Appunti lezioni Flashcards
Che significa Tianxia?
Significa “quello che è sotto il cielo”.
Una delle considerazioni che fa Kirby nel suo saggio è che i cinesi si definivano, in epoca dinastica, come sudditi della loro dinastia; essi si sentivano parte di qualcosa di più grande. Questa impostazione universalistica è certamente sottoscrivibile da qualsiasi cinese; la Cina non conosce elementi di divisione tra etnie, razze, popolazioni, basate sull’aspetto. D’altra parte, però, ha una viva consapevolezza della propria superiorità culturale. È quindi sia portatrice di una visione universalistica generale, ma non le si può negare neppure un’impostazione sinocentrica.
Che tipo di relazioni esistevano tra la Cina e gli altri paesi? Chi sono i paesi tributari?
Mentre in Europa nella seconda metà dell’Ottocento erano diffuse le relazioni diplomatiche, queste non esistevano, nel senso in cui lo intendiamo noi, nell’Asia orientale.
Le relazioni tra la Cina e Paesi diversi erano consolidate da un atto di riconoscimento volontario: molte entità che avvertivano il fascino emanato dalla civiltà cinese, decidevano di fare riferimento ad essa come il centro culturale del mondo. Erano i paesi tributari, che facevano parte, appunto, del sistema tributario cinese.
* inviavano periodicamente alla capitale cinese delle missioni di omaggio, portando doni e ricevendone altri in cambio da parte dell’imperatore cinese. facevano parte di queste missioni anche dei mercanti, che potevano scambiare dei beni con dei loro omologhi cinesi. Questa era l’unica forma di commercio internazionale legale in Cina.
* adottavano il calendario lunare cinese.
Quando un Paese tributario veniva attaccato, la Cina aveva il dovere di difenderlo. Nella seconda metà dell’Ottocento, uno degli obiettivi di Francia e Giappone sarà staccare dalla Cina i suoi paesi tributari (guerra franco-cinese e guerra sino-giapponese).
La sensibilità amministrativa cinese: funzionari e processi di selezione
Era un impero a base democratica. Non esisteva un ruolo per principi, marchesi e conti. Questo meccanismo era retto da funzionari di diversi livelli, che entravano in servizio superando una serie di livelli d’esame, basati sui classici confuciani a impianto umanistico.
Senza questi meccanismi di studio-selezione, sarebbe impensabile per la Cina pensarsi come entità istituzionale altra rispetto alle democrazie liberali, una specie di partito-Stato, come lo definisce Kirby.
L’amministrazione imposta dalla dinastia Qing parla perfettamente cinese. I funzionari di altissimo livello conoscono una compartecipazione sino-mancese.
Cosa succede all’inizio dell’Ottocento? Quali sono i fattori di crisi?
Una profonda crisi interna cominciò a svilupparsi dalla fine del Settecento. Questa è una delle ragioni per cui la Cina affronterà le guerre dell’Oppio con una profonda crisi interna:
- aumento della popolazione e mancato adeguamento del numero delle terre al numero della popolazione;
- mancato aumento del numero dei funzionari di base, quindi mancanza di efficienza e aumento del fenomeno della corruzione;
- squilibrio del valore di argento e rame.
Parla di più del fattore di crisi dell’aumento della popolazione e del mancato adeguamento del numero delle terre al numero della popolazione.
A causa della buona amministrazione dei primi tre imperatori, la popolazione è molto aumentata. È passata da circa 295 milioni a 410 milioni nel 1839 (data di inizio della Prima guerra dell’Oppio). È mancato, però, l’adeguamento del numero delle terre coltivabili al numero della popolazione.
Parla del mancato aumento del numero dei funzionari di base in rapporto alla popolazione.
I funzionari di base o del distretto rappresentavano il grado più basso della gerarchia dei funzionari. Erano quelli immediatamente a contatto con la popolazione. Svolgevano:
* funzioni di magistrato;
* curare arruolamenti della milizia;
* manutenzione di dighe;
* sovrintendere a lavori pubblici di piccole entità.
Il fatto che un funzionario di base dovesse sovrintendere agli affari di tantissime persone portava a una minore efficienza e aumento della corruzione.
In diversi svolgevano gli esami abilitanti alla mansione di funzionario, perché già il titolo abilitante del primo livello dava un enorme riconoscimento sociale, soprattutto per le famiglie benestanti interessate, più che altro, a collezionare motivi di prestigio. In pochi intendevano davvero portare avanti l’impegno ed esercitare effettivamente la professione di funzionario, sottosegretario e magistrato di distretto. In molti si fermavano al primo livello.
Evidentemente non c’era molta volontà di servire la dinastia Qing, verso cui capacità di amministrazione nutrivano qualche riserva. Mentre fino a questo momento il fatto che la dinastia non fosse originariamente cinese non costituiva un problema, da questo momento (metà Ottocento in poi) cominceranno delle rivolte anti-mancesi.
Parla meglio dello squilibrio del valore di argento e di rame
Ha a che fare con le dinamiche commerciali tra Inghilterra e Cina.
L’Inghilterra – che nella seconda metà del Settecento controlla l’India – si troverà ad avere una bilancia commerciale nei confronti della Cina sempre in passivo (= le importazioni di beni e servizi da quel Paese superano le esportazioni verso quel Paese). I prodotti che la Cina esportava riscuotevano un enorme successo, come la seta e le porcellane, mentre l’Inghilterra non riusciva a esportare nulla che interessasse davvero ai cinesi, neppure i tessuti e i filati di cotone prodotti industrialmente attraverso le attrezzature messe in piedi con le tecniche industriali. Questi tessuti, spesso troppo leggeri e fragili, non potevano avere mercato in una Cina dove le persone abbienti prediligevano la seta e le più modeste (quali contadini e lavoratori manuali) si vestivano con tessuti quali canapa e cotone prodotti a mano, molto più grezzi ma robusti e protettivi dal freddo.
Gli inglesi, dunque, convertirono l’agricoltura del Bengala (regione nord-orientale del Subcontinente indiano) a quella dell’oppio, cominciando a far confluire al porto di Canton, l’unica dogana marittima aperta dalla dinastia agli stranieri, enormi quantità di stupefacenti. Anche gli USA presero parte a questo commercio.
Il commercio internazionale in Cina veniva visto come un elemento potenzialmente perturbante. A Canton furono delle gilde a ottenere il diritto esclusivo (monopolistico) di commerciare con le navi straniere (sistema Cohong). Anche l’Inghilterra penetrava commercialmente attraverso l’esclusiva riservata alla East India Company, non per favorire un’impostazione monopolistica, bensì massimizzare l’efficacia.
Il consumo di oppiacei si diffuse enormemente in Cina (si stima che circa 1 cinese su 10, nella zona meridionale, ne fosse assuefatto). Ebbe presa pressocché in tutti i ceti sociali (ne esistevano, infatti, di varie tipologie): l’oppio allieva la sensazione di dolore e di fatica, quindi era ricercato anche dai trasportatori via acqua e da chi svolgeva lavori pesanti.
Gli inglesi chiedevano che l’oppio venisse pagato in argento, metallo con cui in Cina si pagavano le tasse. Il grande drenaggio di questo metallo portò all’aumento del costo delle monete d’argento, a una loro minore circolazione, quindi all’aumento delle imposte. Il rame, altro metallo presente sulla scena cinese, invece, fu svalutato, perché rispetto all’argento rimase in circolazione in quantità abbondanti.
