Lc (Învierea fiului văduvei din Nain) Flashcards
A cura dei Carmelitani
Riflessione:
• Il vangelo di oggi ci presenta l’episodio della risurrezione del figlio della vedova di Nain. Il contesto letterario del VII capitolo di Luca ci aiuta a capire questo episodio. L’evangelista vuole dimostrare che Gesù apre il cammino, rivelando la novità di Dio che ci viene presentata nell’annuncio della Buona Notizia. E così avvengono la trasformazione e l’apertura: Gesù accoglie la richiesta di uno straniero non giudeo (Lc 7,1-10) e risuscita il figlio di una vedova (Lc 7,11-17). Il modo in cui Gesù rivela il Regno sorprende i fratelli giudei che non erano abituati a tanta apertura. Perfino Giovanni Battista rimane sorpreso ed ordina di chiedere: “E’ lui il Signore o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7,18-30). Gesù denuncia l’incoerenza dei suoi patrizi: “Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!” (Lc 7,31-35). Ed alla fine, l’apertura di Gesù verso le donne (Lc 7,36-50).
- Luca 7,11-12: L’incontro delle due processioni. “Gesù si recò a una città chiamata Nain. E facevano la strada con lui i discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei”. Luca è come un pittore. Con poche parole riesce a pitturare un quadro molto bello sull’incontro delle due processioni: la processione della morte che esce dalla città ed accompagna la vedova che porta il suo figlio unico verso il cimitero; la processione della vita che entra in città ed accompagna Gesù. Le due si incontrano nella piccola piazza accanto alla porta della città di Nain.
- Luca 7,13: La compassione entra in azione. “Vedendola il Signore ne ebbe compassione e le disse: non piangere!” E’ la compassione che spinge Gesù a parlare e ad agire. Compassione significa letteralmente “soffrire con”, assumere il dolore dell’altra persona, identificarsi con lei, sentire con lei il dolore. E’ la compassione che mette in azione in Gesù il potere, il potere della vita sulla morte, il potere creatore.
- Luca 7,14-15: “Giovinetto, dico a te, alzati!” Gesù si avvicina alla bara e dice: “Giovinetto, dico a te, alzati!” Ed il morto si levò a sedere e cominciò a parlare. Ed egli lo diede a sua madre”. A volte, nel momento di un grande dolore causato dalla morte di una persona amata, la gente dice: “Al tempo di Gesù, quando Gesù camminava su questa terra c’era speranza di non perdere una persona amata perché Gesù poteva risuscitarla”. Queste persone considerano l’episodio della risurrezione del figlio della vedova di Naim come un evento del passato che suscita nostalgia ed anche una certa invidia. L’intenzione del vangelo, non è invece quella di suscitare nostalgia o invidia, bensì di aiutarci a sperimentare meglio la presenza viva di Gesù in mezzo a noi. E’ lo stesso Gesù, capace di vincere la morte ed il dolore della morte che continua vivo in mezzo a noi. Lui è con noi oggi e dinanzi ai problemi del dolore che ci abbattono, ci dice: “Dico a te, alzati!”
- Luca 7,16-17: La ripercussione. “Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: “Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo”. La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.” E’ il profeta che fu annunciato da Mosè (Dt 18,15). Il Dio che viene a visitarci è il “Padre degli orfani ed il protettore delle vedove” (Sal 68,6; cf. Giu 9,11).
4) Per un confronto personale
• La compassione spinse Gesù a risuscitare il figlio della vedova. Il dolore degli altri produce in me la stessa compassione? Cosa faccio per aiutare l’altro a vincere il dolore ed a creare una vita nuova?
• Dio visitò il suo popolo. Percepisco le molte visite di Dio nella mia vita e nella vita della gente?
Ermes Ronchi
Il Signore della compassione
Una donna, una bara, un corteo. Sono gli ingredienti di base del racconto di Nain che mette in scena la normalità della tragedia in cui si recita il dolore più grande del mondo. Quel buco nero che inghiotte la vita di una madre, di un padre privati di ciò che è più importante della loro stessa vita. Quel freddo improvviso e spaventoso che ti stringe la gola e sai che d’ora in poi niente sarà più come prima.
