PARTE SOCIALE Flashcards
FASCISMO E RELIGIONE: qual è l’obiettivo dell’autore?
Gabriele Rigano approfondisce il rapporto sicuramente non limpido né lineare tra Chiesa cattolica e fascismo, due concezioni a loro modo totalizzanti, concorrenti e alternative, che avevano degli obiettivi specifici, in un periodo che va dagli anni Venti fino ai primi anni Quaranta.
CHIESA CATTOLICA: basata sulla trascendenza e sulla separazione tra Stato e Chiesa, con la sottomissione del primo agli interessi della seconda, intendeva trasformare il fascismo in un regime confessionale e cattolico, utilizzando i patti lateranensi per riconquistare l’egemonia sulla cultura di massa
FASCISMO: fondato su una visione immanente in cui lo Stato inglobava la religione nel proprio sistema di valori, ma subordinandola ai progetti nazionali. La religione che il fascismo cercava doveva accordarsi con il mito romano imperiale e promuovere l’italianità e il regime nel mondo.
Il modello cui si ispira sarà il cattolicesimo romano, un cattolicesimo figlio dell’universalismo imperialista di Roma
SU COS’ERA BASATA LA CHIESA CATTOLICA? E IL FASCISMO?
CHIESA CATTOLICA: basata sulla trascendenza e sulla separazione tra Stato e Chiesa, con la sottomissione del primo agli interessi della seconda, intendeva trasformare il fascismo in un regime confessionale e cattolico, utilizzando i patti lateranensi per riconquistare l’egemonia sulla cultura di massa
FASCISMO: fondato su una visione immanente in cui lo Stato inglobava la religione nel proprio sistema di valori, ma subordinandola ai progetti nazionali. La religione che il fascismo cercava doveva accordarsi con il mito romano imperiale e promuovere l’italianità e il regime nel mondo.
Il modello cui si ispira sarà il cattolicesimo romano, un cattolicesimo figlio dell’universalismo imperialista di Roma
I PATTI LATERANENSI: COS’ERANO?
Degli accordi tra Stato e Chiesa, basati su alcuni comuni idealità (concezione gerarchica della società, autoritarismo, ruralismo, corporativismo, mito della romanità) e alcuni comuni nemici (Illuminismo, massoneria, liberalismo, socialismo) di entrambe le parti.
Erano accordi su cui la Chiesa nutrì grandi speranze, ma le annacquature uscirono subito allo scoperto.
PERCHE’ I RAPPORTI TRA STATO E CHIESA DIVENNERO OSTILI?
1) Mussolini non rispettò davvero i patti lateranensi: i due stipulanti avevano visioni diverse su come interpretarli.
Mussolini continuò a affermare l’assoluta preminenza di stampo giurisdizionalistico dello Stato sulla Chiesa (come risulta dal discorso alla camera del 13 maggio 1929) e alla Chiesa non piacciono alcune caratteristiche del regime, alcune sue progettualità e la direzione in cui si sta muovendo e che rischia di ingabbiarla in un progetto statolatrico e imperialista.
2) Ci furono alcune polemiche negli anni Trenta: una suscitata dalla voce “Fascismo” tratta dal nuovo volume dell’Enciclopedia Treccani in uscita nel 1932; un altro era il problema dell’ORIGINE DEL CRISTIANESIMO E DEL CATTOLICESIMO, che il fascismo contrapponeva severamente: l’uno frutto del genio latino (cattolicesimo), l’altro simbolo di decadenza orientale (cristianesimo)
3) LA SVOLTA ANTISEMITA E RAZZIALE: fu un tentativo di epurare il cristianesimo da elementi altri, di occidentalizzarlo: venne messo in discussione il canone dei libri sacri e rigettato l’Antico Testamento.
Le prime risposte della Chiesa alla svolta antisemita arrivarono: Giuseppe De Libero, sull’Osservatore Romano scriveva che il fascismo aveva pericolosamente confuso razza e romanità e che la Chiesa non poteva continuare a tacere davanti a questa pericolosa scollatura tra ciò che è umano e ciò che è divino.
Ma con Pio XII la controffensiva si attenuò: erano tempi concitati e la Seconda guerra mondiale stava per iniziare.
IL PROBLEMA DELL’ORIGINE DEL CRISTIANESIMO E DEL CATTOLICESIMO
Il fascismo contrapponeva severamente: l’uno frutto del genio latino (cattolicesimo), l’altro simbolo di decadenza orientale (cristianesimo).
Alla base c’era il CULTO DELLA ROMANITA’: Roma, con il suo universalismo imperiale, aveva reso vincente il cristianesimo, altrimenti destinato a rimanere una setta confinata in Palestina come culto primitivo, anarchico, antistatale e disgregatore sublimandolo a universalismo cattolico e mettendolo a servizio della nazione (di Roma).
