Tomás Maldonado - Disegno industriale: un riesame Flashcards

1
Q

CAP. 1

La definizione di disegno industriale

A

Per disegno industriale si intende, in genere, la progettazione di oggetti fabbricati industrialmente.
Questa definizione però non riesce a puntualizzare in modo preciso la differenza che esiste tra l’attività del disegnatore industriale e quella svolta dall’ingegnere.

La definizione dà per scontato, inoltre, che tutti gli oggetti non fabbricati industrialmente non rientrino nell’ambito del disegno industriale.
Esiste un’ampia gamma di prodotti che vengono eseguiti con mezzi tradizionali, avvalendosi solo saltuariamente di macchinari per la produzione standardizzata; altri invece vengono prodotti solo tramite il lavoro in serie.

Il fatto che questi oggetti siano o meno prodotti in serie non autorizza a considerare il lavoro come industriale.
Oggi infatti è possibile affiancare a un tipo di produzione continua un tipo di produzione differenziata.

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2
Q

CAP. 1.1

Altre definizioni di disegno industriale

A

Una seconda definizione mette l’accento solo sulla forma esterna del prodotto.
Il compito del disegnatore industriale quindi riguarderebbe la sola dimensione estetica.

Ovviamente questa definizione si è dimostrata insostenibile.
Un’altra definizione da prendere in considerazione è quella adottata dall’Icsid (International Council of Societies of Industrial Design) nel 1961, secondo cui il disegno industriale ha come finalità ultima quella di “concretizzazione di un individuo tecnico”.

Progettare la forma significa coordinare, integrare e articolare tutti quei fattori che contribuiscono al processo costruttivo della forma del prodotto.

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3
Q

CAP. 1.2

Il disegno industriale non è un attività autonoma

A

Il disegno industriale non è però un’attività autonoma: le sue scelte sono sempre prese nel contesto di un sistema di priorità rigidamente prestabilite.
Queste priorità teoricamente dovrebbero cambiare a seconda della società: il disegno industriale non può essere lo stesso in una società altamente industrializzata e in un paese in via di sviluppo.

L’esigenza di questa maggiore flessibilità della definizione di disegno industriale deriva dall’assunto che in ogni contesto socio-economico esiste, o dovrebbe esistere, un modo specifico di affrontare il problema della “forma delle merce”.

Solamente se si riconosce la vastità dell’arco delle conseguenze del disegno industriale, è possibile capire tutta la sua reale importanza. Come tutte le attività progettuali che intervengono nel rapporto produzione-consumo, il disegno industriale agisce come una vera e propria forza produttiva, che contribuisce all’organizzazione delle altre forze produttive con le quali entra in contatto.
Ha il compito di mediare tra bisogni e oggetti, tra produzione e consumo.

Il disegno industriale è un “fenomeno sociale totale”.
Non si può quindi esaminare isolatamente, ma sempre in relazione ad altri fenomeni con cui costituisce un unico tessuto connettivo.

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4
Q

CAP. 2

Presupposti storici del disegno industriale.

(Cosa accade a partire dal 1600?)

A

A partire dal 1600 si diffonde una letteratura in cui le macchine sono presentate come strumenti capaci di assicurare agli uomini la felicità sulla terra e anche al di fuori.
Tra gli esponenti più importanti risultano Galilei, Bacon e Da Vinci.

Le utopie scientifiche e tecniche sono conseguenze della rivoluzione intellettuale del Quattrocento, proseguita nel Cinquecento e consolidatasi nel Seicento.
Apre la strada al superamento della tradizionale opposizione tra sapere pratico e sapere teorico, tra sapere tecnico e sapere scientifico.

Un ruolo fondamentale è rivestito dagli automi che, offrendo una versione frivola e divertente della macchina, contribuiscono a superare la convinzione della macchina come oggetto terrificante.
La tecnica imita il comportamento della natura: l’essere tecnico appare come essere vivente.

