IBD Flashcards
Epidemiologia delle IBD
La prevalenza di queste malattie è estremamente elevata nei paesi occidentali, ad elevato benessere
economico: in questi paesi, fra cui rientrano quelli europei, queste malattie sono sicuramente più presenti. In
Europa l’incidenza è di 4-15 pazienti ogni 100˙000 abitanti all’anno, con un’incidenza che è rimasta stabile
negli ultimi 25 anni. L’esordio clinico in genere è fra i 20 e i 40 anni. C’è una tendenza alla familiarità.
Patogenesi IBD: meccanismi patologici
Tutto nasce da un agente, probabilmente batterico
o virale o dietetico, che slatentizza in individui geneticamente
predisposti uno stato di ipersensibilità intestinale che sfocia, alla
fine, in una reattività abnorme del sistema immune contro
l’epitelio intestinale. Questa triade ricorda sicuramente il morbo
celiaco: c’è una componente genetica e ci sono fattori
ambientali, ma a differenza della celiachia, in cui conosciamo
l’antigene luminale che scatena il meccanismo, cioè il glutine, in
questo caso non abbiamo ancora in mano questo ipotetico
agente.
Nella slide è schematizzato l’evento patogenetico: questo agente ipotetico sfrutta una permeabilità intestinale
alterata e giunge in contatto con l’immunità innata e adattativa, nella sottomucosa, scatenando una reazione
citochinica che determina l’infiammazione – e a lungo andare la distruzione – della parete intestinale.
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I fattori ambientali coinvoltisono numerosi: il fumo, lo stress, i farmaci, le infezioni acute, la dieta. Tutti questi
fattori possono produrre anche in una persona normale una colite o un’enterite, che però guarisce; a tutti è
capitato di avere episodi colitici, ma normalmente si guarisce e si torna allo stato pre-infettivo. Nel morbo di
Crohn e nella rettocolite questo non accade: il sistema immunitario, slatentizzato da questo fattore esterno,
rimane persistentemente attivato e determina il danno sintomatico.
Gli eventi sono uguali per tutti: qualcosa a livello luminale suscita una risposta immune, che nella persona
normale torna indietro, determinando uno stato di immunotolleranza, mentre nel caso del morbo di Crohn e
nella rettocolite questa tolleranza viene persa. Da un’infiammazione fisiologica, che è tipica dell’individuo
normale, si passa a un’infiammazione patologica persistente.
Patogenesi IBD: fattori protettivi e non protettivi
Il fumo, ad
esempio, ha un’azione protettiva per la rettocolite:
spesso i pazienti con rettocolite hanno un esordio
sintomatico dopo la cessazione del fumo; ha
invece un’azione deprimente sul morbo di Crohn.
L’appendicectomia sembra essere un fattore
protettivo per la rettocolite, mentre non lo è per il
morbo di Crohn. L’estrema igienizzazione, cioè
l’attenzione compulsiva all’igiene, non ha un buon
effetto nel paziente con Crohn, mentre è irrilevante
per la rettocolite.
Patogenesi: tipi di fattori e cellule coinvolte
Gli effettori della risposta immunitaria non sono solo tipici del sistema immunitario; anche cellule non immuni
come le cellule dendritiche, epiteliali e nervose hanno un’azione dinamica, contribuendo a scatenare la
reazione citochinica.
Oltre ai fattori ambientali è importante anche la predisposizione genetica: ne siamo certi perché c’è una
familiarità documentata. Probabilmente si tratta di una predisposizione genetica poligenica. In particolare,
sono stati identificati dei geni sui cromosomi 12, 6 e 5. La NOD-2 (cromosoma 16) è un locus genico le cui
mutazioni determinano la predisposizione allo sviluppo di IBD.