Prima guerra dell’oppio (1839 - 1842)
Si chiuse con il trattato di Nanchino e la sconfitta della Cina.
- cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna;
- apertura di altri quattro porti, oltre a Canton, in cui le potenze straniere potessero attraccare;
- abolizione del sistema Cohong;
- pagamento di un’indennità;
- abbassamento dei dazi doganali su merci di importazione: la cina perde l’autonomia tariffaria, ovvero la libertà di tassare le merci di importazione.
Seconda guerra dell’oppio (1856 - 1858). Poi due anni di disordini (1858 - 1860)
Si concluse con la sconfitta cinese e il trattato di Tianjin.
- apertura di un’altra decina di città al commercio internazionale;
- possibilità di libera circolazione per mercanti e missionari (furono fondate alcune missioni difese da soldati francesi in delle specie di fortini, che sarà sempre una ragione di fastidio);
- legalizzazione del commercio dell’oppio;
- ulteriore riduzione dei dazi doganali su merci di importazione;
- pagamento di una indennità;
- apertura di consolati a Pechino.
La convenzione di Pechino (1860)
Perfeziona i trattati con cui si chiudono le guerre dell’oppio:
- fu perfezionata la cessione alla Gran Bretagna della penisola di fronte a Hong-Kong;
- concessa la libera circolazione per le flotte straniere all’interno della rete fluviale cinese;
- pagamento di una nuova indennità a Gran Bretagna e Francia;
- esenzione dai dazi doganali per le merci straniere.
L’erosione territoriale della Cina nell’Ottocento
Andrò ad aggravare una situazione già non facile per l’impero cinese.
La Russia annesse la riva sinistra del fiume Amur (500 mila kmq), assieme ad altri 250mila kmq verso il mare. Più tardi, incorporò la parte settentrionale dell’attuale Xinjiang. La Cina nel 1881 riuscirà a farsela restituire quasi interamente.
Le conseguenze dei trattati ineguali (al termine delle guerre dell’oppio)
Non furono trattati negoziati, ma imposti da una parte all’altra.
- Le guerre dell’oppio e questi trattati resero ancora più drammatica una situazione di crisi interna già iniziata (aumento popolazione, mancato adeguamento delle terre, diminuzione del numero dei funzionari di base e drenaggio di argento).
- Con il trattato di Nanchino, la Cina perse l’autonomia tariffaria.
In questo modo, è facile che le merci di importazioni divengano più competitive rispetto ai prodotti nazionali. La perdita della facoltà di tassare le merci continua con il trattato di Tianjin e la convenzione di Pechino. Ora i prodotti stranieri diventano veramente competitivi sul mercato cinese (fiammiferi e olio combustibile). - Diffusione di moti popolari antimancesi.
Moti popolari antimancesi (1850 - 1870)
Più o meno tutta la Cina fu attraversata da rivolte. Esse non erano guidate dal confucianesimo, ideologia imperiale che guardava sempre al passato come modello (prendendo in particolare a modello un tipo di governo che c’era stato dal 1100 a.C.). Per il confucianesimo non esiste il progresso, il modello è nel passato. Queste sette eterodosse affondavano le radici in elementi di tipo millenarista e taoista, molto diffusi nelle campagne.
- Molte furono le rivolte nelle città della triade, ovvero una società segreta («del cielo e della terra») fondata in Cina nel XVII secolo per rovesciare la dinastia Qing. Essa è ancora una società eterodossa. Si è formata dopo che nel 1681/83 i mancesi, provenienti da Nord-est, conquistarono Taiwan e completarono il controllo della Cina meridionale.
Iniziarono a sorgere dei gruppi lealisti Ming, che auspicano il ritorno al potere della dinastia precedente cinese (Ming), che aveva regnato dal 1368 al 1644. Le triadi nascono come forme di lealismo Ming antimancesi. Ma con l’arrivo di grandi quantitativi di oppio la loro ragion d’essere slitterà dal lealismo Ming al coinvolgimento in attività legate a commercio di oppiacei; - Rivolta dei Taiping (1851 - 1864): la più importante;
- Rivolta dei Nian (1853 - 1868);
- Rivolte a sfondo musulmano
Rivolta dei Taiping (1851 - 1864)
Cronologia: dalla fondazione del Regno Celeste della Grande Pace nel 1851 al 1864 con la sua repressione.
Nacque nell’entroterra di Canton, che con l’apertura di altri porti si trovò improvvisamente impoverito (prima invece tutte le navi attraccavano lì).
Il fomentatore della rivolta, Hong Xiuquan, era venuto a contatto con missionari protestanti. Era rimasto colpito dalle conquiste della modernità, ad esempio le linee ferroviarie. Xiuquan, che si definiva «il fratello di Gesù Cristo», stilò una specie di decalogo (dieci comandamenti), fondò il «Regno Celeste della Grande Pace». Rapidamente, il movimento raggiunse un numero di adepti tale da guidare una spedizione fino alla zona del bacino azzurro, per porre la capitale del regno a Nanchino. Combinava elementi tendenzialmente egualitari – alcuni sostengono anche proto-femministi, con l’introduzione del matrimonio monogamico, la presenza di battaglioni femminili, l’abolizione della fasciatura dei piedi delle bambine, praticata dal X secolo, e l’imposizione agli uomini di tagliarsi il codino, un’acconciatura mancese. Il movimento era sì organizzato su basi comunitarie ed egualitarie, ma fino a un certo punto, perché poi Xiuquan si doterà di un suo gineceo.
I viaggiatori avevano notato una grande prosperità nel regno, ma il dubbio è che questo benessere non fosse prodotto dai Taiping, ma semplicemente da quanto era stato espropriato dai proprietari terrieri.
La rivolta fu alla fine repressa a Nanchino nel 1864, non dal governo centrale – impegnato nella seconda guerra dell’oppio – ma da funzionari locali, che cominciarono a reclutare milizie finanziandole attraverso l’imposizione di una tassa particolare. L’intero processo (tra rivolta e repressione) costò circa tra i 20 e i 30 milioni di morti, una cifra da guerra mondiale.
La zona più popolosa della Cina, l’estremo sud, fu desertificata, e arrivarono ad aggirarsi persino fiere e tigri. La perdita di vite umane e di pratiche segnò anche i decenni successivi.
Rivolta dei Nian (1853 - 1868)
I Taiping provarono a collegarsi a un’altra rivolta, quella Nian, che tra il 1853 e il 1868 si sviluppò nel nord della Cina, una zona freddissima d’inverno, con un clima inospitale a cui non erano abituati. Se ci avessero provato prima, probabilmente sarebbero riusciti a prevalere sugli imperiali.
Dopo la sconfitta dei Taiping, anche i Nian furono eliminati.
I Nian affondano in un substrato di difficilissima penetrazione per gli studiosi occidentali.
Rivolte a sfondo musulmano
- Rivolta dello Yunnan portata avanti da minatori che, in una fase di cattiva amministrazione, si sentirono discriminati. Costituirono un sultanato (1856 – 1873).
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Rivolta degli Hui/rivolta dei Dungani (1862 – 1877) nel nord ovest della Cina, sopra il Tibet, nell’attuale Xinjiang, regione autonoma cinese dove ancora oggi c’è una presenza di musulmani.