L’osservazione della natura diventa fondamentale per lo sviluppo della tecnica e l’osservazione
della tecnica aiuta a capire meglio la natura

Nelle rappresentazioni visive delle macchine dal 1500 al 1700 c’era la necessità di ambientare le figure in un contesto familiare.
La macchina, integrata in un’apposita “scenografia”, diventa un un soggetto altrettanto meritevole di cura artistica quanto qualsiasi altro.
La macchina entra così nell’arte come un “teatro delle macchine”.
Inizia a farsi strada un nuovo approccio filosofico nei confronti degli oggetti tecnici.

Importante è il contributo dei protofunzionalisti.
L’idea che la bellezza di un oggetto dipenda dalla sua utilità ed efficenza inizia ad avere i suoi sostenitori in Inghilterra, Italia, Francia e Germania.
La scoperta del rapporto bisogno-lavoro-consumo (Smith, Hegel, Marx) ha mutato il modo di vedere e di interpretare gli oggetti tecnici.

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5
Q

CAP. 2.1

Ci si accorge che i manufatti metallici sono delle?
Quali sono i pensieri di SMITH - HEGEL - MARX?

A

Ci si accorge che i manufatti metallici sono delle interazioni socio-economiche.

  • Secondo Smith l’invenzione delle macchine che facilitano e abbreviano il lavoro dell’uomo
    sembra si deve alla divisione del lavoro.
  • Secondo Hegel, l’uomo in quanto essere bisognoso è costretto ad avere un rapporto pratico
    con la natura esteriore, con cui deve necessariamente agire, per conformarla e studiarla.
  • Per Marx, Il processo di umanizzazione è inseparabile dal processo di artificializzazione della natura; l’uomo diventa tale tramite la produzione di una natura umanizzata, cioè artificializzata.

Alcune iniziative promozionali inoltre sanciscono, nel corso ‘800, il passaggio dall’artigianato alla produzione industriale. Nel 1851 il principe Alberto promuove a Londra la Great Exhibition.
Alla Great Exhibition del 1851 di Londra è sempre stato assegnato un ruolo fondamentale in tutte “le storie” del disegno industriale.
E importante perché ha contribuito a renderci consapevoli del degrado estetico degli oggetti in quel preciso momento storico, giudizio riferito solo ad alcune classi di oggetti e non riferito invece alle macchine e agli strumenti tecnici esposti.

Sul piano legislativo in diversi paesi si stabilisce l’obbligo per le prime leggi dell’igiene e della sicurezza, inoltre alcune iniziative hanno avuto influenza diretta sugli oggetti tecnici e hanno contribuito a mutare il compito del disegno industriale.
In questo modo una configurazione formale va a nascondere quella che è la configurazione tecnica dell’oggetto, stabilendo una dicotomia diventata caratteristica dominante degli oggetti della civiltà industriale, per esempio determinando la nascita della carrozzeria, ovvero l’involucro.

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6
Q

CAP. 3

L’apporto dell’avanguardia storica.

A

Durante il 1800 era frequente che intellettuali (Dickens, Ruskin, Morris, Baudelaire) assumessero una posizione di critica o rifiuto nei confronti della macchina.
La diffusione della locomotiva (1830-1850) però cambia radicalmente il panorama della società vittoriana, vista come un’irruzione oltraggiosa del meccanico nell’organico.. La natura, celebrata dai romantici, appare ora minacciata da un “congegno malefico”.
Ciò che si esalta questa volta non è solo l’oggetto tecnico, ma anche gli uomini che lo inventano, lo costruiscono, lo producono e lo usano.
I futuristi si propongono un cambiamento globale della quotidianità dell’uomo che, a contatto con la macchina, cambia fino alla radice.
Nel manifesto futurista di Marinetti si fa strada infatti un’estetica della velocità.

  • Duchamp e Picabia, per esempio, si sforzano di dimostrare la carica poetica della fusione tra il meccanico e l’organico: mediare tra natura e artificio.
  • Duchamp riprende la tematica degli automi: mediare tra natura e artificio, ma in chiave di
    humour noir, cosicché si riesca a fantasticare su quella che è la macchina.