Il regime sperava che il cattolicesimo tornasse a rivestire quel ruolo universale che aveva avuto sotto Roma, in maniera tale che il ricordo di Roma si saldasse con il mito dell’Italia fascista.
C’E’ STATA UNA SCIENZA DEL REGIME?
Sì.
A partire dal caso peculiare della modernizzazione fascista della meteorologia, Angelo M. Caglioti intende dimostrare come la SCIENZA SIA STATA UN ASPETTO ESSENZIALE DEL PROGETTO TOTALITARIO FASCISTA di rifondazione della società italiana, sebbene dalla storiografia siano sempre state considerate, erroneamente, due entità separate.
- presunta universalità e razionalità della scienza (buona)
- brutalità, immoralità e irrazionalità della dittatura fascista
LA SCIENZA:
a) si rivelò fondamentale tra i miti del fascismo per poter rappresentare l’Italia come povera sì di risorse, ma dall’inventiva straordinaria
b) il razzismo scientifico e l’eugenetica nascondevano la logica scientifica del fascismo: non erano pseudoscienze o scienze fuorviate
c) in un regime totalitario, anche la scienza è politica, e i campi battuti dal regime sono stati la statistica e la medicina
d) il fascismo ha voluto davvero costruire una nazione organica concentrandosi sul suo progetto modernista di trasformazione del mondo inglobando anche le conoscenze e gli obiettivi degli scienziati
e) la scienza fascista emerse dal basso grazie alla competizione all’interno di una comunità scientifica divisa, in cui ogni fazione, per avere successo, doveva affermare di stare lavorando nella direzione voluta dal duce. Un caso fu rappresentato da Bernardo Paoloni.
Anche l’allineamento degli scienziati alla legislazione antisemita va letta in questo processo di compiacimento del regime.
GLI SCIENZIATI FASCISTI/LA COMUNITA’ SCIENTIFICA SOTTO IL FASCISMO
Era una comunità scientifica divisa, in cui ogni fazione, per avere successo, doveva affermare di stare lavorando nella direzione voluta dal duce. Un caso fu rappresentato da Bernardo Paoloni.
Anche l’allineamento degli scienziati alla legislazione antisemita va letta in questo processo di compiacimento del regime.
LA METEOROLOGIA DALL’OTTOCENTO ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Si identificava con la climatologia e comprendeva anche la geofisica.
Nell’età dell’imperialismo, la disciplina veniva considerata utile per la comunicazione, il commercio, i viaggi internazionali, le migrazioni e l’espansione coloniale, e suscitava anche l’interesse popolare.
Non veniva considerata una scienza esatta: era utile per seguire l’andamento delle perturbazioni a fini soprattutto agricoli e commerciali.
In Italia, diverse erano le autorità nello studio dell’atmosfera
1) SOCIETA’ METEOROLOGICA ITALIANA (1881) per volere del padre barnabita Francesco Denza. Bernardo Paoloni tenterà di resuscitarla.
2) UFFICIO CENTRALE DI METEOROLOGIA (1879) presso il Collegio Romano; era un istituto del ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio.
All’inizio del ‘900, il nuovo direttore, Luigi Palazzo, incorporò l’aviazione - il futuro della guerra - tra gli interessi dell’Ufficio centrale. Lui fu infatti tra i fondatori della SOCIETA’ AERONAUTICA ITALIANA (Sai), le cui prime riunioni si svolsero presso lo stesso Ufficio centrale.
Quest’ultima intendeva approfondire il mondo dell’aviazione attraverso il contributo delle scienze (come l’aerologia, la raccolta di dati ad alta quota che vari istituti in Europa iniziarono a scambiarsi, in ottica collaborativa), organizzare esperimenti ad alta quota, diffondere tra il pubblico conoscenze sull’aeronautica e la meteorologia.
Durante la Prima guerra mondiale, ci fu una SEZIONE PRESAGI potenziata da Filippo Eredia, che formava dei meteorologi militari e fornire i bollettini destinati all’esercito.
Sotto il fascismo cadde in declino: diversi furono i gruppi legati al regime che lo smantellarono.
Nel 1931 anche un Comitato per la riorganizzazione dei servizi meteorologici in Italia per scioglierlo. Paoloni si contraddisse e promosse l’idea di trasformarlo in un Istituto di ricerca per la meteorologia agraria e la climatologia (dicendo che la battaglia del grano ne avrebbe beneficiato), sostenendo l’idea di scorporare dall’ex Ufficio centrale tre diversi istituti che si sarebbero occupati di aspetti diversi.