La rivolta partì come una guerra santa di tipo religioso. Fu fondato da una ricca famiglia locale un sultanato, quello di Yaqub Beg. L’Inghilterra, in particolare, avrà interessa a contrastare l’espansione russa in Asia centrale e a riconosce il sultanato.
Anche questa rivolta sarà repressa da forze cinesi non mancesi.
La repressione delle rivolte fu affidata a forze locali, non al governo centrale. Che cosa ne derivò?
Ne nacque il movimento yangwu.
A reprimere queste rivolte furono dei capi provinciali, non il governo centrale, che avvertirono l’esigenza di acquistare se non fabbricare armi (arsenali, navi da guerra) alla maniera occidentale, le più adatte a stroncare queste rivolte. Furono le prime figure a muoversi nel senso di una militarizzazione a livello locale, che ebbe un suo precedente nel reclutamento a livello locale di milizie indipendentemente dal governo centrale.
Ma per farlo, era necessario mettere in piedi un ufficio di traduzione e assumere collaboratori stranieri. Sarà l’inizio del movimento locale yangwu, ovvero «delle cose d’oltremare». Esso intendeva mutuare elementi di tecnica da Paesi occidentale (yong), senza rinunciare, però, ai fondamenti culturali cinesi («ti», essenza culturale cinese). Ciò, però, non poteva funzionare.
A proposito della supposta separazione tra produzione e modi di cultura, Marx ipotizzava che la cultura non veleggiasse sulle nostre teste, ma che a determinarla fossero proprio le modalità produttive. Egli aveva assistito alla rivoluzione industriale, e aveva visto come le nuove dinamiche lavorative e produttive cambiassero la famiglia, le relazioni sociali e le relazioni con l’ambiente circostante (ad esempio, con l’inurbamento.) Anche per noi oggi è così.
La Cina entrerà in una fase di travaglio su come uscire da questa fase di crisi, con ricette diversissime. Per i Paesi occidentali, si trattò di una forma di imperialismo informale: visto che era già un costo notevole il mantenimento di apparati militari in India, la Gran Bretagna non intendeva replicare controllando l’intera Cina. Escogitò quindi metodi molto più silenziosi ma sofisticati per effettuare una penetrazione economico-finanziaria sofisticati, nei confronti dei quali la Cina, alla fine, sarà perfettamente consapevole.
Il movimento yangwu è diviso in due fasi:
1. fase di autorafforzamento (ziqiang): 1860 - 1872;
2. fase di ricchezza e potenza (1872);
Di fatto, finì con la sconfitta cinese nella guerra sino-giapponese.
Le due fasi del movimento yangwu.
- fase di ziqiang, autorafforzamento (1860 – 1872):
Furono aperti arsenali accompagnati da centri di traduzione dove venivano reclutate ingegnerie esterne. La convinzione trainante era che lo sviluppo di un’industria bellica autonoma in Cina potesse scoraggiare gli stranieri. Ma le cose non erano così semplici, perché il ferro, pur disponibile in Cina, non è adatto alla lavorazione, e si dovette importare dall’estero. Le prime navi, quindi, furono costruite in perdita (il volume dei costi supera quello dei benefici).
- fase di «ricchezza e potenza» (dal 1872):
Dall’inizio degli anni Settanta, gli occidentali, che avrebbero dovuto limitare le loro attività ai porti aperti, iniziarono, in realtà, ad espanderle (acquistando miniere, puntando gli occhi sulla costruzione di ferrovie, potenziando le compagnie di navigazione). Quindi, l’obiettivo del movimento yangwu, ora, era cominciare ad avviare delle attività commerciali di tipo moderno che facessero concorrenza a quelle straniere, come la messa in piedi di compagnie di navi d’azione cinesi con navi moderne, mediante l’utilizzo di capitali privati sotto la supervisione di funzionari statali-pubblici (una forma di collaborazione mista, tra pubblico e privato). È un tentativo volto non tanto ad aspetti militari, ma civili.
La reazione delle compagnie (anche quelle fluviali che navigavano il Fiume Azzurro), inglesi e francesi non si fece attendere: fecero cartello, ovvero si unirono tra di loro per offrire tariffe più competitive.
Ciò che mancava alla Cina era soprattutto la mentalità, quella che gli inglesi nutrivano sin dalla fine del Settecento, ovvero l’idea del liberalismo economico come quintessenza dell’essere uomini liberi. Quest’ultima, aveva generato enormi competenze e forgiato uomini che sapeva bene che era necessario ammodernare spesso gli impianti e reinvestire continuamente. Le compagnie cinesi, quindi, non riuscirono a reggere la concorrenza di quelle britanniche; neppure quelle del telegrafo, per cui era necessario servirsi di tecnici danesi.
La presenza di stranieri in Cina dal 1860 (dalla fine della seconda guerra dell’oppio)
In alcuni porti aperti sono state istituite delle concessioni, ovvero dei quartieri in cui potevano risiedere solo gli stranieri (non, però, i loro interpreti). La città in cui erano presenti più concessioni (inglese, francese e statunitense) era Shanghai, che diventerà una delle più cosmopolite del mondo. Qui, nel 1863, le concessioni inglese e statunitense si fonderanno nella cosiddetta concessione internazionale.
Gli stranieri non possono ancora aprire nelle concessioni delle fabbriche, ma gestivano imprese di navigazione, di riparazione delle navi, cantieristiche, compagnie del telegrafo e stampavano molti giornali, in francese e in inglese.
Le concessioni erano sottratte alla giurisdizione cinese, ma gli stranieri, qualora avessero commesso qualche reato, venivano giudicati da tribunali consolari. Vi erano presenti anche missionari, in particolare protestanti che, disponendo di molti fondi, si presentavano come veicoli di modernità. Si stabilirono soprattutto nelle città, dove fondarono ospedali moderni e scuole. I missionari cattolici, invece, erano molto più poveri e sceglievano di localizzarsi nelle campagne, puntando alla conversione di interi villaggi.
Dal 1863, la guida dell’Ispettorato generale delle dogane passò a un inglese, Robert Hart. L’Ispettorato aveva un potere straordinario: a lui facevano capo tutti i provvedimenti che riguardavano dogane, quarantene, riscossione di pedaggi di transito per merci cinesi. Apparentemente, quindi, la Cina rimase uno stato sovrano, ma l’abbattimento dei dazi doganali di importazione e la gestione di tutte le dogane transitò nelle mani di un inglese.
Guerra franco-cinese (1884 - 1885)
Tentativo di erodere ulteriormente la cina strappandole un paese tributario.
La Francia cominciò a manifestare l’intenzione di conquistare il Vietnam (stessa cosa farà l’Inghilterra con la Birmania)
Il Vietnam era uno stato tributario, una sorta di propaggine della Cina. Quando la Francia sbarcò nel 1884 sbarca in Vietnam, la Cina fu costretta a intervenire per difenderlo. Lo fece con le recenti cannoniere costruite negli arsenali dal 1860, in particolare nel sud. Nel golfo, però, la flotta cinese venne affondata e la Cina perse ogni diritto nei confronti del Vietnam. Cominciò così l’erosione della sfera tributaria cinese.
Prima guerra sino-giapponese (1894 - 1895)
Tentativo del Giappone di erodere la Cina strappandole uno stato tributario, la Corea, il più antico stato tributario e il più fedele.