Si tratta adesso di ispirarsi alle macchine, ma ciò va inteso, secondo Le Corbousier, nel senso di far diventare certe proprietà formali delle macchine, delle proprietà formali di opere di architettura, pittura scultura.
Le Corbusier afferma che fino ad oggi è stato solo dalla natura che abbiamo preso i nostri modelli, è ora che andiamo a cercarli anche nella tecnica.
E’ un invito ad ispirarsi alle macchine.

Inoltre l’arte produttivista si configura già negli anni 1918 e 1919, in particolare Brik fu il primo russo a introdurre la nozione di cultura medievale.
Egli ritiene impensabile la rivoluzione della vita quotidiana senza la rivoluzione della cultura materiale, anche se parla dei nuovi prodotti in termini di opere d’arte.

L’ambizioso programma di rivoluzione culturale, così come l’avevano concepito, fu un’umiliante sconfitta dell’avanguardia russa.

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7
Q

CAP. 4

Il dibattito sul rapporto produttività-prodotto.

A

Dal 1907 al 1914 il problema della produttività industriale è affrontato in Germania in termini di razionalizzazione e tipizzazione degli oggetti in serie.
Questo viene visto come un dibattito sull’aspetto esteriore degli oggetti d’uso e in particolare sull’influenza degli stili decorativi di moda rispetto alle esigenze della produttività.

L’arte applicata in quegli anni seguiva ancora gli aberranti stili decorativi ereditati dalla tradizione vittoriana.
Secondo Muthesius la spiegazione andava ricercata nella classe dei borghesi ossessionati dal desiderio di apparire tramite l’acquisto ostentatorio di oggetti costosi, visti come agenti della dinamica classista della società.
Ma Muthesius esaminò anche le implicazioni economico-produttive, poiché questi oggetti richiedevano una materia prima che non veniva utilizzata come si dovrebbe e quindi si sprecava e si aveva un lavoro aggiunto inutile.

Molti presero la posizione di Muthesius e nel 1907 a Monaco nacque la Deutscher Werkbund, ovvero un’associazione che nobilitava il lavoro industriale in una collaborazione di arte, industria eartigianato, tramite l’istruzione. Tuttavia alcuni dei suoi membri ritenevano che fosse un problema sostituire l’ornamento immorale degli stili tradizionali con quello morale dello stile moderno.
Muthesius era un seguace della norma, mentre Van de Velde era un seguace della libertà perché tenne sempre un atteggiamento di rifiuto nei confronti di interventi normativi sulla forma degli oggetti.

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8
Q

CAP. 4.1

La caratteristica distintiva del capitalismo tedesco

Behrens

Il fordismo

A

La caratteristica distintiva del capitalismo tedesco era il fatto che oscillava tra un’alternativa e l’altra in quanto nessuna era mai stata trattata in termini economici.
Rathenau era un altro seguace della norma, il quale esemplificò il modo ambiguo in cui il produttivismo si presenta in Europa: si tratta di un fordismo che celebra e denuncia il produttivismo, con cattiva coscienza.

Sulla stessa linea Behrens esamina il rapporto conflittuale tra le esigenze espressive dell’artista e quelle funzionali dell’ingegnere: da un lato critica gli artisti di creare un nuovo stile senza tener conto della produzione; dall’altro critica il nuovo stile dei prodotti tecnici che nasce solo dalla funzione e dalla materia.
L’ideale di Behrens é di poter fondere arte e tecnica in una sola realtà, ma per fusione intende la subordinazione della tecnica all’arte. Inoltre ripropone l’ornamento persino negli apparecchi tecnici, a condizione che siano impersonali.

Il Fordismo fallì per varie ragioni, ma la più importante va ricercata nella crisi economica del 1929-32, con 12 milioni di disoccupati. Inoltre c’è un aspetto piuttosto trascurato che riguarda come la crisi ha costretto la grande industria ad abbandonare quelle “massime d’azione” che avevano esercitato tanta influenza sull’avviamento della prosperità degli anni 20.