Ma qual è l’agente che scatena il tutto? In quarant’anni di storia non siamo riusciti a identificarlo,
probabilmente perché la flora intestinale è talmente variegata ed eterogenea che determinare quale sia l’agente
che slatentizza le IBD è difficile. È comunque indubbio che batteri o virus siano responsabili: si tenga presente,
come già accennato in altre lezioni, che il microbiota intestinale è fondamentale per il benessere dell’intestino,
poiché determina quella che possiamo definire “infiammazione fisiologica”, che ha un’azione trofica; nel caso
del morbo di Crohn e della colite ulcerosa quest’azione, invece, è malefica.
Nella reazione immune è coinvolto innanzitutto il sistema immunitario innato, che è già presente
nell’intestino e rappresenta la prima linea di difesa contro le infezioni. Come già detto partecipano anche altri
tipi di cellule: dendritiche, nervose, epiteliali, mesenchimali; anch’esse contribuiscono allo scatenarsi della
cascata citochinica insieme agli effettori principali del sistema immunitario, rappresentato principalmente dai
linfociti T, che sono i principali mediatori del danno.
Le citochine si dividono in proinfiammatorie e antiinfiammatorie. Il bilanciamento tra queste due categorie
determina la gravità della malattia: se prevalgono le citochine proinfiammatorie la malattia persiste, anche in
forma severa, mentre se prevalgono quelle antiinfiammatorie la malattia si spegne, salvo poi riattivarsi a
distanza di tempo. Un dato importante riguardante i linfociti T è che le popolazioni coinvolte sono diverse a
seconda che si tratti di morbo di Crohn o di rettocolite: nella malattia di Crohn sono molto più rappresentati i
Th1, mentre nella colite ulcerosa prevalgono i Th2.
Prove a sostegno della flora batterica come agente causale delle IBD
- Le sedi più colpite dalle IBD sono le sedi intestinali dove la flora batterica è più rappresentata;
- C’è un’immunoreattività tra agenti batterici nei pazienti con IBD;
- Se l’intestino viene messo a riposo con una diversione (cioè una stomia che permette al flusso fecale
di essere deviato direttamente all’esterno e al colon di essere lasciato a riposo), questo ha un effetto
benefico sulla malattia, anche se temporaneo; - In tutti i casi di eventi acuti in corso di IBD la terapia antibiotica e probiotica ha un effetto benefico;
- Non è possibile riprodurre la malattia cronica intestinale in animali germ-free, cioè sterili, privi di
microbiota intestinale.
Sono tutte prove indirette che dimostrano l’importanza fondamentale della flora batterica nell’instaurarsi di
queste malattie. La flora quindi slatentizza l’infiammazione, ma il danno finale è legato all’attivazione
dell’immunità: è il sistema immunitario dell’ospite che, perdendo la tolleranza, effettua il danno epiteliale.
Ruolo dell’apoptosi nelle IBD
Un ruolo patogenetico importante è ricoperto anche dall’apoptosi: come è noto, l’apoptosi è un processo
fisiologico necessario, che scongiura l’insorgenza di cancri. In corso di IBD l’apoptosi è deregolata.
Questa slide riporta un esempio: nella
colonna di sinistra è rappresentata la
mucosa di un soggetto sano, in cui in
risposta agli stimoli dietetici e del
microbiota intestinale si ha
un’attivazione della risposta
immunitaria, che viene
fisiologicamente spenta dall’apoptosi.
Questa situazione è quella che
definiamo infiammazione fisiologica.
Nella colonna centrale è schematizzata
invece la risposta di un paziente affetto
da morbo di Crohn: innanzitutto si ha
una risposta T-mediata molto più
intensa rispetto a quella di un soggetto
sano, ma soprattutto l’apoptosi è inibita; quindi, i cloni cellulari linfocitari permangono e si replicano
indefinitamente, a meno che non subentri qualcosa che spegne quest’attivazione. Nella colonna di destra
vediamo la risposta a un’infezione intestinale: anche in questo caso si ha un’intensa reazione T-linfocitaria
seguita da apoptosi, con spegnimento e controllo dell’infiammazione.
