4. struttura atomica Flashcards

1
Q

Stati di aggregazione della materia

A

3+1 stati fisici di aggregazione: solido, liquido, aeriforme, plasma.
A livello macroscopico, gli stati si definiscono attraverso forme e volumi.
A livello microscopico, la differenza risiede nelle interazioni tra le particelle.

Solido
- forma propria, costante e rigida
- volume definito, costante
- particelle interagiscono fortemente fra loro, vibrano nella loro posizione di equilibrio

Liquido
- fluido, forma variabile data dal contenitore
- volume definito, costante
- particelle interagiscono tra loro, ma non sono vincolate a poisizioni specifiche e possono muoversi

Aeriforme
- fluido, forma variabile data dal contenitore
- volume variabile, dato dalle dimensioni del contenitore
- particelle interagiscono debolmente, si muovono rapidamente

Poiché sono stati fisici della materia, sono proprietà della materia a livello macroscopico, che interessano l’insieme dei costituenti elementari e non i costituenti elementari (atomi, molecole, ioni) stessi, i quali non sono né solidi né liquidi né aeriformi.

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2
Q

Teoria atomica di Democrito

A

Il filosofo greco Democrito (V-IV sec. a.C.) fu il primo a formulare una teoria atomica dell’universo, secondo la quale l’universo è costituito da infiniti atomi in infinito vuoto.

Teorizzò dunque che alla base della materia vi sono particelle fondamentali indivisibili estremamente piccole, che chiamò atomi (‘indivisibile’).

Gli atomi di Democrito, sebbene tutti uguali a livello qualitativo, differivano per forma e grandezza, ordine (interazione) e posizione nello spazio.

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3
Q

Teoria atomica di Dalton

A

All’inizio del XIX secolo, nel 1807, il chimico e fisico inglese John Dalton rielaborò la teoria atomica di Democrito, riproponendola.

Dalton si basò sulle tre leggi fondamentali ponderali, la terza delle quali, la legge delle proporzioni multiple, formulò lui stesso.

La teoria atomica di Dalton si esplica in 5 punti principali:
1. gli elementi sono costituiti da particelle estremamente piccole dette atomi
2. gli atomi di un dato elemento sono tutti uguali tra loro per dimensioni, massa e proprietà chimiche; atomi di elementi diversi differiscono tra loro per dimensioni, massa e proprietà chimiche
3. gli atomi sono possono essere creati né distrutti
4. atomi di elementi diversi si combinano tra loro, attraverso reazioni chimiche, in rapporti di numeri interi generalmente piccoli, a formare composti chimici
5. una reazione chimica comporta la combinazione, separazione o riarrangiamento di atomi; non la loro trasformazione in atomi di altri elementi.

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4
Q

Leggi ponderali

A

Le leggi fondamentali ponderali sono 3 leggi della chimica formulate tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, riguardanti le masse delle sostanze che interagiscono chimicamente tra loro.

LEGGE DELLA CONSERVAZIONE DELLA MASSA di Lavoisier
In una reazione chimica la massa si conserva, ovvero la massa dei reagenti è uguale alla massa dei prodotti.

LEGGE DELLE PROPORZIONI DEFINITE di Proust
Le masse degli elementi che formano un composto sono in rapporto definito e costante.

LEGGE DELLE PROPORZIONI MULTIPLE di Dalton
Quando due elementi formano più di un composto, le masse di un elemento che reagiscono con una massa fissata dell’altro a formare composti diversi sono tra loro in rapporti esprimibili con numeri piccoli e interi.

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5
Q

Modelli atomici

A

I modelli atomici non sono ingrandimenti di un atomo, ma rappresentazioni grafiche semplificanti.

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6
Q

Esperimento di J.J. Thomson

A

Alla fine del XIX secolo, nel 1897, Thomson condusse un esperimento con un tubo a raggi catodici che lo portò a scoprire l’esistenza degli elettroni e a calcolare il rapporto carica/massa di un elettrone.

Si servì di un tubo di vetro dotato di un catodo, negativo, e un anodo, positivo, (elettrodi, ovvero conduttori metallici) e riempito di gas molto rarefatto per consentire la visione del raggio catodico.
Caricando ad alto voltaggio gli elettrodi e generando perciò una elevata differenza di potenziale tra loro, osservò un flusso di particelle dal catodo all’anodo.
Aggiungendo ora due piastre metalliche, una positiva e una negativa, in modo da creare un campo elettrico, il fascio di raggi catodici venne deflesso verso la piastra carica positivamente.
Mentre, aggiungendo un campo magnetico, il fascio venne deflesso nella direzione opposta.
Ciò dimostrò che le particelle del fascio sono cariche negativamente, e in seguito furono chiamate elettroni.
Inoltre, bilanciando gli effetti del campo elettrico e del campo magnetico, Thomson calcolò che un elettrone aveva una massa di 1000 volte inferiore a quella di un atomo di idrogeno e che il rapporto carica/massa dell’elettrone è di -1.76*10^8 C/g.