Il Giappone, fece leva anche sul fatto che il sovrano coreano si muoveva in modo molto confuso.
Il Giappone si era proposto di diventare un moderno stato-nazione come i Paesi europei, un obiettivo non perseguito dalla Cina. Nel 1876, il Giappone costrinse il regno di Corea ad aprire tre porti al commercio internazionale. Tra i due Paesi fu anche stipulato un trattato, il quale prevedeva che, nel caso in cui residenti giapponesi in Corea fossero minacciati, il Giappone era tenuto a intervenire.
Nel 1894, in Corea scoppiò una guerra xenofoba contro la presenza di stranieri nei porti aperti.Il Giappone, in base al trattato firmato, inviò un nutritissimo contingente di militari per difendere i suoi residenti. Il sovrano coreano, in riflesso al rapporto tributario che aveva con la Cina le chiese aiuto; questa mandò un suo contingente in Corea.
La contrapposizione Cina-Giappone si consumò in parte via terra e anche attraverso una battaglia navale, combattuta attraverso le cannoniere cinesi costruite nella Cina del nord. Si risolse nella sconfitta cinese e nella fine, nel 1895, del movimento yangwu e con la stipula del trattato di Shimonoseki.
L’affondamento delle due flotte ha dato molti argomenti a favore dei funzionari conservatori.
Per il vecchio glorioso antico impero cinese, che si riteneva al centro dell’Asia Centrale, la sconfitta da parte del Giappone fu un trauma inimmaginabile. Il Giappone è un Paese giovane che ha recepito tutto dalla Cina attraverso la Corea. Questo insegna anche ai Paesi occidentali la debolezza della Cina. Al centro della riflessione c’è l’esempio costituito dal Giappone, Paese che si è apparentemente modernizzato in poco tempo dal 1868 in maniera molto efficace. Da un punto di vista istituzionale e amministrativo, è il caso di ispirarsi alla Russia e al Giappone o meno? Questa la domanda al centro di molte riflessioni. Diversi esuli cinesi cominceranno a recarsi in Giappone per studiare come il Paese ha fatto a modernizzarsi.
La sconfitta sensazionale farà fare un salto di qualità anche per gli occidentali in relazione alle loro modalità di penetrazione in Cina
Clausole del trattato di Shimonoseki
Al termine della guerra sino-giapponese (1894-1895)
- riconoscimento da parte cinese dell’indipendenza della Corea (non ancora annessa al Giappone, che lo incorporerà dopo la sua vittoria contro la Russia);
- pagare indennità tre volte il reddito annuale dello Stato (200 milioni di tael): la Cina dovrà indebitarsi con consorzi di banche straniere;
- possibilità per gli stranieri di aprire fabbriche nei porti aperti: iniziò ora la delocalizzazione da parte di imprese americane, giapponesi e inglesi in Cina, ad esempio fabbriche di filatura;
- la cessione al Giappone della penisola del Liaodong (oggi si chiama Liaoning), una penisola triangolare che chiude un golfo. Ancora oggi i porti alla sua estremità, liberi da ghiacci anche di inverno, sono percorsi dalle navi portacontainer per arrivare nell’Europa del nord seguendo la rotta artica fino a Rotterdam. Ma questa mossa del Giappone disturbò, molto. Si mobilitarono Russia, Francia e Germania e consigliarono al Giappone di rinunciare a questo controllo, in cambio di un aumento dell’indennità con la cessione dell’isola di Taiwan e dell’isole Pescadores
I territori cinesi interessano molto alle potenze di fine Ottocento: l’imperialismo informale dopo la guerra sino-giapponese
Dopo la disfatta della Cina nella guerra sino-giapponese, i Paesi stranieri si resero conto che era possibile aumentare la pressione sulla Cina, magari chiedendo in affitto per un certo numero di anni determinati territori: lo farà ad esempio la Russia, che otterrà in affitto un territorio nell’area nord-orientale, che le permetterà di costruire l’ultimo tratto della linea ferroviaria trans-siberiana; lo farà anche la Germania, che prenderà territori dello Shandong in cui inviare missionari e costruire una linea ferroviaria di 400km. L’Inghilterra, invece, controllerà la valle del Fiume Azzurro e l’entroterra di Canton (Hunan e Kwangsi).
Queste linee ferroviarie erano progettate per collegare la Cina alle rispettive colonie.
Il Giappone è interessato a espandere influenza nel Fujian e nel nord-est; manifesterà anche interesse verso la Manciuria, questione con cui confliggerà con la Russia.
È una forma di imperialismo informale, invisibile dall’esterno. Formalmente, la Cina rimane un impero unitario, ma di fatto diventa una semi-colonia.
Furono i funzionari e i ministri mancesi ad acconsentire, quelli cinesi sarebbero più per una negazione delle terre.
Kang Youwei: un confuciano progressista
La situazione di grandissima crisi fece riflettere anche i confuciani (tutti i funzionari erano di formazione confuciana). Uno di loro, Kang Youwei, non appartenente al movimento yangwu, anzi, molto ortodosso, elaborò un piano. Durante un suo soggiorno a Pechino, riuscì a entrare in contatto con l’imperatore Guangxu, giovanissimo e poco capace. Lo convinse che esistevano dei testi confuciani da cui emergeva la figura di un Confucio proiettato più verso il futuro, che verso il passato. (teorici del riformismo e rivoluzionari)
Questa esigenza di riformismo manteneva in vita l’impianto tradizionale, imperiale: chiedeva, però, che venissero introdotti un parlamento, delle forme consultive, ministeri di tipo moderno – come fu per Giappone dal 1968 e in Russia).
Kang era interessato ai problemi contemporanei e al sapere occidentale. Aprì una scuola a Canton dalla quale diffondere questa nuova lettura del confucianesimo. Muovendo da ricerche di tipo filologico, sosteneva che ad essere autentici erano classici confuciani usati dagli Han nel II e I sec. a.C., in cui era evidente il reale pensiero di Confucio. I testi cui fa riferimento Kang sono incisi in verticale su listarelle di bambù, unite da cordini di seta che si possono arrotolare e srotolare.
Confucio visse durante un periodo di crisi, in cui l’autorità del sovrano, appartenente alla dinastia degli Zhou, non era più riconosciuta automaticamente: cominciarono, infatti, delle guerre di annessione tra i territori in cui era divisa la Cina.** Confucio voleva tornare all’epoca precedente, quella degli Zhou occidentali**. I giovani dovevano formarsi sui classici su cui si erano formati i giovani dell’aristocrazia del periodo degli Zhou occidentali (XI – VIII sec. a.C.).
Confucio è stato un grande filologo, amante degli antichi; una delle sue frasi è “io trasmetto, non creo”. Il problema della scuola confuciana è trovare la versione autentica di questi testi divinatori, di ritualistica, di musica, composizioni poetiche degli Zhou occidentali, cui faceva riferimento Confucio. Ma non è facile, perché spesso furono andati dispersi, bruciati (il primo imperatore che creò la Cina, infatti, era anticonfuciano e li fece bruciare).
Le Riforme dei cento giorni di Kang
Kang vedeva in questo Confucio un innovatore proiettato verso un’età dell’oro, senza forme di disuguaglianze. Egli fu la base teorica delle riforme che Kang aveva intenzione di proporre, quelle che saranno poi note come «Riforme dei cento giorni».