Tre queste massime d’azione ripudiate si trovano quelle che riguardano il problema della configurazione formale del prodotto.
Indubbiamente il Fordismo ha contribuito alla prosperità degli anni 20, ma questa stessa prosperità ha finito per rivoltarglisi di contro. Infatti nel 1920 si registra una tendenza alla flessione delle vendite del modello “T” della Ford, incapace di confermare la sua preminenza nei confronti dei modelli della General Motors, più attraenti anche se più costosi.
Il fenomeno si spiega col fatto che nell’euforia della prosperità si ha meno interesse per il prezzo, per lo stile e per il comfort

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9
Q

CAP. 4.2

Rafforzamento antifordista

Styling

A

La crisi del 1929 apre le strade al rafforzamento antifordista in quanto nel settore delle automobili, dopo la crisi, si opta per una politica di molti modelli che hanno breve durata e la forma dei prodotti non è più concepita rispettando la semplicità costruttiva e funzionale. Ma nasce ora lo Styling, cioè la modalità di rendere il prodotto superficialmente attraente a scapito della sua qualità. Dunque si attua un programma tuttavia di spreco.

Ma lo Styling appare come uno dei principali espedienti della promozione delle vendite e assume il ruolo di centro nervoso del capitalismo monopolistico. Alcuni hanno difeso lo Styling come espressione di creatività popolare, mentre altri lo hanno collegato al problema del kitsch.ma entrambe queste interpretazioni hanno in comune il rifiuto delle forme caratterizzate dalla monotonia e prive di ogni espressione e decorazioni, ovvero quelle forme della razionalizzazione e tipizzazione.

Il Fordismo aveva inoltre organizzato il lavoro e il controllo della vita privata del lavoratore, trasformandolo nel famoso “gorilla ammaestrato“ di Taylor, con il corrispondente “prodotto ammaestrato“, divenuto un ostacolo per le nuove esigenze del capitalismo monopolistico, il quale aveva bisogno dell’irrazionalità del mercato, cioè di prodotti capaci di impegnare la maggior quantità di lavoro improduttivo possibile.

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10
Q

CAP. 5

iL Bauhaus-Ulm

Gropius

A

Il Bauhaus nasce in Germania nel 1919 dalla fusione di due istituti preesistenti. Il primo direttore fu Gropius fino al 1928, il secondo fu Meyer fino al 1930, e l’ultimo fu Van der Rohe fino al 1933.

La storia del Bauhaus è suddivisa in tre periodi che corrispondono ai tre diversi direttori. Inoltre il periodo della direzione di Gropius è suddiviso sua volta in due fasi: la prima è quella di Itten, fino al 1923, e la fase dopo Itten fino al 1928. Itten era il meister della Bauhaus e rappresentava la tendenza mistico-espressionistica che ebbe influenza sulla didattica della scuola.
Venne poi sostituito da Nagy la cui didattica era influenzata dal costruttivismo.

La Repubblica di Weimar e il Bauhaus hanno un forte legame nonché la stessa data e luogo di nascita, e la stessa data di sparizione.
E’ indispensabile esaminare anche quanto è accaduto prima della Repubblica di Weimar, ovvero la problematica del rapporto arte-industria.

La prima domanda che ci si pone è in quale misura il dibattito di allora abbia condizionato il percorso del Bauhaus.
La risposta è che Gropius risultava legato a Behrens e pertanto alla ricerca di una mediazione culturale nei confronti dell’industria. La sua è dunque un’esplicita adesione alla corrente della razionalizzazione e tipizzazione.

Quelli erano gli anni in cui il nascente espressionismo tedesco trovava il suo riscontro nel vitalismo filosofico (filosofia della vita).
La componente vitalistico-espressionista prenderà sempre più forza nello stile espositivo di Gropius.

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11
Q

CAP. 5.1

Il mutamento di Gropius

A

In un testo del 1925 Gropius rompe definitivamente con il proprio passato espressionista.
Le ragioni di tale mutamento sono molte, ma due in particolare: la prima è la discrepanza tra Gropius e Itten, la seconda è l’impatto, su Gropius e sul Bauhaus, dell’azione propagandistica svolta Weimar.