Ripetendo l’esperimento con elettrodi di metalli diversi e gas diversi e notando che si osservavano gli stessi effetti, concluse che gli atomi contengono particelle negative dette elettroni.
Ma, poiché gli atomi non hanno una carica elettrica netta, Thomson dedusse che la carica degli elettroni degli atomi doveva essere bilanciata da una pari e contraria carica positiva.
Ciò lo portò a teorizzare il suo modello atomico a ‘panettone’, con gli elettroni carichi negativamente distribuiti in una sfera uniforme carica positivamente. Nel modello a panettone, la massa è localizzata su tutto l’atomo.

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7
Q

Scoperta dell’elettrone

A

L’esistenza dell’elettrone come particella negativa contenuta negli atomi è dovuta a J.J. Thomson, nel 1897, quando condusse un esperimento con un tubo a raggi catodici.

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8
Q

Modello atomico di Thomson

A

Alla fine del XIX secolo, nel 1897, J.J. Thomson teorizzò il suo modello di un atomo in seguito a un esperimento con un tubo a raggi catodici.

Il primo modello atomico era quello di Dalton, che aveva teorizzato l’atomo come una piccola sfera solida e indivisibile.

Thomson, invece, in seguito alla scoperta dell’elettrone, teorizzò un modello a panettone: immaginò l’atomo come una sfera uniforme carica positivamente in cui erano distribuiti gli elettroni carichi negativamente.
Nel suo modello, come in quello di Dalton, la massa era localizzata su tutto l’atomo.

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9
Q

Esperimento di Millikan

A

All’inizio del XX secolo, nel 1909, Robert Millikan condusse un esperimento per determinare la carica di un elettrone.

L’esperimento avviene in due camere, una soprastante l’altra, con due piastre metalliche poste orizzontalmente che delimitano la camera sottostante.
Goccioline di olio vengono nebulizzate nella camera di sopra e, per effetto della forza di gravità, cadono una a una nella camera sottostante, attraverso il foro posto al centro della prima piastra metallica.
Mentre cadono nella camera di sotto, vengono colpite da un fascio di raggi X che conferisce loro una carica negativa.
Le gocce cariche negativamente continuano a cadere per la forza di gravità. Ma, caricando elettricamente alle piastre, di cui quella posta superiormente assume carica positiva e quella inferiore carica negativa, le goccioline negative vengono respinte dalla piastra negativa posta sul fondo.
Regolando l’intensità del campo elettrico in modo tale che bilanci precisamente la forza di gravità, le goccioline rimangono sospese nella camera.
L’analisi della forza attrattiva del campo elettrico consentì a Millikan di calcolare la carica di un elettrone.
Il valore che egli ricavò non era molto distante da quello oggi accettato di 1.60*10^(-19) C.

La misurazione della carica di un elettrone, insieme al rapporto carica/massa calcolato da Thomson, permise di determinare la massa dell’elettrone: 9.10*10^(-28) g.

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10
Q

Modello atomico di Rutherford

A

All’inizio del XX secolo, nel 1911, Ernest Rutherford interpretò un esperimento condotto per la prima volta da Geiger e Marsden e teorizzò la struttura nucleare dell’atomo adesso accettata.

Nell’esperimento, una sorgente emette un fascio di particelle alfa, particelle radioattive cariche positivamente, che colpisce una sottilissima lamina d’oro posta al centro di uno schermo circolare di materiale fluorescente che, al contatto con le particelle alfa, produce un piccolo lampo di luce.
Rutherford osservò che la maggior parte delle particelle attraversava la lamina con una deflessione minima o addirittura nulla, mentre alcune subivano una certa deflessione e altre venivano perfino respinte.
Rutherford attribuì questo comportamento alla struttura degli atomi di oro: ipotizzò che la carica positiva degli atomi di oro fosse concentrata in uno spazio molto piccolo.
Cioè, ipotizzò che le particelle deflesse e quelle respinte urtassero contro i nuclei degli atomi di oro, mentre le particelle con deflessione nulla o minima passassero attraverso uno spazio vuoto occupato da sole particelle cariche negativamente.
Dimostrò quindi che un atomo è formato da un piccolo nucleo centrale, dove sono concentrati i protoni (in numero costante per ogni elemento) e la massa dell’atomo, e dagli elettroni che occupano lo spazio intorno al nucleo, determinando quasi tutto il volume dell’atomo.