L’imperatore accolse con entusiasmo la teoria di Kang, e si convinse della necessità di procedere a introdurre rapidamente in Cina misure di modernizzazione: in alcuni mesi del 1898, l’imperatore firmò centinaia di decreti di tipo amministrativo, come la creazione di organi rappresentativi sia a livello provinciale che nazionale, l’abolizione del sistema di esami, la pubblicazione bilancio dello Stato e la creazione di un moderno ministero dell’economia.
Emerse, nel primo periodo, una figura importante, il generale più in vista della Cina del nord: Yuan Shikai, che in un primo momento decise di appoggiare le riforme. Ma cominciò a pensare che ci fosse qualcosa di non ben congegnato, e parlò dei suoi dubbi all’imperatrice vedova Cixi, che era in un’altra città. Lei rientrò a Pechino, attuando un colpo di Stato e fece mettere agli arresti l’imperatore. Le figure che avevano convinto l’imperatore o vennero uccise o fuggirono in Giappone, come Kang e Liang Qichao.
Il problema delle Riforme dei cento giorni: un problema, di fatto, di tutto il confucianesimo
Se si stabilisse un contatto con i rivoltosi e si chiedesse che cosa c’è che non va sarebbe meglio. Ma l’impostazione confuciana è fatta di speculazioni, di intellettualismo. Il problema alla base delle rivolte non viene affrontato. Quando nel 1926 Mao fece un viaggio per effettuare un’inchiesta fra i contadini di una certa zona, sulla scia delle scienze sociali statunitensi, compì qualcosa di rivoluzionario dal punto di vista della cultura cinese precedente. Eppure, lui era un intellettuale del mondo colto.
Questa distanza tra il mondo delle speculazioni e della pratica (lavoro manuale) era dovuta anche all’enorme preparazione che veniva richiesta ai funzionari sin da bambini, che drenava un’enorme quantità di tempo: occorreva iniziare a scrivere caratteri estremamente complessi fin da bambini, e dedicare tutta la vita a leggere, scrivere, memorizzare i classici degli Zhou occidentali.
Un filosofo allievo di Confucio, Mencio, disse che nel mondo «esiste chi lavora con la forza dei muscoli e chi con l’intelletto: i secondi comandano sui primi; è un principio riconosciuto universalmente».
La ribellione dei Boxer nello Shandong (1898 – 1901): le cause
Nel 1898, nella penisola dello Shandong, scoppiò una grande rivolta. Era una provincia dove storicamente ci sono state molte rivolte:
* mentre il Fiume Azzurro è navigabile, al centro di una fitta e ricca rete di affluenti, il Fiume Giallo non è lo è, perché ha un corso irregolare che è cambiato nel corso del tempo (si è persino spostato più a sud di dove è ora) Oltretutto, l’assenza di lavori di manutenzione nei canali è un’altra causa che favorisce situazioni estreme per i contadini; lo stesso ripristino delle dighe è sfavorito dalla forte frequenta di calamità naturali, come siccità e inondazioni;
* in questa penisola furono reclutati anche uomini per combattere nella guerra sino-giapponese;
* nel 1898, la popolazione fu obbligata a sottoscrivere un prestito nazionale per contribuire a un’indennità di guerra;
* esistevano pesanti corvée per la manutenzione delle strade battute dai funzionari che andavano e tornavano da Pechino;
* la provincia di Shandong era anche una zona di missioni tedesche, e la costruzione della linea ferroviaria da parte dei tedeschi impoverì i trasportatori che usavano carretti tradizionali.
La ribellione dei Boxer e la spedizione delle otto nazioni
Emersero sentimenti antichi di tipo millenaristico. Furono organizzate rivolte su basi xenofobe violentemente antioccidentali (degli occidentali spaventava in particolare la concorrenza). La corte inviò Yuan Shikai a sedare la rivolta, che si era spostata più a nord (Tianjin). A Pechino, i rivoltosi assediarono il quartiere delle legazioni stranieri. I soldati si rifiutarono di sparare sui boxer (questi i nomi dei rivoltosi), chiamati così perché praticavano un’arte marziale che erano convinti proteggesse dalle pallottole.
Nel 1900 venne ucciso un diplomatico tedesco, e in Europa si organizza una spedizione (“spedizione delle otto potenze”, nell’”alleanza delle otto nazioni”), cui partecipano Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria, USA, Russia, Giappone e Italia (questa per ottenere qualche concessione e per entrare nel gruppo delle potenze occidentali; in effetti, otterrà una concessione a Tianjin). In occasione della partenza, fu pronunciato il celebre discorso degli Unni. Il solo contingente tedesco distrusse quaranta città nella Cina settentrionale.
Dai contingenti occidentali saranno applicate anche numerose torture.
L’imperatrice Cixi, intanto, aveva riconosciuto la rivolta dichiarando guerra alle potenze, perché aveva riconosciuto l’incapacità del governo.
Il Protocollo dei Boxer (firmato a Pechino nel 1901) stabilì il pagamento di un’indennità enorme di milioni di tael, nessuna più importazione di armi, nessuna attività antistraniera e smantellamento di forti tra Pechino e Tianjin. Il pagamento di questo debito doveva essere garantito da prestiti contratti con consorzi di banche straniere, dagli introiti delle dogane e dal sistema fiscale cinese controllato da Robert Hart.
C’è chi definisce i boxer reazionari e retrogradi, nel senso di antiprogressisti. In un senso molto freddo e tecnico è così, ma è anche vero che hanno reagito con violenza accumulata in una situazione difficile ed esasperata. Da un punto di vista marxiano sono retrogradi e passatisti. La storiografia della repubblica popolare cinese la definisce, invece, una forma pre-politica di spontaneo anti-imperialismo.
Cosa sono le «Nuove politiche» (1902)?
Durante il primo decennio del Novecento, la corte e l’imperatrice Cixi non poterono evitare di intraprendere le misure amministrative e istituzionale che erano state tentate nel 1898. A partire dal 1902 e per il primo decennio del Novecento vennero portate avanti le “Nuove politiche”, ovvero:
* creazione di ministeri di tipo occidentale (in Cina i ministeri esistevano dal III secolo a.C., ma erano basati su altre categorie: ad esempio, il sistema tributario faceva parte del ministero dei riti. Non c’era un’afferenza di tipo contabile, ma concettuale);
* la pubblicazione del bilancio di previsione preventivo dello Stato;
* la promulgazione di una costituzione e di codici più o meno modellati su quelli occidentali;
* abolizione del sistema degli esami (1905), aboliti però senza formalizzare dei canali alternativi. La carriera funzionariale era stato lo sbocco naturale. Molti si uccisero. C’era un senso di inutilità personale e sociale;
* la creazione di assemblee provinciali (1909) e di una nazionale (1910), una specie di parlamento;
* la maggior parte dei fondi fu destinata ad ammodernare l’esercito, in particolare di Yuan Shikai.
Nel 1908 morì l’imperatrice Cixi, preceduta di qualche ora dell’imperatore ancora imprigionato, che fu avvelenato con l’arsenico.
