lezione 7 TESTI NORMATIVI COMUNITARI E ITALIANI PER IL LATTE Flashcards

1
Q

1 l’impianto legislativo latte in italia

A

il legislatore si è spesso occupato di latte perché è un prodotto che veicola problemi facilmente. Infatti, essendo di origine animale può veicolare patologie agli animali, può facilmente andare a male, deteriorarsi, non è stabile ed è un nutrimento importante per noi ma anche per i microrganismi. Quindi da un punto di vista igienico sanitario è stato molto osservato. Il decreto del 14/01/97 numero 54 è stato un decreto italiano molto importante per tanti anni, che derivava da una direttiva europea. Dopo un po’ di anni la comunità europea ha cominciato a emettere i regolamenti.
In particolare, il pacchetto igiene, che governa l’igiene delle produzioni alimentari con riferimento specifico ai prodotti di origine animale, sostituisce la precedente direttiva del ’92.
Oggi non abbiamo più tante leggi verticali, cioè che guardano alla filiera, ma abbiamo relativamente poche leggi trasversali, che guardano tutti gli alimenti e che oltretutto non dicono tanto, su quelli che sono i controlli, le attività da fare, ma danno delle indicazioni di massima su come si deve produrre bene.
Esse quindi Invitano tutti gli operatori a utilizzare ES. l’HACCP piuttosto che fare il loro autocontrollo e sapere esattamente che cosa stanno facendo.

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2
Q

2 regolamenti e chiarezza sul nome del latte

A
  • Regolamento CE n. 853/2004 del 29 aprile 2004, specifico per i prodotti di origine animale;
  • Regolamento CE n. 852/2004 del 29 aprile 2004, specifico sull’igiene; (parlano di principi)
  • Regolamento CE n. 2073/2005 del 15 novembre 2005, sui criteri microbiologici (parla di numeri)

Negli anni in Italia sono state emanate diverse leggi e decreti ministeriali che hanno dato delle indicazioni su che cosa noi chiamiamo latte fresco pastorizzato, latte UHT, che controlli dobbiamo fare, quali sono le regole per potere chiamare in un certo modo un certo latte, quindi una serie di decreti diversi che si sono susseguiti nel tempo.
Il più importante è il primo, legge n. 169 del 1989, che ha definito i criteri per la produzione di un latte.
Dopodiché è stata ideata la dicitura di “latte fresco pastorizzato di alta qualità” che è una dicitura solo italiana ideata nel 1991

Per una decina d’anni nessuno in Italia ha prodotto davvero il latte di alta qualità perché aveva dei criteri di biologici abbastanza restrittivi sul latte in ingresso allo stabilimento di produzione. Quindi il latte appena munto doveva avere una carica microbica che per l’epoca era difficile da raggiungere e le aziende facevano fatica a rientrare nei limiti. Oggi invece è facile.
Poi c’è il decreto che ha dato delle indicazioni sui trattamenti termici.
Il D.M. del 2002 che ha permesso di fare il latte microfiltrato; i primi che l’hanno prodotto in Italia era la Parmalat e poi è stata emanata la legge.

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3
Q

3 Qual è il motivo principale per cui negli anni ‘90 non si riusciva a raggiungere quei criteri DI ALTA QUALITà?

A

Perché il decreto numero 54 prevedeva che il latte crudo, che arriva per essere trasformato, non dovesse avere più di 100.000 unità formanti colonie a grammo. il latte è arrivato ad avere 20.000-30.000 unità formanti colonie. Però all’epoca siccome era pochi anni dopo l’entrata in vigore della legge del 97’, facevano fatica a raggiungere i criteri e avevano paura di non riuscire e quindi quasi nessuno lo produceva. Adesso è molto facile