In Gropius la volontà di mutamento era rinforzata dalla sua percezione di un eventuale sviluppo futuro dell’economia tedesca. Infatti era nell’aria in quegli anni che un cambiamento nella politica economica degli alleati nei confronti della Germania fosse imminente, ovvero riproporre il produttivismo nell’industria tedesca.
Infatti Gropius affrontò questa situazione con un radicale rinnovamento del Bauhaus.

Ciò significò per lui tornare quindi alle posizioni di prima della guerra.
A questo processo contribuì anche Van Doesburg, il direttore della rivista olandese De Stijl.
Fu un protagonista di primo piano dell’avanguardia europea e ha risieduto per quasi due anni a Weimar senza insegnare però al Bauhaus.

Inoltre denunciava l’ideologia espressionista dominante in quella scuola e attaccava sia Itten che Gropius. Richiamò inoltre l’importanza dell’estetica meccanica, resa possibile dall’impiego della macchina, e propose uno stile elementare di forme pure, con un limitato numero di figure, di corpi e di colori.

All’estetica dominante nel Bauhaus, che esaltava l’artigianato e l’espressionismo razionale, tale personaggio contrappose l’estetica che celebrava la macchina e il controllo razionale del processo creativo.

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12
Q

CAP. 5.2

Il mutamento di Gropius porta un cambiamento e una certa influenza nella progettazione e nel Bauhaus.

A

L’influenza di questo stile si fece sentire anche nella progettazione.
Tale influenza ebbe ripercussioni anche sulla grafica del Bauhaus.
Indipendentemente dall’influenza di altri movimenti, va riconosciuta al Bauhaus una relativa
autonomia in certi campi della progettazione, soprattutto gli apparecchi di illuminazione elettrica.
Infatti dal 1926 al 1933 la Brandt avvia la produzione di diversi modelli che diventeranno archetipi del cosiddetto stile Bauhaus: la lampada da comodino di Kandem e le lampade a globo.
Nel campo dei mobili, un primo importante contributo del Bauhaus è costituito dalla sedia Wassily, in acciaio curvato, sviluppata da Breuer. A partire da questo modello emerse l’ossessione di trovare per le sedie sempre nuove soluzioni di tipo lineare, soprattutto dal 1927 dalla ditta Thonet.
Gropius inoltre aveva coniato lo slogan “arte e tecnica, una nuova unità”, una versione aggiornata della tesi di Behrens con un ingrediente in più, ovvero l’estetica meccanica di Van Doesburg.
È così che Gropius si appropria del formalismo neoplasticista rielaborato da quello costruttivista.
In questo modo un nuovo criterio di composizione della forma, ispirata alla tecnica, va a sostituire quello precedente ispirato all’artigianato.
Meyer porta al Bauhaus lo spirito della rivista Svizzera ABC che rappresentava il funzionalismo tecnico-produttivistico, in contrasto con quello tecnico-formalistico imperante nel Bauhaus

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13
Q

CAP. 5.3

Per Mayer l’arte intralciava…

Lo Styling

Gute Form

A

Per Meyer l’arte in genere intralciava l’avvento di una cultura sociale libera dai vincoli borghesi del passato, dunque era in chiaro contrasto con la tesi di Gropius dell’unità tra arte e tecnica.
Inoltre per Meyer lo stile Bauhaus non era altro che formalismo.

Quando lo stile Bauhaus assume le sue caratteristiche definitive, intorno al 1927, il programma produttivistico ha già incominciato a mostrare la propria vulnerabilità e il capitalismo tedesco é ormai orientato verso una nuova strategia.
Meyer ripropone così il produttivismo come strategia di mutamento della vita quotidiana.
Miss Van de Rohe fu l’ultimo direttore, ma in questo periodo dal punto di vista del disegno industriale ci saranno scarsi contributi sia teorici che pratici.

