1 Apollo E Dafne Flashcards
Filius huic Veneris “figat tuus omnia, Phoebe¹,
te meus arcus:” ait “quantoque animalia cedunt
cuncta deo tanto minor est tua gloria nostra.”
E a lui disse il figlio di Venere¹: “O Febo, il tuo arco colpisca pure tutto quanto, il mio arco colpirà te; e per quanto tutti gli animali sono inferiori al dio, tanto inferiore è la tua potenza rispetto alla mia.”
Dixit et eliso percussis aere pennis
inpiger¹ umbrosa Parnasi constitit arce
eque sagittifera prompsit duo tela pharetra
diversorum operum: fugat² hoc, facit² illud amorem
Disse e, dopo aver scosso le sue ali nell’aria divina, si fermò sull’ombrosa rocca del Parnaso¹, lui sempre attivo, e dalla faretra sagittifera estrasse due frecce dalle diverse caratteristiche: questa fa fuggire l’amore, quella lo crea
Quod¹ facit², auratum est et cuspide fulget acuta;
quod¹ fugat², obtusum est et habet sub harundine plumbum.
Quella che lo crea è d’oro e risplende accuminata, quella che lo fa fuggire è senza punta e dentro l’asta ha il piombo.
“Nympha, precor, Penei, mane!¹ Non insequor hostis:
nympha, mane! sic agna lupum, sic cerva leonem,
sic aquilam penna fugiunt trepidante columbae²,
hostes quaeque suos: amor est mihi causa sequendi.
O Ninfa figlia di Peneo, ti prego, resta! Non ti inseguo da nemico. Ninfa, rimani! Così l’agnellino fugge il lupo, così la cerva fugge il leone, così le colombe con le ali³ tremanti scappano dall’aquila e ciascuno dai suoi nemici: ma per me è l’amore la causa dell’inseguimento.
Qui tamen insequitur pennis¹ adiutus Amoris,
ocior est requiemque negat tergoque fugacis
inminet et crinem sparsum cervicibus adflat.
Tuttavia colui che insegue, aiutato alle ali d’Amore, è più rapido e non dà tregua e incombe alle spalle di lei che fugge e respira ormai sui suoi capelli sparsi sulla nuca.
Viribus absumptis expalluit illa citaeque
victa labore fugae spectans Peneidas undas
“fer pater” inquit “opem si flumina numen habetis. Qua nimium placui, mutando perde figuram!”
Venutele a mancare le forze lei impallidì e, ormai vinta dalla fatica della rapida fuga, guardando la corrente del fiume Peneo disse: “Padre mio, aiutami, se voi fiumi avete il potere divino! Mutandomi toglimi l’aspetto per cui piacqui troppo!”
Vix prece finita torpor gravis occupat artus:
mollia cinguntur tenui praecordia libro,
in frondem crines, in ramos bracchia crescunt,
pes modo tam velox pigris radicibus haeret,
ora cacumen habet; remanet nitor unus in illa.
Terminata a malapena la preghiera, un torpore si impadronisce degli arti divenuti pesanti; le morbide carni¹ sono cinte da una sottile corteccia; i capelli si allungano in fronde; le braccia in rami; i piedi², poco prima così veloci, si fissano con inerti/pigre/ferme radici; il volto ha una chioma: di lei rimane solo lo splendore.
Hanc quoque Phoebus amat, positaque in stipite dextra
sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus
conplexusque suis ramos, ut membra, lacertis
oscula dat ligno: refugit tamen oscula lignum.
Febo la ama anche così e, appoggiata la mano destra sul tronco, sotto la nuova corteccia sente ancora palpitare il cuore e dopo aver abbracciato con le sue braccia i rami della pianta come se fossero ancora membra dà baci al legno, e tuttavia il legno si ritrae dai baci.