tabella, Flashcards

1
Q

definizione scoliosi

A

l termine scoliosi si riferisce a quegli aspetti più o meno patologici in cui la colonna vertebrale è curva sul piano frontale. (deviazione laterale permanente della colonna vertebrale associata alla rotazione dei corpi vertebrali)
Altra definizione: per scoliosi idiopatica si intende una deformità tridimensionale della colonna vertebrale strutturata, ovvero una deviazione sul piano frontale (deviazione laterale) sul piano sagittale (lordosi toracica) e sul piano trasversale (rotazione vertebrale.

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2
Q

classificazione scoliosi

A

Distinguiamo
Atteggiamento scoliotico: deviazione funzionale, ad esempio a causa di una differente lunghezza degli arti inferiori (sul solo piano frontale)
Scoliosi sintomatica: es causata da ernia del disco
Scoliosi secondariaLe distinguiamo in base alla sede, poi
Singola curva
A doppia curva
Le più frequenti sono quelle a una sola curva in cui compare una curva di compenso sia nelle vertebre superiori sia in quelle inferiori, la gravità aumenta muovendoci cranialmente.

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3
Q

epidemiologia scoliosi

A

Epidemiologia scoliosi idiopatica: costituisce il 70% di tutte le scoliosi e compare in giovane età, F:M 7:1

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4
Q

eziopatogenesi scoliosi

A

Scoliosi idiopatica
Scoliosi congenite : da mancato sviluppo di una vertebra (es vertebre a cuneo, emivertebre), da difetto di segmentazione unilaterale o bilaterale, forme miste
Scoliosi da malattie neuromuscolari
Neuropatica: 1° motoneurone, paralisi cerebrale
Degenerazione spino-cerebellare: M di Friedreich, Charcot-Marie-Tooth, Roussy-Levy
Secondo motoneurone: Poliomelite, altre mieliti virali, traumi, atrofia muscolo spinale, mielomeningocele
Scoliosi da miopatie: artrogriposi, distrofia muscolare, ipotonia congenita, miotonia distrofica

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5
Q

clinica scoliosi

A

La scoliosi determina: deformazione morfologica, alterazione biomeccanica, retrazione asimmetrica della muscolatura spinale.
Segni clinici:
Profilo delle spalle e taglia dei fianchi asimmetrici

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6
Q

diagnosi scoliosi

A

Per definizione per fare diagnosi deve essere presente una deviazione sul piano frontale di almeno 10°.
Valutazione clinica
Test di Adams: il paziente ha il tronco inclinato in avanti e osservando il dorso si riconosce l’asimmetria, la vertebra rotando si porta appresso la costa a livello dorsale mentre l’apofisi trasversa a livello lombare.
Utilizzando il Gibbometro possiamo valutare quantitativamente la scoliosi
Misurazione della lunghezza degli arti
Esami strumentali
Il gold standard è l’RX, ci permette di valutare: sede, grado, entità, alterazioni corpi vertebrali, maturazione ossea (la gravità della scoliosi è direttamente proporzionale all’immaturità dello scheletro, Il test di Risser consente di stabilire il grado di sviluppo osseo valutando l’ossificazione delle creste iliache. Il risultato può variare da Risser 0 (non esiste nucleo di ossificazione) a Risser 5 (ossificazione completa che si manifesta, in genere, 2-3 anni dopo la pubertà).

I gradi sono così suddivisi: 1+ quando l’ossificazione è intorno al 25%; 2+ quando è intorno al 50%; 3+ intorno al 75%; 4+ per una ossificazione completa del tratto e 5+ per la completa fusione con l’ileo.
Fino a Risser 2 il rischio di peggioramento di una scoliosi idiopatica è del 50%, dopo Risser 2 Il rischio si riduce al 20%.
Per calcolare l’angolo di curvatura usiamo il metodo di Cobb
Si utilizza una radiografia anteroposteriore del rachide e si individua la vertebra più inclinata superiormente e inferiormente, si considera l’angolo formato dalle due perpendicolari alle rette tangenti rispettivamente alle limitanti superiori e limitanti inferiori delle due vertebre sopracitate
Fino a 20 gradi piccola entità, fino a 40 gradi media entità dai 70 gradi grande entità

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7
Q

prognosi e terapia scoliosi

A

curva minore di 20 gradi, esercizi riabilitativi posturali Curva 20-25°: si interviene prima in maniera conservativa con l’utilizzo di busti
Corsetto di Cheneau: scoliosi dorsali; di Lyonese scoliosi alte, Milwaukee scoliosi cervico dorsali (il busto blocca la progressione della scoliosi ma non la corregge??)
Curva > 25-30°: trattamento chirurgico immediato. Si basa sulla stabilizzazione vertebrale mediante l’utilizzo di barre e viti. Il paziente deve avere almeno 15 anni
Il primo strumentario è stato quello di Harrington il quale con principi di distrazione e compressione è riuscito a raddrizzare la schiena con una sola barra applicata alle vertebre apicali.
Un altro metodo è quello di ancorare la barra segmento per segmento a ogni vertebra con fili intralaminari. Questo sistema è simile al logo della società di ortopedia.
Altro metodo ancora è quello di fissazione con utilizzo di uncini e viti peduncolari che possono inserirsi in tutto il corpo vertebrale arrivando fino alla parte anteriore del corpo con un braccio di leva molto più efficace così come è efficace la correzione che può far presa sia posteriormente che anteriormente. I tempi di intervento sono molto lunghi e indaginosi ma il risultato è quasi sempre molto soddisfacente.
Utilizzo della BTA per procastinare l’intervento chirurgico?

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8
Q

terapia scoliosi

A

La riabilitazione si divide in
Singola: mira a migliorare l’ allineamento assiale e ad automatizzare la correzione ottenuta
Con tutore: ha una fase di preparazione al tutore, una fase col tutore che è specifica per ogni tipologia, una fase di adattamento per l’abbandono del tutore
Post chirurgica

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9
Q

piede torto congenito, definizione

A

Deformità del piede, presente alla nascita, caratterizzata da uno stabile atteggiamento vizioso del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo compongono a cui si associano alterazioni capsulari, legamentose, muscolo-tendinee e delle fasce.

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10
Q

epidemiologia piede torto congenito

A

Frequente associazione con displasia dell’anca

Frequenza 1/700

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11
Q

classificazioni piede torto congenito

A
  1. Piede equino varo addotto supinato (85%) bilaterale nel 50% dei casi, 70% maschi
  2. Talo valgo pronato: forma benigna, le ossa non sono deformate
  3. Metatarso varo: forma benigna, le ossa non sono deformate
  4. Piede reflesso: in genere associato a malformazioni di tutto lo scheletro, fortunatamente rarissimo perché molto grave. Il piede è a barchetta senza volta plantare e, supposto il paziente si possa mettere in piedi, è come se si mettese su un dondolo.
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12
Q

eziopatogenesi piede torto

A

Piede equino varo addotto supinato:
Vi sono alterazioni morfologiche dell’astragalo, alterazioni dei rapporti tra calcagno e astragalo e tra astragalo e scafoide con rotazione esterna di queste due ossa, lo scafoide si medializza.
L’astragalo è al centro dei movimenti del piede.

Si ipotizza come causa una postura viziata intrauterina ma devono concorrere altri fattori, vi deve essere una familiarità (aumento del rischio di 20-30 volte) ma non sono stati identificati difetti genetici associabili.

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13
Q

clinica piede torto congenito,

A

Grado I: varismo dell’avampiede, supinazione , equinismo talvolta assente
Grado II: il piede risulta orientato a circa 90° rispetto alla gamba
Grado III: inversione dei normali rapporti articolari, il margine dorsolaterale è rivolto distalmente, la retrazione delle parti molli blocca la deformità

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14
Q

prognosi piede torto congenito

A

La prognosi si basa su: riducibilità, solchi di retrazione fibrosa in corrispondenza delle deformità, morfologia del piede

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15
Q

terapia piede torto congenito

A
Noi tentiamo di:
Correggere passivamente il varismo
Correggere passivamente la supinazione
**Derotazione del blocco calcaneo-pedideo: si stabilizza la gamba rispetto al ginocchio e si porta il piede all’esterno mantenendolo allineato con la mano ; 
**Decoaptazione dello scafoide: si stabilizza il retropiede e l’astragalo, si scivola con il pollice fino su scafoide tirando in basso e leggermente verso l’esterno
Alle manipolazioni si associa la confezione del gesso.
Per l‘equinismo non possiamo agire passivamente poiché esso è associato alla retrazione del tendine di Achille che si inserisce sul calcagno.
Allungamento chirurgico (dopo 5-9 mesi): tenotomia cutanea, si inserisce un piccolo bisturi con intaccature nel tendine fino a che questo non si sfianca e cede; intervento vero con incisione del tendine dividendolo in due, successivamente si passa alla correzione passiva : si fissa il mesopiede e si tira il calcagno verso il basso.
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16
Q

fratture, definizione

A

interruzione continuità osso

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17
Q

eziopatogenesi fratture

A
  1. Fratture traumatiche:
    da trauma diretto  genera fratture lineari
    da trauma indiretto  fratture da flessione, torsione, schiacciamento, trazione
  2. Fratture da microtraumi (es fratture da durata degli atleti)
  3. Fratture patologiche
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18
Q

Fratture traumatiche, stato cute:

A

rattura chiusa  cute integra; frattura esposta  i monconi di frattura sono in contatto in maniera più o meno considerevole con l’ambiente esterno (vedi Classificazione di Gustilio fratture esposte)

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19
Q

fratture traumatiche, numero interruzioni

A

unifocali, bifocali, trifocali (numero di rime di frattura)
Sede: diafisarie, metafisarie, epifisarie (sono le più problematiche in quanto anche se ridotte nei migliori dei modi vanno a coinvolgere la superficie articolare, lasciano quindi una rima di saldatura che può evolvere in artrosi poiché la cartilagine è stata disturbata con conseguente attivazione dell’infiammazione).