A partire dal 1933, data della chiusura definitiva dell’istituto, nacque la leggenda di un Bauhaus identificato esclusivamente con l’era di Gropius. Negli anni 30 incominciano a profilarsi due poli contrapposti: da un lato lo Styling e dall’altro lo stile Bauhaus, il quale diventa di nuovo attuale.
La cultura americana, negli anni 30, era alla ricerca di un’alternativa allo Styling e all’Art déco, infatti in questo ambito comincia a farsi strada l’idea che certi oggetti prodotti dall’industria possono essere considerati di good design, per la loro qualità formale.

Negli anni 40 sviluppa poi la concezione della Gute Form, che è l’equivalente europeo del design americano. Il principale esponente fu Bill, allievo del Bauhaus fra Gropius e Meyer, il quale risente fortemente dell’influenza dell’orientamento estetico-formale.
L’avvento dello Styling cambia radicalmente la problematica del disegno industriale e di
conseguenza la valutazione del formalismo.
Dunque la Gute Form si presenta come un atteggiamento di dissenso dello Styling.

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14
Q

CAP. 5.4

A che tipo di scuola auspicava Bill?

A

Bill auspicava una scuola capace di sviluppare l’orientamento estetico-formale del Bauhaus,
questa era la Hochschule für Gestaltung. Questa scuola era d’accordo sul Bauhaus ma solo dopo una verifica dell’attualità o meno dei suoi presupposti didattici, culturali e organizzativi.

Gli effetti di Bill sullo sviluppo di tale scuola furono: il cambiamento del piano di studi che rifletteva le discipline scientifiche e tecniche, l’impostazione didattica che cercava di ridurre al minimo gli elementi di attivismo e formalismo, e il programma della sezione disegno industriale che si orientava allo studio della progettazione.

Da tali cambiamenti derivò poi il “concetto Ulm”, che influenzò tutte le scuole di disegno industriale.
Negli anni 50 due docenti di tale scuola diedero un apporto alla linea di prodotti della ditta Braun, dalla quale si svilupperà il cosiddetto stile Braun che costituisce un banco di prova per la concezione della Gute Form come alternativa lo Styling.

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15
Q

CAP. 6

Disegno industriale e il nuovo orizzonte tecnologico

A

È ormai noto che i problemi che il disegnatore industriale deve affrontare appaiono condizionati dal contesto tecnologico, in particolare dalla micro elettronica.
Un disegnatore industriale deve necessariamente chiedersi quindi in quale misura ciò che sta accadendo nel mondo dei prodotti può cambiare i metodi della sua attività progettuale e domandarsi quale sia l’incidenza dei nuovi prodotti sull’ambiente e sulla nostra vita.

A questo punto è utile esaminare il fenomeno della miniaturizzazione nel campo dell’elettronica che ha consentito una caduta del costo di produzione dei prodotti e del loro prezzo di acquisto, e ha anche facilitato il loro successo nel mercato.
Alcuni prodotti addirittura sono finiti per essere stati cancellati dal sistema degli oggetti dei paesi industrializzati, ma non sempre i nuovi prodotti subentrano ai precedenti all’improvviso.
Ma la novità sostanziale di un prodotto si apre la strada tramite novità derivate.
Più di frequente accade invece che l’emergere di un prodotto innovativo faccia scaturire un processo di proliferazione di altri prodotti.

Questa prospettiva tecnologica ha indotto qualcuno a parlare di una dematerializzazione della
società, dove gli oggetti materiali verrebbero sostituiti sempre più dai servizi immateriali.

Ma in una società come l’attuale, in cui l’informazione ha un ruolo fondamentale, si vede nel processo di informatizzazione una sorta di dematerializzazione del mondo in cui viviamo. In realtà ciò che abbiamo sotto gli occhi non è altro che è un atroce incremento di presenze materiali, senza contare l’imponente ammasso di rifiuti che queste generano.
Ciò però non deve far dimenticare che l’area di intervento del disegno industriale rimane quella attinente al processo formativo degli oggetti come elementi strutturanti dell’ambiente umano, che stabiliscono dei rapporti con gli utenti.