Inoltre, Rutherford calcolò la velocità delle particelle alfa e le dimensioni dell’atomo di oro e del suo nucleo.

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11
Q

Scoperta di Chadwick

A

Da tempo si sapeva che nel nucleo, oltre ai protoni, dovevano esserci altre particelle pesanti che giustificassero la massa di atomo.
Si sapeva, inoltre, che un atomo di H ha 1 protone e un atomo di He ha 2 protoni. Quindi, la massa dell’atomo di He avrebbe dovuto essere doppia, e invece era quadrupla.
Chadwick quindi scoprì che le particelle mancanti del nucleo che contribuivano a determinare la massa dell’atomo sono i neutroni, che non hanno carica elettrica e hanno massa di pochissimo superiore ai protoni.

I neutroni sono presenti nel nucleo degli atomi di tutti gli elementi, eccetto il prozio - isotopo dell’H privo di neutroni.

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12
Q

Perché esiste il nucleo, se è formato da protoni e neutroni? I protoni non si respingono tra di loro? E come fanno i neutroni a rimanere nel nucleo, se non hanno una carica?

A

Se nel nucleo ci fossero solo protoni, questi si respingerebbero gli uni gli altri per azione della forza elettromagnetica repulsiva.
Nel nucleo, però, ci sono anche i neutroni.
Il nucleo esiste grazie alla forza nucleare forte, che tiene insieme protoni e neutroni.

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13
Q

Radiazioni elettromagnetiche

A

Radiazioni (es. luce, raggi X, segnali radio e tv) descritte come onde, ovvero in termini di campi elettrici e magnetici oscillanti nello spazio. Il primo a descriverle in tal modo fu Maxwell nella seconda metà dell’800.

Una radiazione elettromagnetica ha tre parametri fondamentali:
- lunghezza d’onda λ, distanza tra due massimi o due minimi (m o sottomultipli di m)
- frequenza ν, numero di oscillazioni in un secondo (hertz = 1/s, ovvero 1 oscillazione al secondo)
- ampiezza, distanza di un massimo o di un minimo dall’asse delle ascisse.
La lunghezza d’onda e la frequenza sono correlate dalla velocità dell’onda: c = λ · ν.

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14
Q

Come si arrivò alla legge dei quanti?

A

Secondo la fisica classica l’elettrone, attirati dalla carica positiva del nucleo, si dovrebbe annichilire sul nucleo, non potrebbe esistere l’atomo e quindi tantomeno la materia.

In relazione a ciò, le leggi della fisica classica non riuscivano a spiegare 3 fenomeni:
- radiazione del corpo nero
- effetto fotoelettrico
- spettro di emissione e assorbimento.

Gli scienziati si resero conto che le leggi che valevano per il mondo macroscopico non potevano valere per quello microscopico.

Così, dall’equazione di Plank, all’equazione di Einstein e all’equazione di Balmer, si giunse alla teoria della quantizzazione dell’energia, secondo cui un sistema può scambiare energia solo in quantità discrete, ovvero pacchetti di energia detti quanti.

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15
Q

Radiazione del corpo nero

A

La fisica classica prevedeva che, quando un corpo viene riscaldato, l’intensità della radiazione aumentasse all’aumentare della temperatura, ovvero al diminuire della lunghezza d’onda.
Ciò significava che, al diminuire della lunghezza d’onda, l’intensità della radiazione tendeva all’infinito.
Questo però era in contraddizione con i dati sperimentali, secondo cui invece il grafico dell’energia emessa in funzione della lunghezza d’onda aveva un andamento a campana: raggiunge un massimo a una certa lunghezza d’onda e poi degrada.

Nel 1900, Planck propose che l’energia è quantizzata. Ovvero l’energia radiante emessa da un corpo riscaldato può avere solamente quantità discrete di energia che dipendono dalla frequenza della radiazione secondo l’equazione di Planck: E = (n)h𝜈, dove n è un intero positivo e h è la costante di Plank.
h = 6.626∙10^(-34) J∙s
L’unità di misura dell’energia è J.
Questi pacchetti di energia sono detti quanti.

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16
Q

Effetto fotoelettrico

A

Dimostrò che la luce, oltre che proprietà ondulatorie, ha anche proprietà corpuscolari.

L’esperimento prevede l’uso di due elettrodi, ovvero due lastre metalliche cariche elettricamente, e un fascio di luce.
Quando il fascio di luce colpisce il catodo, questo emette elettroni che vengono attratti dall’anodo, costituente una corrente elettrica.
Si pensava che la quantità di elettroni emessa dal catodo dipendesse dall’intensità del fascio di luce.
Invece, si osservò che l’emissione di elettroni dipendeva dalla frequenza, e dunque dalla lunghezza d’onda: vi è una frequenza critica che la luce deve raggiungere per far sì che un elettrone venga emesso. Una volta che questo valore soglia è superato, aumentando l’intensità della luce aumenta il flusso di elettroni.