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20
Q

fratture, classificazioni

A

stato della cute, numero interruzioni, estensione della rima di frattura, posizionamento dei monconi

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21
Q

estensione della rima di frattura

A

complete: trasversali, pluriframmentarie, oblique, spiroidi
incomplete: infrazioni, infossamenti e fratture a legno verde

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22
Q

posizionamento dei monconi

A

omposta (allineti), scomposta (trasversale, longitudinale, angolare, rotatorio) (disallineati, la maggior parte delle fratture in quanto i muscoli continuano a mantenere la loro trazione sull’osso e questo determina il disallineamento)

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23
Q

diagnosi fratture

A

Anamnesi
EO
Se la frattura non è ben visibile devo cercare dei “segni di certezza”: mobilità preternaturale e crepitazione
Abbiamo poi i “segni di probabilità”: immobilità arto, dolore, deformità segmento scheletrico in esame, ecchimosi, tumefazione locale, impotenza funzionale
Esami strumentali: RX , talvolta TC (fratture pluriframmentarie, politraumi).

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24
Q

prognosi e terapia fratture

A

l normale tempo di riparazione va da 20 giorni a 5-6 mesi e dipende dalla sede (es avambraccio può bastare un mese mentre il femore dovendo sopportare sollecitazioni maggiori necessita di almeno due mesi), dal tipo di frattura e dal paziente. Le condizioni ottimali per un corretto processo riparativo sono tre:
Contatto reciproco delle superfici ossee attraverso manovre di riduzioneImmobilità dei segmenti ossei mediante l’utilizzo di tutori o gesso
Adeguata vascolarizzazione dei segmenti ossei

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25
Q

osteogenesi riparativa, tappe

A

formazione ematoma, sviluppo callo fibroso, proliferazione e differenziazione in senso osteogenico, maturazione e strutturazione del callo osseo

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26
Q

formazione dell’ematoma

A
  1. inizia già al momento della frattura e nelle ore successive inizia a organizzarsi. Essendo sede di stravaso ematico, le cellule staminali totipotenti contenute in esso iniziano a differenziarsi in fibroblasti e proliferano lungo i margini di frattura. Inoltre, da una parte il periostio aumenta la produzione di osteoblasti, dall’altra le cellule dell’infiammazione degradano le parti di tessuto (come in caso di fratture comminute) andate in necrosi.
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27
Q

sviluppo del callo fibroso

A
  1. queste cellule vanno a sintetizzare un manicotto fibroso (definito callo perché non è ancora duro, mineralizzato e perché apprezzabile come protrusione, al tatto, simile ai calli cutanei) attorno al focolaio di frattura e, nel frattempo, si differenziano ulteriormente secondo la linea di differenziazione del tessuto osseo. Inizia il processo angiogenetico, indispensabile per l’apporto di nutrienti nel tessuto in formazione.
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28
Q

proliferazione e differenziazione in senso osteogenico

A
  1. (fase cartilaginea): la componente fibrosa depositata dai fibroblasti si organizza in tessuto osseo, andando a coinvolgere, nell’osteogenesi, le cellule appena differenziate (che, come nella formazione fetale dell’osso, passano da condroblasti a osteoblasti, cioè cellule capaci di produrre osso).
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29
Q

maturazione e strutturazione del callo osseo,

A
  1. fase finale del processo, in cui il callo fibroso viene mineralizzato (sali di calcio inseriti fra le fibre collagene) e si ottiene il tessuto osseo, duro e resistente
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30
Q

complicanze tipi,

A

generali, locali

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31
Q

complicanze generali fratture

A

soprattutto nei politraumi gravi) ➢ shock (per perdita ematica); ➢ embolia adiposa (soprattutto nella frattura delle ossa lunghe, ricche di componente spugnosa) ➢ tromboembolia ➢ cistopieliti ➢ broncopolmoniti ➢ piaghe da decubito

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32
Q

complicanze locali

A

osteomielite: infezione del tessuto osseo, tipica delle fratture esposte; ➢ lesioni viscerali; ➢ lesioni vascolari e nervose: di una certa frequenza, perché, spesso, soprattutto le ossa lunghe sono affiancate da fasci vascolo-nervosi (da ripassare). possono generare occlusioni vascolari o compressione dei nervi, ma talvolta i monconi possono tranciare completamente queste strutture, mettendo in serio pericolo la vita del paziente (recisione di arterie di grosso calibro, come la femorale) e generando deficit sensitivo-motori anche importanti (danni nervosi); ➢ necrosi: soprattutto nelle fratture comminute, generando difficoltà e ritardo nella guarigione; ➢ vizi di consolidazione, se non ridotte correttamente (disassamento dell’osso); ➢ artrosi post-traumatica: ne sono soggette le articolazioni come anca e ginocchio (a causa del carico che subiscono), ma anche la spalla; ➢ rigidità articolare.
osteomielite: infezione del tessuto osseo, tipica delle fratture esposte; ➢ lesioni viscerali; ➢ lesioni vascolari e nervose: di una certa frequenza, perché, spesso, soprattutto le ossa lunghe sono affiancate da fasci vascolo-nervosi (da ripassare). possono generare occlusioni vascolari o compressione dei nervi, ma talvolta i monconi possono tranciare completamente queste strutture, mettendo in serio pericolo la vita del paziente (recisione di arterie di grosso calibro, come la femorale) e generando deficit sensitivo-motori anche importanti (danni nervosi); ➢ necrosi: soprattutto nelle fratture comminute, generando difficoltà e ritardo nella guarigione; ➢ vizi di consolidazione, se non ridotte correttamente (disassamento dell’osso); ➢ artrosi post-traumatica: ne sono soggette le articolazioni come anca e ginocchio (a causa del carico che subiscono), ma anche la spalla; ➢ rigidità articolare.

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33
Q

fratture del femore, classificazione

A

Il Femore prossimale si divide in:
Testa
Collo
Massiccio trocanterico
Abbiamo delle linee di forza che delimitano un area denominata “triangolo di Ward” che è una zona di minor resistenza, dove più facilmente in caso di osteoporosi si verificano le fratture.
La vascolarizzazione è data al 75% dalle arterie epifisarie laterali (rami dell’arteria circonflessa mediale del femore) abbiamo poi le arterie epifisarie mediali, metafisarie superiori ed inferiori (queste ultime contribuiscono al 25%) . Sono presenti vasi intracapsulari a decorso parallelo al collo del femore, assenza di anastomosi (circolazione terminale)

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34
Q

epidemiologia fratture del femore

A

Le fratture dell’estremo prossimale del femore colpiscono soprattutto soggetti di età superiore ai 60 anni tumori ossei, spesso a causa di traumi di modesta entità, le donne sono più colpite (osteoporosi postmenopausale)

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35
Q

classificazioni fratture del femore

A
Fratture mediali:
Sottocapitate
Transcervicali
Fratture laterali
Basicervicali
Peritrocanteriche
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36
Q

cause fratture del femore

A

traumi diretti e indiretti

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37
Q

clinica fratture del femore

A

Il frammento distale si sposta all’esterno e in alto, il frammento prossimale rimane fisso o ruota.
Le fratture mediali (intracapsulari) danno dolore soprattutto in regione inguinale, possono dare impotenza funzionale, extrarotazione e accorciamento dell’arto di modesta entità
Le fratture laterali (extracapsulari) danno dolore nella regione esterna dell’anca, impotenza funzionale completa, extrarotazione e accorciamento, ecchimosi nella natica e nella faccia posteriore della coscia

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38
Q

prognosi e terapia fratture

A

SI possono verificare complicanze sistemiche e/o locali
Broncopolmoniti ipostatiche, piaghe da decubito, cistopieliti, TCP e EP
Pseudoartrosi (si ha quando una frattura non guarisce completamente dopo i 4 mesi (se siamo ancora entro ai 4 mesi si chiama ritardo di consolidazione): si forma tessuto fibroso che non si calcifica e non è stabile quindi dà dolore e l’arto può essere appena accorciato ed extrarotato: sono pz che necessitano di essere trattati per la complicanza e quindi essere operati a quel punto facendo la protesi. Per evitare una pseudoartrosi di fronte per esempio ad una frattura scomposta peritrocanterica i cardini della traumatologia prevedono la riduzione anatomica cioè dobbiamo ricomporre l’anatomia umana normale e dobbiamo dargli una sintesi stabile attraverso l’adozione di mezzi di sintesi: placche, viti, chiodi e affini.), necrosi asettica dell’epifisi, vizio di consolidazione in varismo o in valgismo
La crisi vascolare dell’epifisi è tanto più grave quanto più la frattura è mediale e quanto maggiore è il suo spostamento

