istamina dall’istidina e la serotonina dal triptofano.

ISTAMINA: induce direttamente i due meccanismi base dell’infiammazione:
- vasopermeabilità
- vasodilatazione, soprattutto arteriolare agendo su cellule muscolari lisce degli sfinteri.

Recettori per l’istamina:
> H1, su cellule endoteliali e se si lega l’istamina portano a contrazione e aumento permeabilità
> H2, su cellule muscolari lisce degli sfinteri arteriolari. Hanno effetto contrario agli H1, perché portano a vasodilatazione.
> H3, per contrazione muscoli lisci?? Ipotesi
> H4, per indurre chemiotassi per la risposta immunitaria

Altri ruoli dell’istamina nell’infiammazione:
- contrazione muscolatura liscia bronchiale e intestinale
- broncospasmo da allergie
- prurito, se in concentrazioni non elevate
- dolore, se in concentrazioni elevate
- induzione della chemiotassi, in eosinofili, linfociti e cellule dendritiche per attivare risposta immunitaria (oltre all’infiammatoria).

Nei granuli della mast cellula vi sono molte altre componenti: eparina, proteasi, proteoglicani, condroitin-solfato, citochine (come TNF e IL-4) e vari peptidi antimicrobici. Quindi, quando la mast cellula degranula, rilascia tutte queste sostanze nel sito infiammatorio, per reclutare altre cellule, determinare migrazione delle cellule dendritiche, reclutare leucociti eccetera.

Stimoli per degranulazione della mast cellula
- fisici: calore, traumi, radiazioni, temperature molto basse o alte.
- recettoriali: le mastcellule esprimono i recettori TLR, che legano direttamente il patogeno e determinano NON la degranulazione ma bensì la produzione di citochine, IL-1, leucotreni, chemochine, fattori di crescita. Così si attiva il processo infiammatorio, prima della granulazione delle mast cells! Inoltre le mast cells hanno recettori per le IgE, che portano alla liberazione specifica di istamina.

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Sistema del complemento (+ inibitori del complemento)

A

È un meccanismo messo in atto per il controllo degli enzimi epatici utilizzati come mediatori dell’infiammazione. Questi mediatori, prodotti dagli epatociti in forma inattiva, si trovano nel sangue e vengono attivati per taglio proteolitico solo in un secondo momento, come meccanismo di difesa.

Il complemento rappresenta la strategia dell’immunità innata per uccidere i microrganismi patogeni.
Le 3 vie di attivazione convergono su C3, sul quale agiscono le C3 convertasi. La proteolisi di C3 determinerà la formazione di due frammenti: C3b e C3a. Come nella maggior parte dei casi, il frammento “b” verrà inserito nell’enzima che taglierà il successivo, mentre il frammento “a” viene perso.
Più nello specifico, C3a, C4a e C5a vengono definiti anafilotossine: molecole in grado di stimolare i processi infiammatori inducendo la degranulazione dei mastociti e conseguente rilascio di istamina, vasodilatazione e aumento della vasopermeabilità. C5a, inoltre, insieme a LTB4 è un potente reclutatore dei neutrofili e dei monociti, mentre il frammento di C3b, C3bi svolge anche la funzione di opsonina
Terminata la cascata di attivazione, il complemento può riconoscere il microorganismo patogeno o parti di esso e attuare l’ultima fase, ossia quella di uccisione grazie a C5b. Viene assemblato il MAC (Complesso di Attacco alla Membrana) che causa la formazione di pori sulla superficie cellulare del patogeno.

Il complemento, così come gli altri sistemi plasmatici, deve essere attivo solo dove necessario. Infatti, presenta specifici inibitori, in particolare proteine, che possono essere plasmatiche, se bloccano la diffusione dei frammenti nel plasma evitando effetti a distanza, oppure cellulari, se si depositano sulla superficie delle cellule che non devono essere attaccate dal complemento. Tra questi abbiamo:
• Inibitore di C1: C1 è il primo fattore sia della via classica che della via lectinica di attivazione del complemento. È sia plasmatico che cellulare
• Fattore di accelerazione del decadimento (DAF): agisce bloccano la C3 convertasi e la via comune. È un fattore cellulare
• CD59: impedisce la formazione del MAC. È un fattore cellulare
• Fattore H plasmatico: inibisce la formazione del complemento in circolo. È un fattore plasmatico