Nel 1905, Einstein spiegò questo fenomeno unendo l’equazione di Plank a una nuova ipotesi: la luce ha proprietà corpuscolari.
Nel fascio di luce, l’energia non è distribuita in modo uniforme, ma è concentrata in quanti, detti fotoni. Un solo fotone interagisce con un solo elettrone per volta, cedendogli la sua energia, che consente all’elettrone di separarsi dall’atomo. Perché ciò avvenga, è necessario che il fotone abbia energia sufficiente a rompere il legame che tiene l’elettrone legato all’atomo.
La relazione tra la frequenza del fascio di luce e l’energia cinetica degli elettroni emessi è descritta dall’equazione h𝜈 = Ec + Φ, dove Φ è la funzione lavoro, che descrive l’energia minima necessaria a rimuovere un elettrone dalla lastra di metallo e dipende dalla forza del legame degli elettroni nel metallo.

17
Q

Spettro di emissione e assorbimento

A

SPETTRO DI ASSORBIMENTO
Facendo passare un sottile fascio di luce emesso dagli atomi eccitati attraverso un prisma che diffrange il fascio nelle sue componenti in base alla loro lunghezza d’onda, si ottiene lo spettro di emissione della sostanza, composto da poche lunghezze d’onda nella regione del visibile.
Facendo passare un fascio di luce attraverso una nube di gas e poi attraverso il prisma, si ottiene lo spettro di assorbimento del gas.
Gli elettroni del gas assorbono certe lunghezze d’onda del fascio di luce che consentono loro di passare a uno stato eccitato, ovvero di salire di livello energetico. Quindi, lo spettro di assorbimento mostrerà le lunghezze d’onda non assorbite dal gas.

SPETTRO DI EMISSIONE
I sistemi tendono a tornare allo stato fondamentale. Ciò significa che un gas eccitato da una scarica elettrica, per tornare allo stato originario, emette energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche.
Lo spettro che si ottiene è detto spettro di emissione e mostra le lunghezze d’onda corrispondenti ai quanti rilasciati per tornare da uno stato eccitato allo stato fondamentale.

Gli spettri di emissione e di assorbimento sono complementari, ovvero le lunghezze d’onda mostrate dallo spettro di emissione sono quelle mancanti nello spettro di assorbimento.
Questo perché il quantitativo di energia necessario per passare dallo stato fondamentale allo stato eccitato è lo stesso che viene emesso nel tornare allo stato fondamentale, dal momento che i sistemi possono scambiare solo quantitativi discreti di energia.

Ogni gas ha la capacità di assorbire ed emettere determinati fotoni, per cui gli spettri di emissione e di assorbimento sono specifici per ogni atomo.

La lunghezza d’onda dell’emissione si può calcolare con l’equazione di Balmer: 1/λ = R(1/2^2 - 1/n^2), quando n > 2, dove R è la costante di Rydberg.

18
Q

Modello atomico di Bohr

A

All’inizio del XX secolo, Niels Bohr proporre una struttura planetaria per l’atomo di idrogeno, in cui l’elettrone ruota attorno al nucleo in un’orbita circolare.
Secondo la fisica classica, però, l’elettrone in carico negativamente in orbita attorno al nucleo carico positivamente avrebbe dovuto perdere energia, precipitare nel nucleo e annichilirsi e perciò avere uno spettro di emissione continuo.
Quindi, il modello di Bohr si spiega attraverso la quantizzazione dell’energia dell’elettrone nell’atomo, ovvero la teoria secondo cui un elettrone può trovarsi solamente in determinati livelli energetici e può passare tra un livello e l’altro assorbendo o emettendo un determinato quantitativo di energia.

L’energia posseduta da un elettrone che si trova all’n-esimo livello energetico è data da
En = - Rhc/n^2, dove
- En è l’energia dell’elettrone in J/atomo
- R, h e c sono le costanti di Rydberg e di Planck e la velocità della luce
- n è il numero quantico principale che può assumere solo valori interi teoricamente tra 1 e infinito (n = infinito → E = 0, ovvero l’elettrone è a distanza infinita dal nucleo).

Un elettrone nel livello energetico più basso è più vicino al nucleo e possiede energia più negativa.