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39
Q

classificazioni fratture mediali

A

Tipo I incompleta ingranata in valgo
Tipo II completa senza spostamento
Tipo III completa e testa ruotata in varo
Tipo IV completa e testa scivolata distalmente

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40
Q

trattamento fratture mediali

A

Osteosintesi: tipo I e II di Garden, soggetti giovani (fili di Kliscern(?)
Endoprotesi: tipo III e IV , fratture vicine all’epifisi, soggetti anziani (senza grandi esigenze deambulative) sostituzione solo della testa del femore
Artroprotesi: “” età tra i 55 e i 75 sostituzione sia della testa del femore che dell’acetabolo

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41
Q

trattamento fratture laterali

A

Osteosintesi (sistema viti placca, sistema con chiodo endomidollare)
(…)
Fratture sottotrocanteriche primo 1/3 distale del femore: chiodo endomidollare sempre
Fratture sovra condiloidee placche e viti

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42
Q

traumatologia dell’accrescimento,

A

Nel feto, dal terzo mese di vita intrauterina in poi, lo scheletro è completamente cartilagineo. L’inizio dell’ossificazione avviene grazie ad un processo di vascolarizzazione del tessuto a partire dalle diafisi, solo in un secondo tempo (con tempistiche ben definite a seconda delle ossa) il processo interesserà anche le epifisi. Quindi alla nascita la diafisi avrà già una buona componente ossificata, mentre le estremità sono ancora cartilaginee. Abbiamo due nuclei di ossificazione maggiori: uno nella diafisi e uno nell’epifisi, la cartilagine di coniugazione permette l’accrescimento.

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43
Q

cause fratture da avulsione

A

Contrazione eccessiva
Contrazione eccentrica o co-contrazione non armonizzataQuesto avviene perché la forza muscolare nei bambini può essere superiore alla resistenza meccanica dell’osso, soprattutto se praticano sport.

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44
Q

Le sedi più frequenti di fratture da avulsion

A

sono quelle dove sono presenti punti di ossificazione autonomi:

  1. Spina iliaca anteriore superiore
  2. Tuberosità ischiatica (si inseriscono i muscoli ischiocrurali)
  3. Piccolo trocantere
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45
Q

altre fratture tipiche dell’accrescimento

A

ltre fratture tipiche dell’accrescimento sono quelle che danno dei danni a livello della cartilagine di coniugazione, determinando se non trattate alterazioni della crescita ossea

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46
Q

Classificazione di Salter , distacchi epifisari

A

Tipo I scollamento della cartilagine dalla diafisi
Si tratta con fili percutanei, riduzione manuale, .. controllo radiologico
Tipo II interessamento della cartilagine e di parte della diafisi
Uguale?…
Tipo III interessamento della cartilagine e dell’epifisi
Viti, epifisiodesi
Tipo IV interessamento di cartilagine, epifisi e diafisi
Riduzione anatomica, fili per stabilizzare, viti
Tipo V non ho dislocazione e l’RX mostra un osso sano, la cartilagine è stata lesa per un meccanismo di schiacciamento ed è messa in una condizione di non crescere più; il problema può essere svelato dalla TC

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47
Q

EPIFISIOLISI, definizione

A

È lo scivolamento posteriore dell’epifisi rispetto al collo femorale.
Noi sappiamo che l’articolazione coxofemorale è un enartrosi che permette movimenti di flessione di 120°, estensione di 15°. Abduzione di 45°, adduzione di 10°, extra e intrarotazione 45° ciascuna. Le superfici articolari contrapposte sono a forma di sfera piena e cava rispettivamente.
Muscoli che cooperano in questi movimenti: ileopsoas (flessore e rotatore) piriforme, gemello superiore, otturatore interno, gemello inferiore, quadrato del femore, grande gluteo, piccolo gluteo.

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48
Q

epidemiologia epifiosolisi

A

Colpisce soprattutto nel periodo adolescenziale, i ragazzi in media a 14 aa e le ragazze a 12, vi è una netta associazione con l’obesità giovanile (il 50% dei pazienti sono sovrappeso). Nel 20-40% dei casi è bilaterale

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49
Q

eziopatogenesi epifisiolisi

A

Eziologia sconosciuta
Una disorganizzazione tissutale con alterata produzione di matrice e di collagene porterebbe a debolezza della zona di ancoraggio  microtraumi da obesità, traumi  scivolamento
SI pensa a un ruolo eziologico delle disendocrinie : ipotiroidismo, ipogonadismo, adenoma paratiroideo, ipopituitarismo, tumore pituitario, anormalità GH, osteodistrofia renale.
Squilibrio GH/testosterone
Anormalità immunologiche: elevati livelli sinoviali di C3 MARKERS
La fisiopatologia è dettata da un danno della zona ipertrofica della cartilagine di accrescimento (distacco in questa sede), a questo livello abbiamo gruppi disorganizzati di condrociti disposti irregolarmente; nelle restanti parti della cartilagine di coniugazione i condrociti sono normali. L’epifisi si disloca posteriormente rispetto al collo femorale, vi è spesso una sinovite reattiva dell’articolazione con infiltrazione linfocitaria.

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50
Q

clinica epifisiolisi,

A

Acuta (meno di 3 settimane)
Cronica (più di 3 settimane)
Acuta su cronica (esacerbazione)
La forma acuta è quasi sempre preceduta da una fase dolorosa di durata variabile
L’epifisi si sposta in basso e soprattutto indietro rispetto al collo del femore
La classifichiamo poi in:
Stabile: non movimenti reciproci tra testa e collo, deambulazione possibile, callo (RX)
Instabile: movimenti (RX) dolore alla deambulazione, possibile presenza di callo ma riesacerbazione

  1. Dolore all’inguine irradiato a coscia e ginocchio
  2. Arto atteggiato in extrarotazione (proporzionale allo scivolamento) e flessione
  3. Impossibilità alla deambulazione se acuto
  4. Dolore alle manovre di intrarotazione
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51
Q

diagnosi epifisiolisi

A

Anamnesi
EO
RX anteroposteriore e laterolaterale ( la proiezione laterale è la più importante perché evidenzia la posizione posteriore della testa femorale )
Klein’s line: linea parallela al collo che normalmente interseca la parte laterale della testa (in questo caso tange lateralmente la testa senza attraversarla)
Aumento della densità metifisaria
Epifisi slargata e irregolare nei bordi

Leggero: < di 1/3 della testa femorale e angolo collo testa < di 30°
Moderata: da 1/3 a ½ della testa, e angolo tra 30° e 50°
Grave: > ½ della testa, angolo oltre i 50°

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52
Q

prognosi di terapia

A
Gesso: poco usato, problemi nei bambini obesi, incidenza di necrosi e condrolisi
Fissazione con vite singola
Fissazione con pins multipli
Epifisiodesi con trapianto osseo
Osteotomie di riallineamento
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53
Q

rischi ipofisiolisi

A

Rischi: condrolisi, rigidità, necrosi epifisaria nelle forme acute, diminuzione distanza tra trocantere e rima articolare con conseguente insufficienza degli abduttori, diminuzione della lunghezza dell’arto interessato

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54
Q

displasia congenita dell’anca, deifnizione

A

Complesso di anomalie di sviluppo e di conformazione dell’articolazione coxofemorale, con malformazione cotiloidea, cefalica e capsulo-legamentosa. Ciò che ne risulta è sia un cotile poco continente, sia una lassità articolare.

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55
Q

epidemiologia e classificazione displasia congenita dell’anca

A

E’ la malformazione osteoarticolare più frequente (0,15% dei neonati). 80% sono femmine.

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56
Q

eziopatogenesi displasia congenita dell’anca

A

embra trattarsi di un vizio di formazione determinante un arresto di sviluppo di tutti i componenti dell’articolazione, specialmente dell’acetabolo.
La patologia è multifattoriale
Cause genetiche
1. Alterazione nello sviluppo del cotile
2. Alterazione nello sviluppo della testa femorale
3. Alterazione nello sviluppo del lobrum cotiloideo
4. Lassità della capsula articolare (sdr di Larsen, di Ehlers-Danlos)
1. Disordini neuromuscolari (mielodisplasia, spina bifida)
Cause meccaniche: posizione viziosa, parto podalico (“in piedi”?), oligoidroamnios, carico del peso quando il bambino inizia a camminare
L’acetabolo anziché presentarsi cavo e di forma sferica, risulta sfasato con i margini che “non contengono”, questo causa la fuoriuscita della porzione ossea, anche sotto azione dei muscoli pelvi-trocanterici (ileo-psoas) che prendendo inserzione sul bacino trascinano l’anca verso l’alto. La sfuggenza del tetto cotiloideo determina un ritardo nella comparsa del nucleo di ossificazione della testa femorale, inoltre abbiamo unS
eccessivo valgismo del collo femorale e la presenza di altre anomalie intraarticolari che si presentano nel tempo, nel momento in cui la displasia non corretta evolve verso una vera e propria lussazione
5. Sdr di Down