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4
Q

4 durabilità del latte fresco

A

la durabilità del latte fresco in Italia è stabilita per legge mentre in Europa no. Fino al 2004 il latte fresco durava quattro giorni, ma dopo quattro giorni era ancora buonissimo perché nel frattempo il latte crudo era diventato sempre meno ricco di microrganismi, veniva pastorizzato e quindi in frigorifero durava senza problemi. Quindi hanno corretto quella legge e sono passati da quattro giorni a sei giorni più uno.

anche il latte UHT aveva una scadenza, dopo quel giorno non lo potevi più vendere e nemmeno consumare. Ma oggi, sempre in virtù del fatto che il latte che noi portiamo in stabilimento per trasformarlo in un latte UHT o fresco è meno ricco di microrganismi, il latte dura un po’ di più di quella che era la scadenza che era stata data all’origine, che era 3 mesi. Quindi non c’è più la data di scadenza ma il latte UHT ha una data “da consumarsi preferibilmente entro”.

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5
Q

5

A

Il regolamento 853 dà dei requisiti sanitari per la produzione di latte crudo, indicazioni sull’igiene delle aziende di produzione, sull’igiene della mungitura, del trasporto e del personale che lavora con il latte e dice quali sono i criteri per un latte crudo quindi prima che noi lo trattiamo in un’azienda alimentare
Oggi il latte in Europa si produce pochi microrganismi perché vengono controllati e ben gestiti tutti gli allevamenti, le aziende di produzione, il personale, la mungitura e il trasporto.

gli animali sono indenni da brucellosi e tubercolosi oggi ma negli anni ’60-‘70 no; Quelle sono tipiche malattie trasmissibili all’uomo attraverso il latte, e vengono comunque fatti dei controlli, ma fondamentalmente gli animali non sono più soggetti a queste malattie perché vengono continuamente controllati e gestiti.

per il latte crudo sono 100.000 unità formanti colonia per mL e meno di 400.000 cellule somatiche.

Poi la legge fa un’eccezione per i latti di altre specie (pecore, capre…) perché è quasi impossibile riuscire ad ottenere un latte con 100.000 unità, perché sono animali più piccoli che vivono in ambienti meno controllati ; perché non ci sono le mungitrici automatiche che mungono le capre ma vengono ancora munte a mano; perché il trasporto avviene ancora su piccoli automezzi; la produzione non è intensiva di questi animali, sono spesso animali che vivono al pascolo, quindi è più difficile ottenere un latte con una carica microbica bassa in partenza.

Quando c’è un * vuol dire che viene fatta una media che deve essere calcolata in un certo periodo con almeno un certo numero di prelievi. Quindi se il dato è leggermente fuori posto non vuol dire che non vada bene, proprio perché vale la media su almeno due mesi di tempo e con almeno due prelievi al mese, quindi è una media su almeno quattro campioni.
Poi non bisogna avere dentro un latte dei residui di antibiotici e degli antibiotici perché arriva direttamente al consumatore finale e questo non va bene perché se consumiamo antibiotici non avendone bisogno potremmo sviluppare dei germi resistenti agli antibiotici e ci ritroveremo a non sapere come combattere le infezioni batteriche, questo è un motivo. L’altro motivo è la caseificazione o produzione di latti fermentati, cioè se voi avete degli antibiotici non crescono nel latte neanche i microrganismi buoni.

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6
Q

6 REQUISITI DEL LATTE CRUDO UTILIZZATO PER LA PRODUZIONE DEL LATTE ALIMENTARE + pastorizzazione

A

La legge europea ci da solo due indicatori da rispettare: quante sono le unità formanti colonia, quindi la carica batterica massima, e qual è il massimo numero di cellule somatiche. Poi ci sono anche i residui massimi chemio antibiotici
In Italia è definito dei latti che chiamiamo: latte fresco pastorizzato di alta qualità oppure latte, che può essere fresco pastorizzato, pastorizzato, UHT.
Il latte fresco pastorizzato di alta qualità ha una quantità massima di cellule somatiche un po’ inferiore e in più è un latte ricco nutrizionalmente, cioè deve avere almeno il 3,5% di grasso e almeno il 3,2% di proteine, e la sostanza secca magra, che è tutto ciò che sta nel latte tolto il grasso (proteine, lattosio, sali minerali).
Poi non è detto che un latte fresco pastorizzato intero non abbia queste caratteristiche, però se io lo voglio chiamare alta qualità sono obbligata ad avere almeno questi valori.
Per altri tipi di latte ci si riferisce al latte intero, infatti c’è un *.