LA METEOROLOGIA DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Cambiò il volto della meteorologia: il libero scambio di dati divenne impossibile nel nuovo contesto competitivo e la meteorologia divenne una disciplina moderna, il cui obiettivo principale era quello di offrire previsioni a breve e lungo termine del futuro, per la guerra chimica e aerea: all’interno dell’Ufficio centrale la SEZIONE PRESAGI, potenziata da Filippo Eredia, formava dei meteorologi militari e forniva i bollettini destinati all’esercito
LA METEOROLOGIA DURANTE IL FASCISMO
IL FUTURO DELLA METEROLOGIA SI LEGO’ ALL’AVIAZIONE.
La meteorologia forniva l’infrastruttura invisibile che rese possibile il mito dell’aviazione come modernità alternativa del fascismo e si specializzò definitivamente nelle previsioni per l’aeronautica: pensiamo solo ai voli transoceanici, come quello verso il Brasile e gli USA di Balbo: la loro organizzazione richiedeva la prevenzione di eventuali capricci meteorologici di cieli sconosciuti.
Fu fondata la Regia Aeronautica e SERVIZIO METEOROLOGICO DELL’AERONAUTICA, che entrò in competizione con la Sezione presagi dell’Ufficio centrale, di cui assorbì le prerogative: iniziò a trasmettere via radio i bollettini meteorologici (i meteoradii).
Eredia ruppe con l’Ufficio centrale.
Italo Balbo, una volta diventato ministro dell’Aeronautica, dedicò grande attenzione al miglioramento del SMA.
CHI ERA BERNARDO PAOLONI?
Era un monaco benedettino editore di una rivista (“La meteorologia pratica”) che raccoglieva argomenti disparati che andavano dalla fisica alla meteorologia agricola e alla climatologia, con un’impronta anche fortemente divulgativa, e che tentò di resuscitare la Società meteorologica italiana.
Vedeva nella meteorologia una grande casa che ospitava branche diverse della disciplina: al suo interno avevano posto, assieme, sia la scienza del clima, che le previsioni del tempo, ma anche una meteorologia utile alla produzione agricola e alla salute pubblica. Contrastava una specializzazione militare della scienza lontana dagli scopi della gente comune e sostenne, inizialmente, il mantenimento di un ufficio meteorologico centralizzato.
Fu alla guida di due iniziative promosse dal CNR, come la creazione nel 1928 del Servizio radioatmosferico italiano e del Servizio meteorico sanitario italiano, per studiare il rapporto tra medicina e meteorologia (una delle conseguenze di questo approccio fu lo studio dell’elioterapia).
Però sosteneva il fascismo: in una targa si leggeva che Mussolini aveva contribuito alla ristrutturazione del suo osservatorio; promosse l’idea di trasformare l’Ufficio centrale in un Istituto di ricerca per la meteorologia agraria e la climatologia (dicendo che la battaglia del grano ne avrebbe beneficiato); quando il ministero dell’Educazione nazionale avviò un censimento di tutti gli ebrei accademici e membri delle istituzioni scientifiche (tra cui Ufficio centrale e Società meteorologica), agì subito, per non perdere l’appoggio del regime alla sua rivista.
LA VITA QUOTIDIANA SOTTO IL REGIME A PARTIRE DAL CASO DEL DISTINTIVO: L’OBIETTIVO DELL’AUTORE
Joshua Arthurs intende effettuare una disamina del tessuto della vita italiana/delle complesse dinamiche quotidiane sotto Mussolini, a partire dal trattamento riservato a un piccolissimo e apparentemente banale oggetto, il distintivo, che però può dirci come le varie strutture fasciste condizionassero la vita della gente comune: come le direttive fasciste condizionavano i comportamenti, le soggettività e le esperienze individuali vissute.
Significa fare una STORIA DELLA VITA QUOTIDIANA mettendo in primo piano:
a) le relazioni di potere non ufficiali incorporate nella prassi quotidiana, perché il potere si trasmette lungo più dimensioni: dall’alto verso il basso (asse verticale) ma anche viceversa (asse verticale bidirezionale) perché le direttive sono accolte, interpretate e modificate dalla comunità
b) gli strumenti semiotici (i segni) che rendono intelligibili le esperienze quotidiane (linguaggi, rituali, spazi e oggetti): ci sono oggetti che, come ordini simbolici, vengono mostrati come su un palcoscenico, codificando regole di comportamento, significati e valori
PERCHE’ ERA IMPORTANTE PER IL FASCISMO IL DISTINTIVO?