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57
Q

storia clinica displasia congenita dell’anca

A

Storia clinica della displasia dell’anca non trattata
Prelussazione: predisposizione
Sublussazione: spostamento della testa del femore verso il bordo craniale dell’acetabolo
Lussazione: per definizione è la perdita completa dei rapporti tra i due capi articolari, di fatto la testa è completamente al di fuori dell’acetabolo con tendenza a posizionarsi lateralmente e superiormente, con egni di presunzione: asimmetria delle pliche cutanee, tendenza all’extrarotazione, adduzione e flessione dell’anca dovuta all’abnorme tensione dell’ileo psoas, eventuale concomitanza di piede talo-valgo oformazione della doccia di migrazione,

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58
Q

diagnosi displasia congenita

A

Anamnesi accurata
EO
S torcicollo miogeno, apparente lieve accorciamento dell’arto, rigidità articolare nell’abduzione dell’arto
Di questi l’unico segno affidabile alla nascita è la limitazione nell’abduzione, gli altri compaiono col tempo, segni di probabilitàest di Barlow: consiste nel dislocare un’anca instabile. E’ praticato stabilizzando la pelvi con una mano e flettendo e adducendo l’anca opposta applicando una forza posteriore: ci si rende conto rapidamente se l’anca è dislocabile; smettendo di esercitare la forza posteriore l’anca ritornerà spontaneamente al suo posto.Manovra dello scatto di Ortolani: manovra che facilita il riposizionamento della testa del femore nella cavità cotiloidea con conseguente rumore di scatto. La manovra è utile per tutto il primo mese e in parte anche per il secondo mese. Il bambino è posizionato su un piano rigido supinocon le anche flesse e addotte e le ginocchia flesse. Si prendono gli arti inferiori mettendo il pollice lungo la faccia interna della coscia e le altre dita lungo la faccia esterna della coscia e si esegue un movimento di abduzione delle cosce esercitando contemporaneamente una pression sulla faccia esterna della coscia diretta medialmente e verso l’alto. Con tale manovra se la testa del femore è lussata rientra nella cavità.
Segno dello stantuffo
Segno di Galeazzi: i piedi del bambino supino vengono appoggiati entrambi sul tavolo dell’esaminatore con le anche e le ginocchia flesse, verrà evidenziato: livello irregolare delle ginocchia, numero asimmetrico delle pieghe cutanee, apparente accorciamento di un arto
Valutazione di certezza: fino al sesto mese eco, dopo il sesto mese RX del bacino (triade di Putti: sfuggenza del tetto (indice acetabolare > 35°), ipoplasia del nucleo, interruzione dell’arco di Shenton(arco formato dal mediale dell’epifisifemorale e dal margine superiore del forame otturatorio.e

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59
Q

displasia dell’anca, terapia

A

principi di trattamento sono gli stessi delle fratture
Riduzione
Stabilizzazione
Se la displasia è appena accennata può essere sufficiente un divaricatore,
Manovre più cruente ma necessarie precocemente per risolvere il quadro sono:
Miotenotomia con apertura della capsula, rimozione degli ostacoli fibrosi e riduzione della testa femorale nella cavità acetabolare
Osteotomia del bacino per modellare il bacino soprattutto nella porzione superiore dell’articolazione
Osteotomia del femore

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60
Q

osteogenesi imperfetta, definizione

A

Malattia rara causata da un disordine ereditario del tessuto connettivo osseo che lo espone a fratture , anche spontanee, costituendo il tratto distintivo di questa malattia.

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61
Q

epidemiologia osteogenesi imperfetta

A

Mutazione dei geni che codificano per il pro-collagene di tipo 1, i geni alterati si trovano nel cromosoma 7 e 17, a seconda del gene interessato possiamo avere un difetto qualitativo e/o quantitativo (più grave quello qualitativo). Nel difetto quantitativo noi abbiamo fragilità ossea per minore contenuto di matrice ossea, mentre in quello qualitativo abbiamo alterata la struttura intima del collagene. Trasmissione AR

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62
Q

clinca osteogenesi imperfetta,

A

Eterogeneità clinica
Classificazione di Sillence
Tipo I : forma lieve, aumentata frequenza di fratture rare alla nascita, aumentano con la deambulazione, diminuiscono con l’età
Tipo II: forma severa praticamente incompatibile con la vita, frequente la morte perinatale per fratture intrauterine
Tipo III forma più severa compatibile con la vita. Deformità scheletriche, fragilità ossea in ogni epoca della vita, importante deficit staturale, dentinogenesi imperfetta.
Tipo IV clinica fenotipica variegata (tipi 1 e 3)
Tipo V: fragilità moderata, organizzazione lamellare dell’osso irregolare. All’RX osserviamo una banda metafisaria radiopaca adiacente alla cartilagine di accrescimento
Tipo VI: difetto di mineralizzazione
Tipo VII: deformità e fragilità ossea da moderata a severa, brevità di omero e femore

Siti più frequenti di fratture: polso, femore, omero, vertebre (cifosi, deformità, alterazioni respirazione e digestione, dolore cronico, ipoacusia.
Avremo nella maggior parte dei casi bassa statura, fratture multiple e frequenti, deintogenesi imperfetta, anomalie dell’udito, lassità legamentosa, scoliosi e osteoporosi severa, sclere blu.

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63
Q

prognosi e terapia osteogenesi impperfetta

A

erapia medica: prevenire e ridurre le fratture
Neridronato
Terapia chirurgica
Prevenire e correggere le deformità, prevenire le fratture, stabilizzarle, evitarne la nuova insorgenza, armonia con la crescita

La correzione delle fratture nell’OI è uguale a quello delle fratture normali: riduzione e immobilizzazione. La correzione delle deformità si attua mediante osteotomia correttiva e stabilizzazione nel focolaio di frattura con dei chiodi o dei fili; tenendo conto che si tratta nella maggior parte dei casi di bambini in accrescimento sono stati elaborati dei sistemi di inchiodamento ancorati alle epifisi distali e alle estremità prossimali che permettano comunque all’osso di crescere

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64
Q

rachitismo, definizione

A

Il Rachitismo è una patologia legata ad una difettosa mineralizzazione della cartilagine di accrescimento, per cui non calcificando in maniera sufficiente, la matrice ossea continua a crescere ma non essendo ben calcificata si avranno delle conseguenze morfologiche e strutturali.
L’osteoide non calcificata costituisce una irregolare area di tessuto tenero definita metafisi rachitica.
E’ causata da un deficit di Vitamina D.
Nell’adulto il deficit di formazione di tessuto osteoide viene definito osteomalacia.

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65
Q

epidemiologia e classificazioni, rachitismo

A

Interessa bambini dalla nascita fino alla fine dell’accrescimento, l’età di maggiore comparsa dei sintomi è tra 1 e 5 anni

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66
Q

eziopatogenesi rachitismo

A
  1. Carenziale: ridotto introito o scarsa esposizione al sole, alterato assorbimento intestinale
    La perdita di rigidità conduce a deformità scheletriche sotto l’effetto del peso e della tensione
    L’accumulo di tessuto osteoide produce un ingrossamento epifisario.
    (altre forma da alterato metabolismo renale o epatico e da scarsa azione della vitamina D stessa)
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67
Q

clinica rachitismo

A

Alterazioni del metabolismo del calcio e del fosforo, segni da ipocalcemia (tetania, laringospasmo), manifestazioni muscolari quali ipotonia , ritardo motorio e addome prominente, cardiomiopatia.
Segni patognomonici sono le alterazioni ossee:
Difettosa fusione della fontanella bregmatica, testa voluminosa deforme
Torace a botte (siccome lo scheletro è indebolito si possono formare delle deformazioni legate alla meccanica respiratoria), si ingrossano le cartilagini costali  rosario rachitico
Alterazioni ossa lunghe. Interviene il fattore meccanico della stazione eretta e della deambulazione, le cartilagini di coniugazione vanno incontro a ipertrofia e si determina un braccialetto a livello della cartilagine del radio o delle tumefazioni a livello della cartilagine tibiale distale

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68
Q

diagnosi rachitismo

A

Clinica (..)
Valori Vitamina D ng/ml
Deficienza <20 adulti, <15 bambini
Insufficienza 20-30 adulti, 15 20 bambini
Sufficienza > 30 adulti, > 20 bambini
RX il segno caratteristico è lo slargamento e lo sfrangiamento con deformità a coppa delle metafisi
Valori aumentati di FA e PTH , valori ridotti di 25 OHD, ipocalcemia normo ipofosfatemia

Stadi biochimici
Stadio 1 valori aumentati di FA e PTH, ridotti di 25OHD, ipocalcemia difficile da documentare, normofosforemia
Stadio 2 ulteriore diminuzione di 25ODH e aumento di FA e PTH
Stadio 3 con ipocalcemia e ipofosforemia

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69
Q

prognosi e terapia, rachitismo

A

Somministrare vitamina D per 2-3 mesi

L’ortopedico può intervenire con delle scarpe modellate, inoltre si possono utilizzare strutture correttive esterne come apparecchi gessati o tutori non gessati; spesso tuttavia bisogna ricorrere alla chirurgia
L’intervento può essere un’emiepifisiodesi in modo che la cartilagine di coniugazione si sviluppi in una direzione piuttosto che in un’altra, .. a fine accrescimenti si interviene con osteotomia

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70
Q

morbo di paget, definizione

A

Malattia caratterizzata da fenomeni di riassorbimento dell’osso e formazione di nuovo osso con una componente di tessuto fibroso, può interessare solo un osso o tutto lo scheletro.