Per quanto riguarda la legge europea, i il latte lo si deve pastorizzare.
Pastorizzare vuol dire applicare una temperatura elevata per un tempo breve, ma potremmo anche applicare una temperatura più bassa per un tempo più lungo. Possiamo fare qualunque combinazione tempo/temperatura purché abbiamo un effetto di pastorizzazione. L’effetto di pastorizzazione nel latte lo verifichiamo quando la fosfatasi alcalina non è più attiva.

La fosfatasi alcalina è un enzima che si distrugge più o meno nelle stesse condizioni in cui vengono distrutti i patogeni veicolati dal latte e si utilizza la valutazione dell’enzima perché c’è sempre mentre i patogeni no.
Questo vale per tutti i prodotti alimentari, un prodotto pastorizzato è un prodotto in cui il tecnologo interviene per eliminare i microrganismi patogeni.
Poi le condizioni tempo/temperatura con cui si eliminano i microrganismi patogeni possono dipendere da un prodotto all’altro, perché il patogeno d’elezione può essere diverso.

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7
Q

7 sterilizzazione latte

A

Si definisce la sterilizzazione che è quel trattamento che ci dà la possibilità di mantenere il latte anche fuori dal frigorifero.
La sterilizzazione è un trattamento a temperature elevate, non meno di 135°, tempi brevi, pochi secondi, in modo che non vi siano microrganismi vivi o spore capaci di crescere in quel prodotto. Poi viene confezionato in un contenitore asettico e resiste a temperatura ambiente, cioè non va a male.
La prova di stabilità di un latte sterilizzato si fa facendo un’incubazione a 30° del latte per 15 giorni in un contenitore chiuso, oppure per 7 giorni a 55°, e se non si sviluppa nulla vuol dire che il latte è davvero sterilizzato.
Oggi si mettono comunque i campioni di incubazione per fare il controllo, però fondamentalmente i controlli che vengono fatti sulla carica microbica del latte in ingresso.
Si tiene comunque un campione di controllo per la verifica.
La verifica che viene fatta sul latte sterilizzato è l’equivalente della fosfatasi alcalina del latte pastorizzato.

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8
Q

8 minimo trattamento da eseguire sul latte

A

una legge in vigore prima del decreto europeo definisce il minimo trattamento da eseguire per l’inattivazione della fosfatasi alcalina e quindi essere sicuri di aver distrutto i patogeni. Il minimo trattamento è 72° per 15 secondi, quindi questi numeri sono quelli che vi dicono le condizioni minime di pastorizzazione per il latte. Minimi vuol dire che voi potete anche trattare il latte a 74° per 17 secondi, a 80° per 20 secondi, e questo lo si faceva negli anni ’80-‘90 perché il latte era più sporco e si dovevano uccidere più microrganismi.
L’obiettivo della pastorizzazione è distruggere i patogeni ma avete anche una conseguenza positiva, cioè abbassate la carica microbica generica, ragione per cui il latte dura di più.
Se si abbassa il tempo della durata del trattamento aumenta la temperatura, e viceversa, l’importante che ci sia un effetto di pastorizzazione.
Negli anni passati i trattamenti di pastorizzazione, prima di questa legge, erano molto più forti. La tecnologia alimentare però cerca di fare i trattamenti minimi possibili perché oltre a distruggere i microrganismi, distruggono altre molecole termolabili presenti nel latte.
Nel caso del latte il problema principale riguarda la tiamina e vitamine del gruppo B sensibili al calore.
Così vengono distrutti tutti i patogeni e una parte rilevante della flora microbica saprofita, con limitata alterazione delle caratteristiche chimiche, fisiche e sensoriali.
Il latte fresco pastorizzato è quello che viene trattato il meno possibile termicamente, è un latte che mantiene le caratteristiche molto simili al latte crudo dal punto di vista dell’assaggio.