Rivoluzionari repubblicani famosi: Sun Yat-sen e il suo pensiero
Sun Yat-sen (il suo nome è scritto in un dialetto cantonese, non in mandarino; altrimenti è Sun Zhongshan), si formò a Honolulu e poi come medico a Hong Kong presso missionari cattolici; non ricevette, quindi, una formazione classica confuciana. Era più vicino alla concretezza delle cose.
Di origine contadine, ammiratore dei Taiping, tra fine Ottocento e gli inizi del Novecento tentò di organizzare nel sud del Paese diverse insurrezioni sul modello delle società segrete, dell’insurrezione, dell’attentato. Era normale che fosse questo il modello: era difficile capire che cosa fosse un partito, che sembra avere ha in sé un qualcosa di negativo, di cricca, fazione.
Fu mandato in esilio in Giappone, USA e in Europa. In Giappone fondò nel 1905 la Lega giurata di ispirazione repubblicana; essa poggiava sui “tre principi del popolo”: nazionalismo, democrazia e benessere del popolo.
* il nazionalismo era inteso come liberazione dai mancesi;
* democrazia intesa come tentativo di rintracciare nel passato cinese delle fasi e delle istituzioni avvicinabili alla democrazia in senso occidentale;
* benessere del popolo inteso come livellamento delle proprietà terriere su base egualitaria (perequazione agraria).
La concezione costituzionale di Sun prevede cinque poteri:
* giudiziario;
* esecutivo;
* legislativo;
* il sistema degli esami;
* il censorato, un meccanismo di controllo volto a verificare la regolarità amministrativa dei vari ministeri. I cittadini o i sudditi cinesi potevano rivolgersi a esso per segnalare malfunzionamento di un apparato
Emigrazioni dei cinesi di fine Ottocento: razzismo e discriminazioni
A fine Ottocento, diverse ondate migratorie partirono dalla Cina:
* tratta gialla verso Cuba: la Spagna, che controllava Cuba, faceva firmare a contadini impoveriti (soprattutto della Cina meridionale) una specie di lettera d’impegno in cui dovevano dichiarare di impegnarsi a lavorare nelle piantagioni di zucchero finché non avessero riscattato il viaggio. Questi lavoratori cinesi si accorgevano quasi subito di essere diventati schiavi; la gran parte di loro si suiciderà. Non molti anni fa, il governo cubano ha tradotto i diari di alcuni lavoratori/schiavi;
* verso il Sudafrica;
* verso l’Europa (anche l’Italia);
* verso USA. Negli stessi anni in cui arrivavano questi cinesi, negli Stati Uniti si verificava la prima corsa all’oro, con l’arrivo in California di carovane di pionieri cowboy. Si tratta di wasp (white anglo-saxon protestants). Un cowboy è un tipo umano saldo nelle proprie convinzioni, di stampo rigorosamente protestante: dico quel che faccio, faccio quel che dico, ed è sempre la verità.
I contadini cinesi erano invece molto diversi: conoscevano poco l’inglese e erano esseri umani sofisticati, molto più riflessivi. Di fronte a questa riflessività, molti wasp avevano l’impressione che questi cinesi non dicessero sempre la verità ma che riflettessero continuamente, valutando la situazione: era un elemento molto disturbante per i wasp.
Da un punto di vista psicologico, inoltre, fu notata una somiglianza che è un dato di fatto genetico: i lavoratori cinesi avevano la pelle scura (scurita dal lavoro sotto il solo all’aria aperta) e la treccia mancese, elementi che li facevano somigliare agli indiani d’America. I wasp temevano un’alleanza fra cinesi e indiani d’America per scalzare il dominio dell’uomo bianco. Ci furono diversi linciaggi.
Le discriminazioni e il razzismo superarono i confini della California: a livello nazionale furono promulgate delle leggi per limitare e poi proibire l’immigrazione di cinese (Chinese exclusion act 1882). A lezione abbiamo visto un manifesto di inizio Novecento che invita a boicottare tutte le attività giapponesi e cinesi, quali ristoranti, botteghe del sarto, lavanderie…
Davanti a questo tipo di provvedimenti, la Cina reagì in modo molto più politico rispetto alla rivolta dei Boxer, effettuando un salto di qualità nel tipo di protesta. A Shangai ci fu un feroce boicottaggio delle merci americane.
Antefatto della rivoluzione repubblicana del 1911
La rivoluzione repubblicana scoppiò il 10 ottobre 1911, a partire da una contrapposizione di interessi tra province e autorità imperiale, dal prestigio già compromesso.
Le province volevano da un lato essere protette e tutelate dal governo centrale, dall’altro cominciarono però a eroderne il potere.
A livello di alcune province, diversi notabili, maggiorenti locali (proprietari terrieri, commercianti, funzionari…) cominciarono a raccogliere fondi per riscattare i diritti ferroviari comprati dagli americani per portarli nelle mani delle province (in particolare i notabili del Guangdong, dello Hubei, dello Hunan, che cercarono di rilevare la tratta ferroviaria costruita dagli statunitensi ed estesa da Canton fino all’attuale Wuhan) e iniziarono a reclutare localmente i loro eserciti.
Il governo centrale, tuttavia, si rese ben presto conto del pericolo rappresentato da questi provvedimenti ed emanò un decreto per trasferire al governo di Pechino tutte le competenze relative alla politica ferroviaria e alla proprietà delle tratte ferroviarie.
L’incidente del 10 ottobre 1911
Il 10 ottobre 1911 scoppiò un incidente: in un vasto quartiere di Wuhan (Wuchang), entre le truppe imperiali erano momentaneamente spostate nel Sichuan, soldati locali portarono avanti un’ispezione di routine in una società di studi letterari, in cui scovarono una bomba che, casualmente, esplose. Essa rappresentò una miccia nel senso letterale e metaforico del termine. Il governatore scappò. Le autorità provinciali con i loro eserciti presero il potere e proclamarono la repubblica dello Hubei, invitando le altre province a fare la stessa cosa.
Anche le altre province si proclamano repubbliche.
Sun Yat-sen era all’estero, ma rientrò in Cina. Fu trovato un accordo affinché tutte queste province neo-repubblicane confluissero il 1° gennaio 1912 nella Repubblica di Cina, della quale Sun Yat-sen venne nominato presidente. Sul trono imperiale c’era un bimbetto di pochi anni che fu convinto a rinunciare al ruolo, in cambio della residenza nella città proibita e del mantenimento delle sue proprietà.
Le prime difficoltà della Repubblica di Cina (1912 - 1949): la debolezza
Cominciò uno dei periodi più critici della storia cinese (1911/1912 – 1949).
Sun Yat-sen è certamente una persona stimata. Ma questa repubblica dovette fronteggiare sin da subito alcune questioni spinose:
* la mancanza di sostegno militare. Chi poteva difenderla? Sun Yat-sen ne era perfettamente consapevole, e cedette il proprio ruolo alla figura militare più importante del momento, Yuan Shikai. Apparteneva anche alla sensibilità dell’epoca che fosse necessario il sostegno dell’esercito. Un civile con un passato rivoluzionario come Sun non sarebbe stato visto allo stesso modo dalle potenze.
* subito dovette chiedere un prestito;
* il problema del mancato riconoscimento internazionale. In particolare, Russia e Inghilterra posero delle condizioni in cambio del riconoscimento della Repubblica: l’Inghilterra lo avrebbe fatto in cambio del riconoscimento dell’autonomia del Tibet; la Russia, invece, in cambio di quello della Mongolia esterna.