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Sistema delle chinine

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Classi di mediatori dell’infiammazione acuta

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Prostaglandine

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Leucotreni

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Lipossine

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Farmaci antinfiammatori

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Intermedi dell’azoto
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Neuropeptidi
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Citochine
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Chemochine
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Sistema delle chinine
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Sistema della coagulazione del sangue
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Sistema fibrinolitico
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Reazione di fase acuta + in generale le risposte di reazione di fase acuta
Nel caso il processo infiammatorio non dovesse essere lieve (quindi nel caso non guarisse senza interventi farmaceutici) ma dovesse essere intenso, si manifesta una risposta generalizzata dell’organismo che prende il nome di reazione di fase acuta, intesa come malessere generale che si percepisce in caso di processo infiammatorio. La reazione di fase acuta è più precisamente definita come “la reazione di difesa generalizzata dell’organismo, che coinvolge più organi e molte funzioni e non è altro che un assestamento omeostatico”. La manifestazione di questa reazione dipende da quanti mediatori vengono prodotti: se è minima e rimane localizzata (classica attivazione di IL-1 in IL-1beta, TNF-alfa e altri) si ha semplice risposta locale, mentre se i mediatori prodotti e messi in circolo è drasticamente più alta si parla di reazioni di fase acuta. Queste implicano diversi organi: - a livello ipotalamico si attivano i centri di controllo della temperatura corporea con la comparsa del segno clinico della febbre - a livello epatico si producono le cosiddette proteine di fase acuta PFA, che determinano i sintomi di malessere generali rilevati dal pz. (NB: in casi estremi si parla di sindromi infiammatorie associate ad altre patogenesi, che arrivano fino allo shock settico e al DIC). Risposte di reazione di fase acuta - risposte endocrine e metaboliche: il fegato contribuisce con la produzione di proteine di fase acuta che vanno a modificare la viscosità del sangue, interessando anche l’asse ipofisi-surrene attraverso la produzione di glucocorticoidi - risposte del sistema nervoso autonomo: viene stimolata la tachicardia (catecolammine) che aumenta la pressione sanguigna con riduzione della sudorazione e aumento della temperatura corporea, con comparsa di febbre. - risposte comportamentali: in parte legate a risposte del SNA (brividi, sonnolenza, inappetenza, dolore diffuso, malessere generale) che fanno parte della gravità di risposta al processo infiammatorio. - leucocitosi: aumento del numero di cellule (leucociti nello specifico), che può variare in base alla gravità del processo infiammatorio. - aumento della velocità di eritrosedimentazione (VES): dipende dla cambiamento di viscosità stimolato da mediatori che diminuisce la VES. Tuttavia il fibrinogeno si lega a masse di eritrociti aumentandone la VES.
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Risposte a reazioni di fase acuta: risposta metabolica
Nella risposta metabolica, il fegato si occupa di produrre proteine specifiche: se stimolati dalla presenza di interleuchine IL-1, IL-6 e TNF-alfa, gli epatociti si riprogrammano bloccando la sintesi classica dei geni per funzioni epatiche per attivare la produzione specifica di proteine di fase acuta PFA. Tra le PFA più importanti è bene ricordare il fibrinogeno (x aumento VES), l’orosomucoide (modula risposta immunitaria, bloccando l’attività dei neutrofili e stimolando macrofagi alla fagocitosi di corpi apoptotici, regola vasopermeabilità), la proteina legante il mannosio, l’aptoglobina (trasporto eritrociti), i fattori complementari C3/C4/C6, la trombopoietina (se processo infiammatorio cronico con rischio trombotico). La classificazione delle PFA le divide in positive (i cui livelli aumentano nel focolaio e in circolo) e in negative (i cui livelli si riducono). Le positive si distinguono a