L’elettrone dell’atomo di idrogeno possiede solo un certo numero di livelli energetici permessi, detti stati stazionari. Il suo stato fondamentale è il livello energetico con n = 1.
Per passare da uno stato stazionario a un altro, l’atomo emette o assorbe un fotone con energia pari alla differenza di energia tra i due livelli energetici: ΔE = Ef – Ei.

Dunque, l’atomo di Bohr spiega la discontinuità dello spettro di un atomo di idrogeno o idrogenoide (con un elettrone solo).
Tuttavia, non spiega gli spettri di atomi più complessi.

19
Q

Dualismo onda-particella

A

Dal momento che l’effetto fotoelettrico dimostrò che la luce esibisce anche proprietà corpuscolari, gli scienziati si domandarono: «È possibile che la materia invece abbia proprietà ondulatorie?»

De Broglie dimostrò che la materia, in particolare gli elettroni, hanno proprietà ondulatorie tramite l’esperimento della doppia fenditura.
Una sorgente emette un fascio di elettroni verso una lastra fotografica, facendolo passare attraverso una barriera con due fenditure parallele.
Si osserva che gli elettroni colpiscono la lastra in punti singoli, mostrando dunque un comportamento corpuscolare, ma aumentando di numero emergono le frange di interferenza tipiche delle radiazioni elettromagnetiche.
Le frange di interferenza sono date dall’alternanza di interferenze costruttive - tra onde in fase - e interferenze distruttive - tra onde in controfase.
Ripetendo l’esperimento con un elettrone singolo, invece che con un fascio di elettroni, appare come se l’elettrone si sdoppiasse, passasse attraverso entrambe le fenditure e interagisse con se stesso come onde.

Nel 1924, de Broglie propose che le particelle si possono comportare come onde. In altre parole, che a un elettrone di massa m che si muove a una velocità v è associata una radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda λ data dall’equazione λ = h / mv.
Questa equazione, dunque, mette in relazione proprietà corpuscolari dell’elettrone - massa e velocità - con una proprietà ondulatoria - la lunghezza d’onda.

Perché λ sia misurabile, mv deve essere sufficientemente piccolo, dato che h è piccolo. Infatti, sebbene la materia in generale esibisca proprietà ondulatorie, queste sono trascurabili nei corpi macroscopici.

Inoltre, de Broglie sostenne che i livelli energetici di un elettrone possono assumere valori interi multipli della lunghezza d’onda.

20
Q

Paradosso del gatto di Schrodinger

A

Paradosso ideato da Schrodinger per illustrare il carattere paradossale della meccanica quantistica.

Finché non si osserva l’elettrone, questo ha comportamento sia corpuscolare sia ondulatorio.
Quando lo si osserva, si induce un cambiamento nel sistema, quindi non si possono osservare entrambe le nature corpuscolare e ondulatoria allo stesso tempo.
Se si prova a calcolare le grandezze fisiche dell’elettrone, accade il collasso della funzione d’onda.

21
Q

Principio di indeterminazione

A

Nel 1927, Heisenberg enunciò il principio di indeterminazione, secondo il quale «non è possibile conoscere simultaneamente la quantità di moto - massa per velocità - e la posizione di una particella».

Le incertezze sulla posizione e sul momento sono correlate con la costante di Planck secondo l’equazione Δx·Δmv ≥ h/4π, dove
- Δx indica l’incertezza sulla posizione → spiega la natura ondulatoria della particella (se non si conosce la posizione, la particella è vista come onda)
- Δmv indica l’incertezza sulla quantità di moto → spiega la natura corpuscolare della particella (conoscendo la posizione, la particella è considerata un corpo fisso)
- h è la costante di Planck.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg, però, mette in discussione la validità del modello atomico di Bohr: se l’elettrone si muovesse in orbite circolari attorno al nucleo, si potrebbero conoscere con certezza la sua posizione nello spazio e la sua velocità.
Perciò, invece che di orbita, si parla di orbitale, ovvero un’area nello spazio che è più probabile che un elettrone con una certa energia occupi.

22
Q

Modello atomico di Schrödinger

A

A partire dall’ipotesi del dualismo onda-particella di de Broglie, Schrödinger sviluppò una teoria del modello atomico detta meccanica ondulatoria.

L’elettrone si comporta da onda stazionaria (onda che non si propaga ma oscilla nella stessa regione di spazio) con una traiettoria non precisa.
Schrödinger elaborò il concetto di funzione d’onda ψ, ovvero complesse funzioni matematiche con variabili le coordinate spaziali nelle tre dimensioni (x, y, z) e il tempo.

La funzione d’onda ψ si calcola tramite l’equazione di Schrödinger, un’equazione differenziale che ha come incognita ψ.

