NOZIONI PRELIMINARI Flashcards
Quante e quali sono le condizioni affinché nasca una societas?
Regole di condotta, regole di struttura e principio di effettività
Cos’è l’ordinamento giuridico?
Un complesso di regole che disciplina il comportamento che i consociati devono rispettare o dal quale devono astenersi. Per esistere, un’autorità deve far rispettare le regole che lo compongono.
Cosa s’intende per società politica?
Una società che ha un fine di tipo generale, in quanto si volge alla soddisfazione di non già uno o più bisogni dei consociati, ma di quello che tutti li precede condizionandone il conseguimento, e che consiste nell’assicurare i presupposti affinché le attività promosse dai bisogni stessi si svolgano in maniera pacifica e ordinata.
Cos’è lo stato?
Esso si identifica con una certa comunità di individui (i cittadini di quello Stato, che in quanto tali si qualificano in base alle regole concernenti l’acquisto e la perdita della cittadinanza), stanziata in un certo territorio, sul quale si dispiega la sovranità dello stato, ed è organizzata in base ad un certo sistema di regole, ossia un ordinamento giuidico.
Quando un ordinamento si dice originario?
Quando superiorem non recognoscit.
Cosa va considerata e valutata nella prospettiva della pluralità degli ordinamenti giuridici?
La soggezione autonoma o necessaria del singolo alle regole di uno o più ordinamenti.
Cosa enuncia l’articolo 10 della Costituzione?
Enuncia il principio per cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Perché è importante l’art. 11 Cost?
Esso stabilisce che l’talia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Esso è di particolare importanza, in quanto rende ammissibile la sottoposizione dello stato alle regole di un’organizzazione sovranazionale, le cui norma e provvedimenti vincolano l’operatività degli organi dello stato stesso, con una conseguente limitazione della sovranità dello stato (che la Costituzione ammette solo se essa è necessaria all’ottenimento della pace e se anche gli altri stati aderenti all’organizzazione sovranazionale siano sottoposte alle medesime limitazioni della propria sovranità.)
L’Unione Europea e il processo d’integrazione
Pag 6-7-8.
Trattato di Roma e le successive modificazioni
Pag. 7-8.
Con cosa non va confusa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea?
Con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Un trattato internazionale firmato nel 1950 dai paesi aderenti al consiglio d’Europa, il quale predispone un sistema di tutela internazionale dei diritti dell’uomo, offrendo ai singoli soggetti la facoltà di invocare il controllo giudiziario sul rispetto dei loro diritti rivolgendosi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Cos’è la norma giuridica e perché si definisce tale
La norma è ogni regola contenuta in un ordinamento e poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine di una società rappresenta il diritto in senso oggettivo di quella società, ciascuna di tali norme si dice giuridica in quanto appartenente allo ius.
Differenza tra norma giuridica e norma morale.
La norma morale e la norma giuridica si distinguono anche nel caso in cui contengano lo stesso contenuto. La prima è assoluta, nel senso che ricava la sua validità dal suo contenuto e quindi obbliga solamente l’individuo che, riconoscendone il valore, decide di adeguarvisi, ed è perciò altresì autonoma, nel senso che funge da imperativo solo in quanto la coscienza del singolo spontaneamente ne accetti il comando; la seconda deriva la propria forza vincolante nel fatto di essere imposta da un atto dotato di autorità nell’ambito dell’organizzazione di una collettività, cosicché anche quando disciplina l’azione del singolo essa si presenta come eteronoma, cioè imposta al singolo da altri, da un’autorità capace di coercizione.
Differenza tra testo e precetto normativo.
Di solito la norma è espressione della volontà di un organo investito del potere di elaborare regole destinate ad entrare a far parte dell’ordinamento giuridico (atto normativo) e viene consacrata in un documento normativo. In tal caso occorre non confondere la formulazione concreta dell’atto di esercizio del potere normativo, ossia il testo, nel caso di una disposizione normativa scritta, con il precetto, ossia il significato di quel testo; l’individuazione del significato del testo normativo, e dunque del precetto, della regola che esso pone, è il risultato di un’operazione di interpretazione del testo medesimo.