Quella donna era vedova, aveva solo quel figlio, che per lei era tutto. Due vite precipitate dentro una sola bara. Quante storie così anche oggi, quante famiglie dove la morte è di casa. Perché questo accanirsi, questa dismisura del male su spalle fragili? Il Vangelo non dà risposte, mostra solo Gesù che piange insieme alla donna, e sono due madri che piangono, sono due vedove. Gesù non sfiora il dolore, penetra dentro il suo abisso insieme a lei. Entra in città da forestiero e si rivela prossimo: chi è il prossimo? Gli avevano chiesto. Chi si avvicina al dolore altrui, se lo carica sulle spalle, cerca di consolarlo, alleviarlo, guarirlo se possibile. Il Vangelo dice che Gesù fu preso da grande compassione per lei. La prima risposta del Signore è di provare dolore per il dolore della donna. Vede il pianto e si commuove, non prosegue ma si ferma, e dice dolcemente: donna, non piangere. Ma non si accontenta di asciugare lacrime. Gesù consola liberando. Si avvicina a una persona che, forse, in cuor suo sta maledicendo Dio: «Perché a me, perché a me? Cosa ho fatto?» Nessun segnale ci dice che quella donna fosse credente più fervida di altri. Nessuno. Ciò che fa breccia nel cuore di Gesù, il Signore amante della vita, è il suo dolore. Quella donna non prega, ma Dio ascolta il suo gemito, la supplica universale e senza parole di chi non sa più pregare o non ha fede, e si fa vicino, vicino come una madre al suo bambino. Si accosta alla bara, la tocca, parla: Ragazzo dico a te, alzati. Levati, alzati in piedi, sorgi, il verbo usato per la risurrezione. E lo restituì alla madre, restituisce il ragazzo all’abbraccio, all’amore, agli affetti che soli ci rendono vivi, alle relazioni d’amore nelle quali soltanto troviamo la vita.
E tutti glorificavano Dio dicendo: è sorto un profeta grande! Gesù profetizza Dio, il Dio della compassione, che cammina per tutte le Nain del mondo, che si avvicina a chi piange, ne ascolta il gemito. Che piange con noi quando il dolore sembra sfondare il cuore. E ci convoca a operare «miracoli», non quello di trasformare una bara in una culla, come lui a Nain, ma il miracolo di stare accanto a chi soffre, lasciandosi ferire da ogni gemito, dal divino sentimento della compassione.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Paolo Curtaz
Il dolore innocente è l’unica seria obiezione all’esistenza di un Dio buono. Se Dio fosse come molti cattolici lo immaginano, lunatico e impietoso, allora tutto si spiegherebbe. Ma per chi, come noi, crede fino in fondo alla bontà del Dio annunciato da Cristo, diventa difficile spiegare il dolore innocente. E la Bibbia, lo sappiamo bene, si guarda bene dal fornire delle spiegazioni, come a volte, invece, alcuni saputelli cristiani pretendono di fare. Quello che ci resta è un Dio che ha compassione del dolore, come nel caso del vangelo di oggi. La commozione di Gesù di fronte ad una madre vedova che perde il suo figlio unico (osiamo immaginare un dolore più assurdo?) è una debole traccia. La resurrezione del ragazzo ci scuote nel profondo e ci fa sorgere molti dubbi: perché non accade sempre così? Perché troppi genitori continuano a piangere inconsolabili la morte di un figlio? Non ci sono date risposte, ma solo l’indicazione di un Dio compassionevole che non darà spiegazione al dolore, ma lo assumerà e lo porterà con sé sulla croce, fornendo la speranza, debole, ma irremovibile, di un Dio che salva e redime ogni dolore innocente, dandogli una prospettiva diversa.
Paolo Curtaz
Conosco molte persone (gli altri, non voi!) che hanno di Dio un’idea terribile ed inquietante: se lo immaginano una specie di Moloch perfetto e insensibile che dall’alto dei cieli ci guarda accigliato e indifferente e molti, purtroppo, si comportano di conseguenza temendo questo Dio; così, nel caso di una morte o di una disgrazia, la nostra fede viene sbriciolata dal dolore: è Dio che mi ha inviato la sofferenza, forse per mettermi alla prova, chissà. Gesù ci dice, invece, che Dio è compassionevole, soffre insieme a noi quando vede passare il corteo funebre del figlio unico di una vedova di Naim, una situazione che lascia intravedere una scia di dolore inaudito. Gesù prova compassione e dona vita, restituisce dignità. No, non sappiamo quale sia la ragione ultima della morte, sappiamo però che la Scrittura scagiona Dio e professa, ad attenuare le nebbie dei nostri fragili ragionamenti, un Dio che desidera la vita e non la morte. La folla resta attonita e glorifica Dio riconoscendo il quel segno la venuta di un grande profeta. Siamo chiamati, oggi, ad individuare i tanti segni di resurrezione che Dio pone tra le nostre mani, a saper leggere le resurrezioni che vedremo nello sguardo dei nostri fratelli, a compiere gesti di tolleranza, di perdono, di pazienza, caparra della resurrezione, testimonianza del Dio che ama la vita.