Born interpretò il significato della funzione d’onda ψ come l’ampiezza dell’onda associata all’elettrone, che può avere valore positivo, negativo o nullo in corrispondenza dei nodi.
Inoltre, Born interpretò il quadrato della funzione d’onda come densità di probabilità, ovvero la probabilità di trovare l’elettrone in una certa regione di spazio rapportata al volume. In particolare, la funzione d’onda descrive l’orbitale atomico, ovvero la regione di spazio dove è più probabile che si trovi l’elettrone.
Infatti, come dimostrato da Heisenberg, non è possibile conoscere con certezza la posizione di un elettrone di cui si conosce l’energia.
Poiché è una densità di probabilità, il valore dell’integrale del quadrato della funzione d’onda su tutto lo spazio è 1.

La funzione di distribuzione radiale esprime la probabilità di trovare un elettrone su un’area a una certa distanza r dal nucleo.
È data dal prodotto della densità di probabilità ψ^2 per l’area: P = ψ^2*4πr^2.

La funzione d’onda ψ_(n, l, m)(r, 𝜃, ϕ) = R_(n, l)(r)*Y_(l, m)(𝜃, ϕ) dipende da quattro numeri quantici:
- n, numero quantico principale: individua l’energia e quindi la dimensione dell’orbitale; 1, 2, 3, …
- l, numero quantico del momento angolare: individua la forma dell’orbitale; 0 < l < n-1
- m_l, numero quantico magnetico: individua l’orientazione nello spazio dell’orbitale; -l < m_l < +l
- m_s, spin: individua la direzione di rotazione dell’elettrone, ovvero la direzione del campo magnetico esterno; -1/2, +1/2.

23
Q

Equazione di Schrödinger

A

L’equazione di Schrödinger incorpora le nature corpuscolare e ondulatoria dell’elettrone e permette di calcolare la funzione d’onda ψ e la corrispondente energia.
Infatti, le soluzioni dell’equazione di Schrödinger forniscono i livelli energetici e le funzioni necessarie a descrivere un sistema quantomeccanico.

‘La particella nella scatola’
Immaginando di avere una particella di massa m che si muove in una scatola unidimensionale con due barriere di energia potenziale infinita (per assicurarci che sia nulla la probabilità che la particella si trovi fuori della scatola o alle pareti). All’interno della scatola l’energia potenziale è nulla.
L’equazione di Schrödinger (indipendente dal tempo, ovvero rappresenta gli stati stazionari del sistema) per tale particella è
Eψ = - ħ^2/2m * d^2ψ/dx^2 + Vψ, dove
- E è l’energia
- ħ = h/2π, con h costante di Planck
- V è l’energia potenziale in funzione della posizione x, che all’interno della scatola è nulla.
L’equazione può anche essere scritta come Eψ = Hψ, dove H è l’operatore hamiltoniano che descrive l’energia totale dell’elettrone (energia cinetica + potenziale).
Risolvendo la funzione d’onda in funzione dell’energia tramite l’equazione di Schrödinger, si ottiene
E = (n^2h^2)/(8mL^2), dove L è la dimensione della scatola e n è il numero quantico principale. Queste soluzioni danno i valori dell’energia dei livelli energetici.
Risulta che sono possibili solo certe funzioni d’onda, ovvero solo certi valori di energia → l’energia dell’elettrone nell’atomo è quantizzata.
Schrödinger risolse la sua equazione per i livelli energetici dell’elettrone nell’atomo di idrogeno: E_n = - (m_e
e^4)/(8eps_0^2h^2n^2), dove n è il numero quantico principale.
Poiché n si trova al denominatore, i livelli energetici all’aumentare dell’energia tendono ad appiattirsi.

Assumendo che l’atomo sia sferico, si passa alle coordinate polari r (distanza dal nucleo), 𝜃 (angolo con l’asse verticale) e ϕ (angolo attorno all’asse verticale), per cui le soluzioni dell’equazione di Schrödinger che danno la funzione d’onda per l’elettrone dell’atomo di idrogeno si può scrivere come il prodotto di una funzione radiale (ψ dipende dalla distanza dell’elettrone dal centro) e di una armonica sferica (ψ dipende dagli angoli con gli assi)
ψ_(n, l, m)(r, 𝜃, ϕ) = R_(n, l)(r)*Y_(l, m)(𝜃, ϕ), dove
- R è la parte radiale (funzione d’onda radiale) e descrive la distanza dell’elettrone dal nucleo,
- Y è la parte angolare (armonica sferica) e descrive l’angolo rispetto agli assi.
La funzione d’onda è sfericamente simmetrica.