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71
Q

epidemiologia, morbo di paget

A

Colpisce prevalentemente i maschi ed è raro sotto i 50 anni.

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72
Q

eziopatogenesi morbo id paget

A

Patogenesi non chiarita. Certamente esiste un fattore genetico (RANK) ma non familiare. Qualcuno ha ipotizzato fattori infettivi.
Fisiopatologia: vi è un alto ricambio osseo, questo determina un aumento della vascolarizzazione con molti shunt arterovenosi a livello del tessuto patologico

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73
Q

clinica morbo di paget

A

Nella storia naturale della malattia vi possono essere degli stati freddi di quiescenza e delle fasi conclamate
Dolore prevalentemente notturno
Sordità
Complicanze:
Compressione radici nervi spinali, es lombosciatalgie, dolori intercostali

L’aumento della vascolarizzazione può essere così marcato da portare come complicanza a uno scompenso cardiaco legato all’aumento del sovraccarico del sangue che torna al cuore.

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74
Q

diagnosi morbo di paget

A

Anamnesi
EO
RX alterazioni avanzate: femore a baston di pastore, tibia a sciabola; a livello del cranio abbiamo regioni più dense e meno dense.
Scintigrafia ossea
La biopsia ossea è derimente, l’istologico è caratteristico, vi è una completa alterazione strutturale dell’architettura ossea.
Aumento dell’idrossiprolinuria urinaria (patognomonico)
Eccessiva escrezione di succedanei del collagene nelle urine
Alterazione rapporto calcio/creatinina
Aumentata Fosfatasi Alcalina ossea
Osteocalcina

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75
Q

prognosie terapia morbo di paget

A

La terapia non esiste, ma si è visto che i bifosfonati possono dare dei benefici. Neridronato gold standard.
Trattamento dei sintomi (dolore) con FANS e oppiacei..
Trattamento delle complicanze quando insorgono.
Il Paget può evolvere in un osteosarcoma

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76
Q

tumori ossei , definizione

A

dai primari ai secondari

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77
Q

epidemiologia e tumori ossei

A

Tumori ossei primitivi
linea condrogenica: partono dalla cartilagine
benigni: osteocondroma, condroma, condroblastoma
maligni: condrosarcoma
linea osteogenica: partono dall’osso
benigni: osteoma, osteoma osteoide, osteoblastoma,
maligni: tumore di Ewing, osteosarcoma “ è il più grave, il più frequente e quello a prognosi peggiore tra tutti i tumori dell’osso”

I tumori primitivi dell’osso son rari (0,5% di tutti i tumori maligni) di cui i più frequenti sono il condrosarcoma e l’osteosarcoma

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78
Q

diagnosi, tumori ossei

A

TAC e RMN importanti, ci interessa conoscere la localizzazione
L’esame istologico è fondamentale
Indici di benignità: margini ben definiti, orletto sclerotico, aspetto omogenei, non aspetto infiltrativo, accrescimento lento
Indici di malignità: margini sfumati, aspetto disomogeneo, aspetto infiltrativo, accrescimento rapido

79
Q

OSTEOCONDROMA: v

A

iene chiamato anche esòstosi, interessa le cartilagini di accrescimento
abbiamo delle escrescenze a livello delle ossa lunghe , spesso asintomatiche scoperte durante RX per altri motivi, la chirurgia è indicata solo se sintomatiche (fenomeni di tipo compressivo)

80
Q

CONDROMA:

A

tessuto cartilagineo anomalo ma ben differenziato che continua a svilupparsi.

81
Q

condroma

A

Si forma all’interno delle falangi di mani e piedi, ma soprattutto delle mani, sebbene si possa trovare anche nell’omero. E’ asintomatico fino a quando rimane confinato dentro l’osso, inizia a farsi sentire quando, aumentando di volume, erode la corticale e può favorire l’insorgenza di fratture o microfratture.
Encondroma dentro l’osso, eccondroma alla periferia dell’osso
La terapia si basa sull’asportazione e conseguente riempimento della cavità con tessuto osseo normale

82
Q

condrosarcoma

A

deriva dalla matrice cartilaginea presente nell’osso.
Tumore maligno a crescita lenta, la clinica si basa su dolore prima intermittente poi continuo, rare fratture patologiche
La diagnosi è radiografica, l’unica terapia è l’asportazione chirurgica in toto, in quanto il sarcoma è insensibile sia alla radio che alla chemio

83
Q

OSTEOMA OSTEOIDE:

A

tumore benigno che interessa le diafisi delle ossa lunghe ma anche peculiarmente le apofisi,
da dolore intenso che si accentua durante la notte peculiarmente sensibile all’utilizzo dei FANS
All’RX vediamo una pallina bianca di osso circondata da una zona scura che è l’osteoide, a sua volta circondata da un importante reazione periostale , prende nell’insieme un aspetto patognomonico definito a coccarda. TC RMN, la diagnosi conclusiva è della scintigrafia che evidenzia un area ipercaptante. La terapia è l’asportazione in radiofrequenza

84
Q

OSTEOSARCOMA

A

Maligno e frequente, età di esordio giovanile tra i 10 e i 30 anni, tende a svilupparsi più comunemente nelle zone che presentano un rapido tasso di crescita, si possono riconoscere tante varietà di cui l’elemento fondamentale è la produzione di osso con la deposizione di Sali di calcio, esistono degli osteosarcomi secondari derivanti da degenerazione di Paget (pazienti anziani in questo caso), di condrosarcoma o conseguenti a radioterapia.

85
Q

varietà istologiche condrosarcoma

A
Varietà istologiche
Osteoblastica
Condroblastica
Fibroblastica
A piccole cellule
86
Q

condorsarcoma, manifestazioni cliniche

A

Il dolore è il sintomo principale
Ciò che caratterizza questo tumore è l’edema, la tumefazione, il termotatto positivo, tutti segni di alterazioni venose e arteriose di quella regione, può essere presente un reticolo venoso superficiale ingrossato. Predisposizione alle fratture patologiche.
Caratteristiche radiologiche: aspetto a sole radiante delle aree di ossificazione, triangolo di Codman che è legato al fatto che il tumore scollava il periostio e questo formava delle bande e un triangolo, lo “ scoppio di granata” dato da calcificazioni periferiche che invadono i tessuti molli circostanti
Trattamento multidisciplinare con chemio e chirurgia demolitiva.

87
Q

tumore o sarcoma di ewing

A

Colpisce anche i bambini
Reazione periostale marcatissima con un alterazione cosidetta a bulbo di cipolla, questo perché il periostio continua ad esporre lamelle attorno al tumore; dd con osteomielite
Aspetto tarlato delle corticali definite a dente di pettine
Risponde bene a chemio e radio che vanno unite alla chirurgia radicale a sua volta seguita da ulteriori cicli di radioterapia.

88
Q

cisti ossee

A

Sono lesioni simil-tumorali, sembrano un tumore ma non lo sono. Sono ripiene di liquido sieroso , se sono particolarmente grandi possono aumentare il rischio di fratture.
Cisti ossee semplici
Cisti aneurismatiche: la lacuna è ripiena di sangue

89
Q

METASTASI OSSEE, eziopatogenesi

A

Originano soprattutto da tumori primitivi di: mammella, prostata, polmone, linfoematologici (mieloma multiplo, linfomi). Sedi elettive sono le vertebre 80%, la pelvi, il femore.
La disseminazione avviene mediante emboli neoplastici attraverso il circolo arterioso oppure nel caso del rachide da tumori primitivi che interessano la zona toracica mediante drenaggio venoso al plesso di Batson (la colonna vertebrale è molto vascolarizzata)

90
Q

clinica metastasi ossee

A

Osteolitiche : le più frequenti, in questo caso vengono prodotte delle interleuchine e altri mediatori che hanno un effetto di attivazione sugli osteoclasti: si crea quindi lisi ossea, avremo delle trabecole scompaginate e il tessuto viene sostituito con quello del tumore
Osteoaddensanti : K prostata
Dolore notturno alla colonna: spia d’allarme.
Può essere nocicettivo per erosione della corticale o neuropatico per interessamento delle corna neurali con compressione del midollo e delle radici
Vi è spesso poi una sintomatologia sistemica

91
Q

diagnosi, metastasi ossee

A
Anamnesi
EO
Rx tradizionale
Scintigrafia ossea
TC RMN PET
Biopsia

NB le metastasi osteoaddensanti si vedono bene alla TAC mentre alla RMN sono più subdole

92
Q

prognosi e terapia metastasi ossee, prognosi

A

Scopo: mantenere le funzioni del midollo spinale, decomprimere, evitare le fratture
La scelta della chirurgia dipende dal tipo di pz e dalla prognosi
Sintesi percutanea con posizionamento di viti nei corpi vertebrali mettendo al riparo il paziente da un collasso vertebrale
Chirurgia maggiore nei pz con buona prognosi con resezioni e impianto di megaprotesi
Termoablazione e riempimento successivo
Cifoplastica, vertebroplastica
Sintesi peduncolare