loro volta per i livelli di aumento: - aumentano del 50%: non si parla di un incremento elevato ma è più costante, quindi l’aumento della proteina in fase acuta è riproducibile ( ex: ceruloplasmina) - aumento di 3/4 volte rispetto alle concentrazioni basali (ex: fibrinogeno e aptoglobina) - aumento tra le 100 e le 10mila volte: riguarda soprattutto le pentrassine (funzione opsonizzante + struttura pentagonale) tra cui le più importanti la PCR (attiva macrofagi e il sistema del complemento), la proteina sierica dell’amiloride A “SAA” (è anche chemotattica e va ad aumentare l’adesione da parte delle cellule endoteliali, quindi funzioni correlate al processo infiammatorio) e la proteina sierica P dell’amiloride “SAP” (aumenta tantissimo e, se l’infiammazione è prolungata, può dare origine a un’amiloidosi secondaria). Le negative (imp. l’albumina, la transferrina e la transtiretina) si riducono per diverse cause, tra cui - vasopermeabilità: riduzione per perdita attraverso vasopermeabilità (se c’è formazione di essudato, l’albumina è la prima a fuoriuscire) - riduzione sintesi epatica: per favorire la necessità di produrre delle proteine di fase acuta positive!
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Risposte a reazioni di fase acuta: risposte del sistema nervoso autonomo
Febbre (iperpiressia): meccanismo di difesa È stato infatti dimostrato che i batteri replicano molto di meno a temperature elevate, aggiungendo anche il fatto che la risposta infiammatoria è molto più efficace a temperature più alte (ex: la NADPH-ossidasi è più attiva sopra i 37°C). Le molecole coinvolte nella febbre sono i pirogeni endogeni, presenti nelle infiammazioni asettiche. I primi endogeni individuati sono IL-1 e TNF-alfa, successivamente sono stati scoperti anche IL-6 e la prostaglandina PGE2 (è l’unica molecola essenziale per avere la febbre: senza di questa la temperatura corporea non si alzerebbe). PGE2 è prodotta localmente grazie alla cicloossigenasi COX che attiva la cascata dell’acido arachidonico, ma si è scoperto che la produzione massiva di PGE2 è a carico delle Cellule del Kupffer epatiche: queste sono macrofagi con recettori per le citochine che producono acido arachidonico. È questa componente massiva, più della PGE2 prodotta localmente, che viene messa in circolo per raggiungere l’ipotalamo per attivare la febbre. Patogenesi della febbre Nella prima fase si attivano la PGE2 e le citochine nel sito infiammatorio che, insieme alle PGE2 prodotte dalle cellule del Kupffer, raggiungono l’ipotalamo anteriore (NB: anche a livello ipotalamico vengono prodotte altre PGE2, da parte delle cellule endoteliali che vengono stimolate dalle IL1 e 6). Le PGE2 raggiungono l’area preottica dell’ipotalamo, centro di controllo della temperatura. Questa area, se alle afferenze riceve stimoli pirogeni (come le PGE2), manda efferenze di risposta per stimolare la febbre: queste comprendono i brividi (termogenesi con brivido), tachicardia, effetti vasomotori (per ridurre la dispersione di calore, ovvero la termogenesi non regolata) e termogenesi del grasso bruno (termogenesi senza brivido). Tutto questo sistema viene ulteriormente amplificato grazie all’asse ipofisi-ipotalamo-surrene: viene prodotto ACTH che stimola il surrene a produrre ormoni steroidei per stimolare il fegato a produrre altre PFA e per inibire la risposta antinfiammatoria localizzata.
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Risposte a reazioni di fase acuta: la leucocitosi
È un meccanismo che prevede aumento del numero dei leucociti, che può essere di - neutrofili: se processo infiammatorio acuto - eosinofili: se allergia o infestazione (microrganismi che li attivano chemotatticamente) - linfociti o linfo-monociti: se infezioni virali (reazioni dette leucemoidi se numeri di linfociti estremamente aumentati). In generale, il numero di leucociti aumenta perché viene subito messo in circolo il cosiddetto pool di riserva. Se l’infezione si protrae nel tempo, allora, vengono attivati fattori di crescita specifici (come il CSF) che vanno ad attivare la proliferazione dei precursori a livello midollare.
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Risposte a reazioni di fase acuta: aumento della VES
L’aumento della velocità di eritrosedimentazione, che va da 4 mm/h a 20 mm/h, è data dalla presenza dei roleaux (eritrociti associati a fibrinogeno legato sulla membrana che sedimentano molto frequentemente.