Differenze tra Chrone e RCU
La rettocolite colpisce solo il colon; lo colpisce
in modo continuativo partendo dal retto, senza aree indenni; quindi, per esempio, non esiste una rettocolite
che colpisca sigma e il colon ascendente risparmiando il colon trasverso e il retto. La rettocolite inizia nel retto
e sale: può fermarsi al sigma (in questo caso è detta proctosigmoidite ulcerosa) o può arrivare fino alla valvola
ileocecale (pancolite). La gravità è proporzionale all’estensione della malattia.
Nel morbo di Crohn questo non avviene; è invece tipico l’alternarsi di zone colpite e zone sane; il retto, ad
esempio, può essere totalmente normale. Nel Crohn inoltre può essere coinvolto tutto il tratto digerente,
fino all’esofago (è molto raro, ma può succedere).
L’altra grande differenza riguarda la profondità delle lesioni: nella rettocolite sono superficiali e coinvolgono
solo mucosa e al massimo sottomucosa, mentre nel morbo di Crohn possono
essere a tutto spessore, causando un danno transparietale che arriva fino alla
sierosa. Questo spiega la possibilità di formazione di fistole nel morbo di
Crohn, mentre queste sono sempre assenti nella rettocolite ulcerosa.
Quello mostrato nella foto è un colon dopo colectomia in un paziente con
rettocolite severa: la malattia aveva colpito tutto il colon sinistro e buona parte
del trasverso. Il paziente è stato operato perché non rispondeva alla terapia
antibiotica. Si osserva un aspetto completamente sovvertito della mucosa, ma
solo della mucosa, mentre gli strati più profondi sono risparmiati.
Morbo di Chron: localizzazione e aspetti
Nel morbo di Crohn, come detto, possono essere colpiti tutti i tratti del tubo digerente, ma la zona più colpita
è la zona ileocolica: metà dei pazienti hanno una malattia localizzata nel colon destro e nell’ileo distale; solo
il 33% dei pazienti è colpito esclusivamente nel tenue e meno del 20% è colpito esclusivamente nel colon. Il
morbo di Crohn può presentare vari aspetti:
aspetto stenosante
aspetto francamente infiammato con ulcere confluenti
alternanza di zone colpite e non colpite, anche molto piccole; sono dette skip lesions, che possono
presentarsi anche dopo 10 o 20 cm di mucosa completamente sana.
Morbo di Chron: 3 forme con caratteristiche
Un paziente con morbo di Crohn infiammatorio attivamente infiammato avrà dolore, rigidità parietale,
diarrea, febbricola, perdita di peso.
Nella forma stenosante l’infiammazione a tutto spessore determina l’inspessimento cicatriziale della
parete, creando delle vere e proprie sub-stenosi. In questo caso l’esordio sarà dato da un’occlusione,
con tutti i segni e sintomi che ne derivano: distensione addominale, nausea, vomito e assenza di
canalizzazione di feci e gas.
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Nella forma fistolizzante le fistole possono essere ovunque: possono essere fistole entero-enteriche,
cioè tra ansa e ansa; in questo caso danno pochi sintomi e non causano grossi problemi al paziente.
Ben diversa è la presenza di una fistola entero-vescicale, che causerà infezioni ricorrenti e
pneumaturia, o di una fistola retroperitoneale, in cui la colata infetta può raggiungere i muscoli, in
particolare lo psoas. Esistono poi fistole enterocutanee, che si collegano direttamente alla parete
addominale, e perianali/perineali, che sono le più tipiche e già da sole sono molto suggestive di Crohn
(se associate a diarrea, dolore addominale e febbricola il sospetto di Crohn sfiora il 99%). Le fistole
retto-vaginali daranno problemi infettivi e settici. Le fistole possono causare perforazioni,
solitamente coperte, che se avvengono nel colon destro possono simulare quadri di appendicite: capita
che un paziente venga operato d’urgenza perché si pensa ad un’appendicite con perforazione e
peritonite, ma poi si scopre che in realtà ha il morbo di Crohn.