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9
Q

9

A

In Italia ci sono tre diversi prodotti:
* latte pastorizzato;
* latte fresco pastorizzato;
* latte fresco pastorizzato di alta qualità, con qualità igienica migliore e caratteristiche compositive nutrizionalmente interessanti.
La parola “fresco” che viene ripresa nel latte fresco pastorizzato vi significa che è stato fatto un trattamento termico minimo possibile per mantenere le caratteristiche del latte fresco.
Possiamo usare “fresco” perché noi possiamo, con qualche rischio, consumare il latte crudo, ma quando lo chiamiamo pastorizzato fresco è come fosse un latte crudo ma trattato perché si assicura dal punto di vista igienico.
Poi lo possiamo chiamare “pastorizzato”, senza “fresco” fa intuire che il trattamento termico è un po’ più energico.
La legge italiana dice che se hai pastorizzato, la fosfatasi alcalina deve essere negativa e le sieroproteine solubili non denaturate devono essere almeno l’11%. La % di sieroproteine in un latte crudo è di circa il 17% sul totale delle proteine del latte.
Le sieroproteine sono rappresentate con un gomitolo che tramite trattamento termico si aprono e si attaccano alla caseina e dopodiché non sono più solubili. Quando il latte crudo viene trattato termicamente, una parte di sieroproteine si legano alla caseina e più sarà alto il trattamento termico e meno sieroproteine solubili saranno presenti. Se sono inferiori all’11% vuol dire che il trattamento eseguito è una sterilizzazione e non più pastorizzazione
La legge italiana dice che invece nel latte fresco la % di sieroproteine è più alta, 14%, quindi devo denaturare meno sieroproteine. Si deve anche controllare che la perossidasi sia positiva, enzima importante per capire il trattamento termico del latte.
Per quanto riguarda il latte di alta qualità, il contenuto in sieroproteine solubili non denaturate è il 15,5%.
Quindi è considerato un latte migliore dal punto di vista igienico, almeno secondo la legge.
Ma ormai tutto il latte può essere utilizzato come alta qualità oppure fresco in maniera non differenziata.

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10
Q

10 INDICATORE DI DANNO TERMICO

A

Le proteine solubili o insolubili sono un interessante strumento per valutare il danno termico del latte.
Da un punto di vista nutrizionale, gli aminoacidi che c’erano prima, delle proteine una volta digerite, ci sono anche dopo.
Quindi se le sieroproteine sono più interessanti come composizione amminoacidica rispetto alla caseina, quindi hanno un valore biologico maggiore, la “bontà” delle proteine ce l’avete lo stesso anche se vengono denaturate.

Ciò che perde in valore nutritivo il latte non è la presenza di più o meno aminoacidi, perché ce li avete ancora tutti presenti; però il trattamento termico, per esempio, distrugge in parte la tiamina e le vitamine B.
La fosfatasi alcalina deve essere sempre negativa perché è un indicatore di raggiungimento delle temperature che uccidono i microrganismi patogeni.
Mentre la perossidasi deve essere positiva quando il latte viene trattato termicamente ma non troppo, quindi, misura fondamentalmente il numero di giorni in frigorifero; se lo tratto un po’ di più è negativa perché si distrugge. Quindi quando ho un livello di sieroproteine solubili intorno all’11%, anche la perossidasi è distrutta.
la perossidasi è un indicatore di un trattamento termico più intenso, così come la quantità di sieroproteine solubili.