Differenza tra norma giuridica e legge
Per un verso la legge, nel senso tecnico definito dalla Carta costituzionale e dall’art. 2 delle Disposizioni sulla legge in generale, poste in premessa al codice civile, è un certo e definito tipo di atto normativo scritto, che nel nostro ordinamento è elaborato da organi a ciò competenti secondo le procedure stabilite dalla Carta costituzionale; per altro verso ogni ordinamento conosce regole giuridiche frutto di atti o fenomeni normativi diversi da quelli che tecnicamente si definiscono leggi e dunque deve affrontare il problema del rapporto fra le varie fonti, per evitare antinomie e incertezze; per altro verso ancora, una certa legge può contenere, e di regola contiene, molte norme, ma una norma può anche risultare soltanto dal combinato disposto di più disposizioni legislative, ciascuna delle quali può regolare anche un solo aspetto di un fenomeno complesso.
Cos’è il diritto positivo?
Il diritto positivo è ciò che rappresenta il complesso di norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico.
Cos’è il diritto naturale?
Talvolta inteso come matrice dei singoli diritti positivi, talaltra come criterio di valutazione critica dei concreti ordinamenti, talvolta raffigurato come un complesso di principi eterni e universali, talaltra considerato anch’esso alla stregua del tempo e dunque mutevole; talvolta legato a concezioni religiose circa la natura dell’uomo, talaltra ricollegato esclusivamente alla ragione umana. Il richiamo al diritto naturale cerca di soddisfare l’aspirazione ad ancorare il diritto positivo ad un fondamento valoriale obiettivo, universale e stabile, che elimi in rischio di arbitrarietà insito nella possibilità di elevare al rango di norma giuridica qualsiasi contenuto approvato da chi detiene il potere. Il diritto naturale non riesce a trovare un fondamento obiettivo ed univoco. La storia dimostra che, nel corso dei secoli, il contenuto stesso del diritto di natura, che pure si assume universale e invariabile, è andato mutando. Tuttavia la configurazione di un diritto sovraordinato a quello positivo costituisce un costante vincolo al legislatore, perché tenga conto della cultura e dei valori fondamentali della collettività e dei singoli ai quali indirizza i suoi comandi e soprattutto costituisce lo strumento per assicurare in certi contesti la tutela dei beni e interessi essenziali riferibili alla persona umana.
Rapporto fra diritto e giustizia
Il concetto di diritto evoca quello di giustizia. La definizione di giustizia e la determinazione nei singoli casi di quanto occorrerebbe per conseguire soluzioni non soltanto legali (cioè conformi al dettato normativo), ma anche giuste, incontra insuperabili difficoltà. Difatti l’individuazione di ciò che è obiettivamente giusto presupporrebbe la capacità del singolo di spogliarsi delle sue passioni, dei suoi egoismi, delle sue concezioni necessariamente soggettive.
Com’è strutturata la norma giuridica?
La norma è un enunciato prescrittivo che si articola nella formulazione di una ipotesi di fatto, al cui verificarsi la norma ricollega una determinata conseguenza o effetto giuridico, che può consistere nell’acquisto di un diritto, nell’insorgenza di un’obbligazione, nell’estinzione o modificazione di un diritto, nell’applicazione di una conseguenza afflittiva. La norma dunque si struttura come un periodo ipotetico: si compone della previsione di un accadimento futuro ed eventuale e dell’affermazione di una conseguenza giuridica che deriva dal concreto verificarsi dell’evento prefigurato dall’enunciato normativo. La parte della norma che descrive l’evento che intende regolare, facendone discendere determinati effetti giuridici, si definisce fattispecie.
Cos’è la fattispecie e quanti tipi di essa esistono?
La norma si struttura come un periodo ipotetico: si compone della previsione di un accadimento futuro ed eventuale e dell’affermazione di una conseguenza giuridica che deriva dal concreto verificarsi dell’evento prefigurato dall’enunciato normativo. La parte della norma che descrive l’evento che intende regolare, facendone discendere determinati effetti giuridici, si definisce fattispecie, la quale può essere astratta o concreta. Per fattispecie astratta si intende il fatto (o talora un complesso di fatti), descritto ipoteticamente da una norma ad indicare quanto deve verificarsi affinché si produca una data conseguenza giuridica. Per fattispecie concreta, invece, si intende non più un modello di evento configurato ipoteticamente, ma un determinato fatto o complesso di fatti realmente verificatisi, rispetto ai quali la norma descrive gli effetti giuridici che ne derivano. La ricostruzione di tutti gli elementi rilevanti ai fini della delineazione della fattispecie astratta e dell’individuazione degli effetti che ne conseguono, richiede spesso una lettura coordinata di una pluralità di disposizioni normative, in quanto la descrizione di un fatto giuridicamente rilevante può scaturire dalla combinazione di molteplici enunciati normativi, ciascuno dei quali descrive un profilo o una componente della fattispecie, la quale soltanto se considerata nella sua integrità risulta idonea a produrre gli effetti giuridici contemplati dalla legge.