Born interpretò il significato della funzione d’onda ψ come l’ampiezza dell’onda associata all’elettrone, che può avere valore positivo, negativo o nullo in corrispondenza dei nodi.
Inoltre, Born interpretò il quadrato della funzione d’onda come densità di probabilità, ovvero la probabilità di trovare l’elettrone in una certa regione di spazio rapportata al volume. In particolare, la funzione d’onda descrive l’orbitale atomico, ovvero la regione di spazio dove è più probabile che si trovi l’elettrone.
Infatti, come dimostrato da Heisenberg, non è possibile conoscere con certezza la posizione di un elettrone di cui si conosce l’energia.

24
Q

Numeri quantici

A

La funzione d’onda ψ_(n, l, m)(r, 𝜃, ϕ) = R_(n, l)(r)*Y_(l, m)(𝜃, ϕ) dipende da parametri detti numeri quantici:
- n, numero quantico principale: individua l’energia e quindi la dimensione dell’orbitale; 1, 2, 3, … in realtà fino a 8
- l, numero quantico del momento angolare: individua la forma dell’orbitale; 0 < l < n-1
- m_l, numero quantico magnetico: individua l’orientazione nello spazio dell’orbitale; -l < m_l < +l.
- m_s, numero quantico di spin: individua la direzione di rotazione dell’elettrone, ovvero la direzione del campo magnetico esterno; -1/2, +1/2.

Lo spin elettronico è il moto di rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse.
È una proprietà intrinseca all’elettrone ed è quantizzata, ovvero può assumere solo due valori: -1/2, +1/2.
Il numero quantico di spin m_s descrive la direzione dello spin elettronico:
- se la direzione di rotazione ha lo stesso verso del campo magnetico esterno, m_s = +1/2 (↑)
- se la direzione di rotazione è antiparallela rispetto al campo magnetico esterno, m_s = -1/2 (↓)

25
Q

Guscio

A

Anche detto livello.

Insieme di orbitali con stessa energia, ovvero con uguale numero quantico principale n.

Il numero di sottogusci di un guscio è dato da n.
Il numero di orbitali in un guscio è uguale a n^2.
Il numero massimo di elettroni in un guscio è uguale a 2n^2.

26
Q

Sottoguscio

A

Anche detto sottolivello.

Insieme di orbitali con uguali energia e forma, ovvero lo stesso numero quantico principale n e del momento angolare l.

A ogni sottoguscio corrisponde un tipo di orbitale:
l = 0 → orbitale s (sferico)
l = 1 → orbitale p (bilobato)
l = 2 → orbitale d
l = 3 → orbitale f.

Il numero di orbitali in un sottoguscio dipende da m_l.

27
Q

Orbitale atomico

A

Regione dello spazio dove è più probabile che si trovi l’elettrone.
L’orbitale atomico è descritto dalla funzione d’onda, che dipende da parametri detti numeri quantici.

Ogni orbitale, ovvero terna di valori n, l, m, può contenere al massimo 2 elettroni che differiscono per il quarto numero quantico di spin m_s.

Ogni orbitale ha n-1 nodi.

Gli orbitali hanno energia data da n, forma data da l, orientazione data da m_l.

In base al numero quantico del momento angolare l, si possono avere i seguenti orbitali:
- l = 0 → orbitale s
- sferico
- esiste a partire da n = 1
- 1 orbitale s per ogni livello energetico
- l’orbitale ha raggio proporzionale a n, ovvero all’aumentare di n aumenta l’energia dell’elettrone
- l = 1 → orbitale p
- bilobato
- esiste a partire da n = 2
- 3 orbitali p per ogni livello energetico in base a m_l: uno lungo un asse x, y, z
- l = 2 → orbitale d
- esiste a partire da n = 3
- 5 orbitali d per ogni livello energetico in base a m_l
- l = 3 → orbitale f
- esiste a partire da n = 4
- 7 orbitali f per ogni livello energetico in base a m_l

Il numero quantico l indica anche il numero di piani nodali attraverso il nucleo, ovvero punti nel nucleo in cui la funzione d’onda è nulla.
Maggiore è il numero di nodi nel nucleo, maggiore è l’energia dell’orbitale.

28
Q

Principio dell’Aufbau

A

Dal tedesco ‘costruzione’.
Il principio dell’Aufbau è il principio di costruzione della configurazione elettronica di un atomo, ovvero la procedura di assegnazione degli elettroni ai vari orbitali.
Secondo tale principio, gli elettroni vengono assegnati agli orbitali con energia progressiva, in modo tale che l’energia totale dell’atomo sia la minore possibile e quindi l’atomo sia più stabile.

In che ordine si riempiono gli orbitali?
In ordine crescente del valore di n+l.
A parità di n+l, si riempie prima l’orbitale con n minore.