Perché il fascismo parlò subito agli italiani sollecitando il senso della vista: attraverso la visibilità dell’abbigliamento
- CAMICIA NERA: era l’uniforme degli eletti, che doveva rappresentare dovere, autorità, gerarchia e disciplina nei propri ranghi
- DISTINTIVO: espressione sartoriale minima che doveva essere applicata dalla gente comune (anche donne e bambini) in contesti ordinari, come riportato dallo Statuto del PNF del 1932
Esso era:
- una manifestazione aperta di inequivocabile fedeltà appuntata sul cuore, quindi aveva una forte tangenza con la dimensione corporea (ingiungere a qualcuno di toglierselo poteva inaugurare una colluttazione fisica);
- tentativo del regime di congiungere materialmente identificazione e consenso;
- strumento di controllo, classificazione e coordinamento burocratici: era il partito che decideva in merito a produzione e distribuzione della varianti;
- strumento di esclusione e di delimitazione dei confini esterni della comunità fascista: i membri del partito sospetti o espulsi, in una sorta di rito di scomunica politica, dovevano riconsegnare il distintivo al segretario locale del PNF, in maniera tale che fossero revocati anche tutti i diritti e i privilegi conferiti dal distintivo, come accadde agli ebrei
IL SUO UTILIZZO VENIVA VIGILATO ATTENTAMENTE dalle autorità, con una regolamentazione ossessiva che rivelava anche timori più sottili: violare il dovere di portarlo era percepito come un attacco ideologico alla fede fascista, e questo accadeva in momenti di particolare crisi politica, ma era chiaro che molti decidevano di appuntarselo alla camicia all’occorrenza, diventando fascisti in un istante (e assumendo diritti e privilegi fascisti). Erano i “fascisti al distintivo” dei profittatori che svuotavano di significato un simbolo supremo.
- molti addirittura venivano spediti al TSDS per controversie scatenate dal distintivo
- il Testo unico della legge di pubblica sicurezza del 1926 includeva delle disposizioni punitive contro chiunque indossasse indebitamente i distintivi (ad esempio, bisognava avere la tessera del partito con sé per conferire valore al distintivo)
- si invitavano i funzionari a punire i trasgressori
a) la comparsa e la scomparsa dei distintivi era anche un barometro del morale popolare: la gente reagiva a determinate congiunture politiche mobilitando il sistema comunicativo dei segni (crisi Matteotti, durante la fallita invasione della Grecia nel 1941, dopo la caduta di Mussolini: in queste occasioni si assistette a una vera e propria iconoclastia. I distintivi fascisti venivano distrutti, coloro che li avevano indossati derisi da quegli antifascisti che ora potevano vendicarsi delle ingiurie subite, molti invece decidevano di tenerselo con fare inorgoglito preferendo diventare il bersaglio di recriminazioni popolari. In fin dei conti, se il fascismo fosse tornato?)
b) tenere conto di queste condotte permette di complicare quella che altrimenti rimarrebbe una visione statica dell’identità sotto il fascismo: nella storiografia c’è stata la tendenza a dividere i “fascisti veri e propri” dagli “antifascisti duri e puri, i ribelli nati” e dalla vasta zona grigia della gente comune, la cui identità pure non era mai fluida ma continuamente soggetta a riformulazioni, nel momento in cui partecipava alle strutture macroscopiche che definivano il rapporto tra partito e società
COS’ERA IL DISTINTIVO?
Era:
- una manifestazione aperta di inequivocabile fedeltà appuntata sul cuore, quindi aveva una forte tangenza con la dimensione corporea (ingiungere a qualcuno di toglierselo poteva inaugurare una colluttazione fisica);
- tentativo del regime di congiungere materialmente identificazione e consenso;
- strumento di controllo, classificazione e coordinamento burocratici: era il partito che decideva in merito a produzione e distribuzione della varianti;
- strumento di esclusione e di delimitazione dei confini esterni della comunità fascista: i membri del partito sospetti o espulsi, in una sorta di rito di scomunica politica, dovevano riconsegnare il distintivo al segretario locale del PNF, in maniera tale che fossero revocati anche tutti i diritti e i privilegi conferiti dal distintivo, come accadde agli ebrei
OLTRE A ESSERE UN SIMBOLO PER SALDARE IDENTIFICAZIONE E CONSENSO, COS’ALTRO CI CONSENTE DI CAPIRE LA STORIA DEL DISTINTIVO?
a) la comparsa e la scomparsa dei distintivi era anche un barometro del morale popolare: la gente reagiva a determinate congiunture politiche mobilitando il sistema comunicativo dei segni (crisi Matteotti, durante la fallita invasione della Grecia nel 1941, dopo la caduta di Mussolini)
b) tenere conto di queste condotte permette di complicare quella che altrimenti rimarrebbe una visione statica dell’identità sotto il fascismo: nella storiografia c’è stata la tendenza a dividere i “fascisti veri e propri” dagli “antifascisti duri e puri, i ribelli nati” e dalla vasta zona grigia della gente comune, la cui identità pure non era mai fluida ma continuamente soggetta a riformulazioni, nel momento in cui partecipava alle strutture macroscopiche che definivano il rapporto tra partito e società