93
Q

INFEZIONI ORTOPEDICHE

La regione più colpita

A

è quella metafisaria delle ossa lunghe, più raramente colpisce le diafisi.
La zona spongiosa dell’osso è l’ ideale per l’instaurarsi di infezioni perché il flusso sanguigno capillare rallenta e il patogeno riesce ad attecchire e a formare un focolaio infettivo (stesso ragionamento per le metastasi ossee)

94
Q

vie di propagazione infezioni ortopediche

A

Ematogena Non ematogena : es interventi, fratture scomposte, piede diabetico

95
Q

forme clinche infezioni ortopediche

A

Onfalite del lattante, epifisaria

  • Osteomielite: acuta, cronica
    1) Osteomielite midollare
    2) Osteomielite superficiale
    3) Osteomielite localizzata
    4) Osteomielite diffusa
96
Q

infezioni ortopediche

A

n generale, i microrganismi possono infettare l’osso attraverso uno o più di tre metodi di base: attraverso ilflusso sanguigno, per contiguità spaziale da aree locali di infezione o tramite un trauma penetrante che comprende anche le causeiatrogenequaliprotesi articolarioosteosintesidifrattureo riempimento dellaradice dentale.[1]Una volta che l’osso è infetto, ileucocitientrano nel sito di infezione nel tentativo difagocitaregli organismi infettivi rilasciandoenzimiche comportano lalisidell’osso. Ilpussi diffonde nei vasi sanguigni dell’osso, alterando il suo flusso e si vengono a creare aree devitalizzate di osso infetto, note come “sequestri ossei”, che costituiscono la base di una infezione cronica.[1]Spesso, l’organismo cercherà di creare nuovo osso intorno alla zona dinecrosi. Il nuovo osso risultante è spesso chiamato involucro osseo.[1]L’esame istologicodi queste aree di osso necrotico sono la base per distinguere tra osteomielite acuta e osteomielite cronica. L’osteomielite è un processo infettivo che comprende tutte le componenti ossee, compreso il midollo osseo. Quando è cronica, può portare allasclerosiossea e alla deformità.
L’osteomielite cronica può essere dovuta alla presenza di batteri intracellulari (all’interno delle cellule ossee).[5]Questi batteri sono inoltre in grado di sfuggire e invadere le altre cellule ossee.[6]I batteri possono essereresistentia alcuniantibiotici.[7]Questi elementi combinati possono spiegare la cronicità e la difficoltà nell’eradicazione di questa malattia, con conseguenti costi notevoli e disabilità, che possono condurre fino all’amputazione.
Neineonati, l’infezione può diffondersi ad unaarticolazionee causareartrite. Nei bambini, grandiascessisubperiosticisi possono formare poiché ilperiostioè liberamente attaccato alla superficie dell’osso.[1]Anche nel midollo osseo.
Per via del loro elevato apporto di sangue, latibia, ilfemore, l’omero, lavertebra, lamascellae lamandibolasono particolarmente suscettibili di osteo

97
Q

osteomielite acuta ematogena, definizione

A

nfiammazione che colpisce il reticolo spongioso delle metafisi delle ossa lunghe (per la notevole irrorazione) e la sinovia

98
Q

epidemiologia osteomielite acuta ematogena,

A

Si presenta prevalentemente nei bambini e nei giovani perché più suscettibili all’infezione piogena.

99
Q

clinica, osteomielite acuta ematogena

A

Nel bambino le sedi più colpite sono: le ginocchia, l’anca e le spalle. Grazie alla cartilagine di accrescimento che costituisce una barriera l’infezione rimane in questo tipo di pazienti tendenzialmente circoscritta, previa da complicanze quali sinoviti e artriti.
Nell’adulto è favorita da un terreno debilitato da malattie croniche, diabete e uso di droghe, è causata in questo caso prevalentemente da gram – di provenienza broncopolmonare o genitourinaria e si localizza nel rachide nel bacino nel femore e nel piede.
Segni classici dell’infezione locale : rubor, calor, tumor, dolor e functio lesa
Febbre alta con brividi per batteriemia
Cefalea e malessere generale
Edema e dolorabilità dell’arto con difficoltà nei movimenti

100
Q

diangosi osteomielite acuta ematogena

A
Anamnesi, Esame obbiettivo
Emocoltura e antibiogramma
Prelievi locali o eco-guidati
Emocromo, indici di flogosi
RX si positivizza dopo 3 -7 giorni, all’inizio sarà normale, TC, Scintigrafia ossea con neutrofili marcati, RM
101
Q

osteomielite acu, terapia

A

antibiotico terapia mirata

102
Q

osteomielite cronica ematogena, definizione

A

Rappresenta l’evoluzione della forma acuta

103
Q

eziopatogenesi osteomielite cronica ematogena

A

Se il germe non viene eradicato si forma una cavità ascessuale perché attorno il tessuto sano darà origine a una reazione di incapsulamento

104
Q

clinica osteomielite cronica ematogena, clinica

A

Può essere asintomatica o presentarsi con dolore e edema dell’arto interessato, possono esserci eczema e piaghe.
Quando il processo infiammatorio avviene a ridosso della pelle, oppure si ha un ascesso reattivo, la cavità può fistolizzarsi e aprirsi verso l’esterno.

Complicanze: ostreolite cronica, fistole, aumento dei sequestri ossei e pus, eczema cutaneo, petecchie

105
Q

osteomielite cronica ematogena, prognosi e terapia

A

Antibiotica
Conservativa
Chirurgica: sequestrectomia. Andiamo ad aprire l’ascesso a rimuoviamo il pus insieme al tessuto circostante per permettere al tessuto sano di rigenerarsi, in alcuni casi la lesione non viene chiusa per evitare reinfezione

106
Q

infezioni periprotesica

A

Precoce: entro due mesi dall’intervento
Ritardata: entro due anni dall’intervento
Tardiva: dopo due anni dall’intervento

107
Q

terapia osteomielite terapia

A

ntibiotica, prima chirurgia per rimuovere la protesi il focolaio infiammatorio e inserire uno spaziatore antibiodato, seconda chirurgia dopo alcuni mesi per rimpiantare la protesi

Morbo di Pott o spondilite tubercolare: triade  mal di schiena, gobba, paraparesi spastica in fasi avanzate

108
Q

spina bifida definizione

A

Malformazione neonatale della colonna vertebrale per un difetto durante il periodo di sviluppo fetale che può coinvolgere le strutture nervose.
A seconda del momento embrionale in cui si sviluppa il deficit si potrà avere una malformazione dei tessuti molli, delle meningi o del tessuto nervoso.
Dopo il periodo embrionale che vede la formazione di morula, blastula e gastrula,

109
Q

palcca embrionaria, foglietti

A

Ectoderma dal quale si svilupperà la cute
Mesoderna che si differenzierà in tessuto connettivo, muscoli ed ossa
Endoderma che darà luogo ai visceri intestinali e alle ghiandole annesse

110
Q

fattori di rischio spina bifida

A

fattori genetici, predisposizione, alterazioni cromosomiche;
• fattori ambientale
• carenza di acido folico
• diabete mellito materno
• farmaci teratogeni inibitori di acido folico e folati.
Le forme piu gravi prevedono la mancata chiusura del tubo neurale, delle meningi e delle ossa.

111
Q

prognosi spina bifida

A

Questa situazione e incompatibile con la vita, si ha aborto spontaneo oppure la prognosi dopo la nascita e di
qualche ora/giorno a causa dell’elevato rischio di infezione del tessuto nervoso.
Spina bifida aperta: incompatibile con la vita
Spina bifida occulta: i corpi vertebrali sono integri ma in un tratto le apofisi spinose sono assenti.
Il contenuto del rachide e sano ma per mancata chiusura si ha una fessura ossea rimpiazzata da tessuto adiposo. Nella maggior parte dei casi risulta asintomatica. La schisi si localizza a livello L5-S1.

112
Q

tipi di spina bifida

A

Meningocele : in questo tipo di malformazione oltre l’arco osseo anche i tessuti molli non si sono sviluppati. Si ha interessamento delle meningi che, attraverso una fessura del canale osseo fuoriescono e formano una cisti ripiena di liquido cefalorachidiano che spinge sulla cute. Il midollo spinale e le sue radici invece rimangono integri.
Mielomeningocele : mancata chiusura di ossa, tessuti molli e tubo neurale. Si forma una cavita che sporge verso l’esterno della lesione, ricoperta da un velo di cute che appare macero e umido per la presenza del liquido cefalorachidiano al di sotto. La cisti e costituita da liquido cefalorachidiano e da un ammasso di tessuto nervoso disorganizzato. Alto rischio infettivo, prognosi di due giorni circa. Sindrome da compressione del midollo allungato

113
Q

manifestazioni sliniche spina bifida

A

paralisi neuromuscolare;
• deficit sensitivo degli arti;
• deformita spinali come cifosi e scoliosi;
• eccessiva trazione su alcune articolazioni.;
• disfunzione intestinale e vescicale;
• l’intelletto e normale ma subiscono pressioni psicologiche a causa delle difficolta fisiche;
• difetto di riparazione ossea dopo traumi o interventi chirurgici;
• lesioni cutanee;
• squilibrio muscolo – tendineo.