Il sostegno internazionale era anche alla base della negoziazione di ingenti prestiti internazionali, spesi quasi completamente per rafforzare l’esercito.*
Disordini nella Repubblica di Cina (1912 - 1949)
Nel 1909 si erano tenute le elezioni provinciali. Si è votato per censo (gli elettori rappresentavano lo 0,3 % della popolazione).
- Le elezioni parlamentari del 1913 dimostrano come ci fosse poca chiarezza su cosa dovesse intendersi per «partito»: fu frequente, infatti, l’affiliazione multipla, con candidati che si iscrivevano a più partiti. A vincere le elezioni fu il partito nazionalista (GMD, Guomindang) che discendeva dalla Lega giurata di Sun Yat-sen.
Il rappresentante eletto del partito nazionalista, che sarebbe diventato primo ministro, Song Jiaoren, venne ucciso in una stazione ferroviaria da alcuni sicari – quasi sicuramente dietro ordine di Yuan Shikai – mentre si stava recando a Pechino. Yuan lo fece assassinare per eliminare un potenziale avversario al ruolo di presidente.
Nello stesso anno, Yuan Shikai mise fuori legge il partito nazionalista e nel 1914 chiuse il parlamento. Sun Yat-sen, intanto, faceva molteplici spostamenti tra sud (zona di Canton) e Giappone. -
Il Giappone nel 1915 presentò 21 richieste a Yuan, tra cui il riconoscimento del ruolo predominante del Giappone nello Shandong, nella Mongolia interna, in Manciuria, nelle province costiere di fronte a Taiwan, nella vallata del Fiume Azzurro; chiese anche che tutti i ministri cinesi fossero affiancati da consiglieri giapponesi e che l’attività di polizia venisse svolta da soldati giapponesi.
Le richieste furono presentate segretamente, ma Yuan Shikai si rese conto dell’entità delle richieste che avrebbero trasformato la Cina in un protettorato giapponese e le rese pubbliche alle potenze. Si scatenò una sollevazione generale contro questa iniziativa: dal 1899, gli USA sostenevano nei confronti della Cina la «open door policy» (non dovevano esserci troppi attriti tra le potenze circa la distribuzione delle sfere di influenza), politica che sarebbe stata infranta da queste richieste del Giappone, fortemente sbilanciate a favore della potenza nipponica. Yuan, quindi, firmerà per qualche concessione (ad esempio per il controllo di alcune miniere), ma non fu concesso nulla di particolarmente significativo. Ma nell’opinione pubblica cinese questa situazione suscitò un’indignazione molto viva. - Una figura importante di questi anni è Chen Duxiu (1879 – 1942), intellettuale, professore e poi rettore dell’Università di Pechino (fondata nel 1898); nel 1915 fondò la rivista Gioventù Nuova, un appello alla gioventù e alle forze vigorose. Sosteneva posizioni anticonfuciane: Confucio teorizzò una concezione gerarchica dei rapporti sociali, sempre verticali; in questa scala, la posizione dei giovani si trovava eternamente in subordinazione, così come quella delle donne, che molto spesso diventavano le cameriere personali delle suocere. Chen attaccò la cultura tradizionale e la mentalità bigotta, cominciando a rivendicare l’utilizzo in letteratura di una lingua di uso quotidiano (prima anche racconti erano scritti in cinese classico, che aveva per i cinesi comuni lo stesso livello di estraneità rappresentato per noi oggi dal latino). Dixiu sarà nel 1921 tra i fondatori del Partito Comunista Cinese e suo segretario generale fino a 1927.
Viceversa, nel 1914 Yuan Shikai ripristinò il culto laico di Confucio, con cerimonie e forme di omaggio di fronte alla tavoletta nei templi. Nel novembre 1915, espresse la volontà di tornare alla forma imperiale e di fondare nuova dinastia. A dicembre, nel solstizio d’inverno celebrò un sacrificio nel tempio seguendo il cerimoniale imperiale (con tanto di abiti imperiali), ma forze che realmente garantivano appoggio a Yuan, ovvero i governatori militari, non lo seguivano più. Nella primavera del 1916, Yuan rinunciò al progetto e nel giugno spirò.
Il fenomeno del warlordismo dopo la morte di Yuan Shikai: caratteristiche e problematicità
A seguito delle dinamiche di rafforzamento dell’autonomia provinciale, non esisteva più un centro di governo/potere a livello nazionale. I veri detentori del potere divennero i militari, figure che avevano alle spalle un loro esercito: cominciò il periodo dei «signori della guerra» (war lords), personaggi che aumentarono la regionalizzazione e la militarizzazione del potere. Essi avevano una provenienza molto diversificata: banditi, ex governatori militari, figure uscite dalle neo-costituite accademie militari di tipo occidentale. Ci furono anche figure relativamente illuminate che, sulla scia del movimento yangwu, provarono ad istituire nei territori di loro controllo delle attività imprenditoriali. Ma ci furono anche persone violente e sadiche nei confronti del popolo.
Un tratto comune a questi profili eterogenei è l’aumento della militarizzazione nelle campagne: le truppe dei signori della guerra si facevano mantenere dai contadini, con sistemi di tassazione stupefacenti. Queste truppe si impadronivano di animali da lavoro, anche riducendo, in questo modo, la loro produttività. Stampavano anche cartamoneta senza valore, forzando le persone ad accettarla, e rendendo le tassazioni commerciali una sorta di esproprio. Ci fu un enorme drenaggio di ricchezza, indirizzato a scopi militari che, sicuramente, hanno ritardato lo sviluppo economico cinese.
La Commissione internazionale per sopperire alla carestia in Cina, incaricata di aiutare le vittime di carestie dovute a cause naturali, dovette persino cambiare la sua definizione di carestia per poter soccorrere persone che stavano morendo di fame per cause di sfruttamento. Nei fatti, la Croce Rossa americana rifiutò di partecipare a questa commissione perché la carestia era creata da fenomeni politici e non naturali.
I war lords si dimostreranno incapaci di creare un movimento nazionale, e impediranno anche ai gruppi non militari di farlo. Contribuirono a un’ulteriore militarizzazione della politica cinese. L’eredità del militarismo è stata più militarismo.
Il partito nazionalista dovette sviluppare un potente esercito per competere con i warlords e, nel corso di questo processo, l’elemento militare arrivò a dominare il partito. Anche i comunisti, da parte loro, dovettero creare un forte esercito per contrapporsi ai nazionalisti e a quanto rimaneva del warlordismo.
Alla fine, la militarizzazione non fu permanente. Al contrario, emerse, da questa contrapposizione finale (comunisti vs nazionalisti), la forza che manterrà sempre il controllo politico dell’esercito. Il vincitore finale nella lotta, infatti, – il partito comunista – si è sempre mantenuto fedele al principio che deve essere il partito che controlla il fucile.
La frammentazione e il disordine fomentati dal warlordismo fornirono anche un’opportunità per la diversità intellettuale e atteggiamenti iconoclastici che fiorirono a partire dagli anni Venti. Gli intellettuali cinesi, come risposta ai mali generati dal warlordismo, ingaggiarono discussioni intense sul modo in cui la Cina poteva essere modernizzata e rafforzata.