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16
Q

CAP. 7

Design Caldo vs Design Freddo

A

Negli ultimi tempi, viene teorizzata una contrapposizione tra quello che è il design freddo (disumano), rivolto alla produzione industriale e destinato al consumo di massa, e il design caldo (umano), destinato alla fruizione artistico-culturale di pochi soggetti sociali.
Nella contrapposizione design freddo/design caldo vi è il tentativo di presentare come novità, tematiche che sono già state discusse alla fine del 19 secolo.

Tutto il design preindustriale era quindi caldo, ossia fatto artigianalmente da pochi e destinato a pochi.
I fautori del design caldo inoltre avanzano la pretesa di assoluta egemonia, nei confronti
soprattutto del design freddo, e pretendono che il loro insegnamento debba svolgersi in piccole botteghe sotto la guida di uno o pochi maestri.
In pratica ripropongono un ritorno alle botteghe Arts and Crafts.
Questo tentativo è stato incoraggiato però dalla tendenza a rendere autonomo il cosiddetto design, inteso come un’attività progettuale diversa rispetto all’industrial design, il quale ha cercato sempre di limitare il suo specifico campo al product design.

17
Q

CAP. 8

Disegno industriale e italian design

A

La tendenza a liberare la nozione di design da ogni vincolo disciplinare si manifesta principalmente nell’Italian design, che opera soprattutto nella progettazione dell’arredamento.
Appare innegabile che la sua notorietà internazionale sia dovuta a una tendenza che si è adoperata, negli anni 60, in un’azione provocatoria nei confronti del gusto dominante nel mercato degli oggetti d’arredamento e quindi ha contribuito a smuovere la quiete del conformismo regnante negli alloggi delle classi medio alte dei paesi industrializzati.

Questo tentativo è stato reso possibile grazie all’emergere di una consumer élite che preferiva affermare la continuità tramite la precarietà, espressa con oggetti banali ma divertenti.
Gli oggetti alla base di questo nuovo conformismo sono di natura effimera e di breve durata, per esempio di una stagione.

Il disegno industriale dell’arredamento ha oggi in Italia una supremazia giustificata dalla
possibilità di un intervento progettuale che viene offerto in questo campo ai disegnatori
industriali, che è più ampia rispetto agli altri campi.
Ma il fatturato complessivo delle industrie che non producono arredamento risulta molto
superiore. In realtà la gamma di prodotti e mercati che riguardano l’arredamento in Italia è tanto estesa quanto poco strutturata.

18
Q

CAP.9

Disegno industriale nel terzo mondo

A

Nei paesi del terzo mondo in cui l’industria manifatturiera manca si ipotizza che il disegno
industriale potrebbe avere un ruolo nel processo di modernizzazione, ma i vari tentativi hanno sempre dimostrato che non è possibile. Va detto però che se il prerequisito del disegno
industriale e l’esistenza di un’industria, il vero interrogativo da porsi riguarda i motivi per cui nel terzo mondo l’industria ha trovato difficoltà di insediamento.

Il vero problema è l’opportunità di trasferire le tecnologie avanzate dal centro alla periferia per favorire il decollo del processo di sviluppo. Ma il trasferimento a casaccio di tali tecnologie ha generato nuove forme di sottosviluppo con effetti devastanti.
Nell’ambito della riflessione sulle tecnologie più appropriate vi sono coloro che teorizzano le nuove tecnologie intermedie.

Questa concezione fa perno sulla possibilità di una tecnologia autocentrata in grado di individuare settori prioritari in cui il trasferimento di tecnologia può essere avviato.
In questo modo il disegno industriale potrebbe avere un ruolo.

Bonsiepe però ha rilevato le difficoltà di tale ipotesi, tra cui quella che il trasferimento tecnologico in tali settori si presenta come un trasferimento di prodotti già vincolati dai paesi industrializzati da cui provengono, e ciò si spiega col fatto che il trasferimento tecnologico assume la forma di un acquisto di brevetti e di servizi che riducono a zero la possibilità di un intervento progettuale nel paese che importa la tecnologia.