Occorre ancora precisare che mentre l’individuazione della fattispecie astratta si risolve in una pura operazione intellettuale, di interpretazione del testo normativo, volta ad individuare i presupposti materiali dell’applicazione di determinate regole, l’indagine sulla fattispecie concreta consiste nell’accertamento - che nell’ambito del processo avviene attraverso gli strumenti di istruzione probatoria- del fatto storico, quale materialmente verificatosi, onde porre a confronto tale fenomeno con l’ipotesi astratta prevista e regolata dalla legge.
La fattispecie può consistere in un unico fatto (per es. la morte di una persona, da cui deriva l’apertura della sua successione ereditaria), e si chiama allora fattispecie semplice. Se, invece, la fattispecie è costituita da una pluralità di fatti giuridici (ad es per il matrimonio è necessario il consenso di entrambi i nubendi e la dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile), essa si dice complessa. L’effetto ricollegato dalla norma alla fattispecie complessa non si verifica se non quando si siano realizzati tutti i fatti giuridici da cui essa è costituita. In alcuni casi, se la fattispecie si compone di una serie di fatti che si succedono nel tempo, si possono verificare effetti prodromici o preliminari, prima che l’intera serie sia completata.
Cos’è la sanzione?
Sappiamo che secondo un’antica concezione le norme giuridiche si caratterizzerebbero per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) o sarebbero comunque garantite dalla predisposizione, per l’ipotesi di trasgressione, della comminatoria di una conseguenza in danno del trasgressore, di una sanzione, la cui minaccia favorirebbe l’osservanza spontanea della norma, attraverso una forma di coazione psicologica volta a dissuadere dal tenere comportamenti antigiuridici.
Cosa sono le norme incentivanti?
La difesa dell’ordinamento non viene perseguita soltanto attraverso misure repressive o restaurative di una situazione preesistente illegittimamente violata, ma anche mediante misure preventive, di vigilanza e di dissuasione. Sussistono infatti anche norme che stabiliscono incentivi a favore dei soggetti che si vengano a trovare in particolari situazioni (ad es. a favore delle imprese che intraprendono nuove attività in zone considerate depresse o sottosviluppate).
Cos’è sempre previsto da una società pubblica?
Se la sanzione non può essere considerata un tratto essenziale di tutte le norme giuridiche, deve peraltro riconoscersi che l’ordinamento di una società politica prevede sempre l’allestimento di un apparato coercitivo, tendente ad assicurare, occorrendo anche con l’uso della forza, la salvaguardia della collettività e degli interessi e valori da questa condivisi contro minacce esterne ed interne e l’applicazione in concreto delle conseguenze sanzionatorie previste in astratto da singole norme per il caso di loro violazione. Lo stato moderno rivendica per sé il monopolio dell’uso della forza, riservandone l’esercizio ai suoi apparati e consentendolo ai privati soltanto in determinate circostanze (ad es. legittima difesa o adozione di specifiche misure di autotutela previste dalla legge).
Quali sono i caratteri essenziali della norma giuridica?
Essi sono la generalità e l’astrattezza dei relativi precetti. Con il carattere della generalità s’intende che la legge non deve essere dettata per singoli individui, ossia formulata in modo da essere applicata ad una sola persona o ad una schiera predeterminata di soggetti individualmente identificati (c.d. leggi-fotografia o ad persona), bensì o per tutti i consociati o per classi generiche di soggetti (i commercianti, i proprietari di beni immobili…).
Con il carattere dell’astrattezza si intende che la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie astratte, ossia per situazioni descritte ipoteticamente. La norma ha lo scopo di regolare una serie indeterminata di casi futuri ed eventuali e si presta ad applicarsi a chiunque si verrà a trovare nella situazione prefigurata dalla norma.
Cosa prevede il principio di eguaglianza e da cosa va distinto?
Particolarmente importante nella formulazione della norma giuridica è l’esigenza del rispetto del c.d. principio di eguaglianza che è solennemente proclamato da una tra le più importanti disposizioni della nostra Carta costituzionale (art. 3). Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici uffici devono rispettare nell’esercizio delle loro funzioni il criterio dell’imparzialità (art. 97 Cost), ossia l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale, senza arbitrarie differenziazioni di trattamento a favore o a danno dei singoli interessati (a questo significato va riportata la solenne affermazione che si legge nelle aule dei Tribunali: La legge è uguale per tutti).