114
Q

conseguenze ortopediche, articolazioni maggiormente colpite spina bifida

A

e conseguenze ortopediche sono legate dalla variabilita delle manifestazioni cliniche. Ci saranno squilibri
muscolari negli arti perche alcuni muscoli funzionano piu di altri e cio determina un danno da eccessiva
trazione sulle articolazioni.
Le articolazioni maggiormente coinvolte sono:
• Anca per adduzione/ intrarotazione o abduzione/ extrarotazione a seconda dei muscoli
interessati;
• Piede: Si puo avere
1. Piede cadente: lesione sotto L3
2. Talo valgismo: lesione L4, L5
3. Piede valgo convesso: lesione S1
4. Piede cavo dove si accentua l’arcata plantare con iperestensione delle metatarsofalengee
per il prevalere della muscolatura della pianta e del dorso del piede e per paralisi flaccida dei
muscoli flessori delle dita.
Il quadro neurologico e quello di una paraparesi motoria e sensitiva.
Il piede e insensibile, il trauma non viene avvertito e quindi viene trascurato. Si avra infiammazione ed
estensione della lesione.
I processi di guarigione dell’osso sono compromessi a causa della mancata innervazione per gli stimoli
trofici dell’osso si ha aumento del rischio di fratture e deformita dell’osso

115
Q

terapia spina bifida

A

Ortesi (apparecchi correttivi degli arti del corpo) che devono essere sempre controllate in quanto
potrebbero determinare ulcere nel paziente che non ha la sensibilita pressoria e dolorifica;
• Chirurgia ortopedica;
• Sport come nuoto, canoa

116
Q

osteocondrosi

A

patologia caratterizzata da un fenomeno degenerativo necrotico asettico, causato da mancata perfusione sanguigna, che interessa i nuclei di ossificazione epifisari, apofisari e alcune ossa brevi, soprattutto nei periodi di maggiore attività osteogenica, ovvero infanzia ed adolescenza

117
Q

tipi di osteocondrosi

A

Morbo di Perthes-Legg-Calvè: testa (epifisi prossimale) del femore
“” Konig : epifisi distale femore
Morbo di Osgood – Schlatter : tuberosità (apofisi) tibiale anteriore
Morbo di Sever: tuberosità (apofisi) posteriore calcaneale
“” Scheuermann: epifisi corpo vertebrale, prevalentemente segmento dorsale
“” Kienbock: semilunare
Sindrome di Blount frequente nei bambini

118
Q

patogenesi osteocondrosi

A

on si conosce la causa di questa malattia ma la patogenesi è vascolare: vi è un disturbo della circolazione che porta ad un anomalia della perfusione, con conseguente alterazione della crescita del nucleo di ossificazione epifisario.
Osso con aspetto tigrato (? Riassorbimento osseo?)
La maggior parte di questa patologie ha un andamento benigno, la Perthes va subito riconosciuta e trattata in quanto un alterazione trofica della testa del femore porta inevitabilmente, dato il carico a cui è soggetta l’anca, alla morte dell’osso che dovrebbe sostenere tutto il carico, il quale è destinato a cedere in quanto necrotico, a deformarsi e a raggiungere precocemente l’artrosi.

119
Q

MORBO DI LEGG-PERTHES-CALVE’, definizione

A

steocondrosi che colpisce la testa ( epifisi prossimale ) del femore La vascolarizzazione è data al 75% dalle arterie epifisarie laterali rami della circonflessa med

120
Q

morbo di lpc, epidemiologia

A

Colpisce prevalentemente i maschi , solo nel 15-20% in maniera bilaterale, durante il periodo di maggiore importanza per l’accrescimento della testa del femore

121
Q

eziopatogenesi mlpc

A

a patogenesi è legata a un difetto di irrorazione della testa del femore, alla quale provvedono le arterie circonflesse, le quali danno le arterie epifisare; ciò porta alla necrosi della parte trabecolata dell’osso che di per sé non cambia morfologia, ma se la si sottopone a carico tende a crollare

122
Q

clinica mlpc

A

Esordio subdolo ed asintomatico, trascorre diverso tempo prima che i bambini manifestino zoppia di fuga e/o dolore, il dolore si localizzerà a livello inguinale.
Limitazione dei movimenti legati alla reazione infiammatoria: i movimenti che sottopongono a maggior tensione le strutture capsulari sono abduzione e intrarotazione

123
Q

diagnosi lpc

A

Anamnesi
EO osserviamo che il bambino cammina male, ha un atteggiamento coxantalgico, tende a distribuire il peso dal lato “sano”.
RX possiamo vedere un osso patologico solo dopo che si è riassorbito almeno del 30%, per cui negli stadi iniziali è negativa.
Diagnosi precoce  RM

124
Q

stadi di malatti mlpc

A

Distinguiamo 4 stadi di malattia (classificazione di Catterall)
Stadio I è interessata una piccola porzione anterolaterale
Stadio II “” metà del nucleo di accrescimento
Stadio III interessamento maggiore dei 2/3
Stadio IV È interessato tutto il nucleo di accrescimento, ovvero l’epifisi
(altre classificazioni)

125
Q

prognosi e terapia ,m lpc

A

Bisogna evitare che le strutture interessate dalla sofferenza ischemica vadano incontro a deformità
Es utilizzo di ortesi, imbragature cingenti il bacino dotate di supporti metallici il cui appoggio a terra permette lo scarico del peso in parte sull’ala iliaca e in parte sulla tuberosità ischiatica

In seguito a un processo di osteocondrosi si può sviluppare una coxa plana, diversa dalla coxa vara che può derivare da fenomeni di epifisiolisi.

126
Q

Osgood Schlatter

A

Tuberosità tibiale anteriore
Dolore in sede, limitazione alla flesso estensione della gamba.
Decorso benigno con risoluzione del quadro al momento del completamento dell’accrescimento scheletrico, intorno ai 15 17 aa; fino a quel momento evitare sforzi fisici.

127
Q

osteocondrosi, valutazine prognostica

A

Piu problematica rispetto a queste ultime forme e senza dubbio l’osteocondrosi dei nuclei di
accrescimento vertebrali, soprattutto del segmento dorsale.
Questo perche i nuclei di accrescimento che circondano il bordo superiore ed inferiore di un corpo
vertebrale sono quelli che ne determinano lo sviluppo in altezza; nel momento in cui si instaura una
sofferenza a questo livello, non si ha crescita, con conseguente deformazione cuneiforme, fenomeno che
interessa più vertebre, anche considerando il ruolo del sovraccarico non dato tanto dal peso quanto dalla
stessa cifosi fisiologica del rachide dorsale, che comporta uno scarico anteriore del carico, determinante
una certa sofferenza ischemica.
E’ importante poichè se non trattata può portare a dorso curvo, con conseguenze estetiche, e nelle forme
Piu’ gravi anche a conseguenze funzionali cardiologiche e respiratorie, dovute ad alterazione della gabbia
toracica, un po’ come succede in caso di scoliosi.
Si adoperano dunque dei busti gessati, che tendono a correggere l’eccessiva cifosi dorsale, ma bisogna fare
attenzione poiche buona parte della correzione avviene aumentando la lordosi lombare: per evitare cio
prima si “spianera” la lordosi lombare, bloccare la stessa in flessione, e solo successivamente si raddrizzera
la parte dorsale; queste precisazioni interessano piu che altro gli ortopedici.
Anche il m. di Scheuermann, come la scoliosi, può manifestarsi in forme particolarmente gravi, per le quali,
una volta accortisi di non poter raggiungere una corretta statica del rachide nonostante l’impiego ottimale
della terapia conservativa (busti), si rende necessario l’intervento chirurgico, soluzione comunque adottata
meno frequentemente nel caso dello Scheuermann rispetto alla scoliosi in quanto in genere la prima viene
riconosciuta piu precocemente.