Questo sbarra la prospettiva di un disegno industriale autonomo nei paesi periferici.Ci sono alcuni paesi però in cui il processo di modernizzazione è riuscito a decollare, tra cui Singapore e la Corea del sud.
Questo perché è stato decisivo far leva sulle tecnologie tradizionali senza escludere il trasferimento di tecnologie avanzate, reso possibile dagli investimenti americani e giapponesi.

19
Q

CAP. 10

Disegno industriale e il discorso della qualità

A

Nel settore della produzione automobilistica viene oggi prospettata una nuova filosofia che fa perno su una versione molto ambiziosa dell’idea di qualità. Infatti nel complesso circuito
decisionale che porta a stabilire cosa, come quando si produce, hanno svolto un ruolo di primo piano soprattutto gli esperti del controllo qualità.
Va messo che nell’idea di qualità ci sono degli elementi fortemente innovativi. Prima di tutto vi è il proposito di situare la qualità al centro di un programma di riassetto dell’odierno sistema industriale, che dovrebbe influenzare i rapporti sociali della nostra società, e che prende il nome di “qualità totale”.

È alle imprese automobilistiche nipponiche che va riconosciuto il merito di aver portato alla pratica questo programma, non a caso la Toyota City viene soprannominata la capitale della qualità totale, ed ha una sbalorditiva incisività competitiva.
In Italia, l’industria automobilistica ha preso la decisione di impegnarsi sul fronte della qualità totale.
Si tratta dunque di sostituire la filosofia del responsabilizzazione gerarchica con quella della responsabilizzazione diffusa nel processo di gestione produttiva.
Il che significa deruolizzare il sistema d’impresa, e si far sì che i momenti macrodecisionali e microdecisionali diventino un processo continuo. Si tratta di una democratizzazione del sistema di fabbrica.

Altrettanto importante è l’eccellenza prestazionale del prodotto finale, perché la nuova filosofia si esplica su due fronti: da un lato la produttività, ovvero il pezzo giusto nel momento giusto del ciclo produttivo, dall’altro dare la priorità alla richiesta di qualità degli utenti e quindi fornire il miglior prodotto possibile. In entrambi i fronti il successo dipende dal lavoro corale di un vasto ventaglio di competenze di progetto.

Si è visto che uno dei principi base della nuova filosofia è che tutte le competenze devono partecipare in tutte le fasi del ciclo produttivo e se necessario scambiarsi ruoli e mansioni.
Estremizzando si può affermare che la qualità totale richieda una sorta di progettazione continua.
In tale ambito il disegno industriale diventa una presenza costante in ogni fase, dal quale può dipendere la qualità del prodotto finale.

I portavoce dell’industria italiana si rendono conto che il programma della qualità totale nel mondo produttivo è irrealizzabile senza il superamento delle disfunzioni degli apparati
amministrativi dello Stato, dell’inefficienza dei servizi pubblici, del degrado dell’infrastrutture e del depotenziamento delle istituzioni universitarie e di ricerca.
Il vero miracolo giapponese è l’essere riusciti a fare della qualità un’ossessione collettiva.
Non solo quando i cittadini sono in veste di potenziali acquirenti, ma anche quando sono utenti di un servizio pubblico.

Ciò significa che i fabbricanti devono misurarsi con cittadini molto esigenti.
Si deve poi ammettere che l’industria automobilistica si trova in difficoltà a tenere il passo con questa richiesta di qualità. Inoltre non possiamo dimenticare che al prodotto in questione, l’auto, viene addebitata la responsabilità dell’attuale crisi ambientale. Quindi il programma della qualità totale va a scontrarsi, nel caso dell’industria automobilistica, con i suoi effetti perversi sull’ambiente.
Sarà importante quindi che l’industria manifatturiera si decida a fornire prodotti compatibili con la qualità dell’ambiente, in modo da non dover ricorrere a tecnologie ad alta intensità di materie prime e di energie non rinnovabili. Bisognerà dunque risolvere l’attuale divario tra progetto e ricerca.