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11
Q

11 livelli di grasso nel latte + data di scadenza

A

Per quanto riguarda il latte pastorizzato si possono avere diversi livelli di grasso e si ottiene l’alta qualità con grasso superiore a 3,5, il parzialmente scremato o scremato; non esiste un latte alta qualità scremato.
Quando invece è un fresco pastorizzato o pastorizzato o pastorizzato a temperatura elevata, si possono avere tutti i livelli di grasso che volete. Normalmente l’azienda produce o il latte intero o il latte scremato, dove si arriva intorno allo 0,3-0,5 di grasso, perché togliere tutto il grasso è complicato dal punto di vista tecnico perché sono i globuli più piccoli che si fa fatica a separare anche con una centrifuga. Invece per il parzialmente scremato la maggior parte dei produttori si aggira intorno a 1,5-1,8.
Nel regolamento europeo non viene messa la data di scadenza, ma un “da consumarsi preferibilmente entro”. Quindi se voi producete un latte in Italia e lo volete vendere in Francia non va messa la data di scadenza.
Se comprate in Italia un latte pastorizzato prodotto in Francia potreste non trovare una data di scadenza. Tutte le aziende italiane che fanno latte che vendono in Italia sono obbligate a mettere la data di scadenza.
In Italia tradizionalmente la conservazione era fissata 4 giorni più 1, adesso la durabilità del latte fresco pastorizzato e latte fresco pastorizzato di alta qualità è 6 giorni più 1, che è il giorno della produzione

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12
Q

12 latti sterilizzati

A

I latti sterilizzati hanno subito un trattamento termico che assicura la distruzione di tutti i microrganismi e quindi viene impedita la loro proliferazione.
Nella legislazione viene scritto che sarebbero possibili anche altri trattamenti autorizzati ma di fatto si fa il trattamento termico.
In vendita voi potete trovare il latte sterilizzato a lunga conservazione e il latte UHT a lunga conservazione. Però di fatto quello che voi acquistate oggi è sempre latte UHT a lunga conservazione. Il latte sterilizzato a lunga conservazione non viene più commercializzato perché è un latte che ha subito un trattamento termico più importante e quindi costa di più produrlo, dura poco di più del latte UHT a lunga conservazione, ha delle caratteristiche sensoriali che sono meno gradevoli perché ricordano di più il latte cotto ed è leggermente anche più scuro.

Il latte sterilizzato a lunga conservazione deve essere trattato termicamente e poi messo in un contenitore chiuso ermeticamente e trattato dentro il contenitore.
Quindi il trattamento termico non è solo su un liquido che fluisce ma anche su questo stesso liquido messo in un contenitore e poi trattato nella bottiglia, questo fa un danno termico molto importante perché il trasferimento di calore in una bottiglia che ha dimensioni importanti è molto lento rispetto al trasferimento di calore in strato sottile, che è quello che succede quando si fa un trattamento termico su un fluido.
Mentre il latte UHT a lunga conservazione subisce un trattamento termico di sterilizzazione in flusso continuo, cioè il latte scorre in un tubo tra due piastre, e mentre scorre in strato sottile viene riscaldato in maniera abbastanza rapida. Poi deve essere confezionato in modo asettico, cioè senza che si inquini, e a quel punto dura a lungo.

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13
Q

13 Prima del 2004 c’era una data di scadenza per i latti trattati, adesso è il produttore che la decide.
Questa cosa che il produttore mette la data di scadenza è molto logica perché?