Nell’art 3 Cost. è solennemente enunciato il principio di eguaglianza, che ha peraltro due profili:
a) il primo è di carattere formale (art.3 comma 1) ed importa che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La norma fa esplicito riferimento ai soli cittadini, ma la Corte costituzionale ha specificato che il principio di eguaglianza deve essere rispettato anche nei confronti degli stranieri, quanto meno per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona. Si tratta di un vincolo rivolto innanzitutto al legislatore ordinario ed opera non già nel senso che tutte le norme di legge debbano sempre indirizzarsi in modo identico a tutti i cittadini, bensì nel senso che l’individuazione delle categorie di soggetti cui ciascuna norma è destinata deve avvenire in modo non arbitrario, con criteri che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato o situazioni disomogenee in modo eguale. Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla Corte costituzionale, la quale può dichiarare l’illeggittimità di una norma di legge quando ravvisi un’irragionevole o arbitraria differenziazione normativa di situazioni che siano disomogenee, o un’assimilazione di trattamento nei confronti di situazioni tra loro diverse.
b) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3, comma 2) ed impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Si tratta di un’indicazione programmatica rivolta agli organi dello Stato, sollecitati ad assumere misure idonee ad attenuare le condizioni di vita dei singoli.
Cos’è la sussunzione?
La norma giuridica in genere contiene la previsione astratta di una situazione-tipo. Quando occorre risolvere una concreta controversia il giudice è tenuto a decidere applicando la norma precostituita che egli identifica come riferibile alla situazione sottoposta al suo esame. Quindi la sussunzione è proprio l’operazione di riconduzione del caso concreto a quello generale previsto da una norma giuridica.
Cos’è l’equità?
Essa è stata sinteticamente definita come la giustizia del caso singolo. In qualche ipotesi al giudicante è consentito decidere senza fare applicazione di una specifica norma oggettiva, bensì sulla base di criteri fondati sul contemperamento degli interessi contrapposti e sulla realizzazione di valori di giustizia condivisi dalla collettività sociale, che appaiono più adatti a regolare il caso concreto. Infatti può accadere che l’applicazione della norma legale ad un certo caso concreto dia luogo a conseguenze che urtano contro il sentimento di giustizia. Il ricorso all’equità quale criterio decisionale è però consentito solo in casi eccezionali. L’ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del caso singolo all’esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti. Conseguentemente, la legge stabilisce che il giudice, nel decidere le controversie, deve seguire le norma del diritto, e può discostarsene soltanto nel caso in cui la stessa legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità (art. 113 c.p.c), il che avviene nelle cause di minor valore, attribuite alla competenza del Giudice di Pace, ovvero qualora siano state le parti della controversia ad attribuire concordemente al giudice il potere di decidere secondo equità (art. 114 c.p.c). In quest’ultimo caso l’autorizzazione delle parti è possibile se i diritti fatti valere si possano qualificare come disponibili. In tutte le altre ipotesi la norma deve essere rigorosamente applicata, anche se conduca ad un risultato avvertito come iniquo (summum ius, summa iniuria). Anche nell’ipotesi eccezionale in cui è ammesso il ricorso all’equità, il giudice non può far prevalere le sue concezioni personali (cosiddetta equità cerebrina), ma deve ispirarsi a quelle accolte dall’ordinamento vigente e ricercare, pertanto, come si sarebbe comportato il legislatore se avesse potuto prevedere il caso. La Corte costituzionale ha precisato che anche il Giudice di Pace - in ossequio al principio di legalità - deve comunque fare riferimento nel motivare la propria decisione ai principi informatori della materia, tra i quali sono senz’altro da considerare le norme di rango costituzionale e quelle di derivazione comunitaria.
Dall’equità come criterio decisorio va distinta l’quità c.d. integrativa, espressione che si riferisce ai casi in cui la legge prevede che il giudice provveda ad integrare o determinare secondo equità gli elementi di una fattispecie o anche di un regolamento contrattuale predisposto dalle parti.
Cos’è il diritto pubblico?
Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione nell’interesse della collettività ed impone ai singoli il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita associata. Esso attiene in gran parte all’esplicazione di pubblici poteri: individua gli organi competenti ad esercitarli, le modalità del loro esercizio, la posizione e le tutele dei privati di fronte ad atti di esercizio di poteri pubblici, e si articola nelle varie branche del diritto costituzionale, amministrativo, penale, tributario, ecc.
Cos’è il diritto privato?