RCU: localizzazione
La rettocolite può colpire tutto il colon, ma può anche limitarsi alla sola parte sinistra: in questo caso il quadro
clinico sarà sicuramente più lieve
RCU: quadro clinico, segni e sintomi
I sintomi tipici della rettocolite sono soprattutto la diarrea e la rettorragia:
quest’ultima può anche essere l’unico sintomo, in assenza di diarrea; ecco perché quando un paziente lamenta
sangue nelle feci è importante non etichettarlo come emorroidario senza avere una diagnosi di certezza. Nelle
forme estese e gravi possono comparire anche sintomi sistemici: febbre, perdita di peso, astenia. Inoltre, come
in tutte le malattie autoimmuni, si possono avere sintomi extraintestinali, in particolare patologie articolari e
oculari.
La presentazione clinica della rettocolite è tipica: rettorragia, diarrea, dolori addominali, febbre,
manifestazioni extraintestinali articolari, cutanee (eritema nodoso e pioderma gangrenoso), oculari (uveite ed
episclerite) ed epatiche (colangite sclerosante primitiva). Sia la rettocolite che il morbo di Crohn sono associate
a colangite sclerosante primitiva: non tutti i pazienti con IBD presentano anche colangite sclerosante, ma
viceversa quasi un terzo di chi esordisce con la colangite sclerosante primitiva ha una IBD.
RCU: gravità clinica
La gravità clinica della rettocolite ulcerosa si stabilisce con delle classificazioni. Il più usato è l’indice di
Truelove-Witts, che prende in considerazione la frequenza defecatoria, la quantità di sangue nelle feci, la
presenza o assenza di febbre, la tachicardia, la perdita di emoglobina e la funzionalità renale.
RCU: complicanze
Fra le complicanze della rettocolite la più grave è il megacolon, che in genere si manifesta solo in corso di
pancolite: si tratta della distensione del colon destro e trasverso, con perdita delle haustre e segni di sepsi. È
una condizione grave, ma facilmente diagnosticabile, perché anche un addome in bianco (radiografia senza
nessun mezzo di contrasto) consente di vedere il colon pieno d’aria, dilatato fino a 10-12 cm di diametro. È
un’evenienza che va trattata in tempirapidissimi: il paziente con diagnosi di megacolon va mandato al chirurgo
entro poche ore, perché il rischio di perforazione e di peritonite stercoracea è elevatissimo. Si effettua una
colectomia totale. Con il tempo siamo diventati più bravi a diagnosticare e trattare in tempo questa
complicanza: la mortalità negli anni ’70 era spaventosa, mentre adesso non deve più accadere che un paziente
muoia di megacolon tossico, perché significherebbe che non siamo stati attenti. Quando compare un inizio di
dilatazione e si sospetta l’instaurarsi di un megacolon è necessario aumentare la terapia steroidea e antibiotica
in modo molto aggressivo: se non c’è risposta entro 48 ore si manda il paziente in chirurgia; se c’è risposta il
paziente andrà comunque operato prima o poi, perché difficilmente un megacolon regredisce completamente,
ma il rischio di morbidità e mortalità post-operatoria cambia completamente fra una chirurgia d’urgenza e una
di elezione.
RCU: remissione
Nella maggior parte dei casi, fortunatamente, la rettocolite ulcerosa va in remissione; in certi casi c’è solo un
evento acuto e poi per anni non si verificano più recidive. In circa un terzo dei pazienti la malattia assume un
andamento altalenante, con benessere che dura mesi o anni interrotto da una recidiva, poi nuovo periodo di
benessere e recidiva. Solo una piccolissima parte di pazienti non va mai in remissione: quasi sicuramente
questi subiranno, prima o poi, una colectomia.
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Questo studio è datato, ma ancora valido. La percentuale di regressione è del 75%; si deve stare attenti a quel
restante 25% che non va in regressione o che ha un andamento recidivante.