A

Rispetto a 20 anni fa il livello igienico del latte è estremamente migliore.
Facendo gli stessi trattamenti termici si ottiene un latte che dura di più, o dei trattamenti termici più ridotti e si ottiene un latte meno danneggiato termicamente che dura comunque abbastanza a lungo.
Allora il produttore che sa quali sono le caratteristiche del latte in ingresso: un latte poco ricco di microrganismi o mediamente ricco di microrganismi o al limite della legge come contenuto; sa che trattamenti fare e quindi sa quanto può durare quel latte senza che succedano dei problemi. Se invece è impostato per legge si rischia di dare delle durabilità più corte di quelle che realisticamente si raggiungono.
La gran parte dei prodotti alimentari ha una data che è messa dai produttori.
Questa data normalmente viene scelta dal produttore con una certa cautela perché il produttore ha un grande danno se il consumatore trova un prodotto che non è più buono.
ES: se un produttore produce biscotti e crede che quei biscotti ottenuti con quel processo, durino due anni, decide di dargli 18 mesi di durabilità perché in questo modo lui non correrà mai il rischio di avere il consumatore che prende il biscotto e lo trova umido, non più croccante, non più friabile, che è un danno economico per il consumatore di molto di più che accelerare un minimo la sua catena distributiva o la sua gestione del prodotto.
In più i produttori su queste cose si mettono d’accordo tra loro, cioè fanno degli studi e condividono delle esperienze per avere un ordine di grandezza di dove possono collocarsi perché se non riescono a collocarsi nella durabilità che danno gli altri produttori, qualcosa devono fare perché altrimenti il loro prodotto va subito fuori mercato. Perché se un biscotto che dura 6 mesi rispetto a uno che dura 18 mesi è fuori mercato perché il consumatore attento va a guardare e prende quello che dura 18 mesi. C’è qualche prodotto per il quale il produttore fa un po’ fatica e vorrebbe dare un po’ di più di durabilità e qualche volta rischia e deve tornare indietro. Questi sono i prodotti di quarta gamma, quindi insalate già lavate.

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14
Q

14 DANNO TERMICO NEL LATTE, COSA SUCCEDE E PERCHè NON SI PRODUCE PIù IL LATTE STERILIZZATO A LUNGA CONSERVAZIONE

A

se un latte viene trattato per uccidere tutti i microrganismi e per essere sicuri che dopo 3 mesi sia ancora buono e commestibile, il un trattamento termico è più importante.
La temperatura si alza, ordine di grandezze 140°, i tempi si abbassano perché quando si alza un parametro si abbassa sempre l’altro.
Ma le sieroproteine possono denaturarsi fino al 90%, qui non c’è una legislazione che dice quanto devono essere denaturate. Probabilmente la maggior parte è denaturato intorno al 50%.
Si forma del LATTULOSIO a partire dal lattosio, una molecola che normalmente non sarebbe nel latte, ed è un indicatore di danno termico.
Ci possono essere dei cross-link irreversibili delle proteine, potrebbe ridursi un po’ alla biodisponibilità di qualche aminoacido e c’è una certa reazione di Maillard.

La reazione di Maillard nel latte da origine a un odore, che viene chiamato odore di sterilizzato nel latte UHT, l’imbrunimento se messo a confronto con il latte fresco e si riduce la biodisponibilità della lisina, aminoacido coinvolto nella reazione di Maillard.
Un latte UHT a lunga conservazione può andare incontro dei fenomeni di gelificazione e ad una riduzione del contenuto di acido ascorbico, acido folico, vitamina B6, B1, B12.
In realtà il latte non contiene molto acido ascorbico, ma tutte le vitamine del gruppo B sono interessate dalla denaturazione quando voi scaldate molto il latte.
Addirittura, se viene fatta la sterilizzazione in contenitore ermetico, quindi il latte sterilizzato a lunga conservazione (non più usato) le sieroproteine sono completamente denaturate, si forma più lattulosio, la reazione di Maillard è molto più importante, la biodisponibilità di lisina si riduce di più e tutte le vitamine termolabili si riducono in maniera significativa.
Queste sono le ragioni per cui non si fa più, costa di più, nutrizionalmente vale meno.