Wilma Chasseur
Omelia (09-06-2013)
Wilma Chasseur
“Non piangere”
Oggi assistiamo al più straordinario potere che aveva Gesù: quello di far retrocedere la morte. Nei vangeli l’ha fatto almeno tre volte: con Lazzaro nel vangelo di Giovanni, con la figlia di Giairo e con il figlio della vedova di Nain, nei sinottici.
Nain era una cittadina situata a circa nove km da Nazaret, in prossimità del monte Tabor. Località amena che in aramaico significa “deliziosa”. Gesù qui ridona la vita a un ragazzo che l’aveva persa.
Due cortei
Guardiamo un po’ da vicino la scena. Gesù arriva da Cafarnao e con lui ci sono i discepoli e una grande folla che lo segue: quindi un corteo che avanza verso Nain. Ad un certo punto incontrano un altro corteo con a capo un morto, che avanza verso il cimitero. Quindi due cortei che si incontrano: uno guidato da un morto, l’altro guidato da Colui che è via verità e vita. Il morto è il figlio unico di una madre vedova che piangeva sconsolatamente. Aveva già perso il marito e con lui l’unica fonte di sostentamento; e ora le viene a mancare pure il figlio, unica garanzia di sopravvivenza per il futuro. La donna distrutta dal dolore, forse non si era neppure accorta della presenza di Gesù, ma lui si accorge del suo grande dolore e, preso da compassione, le dice di non piangere più. Ma questo suo dire non è come il nostro: quante volte per rincuorare qualcuno diciamo anche noi “non piangere più”, ma la situazione concreta rimane tale e quale. Ma quando lo dice Gesù, tutto cambia! Lui toglie la causa di quelle lacrime: senza che nessuno glielo chieda si avvicina alla bara, la tocca e dice pochissime parole: “Giovinetto, io ti dico: alzati”. Stupore, incredulità e anche indignazione da parte dei farisei perché così facendo Gesù infrange la legge sulla purità legale che vietava di toccare un morto per non contaminarsi. Toccando la bara, per i farisei, Gesù si rende impuro; ma loro non sanno che Colui che è la purità assoluta, lungi dal contaminarsi, non può che rendere puro tutto ciò che tocca. Rovesciamento totale della situazione: la morte, davanti al Signore della vita, fugge terrorizzata abbandonando la presa. E il fanciullo si mette a sedere. E a parlare come per dire”guardatemi, sono proprio io, lo stesso che un istante fa giaceva muto e immobile nella stretta della morte, ma ora Qualcuno mi ha ridato la vita”.
Cambio di destinazione
Capovolgimento totale: colui che era adagiato in potere della morte, ora si mette a sedere padrone della vita. E il corteo che aveva come unica destinazione il cimitero, fa dietrofront e i portatori ai quali Gesù aveva ordinato di fermarsi, di colpo si trovano disoccupati perché il ragazzo non ha più bisogno di loro: primo perché non va più al cimitero; secondo perché ora può camminare con le sue gambe. Tutti furono presi da grande stupore davanti a questo avvenimento straordinario e lodavano Dio a gran voce. Possiamo immaginare la reazione della povera vedova che ora, non potrà più frenare le lacrime, ma, questa volta, lacrime di gioia e di riconoscenza verso questo gran Signore della vita.
Quale era la molla che faceva fare questi strepitosi miracoli, a Gesù? Era la compassione. Preso da compassione per la donna, nella quale avrà visto anche tutta l’umanità sofferente, Gesù fece uscire dalla bara il ragazzo morto per ridarlo vivo a sua madre.
Cosa vi ha colpito di più in questo grande miracolo? A me ha colpito la grande bontà di Gesù, che, senza nemmeno aspettare che glielo chiedessero, preso da compassione per la povera vedova, ridiede la vita al suo figlioletto. E, se anche tu che leggi, hai qualche motivo per piangere, ascolta bene nel tuo cuore la voce di Gesù che dice anche a te: “ Non piangere, ci sono io con te”.
mons. Vincenzo Paglia
mons. Vincenzo Paglia
Commento su Primo Re 17,17-24; Salmo 29; Galati 1,11-19; Luca 7,11-17
Introduzione
Incontrando il corteo funebre, Gesù, che si trova sul suo tragitto, è commosso dal pianto inconsolabile della madre.
“Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere”. Due parole vere, di consolazione umana, che scaturiscono dal cuore colmo di misericordia dell’Uomo-Dio. Quale fiducia ci deve dare l’amore del Signore! Davanti alla nostra lotta per essere cristiani migliori, nella quale noi commetteremo talvolta degli errori e dei peccati, se questi ci fanno soffrire - come soffriva il cuore di quella madre -, il Signore avrà anche per noi misericordia. Dal canto nostro, dobbiamo imparare a guardarci intorno e ad accogliere le chiamate che Dio ci manda attraverso il nostro prossimo. Non possiamo vivere rinchiusi negli stretti limiti dell’egoismo, voltando le spalle alle situazioni di molte persone che hanno bisogno del nostro aiuto.