Principio di esclusione di Pauli
Due elettroni di uno stesso atomo non possono avere la stessa sequenza dei quattro numeri quantici.
Ne consegue che un orbitale può contenere al massimo due elettroni; i due elettroni devono avere spin opposto.

Regola di Hund
Se in un sottolivello sono presenti più orbitali degeneri (uguali energia e forma), la configurazione più stabile è quella con il maggior numero di orbitali occupati. Ovvero, prima si inseriscono gli elettroni con spin parallelo, poi quelli con spin opposto.
Infatti, lo spin parallelo ha energia leggermente inferiore dello spin antiparallelo.

29
Q

Principio di esclusione di Pauli

A

Due elettroni di uno stesso atomo non possono avere la stessa sequenza dei quattro numeri quantici.
Ne consegue che un orbitale può contenere al massimo due elettroni; i due elettroni devono avere spin opposto.

30
Q

Regola di Hund

A

Se in un sottolivello sono presenti più orbitali degeneri (uguali energia e forma), la configurazione più stabile è quella con il maggior numero di orbitali occupati. Ovvero, prima si inseriscono gli elettroni con spin parallelo, poi quelli con spin opposto.
Infatti, lo spin parallelo ha energia leggermente inferiore dello spin antiparallelo.

31
Q

Carica effettiva

A

La carica effettiva Z_eff è la carica nucleare di cui risente effettivamente un elettrone di un atomo polielettronico in seguito alla schermatura.
Infatti, l’elettrone è attratto dalla carica positiva del nucleo ma respinto dagli altri elettroni in un fenomeno detto schermatura.
Dunque, un elettrone risente di una carica effettiva minore della carica nucleare.

Gli orbitali s penetrano nel nucleo, ovvero hanno maggiore densità di probabilità vicino al nucleo. Ciò significa che schermano di più.

L’ordine di penetrazione, e dunque la carica efficace, seguono l’ordine ns > np > nd > nf. La capacità di penetrazione dei sottolivelli segue l’ordine opposto delle energie: ns < np < nd < nf.

32
Q

Configurazione elettronica

A

La configurazione elettronica mostra la distribuzione degli elettroni di un atomo nei vari orbitali atomici.

Nella tavola periodica sono riportate le configurazioni elettroniche degli atomi nel loro stato fondamentale, ovvero tali da minimizzare l’energia dell’atomo.

La configurazione elettronica può essere rappresentata tramite
- notazione a caselle, dove
- ogni casella rappresenta un orbitale
- ogni gruppo di caselle rappresenta un sottolivello
- notazione spdf, dove si indica il livello elettronico (n) seguito dal tipo di orbitale (l) con all’apice il numero di elettroni nel sottoguscio

33
Q

Come varia la configurazione elettronica all’interno della tavola periodica?

A

Gli elettroni che determinano le proprietà chimiche di un elemento sono detti elettroni di valenza e sono quelli più esterni.

Gli elementi di uno stesso gruppo hanno configurazione elettronica dello stesso tipo.

Nei primi tre periodi, sono utilizzati come orbitali di valenza solo gli s e p.
A partire dal quarto periodo è disponibile anche l’orbitale d.

Il blocco corrisponde all’ultimo sottoguscio occupato.

Blocco s → elettroni di valenza in orbitali s
- gruppo I: ns^1
- gruppo II: ns^2

Blocco p → elettroni di valenza in orbitali p
- gruppi III-VIII: ns^2np^x, dove x = 1, 2, …, 6

Blocco d: elementi di transizione
Blocco f: lantanidi e attinidi

Per gli elementi di transizione si riempiono i sottolivelli d e per i lantanidi e attinidi i sottolivelli f.
Gli orbitali (n-1)d si riempiono dopo gli orbitali ns.

34
Q

Configurazione elettronica degli ioni

A

Gli atomi perdono o acquistano elettroni del guscio esterno.

Gli atomi che tendono a formare cationi (metalli) perdono elettroni in modo tale che il catione formatosi abbia la configurazione elettronica del gas nobile precedente.
Ad esempio,
- Na = [Ne] 3s^1 → Na+ = [Ne]
- Ca = [Ar] 4s^2 → Ca(2+) = [Ar]
- Al = [Ne] 3s^2 3p^1 → Al(3+) = [Ne]

I non metalli, che tendono a formare anioni, acquistano elettroni in modo tale che l’anione formatosi abbia la configurazione elettronica del gas nobile successivo.
Ad esempio,
- H = 1s^1 → H- = [He]
- O = [He] 2s^2 2p^4 → O(2-) = [Ne]
- N = [He] 2s^2 2p^3 → N(3-) = [Ne]