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15
Q

15

A

Il fenomeno di gelificazione è la ragione per cui il latte UHT ha una durabilità intorno ai 3-4 mesi.
Non dura di più non a causa dei microrganismi che non ce ne sono
Utilizzando il latte UHT e sciacquando il cartoccio del latte con l’acqua si vede che viene fuori qualche leggero coagulo, pezzettino di latte gelificato. Se si lascia passare più tempo di quello da “consumarsi preferibilmente entro”, questi fenomeni di gelificazione diventano più importanti e non si può più dire che il latte è buono.
Il latte si gelifica perché si formano, dovuti al trattamento termico, dei complessi beta-Lattoglobulina – caseina, lo stesso fenomeno delle sieroproteine che si attaccano alla caseina.
Questi complessi possono essere attaccati da delle proteasi e si formano degli spezzoni di molecola che poi ritendono a reticolare quindi a formare dei piccoli aggregati.
Nel latte crudo ci sono dei microrganismi che vengono eliminati dal trattamento termico, le cellule però rimangono nel latte, non vengono tolte, e nel tempo lisano.
Fuoriescono da queste cellule di microrganismi degli endoenzimi, che stanno all’interno delle cellule, che sono delle proteasi microbiche che si liberano e che vanno a creare il fenomeno di gelificazione, perché con un trattamento a temperatura così alta ma per un tempo così breve, come sono i trattamenti UHT, si eliminano i microrganismi ma non si distruggono tutti gli enzimi che stanno dentro il corpo del microrganismo.

gli endoenzimi sono protetti dalla struttura cellulare , quindi non sono completamente denaturati dopo il trattamento termico.
Questa è la ragione per cui si faceva anche un latte che subiva un trattamento UHT, poi si metteva in bottiglia e si faceva un altro trattamento termico e in quel caso lì con trattamento termico molto più lungo questi fenomeni di gelificazione non c’erano; per cui quel latte durava 6-8 mesi, ma adesso non si produce più.

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16
Q

16 la legge italiana cosa usa come indicatore di danno termico?
COMPOSTO DI AMADORI

A

Veniva usato la quantità di sieroproteine solubili nel latte.
poi si è pensato di utilizzare come indicatore di danno termico un altro composto che si forma a partire dagli intermedi della reazione Maillard, che è la FUROSINA.
Il contenuto di furosina di un prodotto lattiero caseario può dare un’idea dell’intensità del trattamento termico che ha subito quel prodotto.
Per cui la legge dice che in un formaggio fresco a pasta filata (MOZZARELLA) e nel latte crudo e pastorizzato perossidasi positiva (ES latti freschi pastorizzati), il contenuto in furosina non può essere superiore a 8,6 mg su 100 grammi di sostanza proteica.
La furosina si dosa in riferimento alle proteine, perché sono proteine che si trasformano quindi bisogna sapere il punto di partenza.
Quindi analiticamente per fare l’analisi della furosina, prima si deve fare l’analisi delle proteine e poi fare l’analisi della furosina.
La furosina è un indice di danno termico perché a temperature di una certa entità il lattosio reagisce con gli epsilon-amminogruppi della lisina, nella reazione di Maillard, e da origine all’epsilon-fruttosil-lisina, detto anche COMPOSTO DI AMADORI.
Questo composto durante la determinazione della furosina viene trasformato in furosina facendo un’idrolisi con acido cloridrico caldo. Quindi la furosina di per sé non è contenuta negli alimenti; negli alimenti c’è l’intermedio instabile della reazione di Maillard e per poterlo dosare lo devo fermare e si ottiene il composto stabile furosina. Oltre alla furosina si ottengono anche, tramite l’idrolisi del composto di Amadori, la lisina e la piridossina. il ricercatore che ha scoperto questo indicatore lo ha usato successivamente anche su altri alimenti allo scopo di evitare delle truffe es. l fatto che veniva venduto del latte fresco pastorizzato in Italia importandolo per esempio dalla Francia, dalla Germania, e per importarlo dalla Francia e dalla Germania bisognava pastorizzarlo là, trasportarlo e pastorizzarlo di nuovo in Italia. Quindi veniva pastorizzato due volte e non era più latte fresco.