Il diritto privato disciplina le relazioni interindividuali, sia dei singoli che degli enti privati (es. le associazioni o le società commerciali), lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle singole norme e l’esercizio dei diritti attribuiti agli individui. Anche il diritto privato è innanzitutto diritto, cioè parte dell’ordinamento, complesso di norme dettare cercando di avere presenti gli interessi di tutta la società, che vengano realizzati attraverso una certa disciplina dei rapporti tra i privati; ma si tratta di disposizioni in base alle quali il singolo, individuo o ente, non si viene a trovare in situazioni di soggezione di fronte ad un potere pubblico, dotato di strumenti di supremazia, bensì opera su un piano di eguaglianza con gli altri individui.
Esiste un confine fra diritto pubblico e diritto privato?
La linea di demarcazione tra diritto pubblico e diritto privato è però variabile: lo Stato può avocare a sé la realizzazione di funzioni un tempo lasciate ai privati, e viceversa; può sanzionare penalmente comportamenti un tempo considerati di mero interesse privato e viceversa: o può rinunciare ad organizzare in forma pubblica determinati tipi di attività, restituendoli all’iniziativa privata, preferendosi, anche i settori ritenuti strategici, promuovere e regolare imprese private, piuttosto che far svolgere tali attività da soggetti pubblici.
La distinzione, oltre che mutevole nel tempo, è anche per larga misura incerta: enti pubblici, come le banche e compagnie di assicurazioni, possono svolgere attività di diritto privato in concorrenza con aziende private; per altro verso soggetti privati possono essere concessionari di servizi pubblici ed essere perciò datati di taluni poteri pubblicistici; lo Stato o altri enti pubblici possono avere il controllo di società di diritto privato in qualità di azionisti di maggioranza.
Attività di diritto privato degli enti pubblici
Non tutto ciò che riguarda soggetti pubblici, beni pubblici, attività pubbliche, appartiene per ciò solo al diritto pubblico: infatti i soggetti pubblici possono operare anche iure privatorum; sui beni pubblici possono talvolta costituirsi rapporti di diritto privato; gli enti pubblici talora perseguono finalità o svolgono servizi di pubblico interesse per il tramite di società per azioni di diritto privato, sia con la partecipazione di altri enti pubblici, sia unitamente a soggetti privati (c.d. società miste).
Si aggiunga che, spesso, un medesimo fatto è disciplinato sia fa norma di diritto privato che da norma di diritto pubblico: l’investimento di un pedone da parte di un automobilista fa scattare sia la sanzione penale per lesioni colpose (art. 590 c.p.), sia quella amministrativa ( es. sospensione della patente di guida), sia la sanzione civile del risarcimento del danno (art. 2043 c.c.); la costruzione illegittima di un fabbricato può violare sia il piano regolatore comunale, sia il diritto del singolo frontista all’osservanza delle distanza legali (art. 872 e 873 c.c.); il mancato pagamento dei contri buti previdenziali da parte del datore di lavoro a favore del singolo prestatore d’opera viola tanto la disciplina privatistica del rapporto di lavoro quanto un obbligo di carattere pubblicistico, e via dicendo.
Di fronte a questa situazione la tradizionale bipartizione appare evanescente e va conservata soprattutto in via orientativa e quale criterio di massima, mentre assume sempre più rilievo un diverso modo di considerazione della realtà giuridica, che pone quale canone per distinzione tra i vari tipo di norma la rilevanza degli interessi in gioco.
Come si dividono le norme di diritto privato?
Le norme di diritto privato si distinguono in derogabili o dispositive e inderogabili o cogenti: si inderogabili o cogenti quelle norme la cui applicazione è imposta dall’ordinamento prescindendo dalla volontà dei singoli; derogabili o dispositive le norme la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo degli interessati. Si usa poi individuare un’ulteriore categoria di norma, quelle suppletive, le quali sono destinate a trovare applicazione solo quando i soggetti privati non abbiano provveduto a disciplinare un determinato aspetto dei rapporti tra loro: una lacuna cui la legge sopperisce intervenendo a disciplinare ciò che i privati hanno lasciato privo di regolamentazione. Così, ad esempio, l’art. 1193, comma 1, c.c. attribuisce al debitore, che abbia più debiti nei confronti del creditore, la facoltà di dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare. Qualora ciò non faccia, interviene in via suppletiva la legge, che con l’art. 1193, comma 2, dispone a quale dei debiti deve essere imputato il pagamento eseguito dal debitore.
Naturalmente anche l’osservanza delle norme privatistiche inderogabili richiede, in caso di violazione, l’iniziativa del singolo il cui diritto soggettivo sia stato leso, non essendo compito degli organi pubblici far rispettare norme di diritto privato realizzando gli interessi dei singoli.