Il giovane si alzò, e il suo corpo che era divenuto cadavere sentì che la vita scorreva nuovamente nelle sue vene. Capiterà lo stesso molto spesso nell’apostolato, perché il Signore è sempre disposto a rifare miracoli come quello di Nain: anime che “risusciteranno” alla vita cristiana. Quando Cristo passa tra gli uomini, se lo sappiamo portare con noi, molti occhi vedono di nuovo, molte orecchie ascoltano la parola di Dio e anime morte rinascono a una vita nuova per mezzo del sacramento della penitenza.
Omelia
Oggi assistiamo al più straordinario potere che aveva Gesù: quello di far retrocedere la morte. Nei vangeli l’ha fatto almeno tre volte: con Lazzaro nel vangelo di Giovanni, con la figlia di Giairo e con il figlio della vedova di Nain, nei sinottici.
Nain era una cittadina situata a circa nove km da Nazaret, in prossimità del monte Tabor. Località amena che in aramaico significa “deliziosa”. Gesù qui ridona la vita a un ragazzo che l’aveva persa.
Guardiamo un po’ da vicino la scena. Gesù arriva da Cafarnao e con lui ci sono i discepoli e una grande folla che lo segue: quindi un corteo che avanza verso Nain. Ad un certo punto incontrano un altro corteo con a capo un morto, che avanza verso il cimitero. Quindi due cortei che si incontrano: uno guidato da un morto, l’altro guidato da Colui che è via verità e vita. Il morto è il figlio unico di una madre vedova che piangeva sconsolatamente. Aveva già perso il marito e con lui l’unica fonte di sostentamento; e ora le viene a mancare pure il figlio, unica garanzia di sopravvivenza per il futuro. La donna distrutta dal dolore, forse non si era neppure accorta della presenza di Gesù, ma lui si accorge del suo grande dolore e, preso da compassione, le dice di non piangere più. Ma questo suo dire non è come il nostro: quante volte per rincuorare qualcuno diciamo anche noi “non piangere più”, ma la situazione concreta rimane tale e quale. Ma quando lo dice Gesù, tutto cambia! Lui toglie la causa di quelle lacrime: senza che nessuno glielo chieda si avvicina alla bara, la tocca e dice pochissime parole: “Giovinetto, io ti dico: alzati”. Stupore, incredulità e anche indignazione da parte dei farisei perché così facendo Gesù infrange la legge sulla purità legale che vietava di toccare un morto per non contaminarsi. Toccando la bara, per i farisei, Gesù si rende impuro; ma loro non sanno che Colui che è la purità assoluta, lungi dal contaminarsi, non può che rendere puro tutto ciò che tocca. Rovesciamento totale della situazione: la morte, davanti al Signore della vita, fugge terrorizzata abbandonando la presa. E il fanciullo si mette a sedere. E a parlare come per dire”guardatemi, sono proprio io, lo stesso che un istante fa giaceva muto e immobile nella stretta della morte, ma ora Qualcuno mi ha ridato la vita”.
Capovolgimento totale: colui che era adagiato in potere della morte, ora si mette a sedere padrone della vita. E il corteo che aveva come unica destinazione il cimitero, fa dietrofront e i portatori ai quali Gesù aveva ordinato di fermarsi, di colpo si trovano disoccupati perché il ragazzo non ha più bisogno di loro: primo perché non va più al cimitero; secondo perché ora può camminare con le sue gambe. Tutti furono presi da grande stupore davanti a questo avvenimento straordinario e lodavano Dio a gran voce. Possiamo immaginare la reazione della povera vedova che ora, non potrà più frenare le lacrime, ma, questa volta, lacrime di gioia e di riconoscenza verso questo gran Signore della vita.
Quale era la molla che faceva fare questi strepitosi miracoli, a Gesù? Era la compassione. Preso da compassione per la donna, nella quale avrà visto anche tutta l’umanità sofferente, Gesù fece uscire dalla bara il ragazzo morto per ridarlo vivo a sua madre.
Cosa vi ha colpito di più in questo grande miracolo? A me ha colpito la grande bontà di Gesù, che, senza nemmeno aspettare che glielo chiedessero, preso da compassione per la povera vedova, ridiede la vita al suo figlioletto. E, se anche tu che leggi, hai qualche motivo per piangere, ascolta bene nel tuo cuore la voce di Gesù che dice anche a te: “ Non piangere, ci sono io con te”
Wilma Chasseur