17
Q

17 valori di furosina che devono avere i vari tipi di latte

A

Il contenuto di furosina del latte crudo (3-5 mg),
pastorizzato sta sotto a 8,6, scritto nella legge.
Nel UHT ci sono valori di 50-100 mg.
Il latte sterilizzato in bottiglia ha un danno termico molto più alto.
Il formaggio fresco a pasta filata è circa 5-7 perché nella produzione dei formaggi e pasta filata c’è un momento in cui la cagliata viene riscaldata però se la riscaldo solo in quel momento lì ho questi valori, se invece ho già fatto dei trattamenti al latte importanti mi colloco a valori più elevati.
Per quanto riguarda i formaggi fusi (sottiletta) sono prodotti le cui caratteristiche di consistenza e durabilità si raggiungono a partire da formaggi che vengono fusi per dargli le caratteristiche di consistenza e spalmabilità che hanno i formaggini, oppure per farli fondere bene.
Questi formaggi hanno livelli di furosina alti perché vengono fusi industrialmente a temperature elevate, quindi ha un danno termico elevato.
ll consumatore non li dà più ai bambini non perché sa questa cosa del danno termico, infatti è stata sempre ignorata, ma perché nei formaggini fusi una volta si utilizzavano come sali di fusione dei polifosfati.
I polifosfati molti anni fa sono entrati un po’ all’attenzione del consumatore perché sono complessati del calcio.
Quindi potrebbero sequestrarlo e non essere più disponibile, se assunto o se presente all’interno del formaggio stesso.
C’è stata una lunga campagna contro l’utilizzo dei polifosfati, diffusi anche nei prosciutti cotti o carni cotte, perché aiutano a legare acqua.
Tutti i produttori hanno ormai tolto i polifosfati, non è detto dalla legge, ma lo dice il mercato, sia dai prosciutti cotti che dai formaggini.
Ma i formaggi fusi sono termicamente molto danneggiati.
I latti in polvere hanno un danno termico elevato, perché deve essere tolta tutta l’acqua.

18
Q

18 piano cartesiano sui tempi di trattamento e le temperature

A

Le rette sono le condizioni tempo/temperatura alle quali avviene il fenomeno descritto da quella retta.
Ad esempio, 11% di sieroproteine solubili, tutti i punti che danno origine a questa retta corrispondono a una situazione in cui l’11% di sieroproteine solubili e la restante parte non è più solubile perché si è legata alla caseina.
La pastorizzazione che viene fatta normalmente nel latte è la HTST perché 72°, che è la temperatura minima, fino a circa 76-77°. I tempi vanno da 15 secondi fino a 30-40 secondi. Il quadratino sono le condizioni operative che si utilizzano per pastorizzare il latte.
Ciò che sta sotto questo quadratino come condizioni tempo/temperatura è avvenuto quando voi avete applicato questo trattamento termico, quindi la fosfatasi alcalina è inattivata. Questa è la ragione per cui la fosfatasi è un indicatore di pastorizzazione, perché le condizioni tempo/temperatura che la denaturano sono sempre inferiori a quelle condizioni di pastorizzazione.
Anche per quanto riguarda altri trattamenti di pastorizzazione, come la pastorizzazione flash che usa temperature più elevata per tempi più brevi, oppure la pastorizzazione bassa che usa tempi lunghi e temperature più basse. Però la fosfatasi alcalina è sempre prima di queste condizioni termiche.
Per quanto riguarda la perossidasi, tutte le volte che viene fatto il fresco pastorizzato, è ancora attiva, mentre quando viene fatta una pastorizzazione molto intensa potrebbe non essere attiva.
Si vede anche come nei latti UHT si può formare il lattulosio, che infatti va ad incrociare la zona UHT.
Invece la coagulazione termica della caseina, avviene in condizioni estreme, non avviene quindi in un latte UHT e nemmeno sterilizzato
La retta delle sieroproteine solubili è al 16% e si vede come interessa la zona della pastorizzazione. Se si vuole produrre l’alta qualità bisogna stare alla sinistra della retta (temperature più basse e tempi più brevi), a destra viene prodotto latte pastorizzato non di alta qualità.