IBD: esami diagnostici
L’algoritmo diagnostico parte dall’anamnesi e dall’esame obiettivo: mai negare un’esplorazione rettale a un
paziente che riporta di aver perso sangue rosso dal retto. A questo punto si fanno esami di laboratorio: dosaggio
dei markers di flogosi, coprocoltura (da fare sempre, per ricercare ad esempio la sovrinfezione da Clostridium
difficile) e dosaggio della calprotectina fecale. La calprotectina
fecale è un marcatore di infiammazione abbastanza sensibile e
specifico, che ovviamente non consente la diagnosi di certezza di
rettocolite, ma se è elevata indica la presenza di una malattia
organica; al contrario nell’IBS (sindrome del colon irritabile) la
calprotectina è sempre nella norma perché si tratta di una forma
funzionale, non organica. La ricerca della calprotectina fecale è un
test semplice, non invasivo, con sensibilità e specificità elevate
nell’adulto; può dare dei falsi positivi perché in caso di
sanguinamento, utilizzo di FANS o di una colite infettiva batterica
in atto la calprotectina aumenta.
Lo step successivo è l’esecuzione di colonscopia con biopsie, possibilmente sempre con ileo-colonscopia,
guardando sempre l’ultima ansa ileale: se è colpita ci indirizza più verso il morbo di Crohn che verso la
rettocolite. L’endoscopista dovrebbe essere in grado di fare diagnosi di IBD già solo sulla base della
morfologia macroscopica: non sempre è facile dire se si tratti di rettocolite o di Crohn, ma almeno dovrebbe
essere possibile distinguere un’IBD da altre coliti.
IBD: score endoscopico
Esiste uno score endoscopico
per valutare l’attività della malattia, diviso in quattro
gradi che vanno da 0 (malattia assente) a 3 (totale
scomparsa delle haustre ed erosioni confluenti che
coinvolgono vari tratti del colon). L’aspetto
microscopico mostra la presenza di infiltrato
infiammatorio, la distorsione delle ghiandole, gli ascessi
criptici (abbastanza suggestivi di rettocolite), l’assenza
di granulomi (che invece sono presenti nel morbo di
Crohn) e l’infiammazione confinata a mucosa e
sottomucosa.
IBD: diagnosi differenziale
La prima diagnosi differenziale da fare è quella tra forme organiche e funzionali (questo concetto vale
sempre, per tutte le malattie). Nella malattia organica, in questo caso l’IBD, c’è sempre un movimento dei
marcatori di flogosi; tendenzialmente si ha anemia, perdita di peso, febbre; nel caso specifico del morbo di
Crohn si ha malattia perianale. Nell’IBS tutti questi criteri sono assenti: per definizione è tutto nella norma.
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale da
altre cause organiche di colite, il problema è
capire quale di queste tante sia presente. La
grande varietà di possibilità può porre dei
problemi diagnostici sia al clinico sia
all’endoscopista. Nell’immagine sono riportate
alcune immagini endoscopiche,
apparentemente ben distinguibili una dall’altra:
il problema è che non sempre sono così
facilmente distinguibili. La colite
pseudomembranosa ha un aspetto così tipico
che difficilmente sfugge, ma ad esempio la
colite attinica o la colite da FANS possono
mimare un’IBD in fase iniziale.
Terapia IBD
Per la terapia delle IBD è disponibile una certa varietà di farmaci. In genere si inizia con gli aminosalicilati,
in particolare la salazopirina, che nelle forme acute va associata ad
antibiotici e probiotici; il farmaco più importante nella fase acuta
resta comunque lo steroide, che va somministrato ad alte dosi e poi
scalato lentamente.
Quando mandiamo il paziente con Crohn al chirurgo? Ovviamente
quando c’è occlusione intestinale, quindi una forma stenosante non
responsiva alla terapia farmacologica, ma anche in tutti i casi di
fistole e ascessi che non guariscono dopo terapia medica o se ci sono
perforazione o sanguinamento incoercibile.