Reazioni al warlodismo
- solo nella provincia dello Shandong sorsero gruppi di banditismo, forme di reazione e contrapposizione alle truppe dei signori della guerra che contribuirono ad aggravare una situazione di violenza già presente; anche i banditi vivevano alle spalle della popolazione;
- contribuirono alla militarizzazione della politica cinese: il partito nazionalista cinese, il più potente movimento sociale agli inizi del XX secolo, in parte come risposta alla disunità e alla vulnerabilità internazionale prodotta dal warlordismo, dovette sviluppare un potente esercito per competere con i warlords e, nel corso di questo processo, l’elemento militare arrivò a dominare il partito. Anche i comunisti, da parte loro, dovettero creare un forte esercito per contrapporsi ai nazionalisti e a quanto rimaneva del warlordismo.
La Cina e la Prima Guerra Mondiale: le decisioni prese a Versailles
Dopo la morte di Yuan, a Pechino comandava la cosiddetta «cricca degli Anfu», del signore della guerra Duan Qirui, mentre il vecchio parlamento continuava a essere chiuso. Duan governò con diversi ministri filo-giapponesi.
Nell’agosto del 1917, Duan intervenne nella Prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia), mandando decine di migliaia di uomini in Europa. Tale intervento fu finanziato dal Giappone, che vide un’ulteriore occasione per allungarsi verso la Cina. I soldati inviati furono inviati per recuperare cadaveri e feriti dal terreno di battaglia: la barriera linguistica tra le truppe dell’Intesa era evidente. Nella conferenza di Versailles, pertanto, la Cina figurò tra i Paesi vincitori.
Anche il Giappone, fin dal 1914, si era schierato a fianco dell’Intesa, non mandando in Europa delle sue figure, ma compiendo una mossa che disturbò la Cina: occupò i possedimenti tedeschi in Asia orientale, ovvero arcipelaghi nel Pacifico (Isole Marianne), conquistati dalla Germania, Isole Marshall e isole Caroline, e occupando lo Shandong, zona di influenza della Germania, che vi aveva costruito una lunga linea ferroviaria. Quindi, alla conferenza di Versailles anche il Giappone risultò tra i Paesi vincitori.
In Cina c’erano grandissime aspettative che le zone in affitto e i diritti sulle linee ferroviarie che la Germania aveva costruito nello Shandong venissero trasferite alla Cina; invece, la conferenza deciderà che, almeno in un primo tempo, fossero trasferiti al Giappone. A questa decisione contribuì sicuramente la Rivoluzione d’ottobre, alla luce della quale l’instabilità e il fervore intellettuale della Cina sembrarono pericolosi e suscettibili di contagio; al contrario, il Giappone, allievo diligente dell’Occidente, sembrava più affidabile.
Il movimento del 4 maggio 1919 di Pechino: perché sorse e quali sono le sue caratteristiche
Sorse come una reazione alle decisioni prese al tavolo di Versailles nel 1919. Le potenze occidentali, infatti, accolsero le richieste di annessione del Giappone.
Quando a Pechino giunse la decisione presa dalla conferenza di Versailles, erano state portate avanti una serie di riforme, come l’introduzione di una forma repubblicana (formalmente) e di un’assemblea parlamentare. Pertanto, la decisione presa a Versailles ferì molto. A maggio del 1919 a Pechino, studenti e professori universitari diedero il via a un movimento di protesta, il movimento del 4 maggio, appoggiato dalla borghesia della capitale, dai circoli intellettuali progressisti e da accademici di prestigio, come il rettore Chen Duxiu. Furono loro gli animatori perché erano persone alfabetizzate.
La richiesta del movimento era quello di non firmare il trattato di Versailles. Dopo svariati incidenti, che inclusero 3mila arresti, il 12 giugno il governo (ovvero la cricca degli Anfu) cedette e accolse le richieste dei manifestanti. Questo, però, non ha cambiato la sostanza delle decisioni prese a Versailles.
I moti del 4 maggio ebbero poca risonanza al di fuori di qualche città, quasi nessuna nel mondo rurale, ma furono accompagnati da scioperi, che servirono da cassa di risonanza per i moti riformatrici degli ambienti universitari.
Il movimento del 4 maggio è stato animato da giovani che 1) subivano l’influenza della cultura occidentale del primo Novecento. Gli studenti che erano stati mandati a studiare all’estero erano infatti entrati a contatto con i libri del Paese di destinazione e avevano recepito influenze culturali diverse. Dal positivismo e dalla filosofia della libertà francese, al pragmatismo americano, dal marxismo fino all’anarchismo: per la prima volta nella storia della Cina moderna queste forme di radicalismo si associarono al nazionalismo; 2) questi ambienti studenteschi respingevano l’imperialismo straniero, quindi il mancato riconoscimento dell’indipendenza nazionale della Cina col trasferimento al Giappone dei diritti dello Shandong; 3) a questa opposizione di tipo politico si aggancia anche una contestazione di tipo culturale, con il rifiuto dell’impianto culturale confuciano, ideologia imperiale che rifiutava la ricezione della scienza e, tra le altre cose, della democrazia.
La fortuna del marxismo e del leninismo in Cina: le motivazioni
Li Dazhao era un professore all’università di Pechino e uno tra i primi a studiare la Rivoluzione d’ottobre. Fondò nel 1918 un’associazione per lo studio del marxismo, cui partecipò Mao Zedong, bibliotecario all’università.
In Cina si diffusero anche le analisi di Lenin, ad esempio quelle attorno al concetto di «partito», che entrerà nei dibattiti politici e chiarirà finalmente agli intellettuali che cosa dovesse intendersi con questa parola. Nell’elaborazione che ne fece Lenin, il partito è un’organizzazione di massa che, in un Paese arretrato, si fa carico di rappresentare gli interessi di chi non è in grado di farlo per mancanza di cultura. La leva decisionale del partito poggia sul principio del centralismo democratico: quando si presenta un problema questo viene discusso; una volta che la maggioranza ha preso una posizione, la minoranza si adegua, senza ostacolare la decisione presa.
Le motivazioni
- le analisi marxiste si diffusero attraverso gli studenti (che subivano l’influenza della cultura occidentale e recepivano le nuove ideologie) e attraverso gli emissari del Comintern inviati in Cina a partire dagli anni Dieci;
- il concetto di imperialismo sembrava spiegare bene le condizioni in cui si era venuta a trovare la Cina;
- l’esistenza di un gap di classe tra la classe dei letterati confuciani e il resto della popolazione;
- una certa convergenza di visioni tra il materialismo storico marxista e l’impronta psichica e culturale cinese.
Il materialismo storico guarda al mondo com’è, senza alcuna forma di idealismo. Ciò corrisponde a un atteggiamento della filosofia cinese che non conosce la metafisica, gli assoluti e gli astratti occidentali (lo stesso alfabeto occidentale poggia su un processo di astrazione). La forza motrice della storia è la materia economica e produttiva, non astratta: secondo Marx, infatti, sono le modalità di produzione che determinano la cultura. Secondo questa visione, i rapporti interpersonali del mondo premoderno sono stati caratterizzati da legami di tipo qualitativo (ad esempio l’artigianato); successivamente, è stata la produzione di massa a creare la cultura di massa.
Nella storia, inoltre, si succedono una serie di fasi animate da una propria dialettica interna. La struttura linguistica cinese è dialettica, senza strutture grammaticali fisse, e vede il mondo in una continua dialettica di trasformazione.