La terapia della rettocolite è sovrapponibile a quella del Crohn. Lo schema terapeutico è una piramide
rovesciata: si inizia con la salazopirina, steroidi e immunodepressori, per poi passare ai farmaci biologici. I
farmaci biologici sono nati come anticorpi monoclonali anti TNF, ma adesso ce ne sono tantissimi, per
esempio anti-integrine. Appartengono tutti alla stessa classe e sono anticorpi diretti verso mediatori
dell’infiammazione. Sono estremamente efficaci: più del 60% dei pazienti risponde al trattamento, anche se
con il tempo quest’efficacia tende a ridursi; dato che escono nuovi farmaci quasi ogni anno è probabile che
cambiando tipo di farmaco il paziente riacquisti la capacità di rispondere. I farmaci biologici sono
particolarmente utili nella forma fistolizzante: in più del 50% dei casi il farmaco riesce a far chiudere la fistola.
IBD: tipi di guarigione
Quando il paziente ha una diagnosi di rettocolite o di
morbo di Crohn si usano due parametri per valutare la risposta alla terapia: la guarigione clinica (il paziente
smette di avere diarrea e rettorragia, gli esami migliorano) e la guarigione endoscopica, valutata tramite
colonscopie; non sempre le due corrispondono. Purtroppo, non sempre è possibile eseguire come si dovrebbe
il follow-up endoscopico perché i pazienti lo tollerano poco. Possono esserci pazienti che clinicamente
migliorano molto, ma che continuano ad avere ulcerazioni anche estese del colon, per cui è buona norma
considerare entrambi i parametri prima di etichettare un paziente come guarito. In ogni caso la guarigione è
sempre intesa come temporanea, perché nessun paziente con IBD può avere la certezza che la malattia non
recidiverà mai più.
IBD: altri esami diagnostici
Dopo la colonscopia può essere utile una TAC addome, soprattutto se siamo davanti a un morbo di Crohn,
perché ci aiuta a escludere localizzazioni più alte e presenza di raccolte o fistole; ci dà un quadro più completo
del tubo digerente. Da quando è entrata nella pratica clinica l’enterorisonanza è questa la metodica preferita,
specialmente per i pazienti giovani, perché permette di evitare l’esposizione ai raggi e dà le stesse informazioni
dell’enteroTAC. L’ecografia patisce il vuoto: tutti gli organi cavi sono difficilmente esplorabili con gli
ultrasuoni, perché l’aria fa da barriera; tuttavia in buone mani l’ecografia può avere un ruolo, perché consente
di seguire nel tempo pazienti con Crohn o di rettocolite e di fare diagnosi di complicanze. Resta però una
metodica molto operatore-dipendente, quindi è necessario un ecografista esperto che sia in grado di valutare
lo spessore delle anse. La videocapsula può avere un ruolo nel morbo di Crohn, non nella rettocolite; consente
di visualizzare il tenue, ma con il caveat della forma stenosante: mai somministrare la videocapsula se si
sospetta un Crohn stenosante, perché il rischio di impatto (cioè che la capsula resti bloccata e non si muova
dall’intestino) è elevato.
Dal punto di vista della sierologia esistono degli autoanticorpi che possono aiutare nella diagnosi
differenziale. Gli ASCA (Anti Saccharomyces cerevisiae Antibodies) sono anticorpi rivolti contro il
Saccharomyces cerevisiae, che è un lievito della birra: hanno una buona sensibilità e un’elevata specificità per
il Crohn. Per la rettocolite può essere utile dosare i p-ANCA (Anti Neutrophil Citoplasmic Antibodies), anche
se non hanno una sensibilità ottimale.
La complicanza tardiva più temibile delle IBD è il carcinoma del colon: per questo motivo anche se la malattia
è in fase di remissione questi pazienti vanno seguiti periodicamente con endoscopie e biopsie ripetute.
Maggiore è la durata della malattia, più aumenta il rischio di sviluppare un cancro al colon