128
Q

Osteocondrosi dissecante

A

Affezione acquisita su base ischemica dell’osso sub condrale che colpisce maggiormente il condilo femorale (soprattutto il mediale) di adolescenti e giovani adulti
Nei soggetti con fisi attiva atteggiamento conservativo per 3-6 mesi
Nei soggetti con fisi atteggiamento chirurgico

129
Q

paralisi ostetriche, definizione

A

Deficit neurologici, più o meno gravi, del plesso brachiale. Parliamo solo dei traumi associati al parto.
Il plesso brachiale origina dalle radici cervicali C5-C6-C7-C8 e da D1. Queste si mescolano tra di loro e vanno a formare:
Tronco superiore: formato da C5 e C6
Tronco medio: formato primariamente da C7
Tronco inferiore: formato da C8 e D1
Ciascuno di loro si divide in un ramo di divisione anteriore e uno posteriore (per un totale di sei ) andando a costituire le tre corde o tronchi secondari:

130
Q

tipi paralisi ostetriche

A
Corda laterale
Corda mediale
Corda posteriore
Queste danno origine poi ai vari nervi deputati all’innervazione dell’arto superiore.
Nervo muscolocutaneo: soprattutto C5
Nervo ascellare: soprattutto C6
Nervo radiale : “” C6
Nervo mediano : “” C7 e C8
131
Q

eziopatogenesi paralisi ostetriche

A

Si verificano durante la fase di espulsione del parto, solitamente a causa di una trazione eccessiva

132
Q

clinica, paralisi ostetriche

A

Potenzialmente un trauma violento può causare lesioni delle radici nervose con compromissione periferica causando talvolta anche una lesione della catena del simpatico con associata sindrome di Claude-Bernard-Horner (enoftalmo, miosi, ptosi palpebrale).
Il paziente con lesione radicolare completa avrà:
Braccio ciondolante
Spalla innalzata
Assenza dei riflessi
Tuttavia solitamente i traumi sono più contenuti e causano una sintomatologia meno accentuata

133
Q

tipi di paralisi ostetriche

A
  1. Lesione di Erb-Dauchenne: arto ipoplasico, cadente, intraruotato pronato gomito esteso, polso flesso: lesione prossimale di C5 e C6, i muscoli primariamente interessati sono il deltoide, i rotatori esterni, i flessosupinatori dell’avambraccio; i movimenti di flesso estensione della mano non vengono solitamente compromessi.
    Il paziente viene descritto come “cameriere che riceve la mancia”.
  2. Fumarola isolata di c7: gomito leggermente flesso
  3. Lesione di Dejerine-Klumpke: lesione di C7 e C8, più rara ma anche più grave. Può associarsi a coinvolgimento del plesso simpatico. Viene ad essere coinvolto il nervo ulnare responsabile dell’innervazione intrinseca della mano. Avremo deficit di flessione e abduzione delle dita. Funzionalità di spalla e gomito conservata.
134
Q

diagnosi paralisi ostetrica

A

Il tipo di lesione può essere definito solo alcuni giorni dopo la lesione stessa, sulla base delle alterazioni del movimento. Fondamentale è anche il tempo che impiega il paziente a migliorare, in base anche a questo possiamo valutare la compromissione nervosa.
Neuroprassia: compromissione della fibra nervosa non associata a lesione anatomica. In questo caso avremo una completa restitutio ad integrum nell’arco di qualche settimana
Assonotmesi: lesione degli assoni nervosi non associata a rottura della cellula di Schwann. Quindi il secondo motoneurone si rende conto della lesione e avvia dei processi di assonogenesi, favoriti dal supporto delle guaine mieliniche integre che costituiscono una struttura di supporto e continuità. Il processo di rigenerazione impiega 3-4 mesi.
Neurotmesi: rottura completa del nervo, con lesione dell’assone e delle guaine, viene a mancare la continuità, il neurone non ha indicazioni su dove svilupparsi. Se i due monconi vengono immediatamente affrontati aumentano le probabilità che si venga a ricostituire una contiguità nervosa (seppur limitatamente)

135
Q

terapia paralisi stestriche

A

Non esiste una terapia. Alcuni neurochirurghi hanno tentato una sutura immediata della lesione nervosa, però i benefici sono scarsi e non sempre presenti.
Noi possiamo aiutare il paziente attraverso programmi di riabilitazione neuromotoria che tentano di:
Innescare dei riflessi che permettano un movimento adeguato dell’arto.
Stimolare aree cerebrali che incentivino l’azione dei muscoli danneggiati
Sempre più rare le tenotomie e osteotomie per limitare le deformità osteotendinee.

136
Q

TRAUMI DEL RACHIDE

A

La colonna vertebrale presenta fisiologicamente delle curvature che assumono l’aspetto di lordosi a livello cervicale e lombare e cifosi a livello toracico La colonna vertebrale è schematizzabile secondo il concetto delle tre colonne di Denis:
Colonna anteriore: legamento longitudinale anteriore, 2/3 anteriori del corpo vertebrale, porzione anteriore del disco intervertebrale e dell’anulus fibroso
Colonna media: legamento longitudinale posteriore, 1/3 posteriore del corpo vertebrale, porzione posteriore del disco intervertebrale
Colonna posteriore: arco neurale, processo spinoso, faccette articolari, legamenti posteriori (gialli, intertrasversari, interspinosi, sovraspinosi)
In particolare è l’integrità della colonna media (e posteriore) la vera chiave della stabilità anatomica vertebrale. Per cui tendenzialmente sono lesioni con interessamento di queste due regioni che danno luogo a fratture con caratteri di instabilità. Possiamo avere grossi guai neurologici se il legamento longitudinale posteriore è danneggiato..

137
Q

eziopatogenesi traumi ortopedici

A

Possiamo avere traumi causati da
Iperflessione: ad esempio un tuffo in acqua bassa con flessione brusca in avanti del collo con possibili fenomeni di schiacciamento midollare
Iperestensione: sono più rare e sono legate ai cosiddetti traumi da frusta che si verificano nei tamponamenti stradali, dove vedremo lesioni da strappamento legamentoso
Rotazione in flessione
Rotazione in estensione
Flessione laterale

138
Q

distinzione sulla base della causa dinamica che ha traumi ortopedici

A

Distinzione in base alla causa dinamica che le ha generate: di Magerl
in compressione, tendenzialmente del corpo vertebrale: sono tendenzialmente stabili e da flessione, abbiamo deformità a cuneo delle vertebre, tipiche del soggetto osteoporotico
in distrazione: lesioni delle strutture posteriori classificata come instabile quindi eventualmente mielinica.
B1 rottura posteriore principalmente legamentosa,
B2 principalmente ossea,
B3 rottura anteriore attraverso il disco
Vedi caso particolare frattura di Chance, lesione orizzontale del corpo vertebrale passante per l’arco posteriore causata da una brusca flessione
in torsione: lesione di tutte e tre le colonne (vedi anatomia) con grave disallineamento del canale vertebrale

Il quadro clinico dipende dalla sede della lesione, dal tipo di lesione e dalla quantità di tessuto interessato

Classificazione delle fratture su base clinica neurologica
Amieliniche: non interessano il midollo
Mieliniche a loro volta divise in:
2. commozione midollare: edema diffuso e momentanea infunzionalità (stupore) delle fibre nervose detta neuroaprassia, dove a seguito del colpo i funicoli nervosi smettono di trasmettere e a questo segue una paralisi periferica che può interessare sia gli arti superiori che inferiori.
3. contusione midollare: la fibra è danneggiata e va in contro a degenerazione mielinica, tutto il territorio è sede di microemorragie e alcune parti possono andare incontro a necrosi, quindi in un primo momento c’è una paralisi che lentamente si risolverà in parte ma non completamente.
4. sezione midollare (lacerazione): le fibre perdono la continuità le une con le altre, si creano aree emorragiche e lo stesso tessuto va incontro a necrosi, l’esito è una paralisi irreversibile
Le classifichiamo poi in:
stabili: il muro posteriore è integro
instabili: il muro posteriore non integro

Lesioni amieliniche
Dolore, rigidità da contrattura muscolare riflessa
Lesioni mieliniche incomplete
Se ci troviamo di fronte a una sezione posteriore avremo una compromissione della sensibilità tattile epicritica e propriocettiva cosciente, passante nei fasci di Goll e Burdach  sdr da sezione trasversa posteriore di Roussy e Lhermitte
Se abbiamo una sezione antero laterale verranno interessati i fasci piramidali e spinotalamici con un coinvolgimento della motilità volontaria e della sensibilità tattile protopatica, termica e dolorifica  sdr di Brown – Sequard e sindrome da lesione midollare anteriore
Se abbiamo una sezione centrale  sindrome da sofferenza centrale del midollo di Schneider (la più comune) l quadro clinico è caratterizzato da undeficitmotorio sproporzionatamente maggiore nell’arto superiorerispetto all’arto inferiore, e da un grado variabile di perdita disensibilitàsotto al livello della lesione, associato a disfunzioni dellavescicae aritenzione urinaria[4]. Si differenza dalla lesione completa del midollo spinale, in cui è presente una perdita totale delle funzioni motorie e sensitive al di sotto della lesione.
Lesioni mieliniche complete
Si ha paralisi completa, l’interruzione della conduzione potrebbe essere determinata non solo dallo strappamento di per sé ma anche dall’apposizione in quella sede di un altro tessuto in seguito all’ematoma.
Il quadro clinico è caratterizzato da:
Shock spinale (possibile anche a causa di una commozione)
Abolizione della motilità volontaria
Abolizione dei riflessi
Anestesia dell’area corporea al di sotto della lesione

Eventuali lesioni associate: frammenti ossei (frattura pluriframmentaria); spostamento del disco intervertebrale, ematoma peridurale, ematomielia ovvero sanguinamento all’interno del midollo spinale (soprattutto in danni di estensione, il canale ependimale si lacera diventando sede di emorragia e questo aumenta il danno nervoso) strappamento delle radici.

Un trauma mielinico a livello cervicale porta ad una tetraplegia, sono interessati tutti e 4 gli arti ma con delle differenze
A livello degli arti superiori avremo una paralisi flaccida perché è stato distrutto il secondo motoneurone situato nel rigonfiamento cervicale o le radici spinali stesse, quindi i muscoli non ricevono più impulsi,
Negli arti inferiori avremo una paralisi spastica perché la lesione non interessa il secondo motoneurone situato caudalmente a livello del rigonfiamento lombare ma tutti i fasci piramidali, ciò significa che il secondo motoneurone pur non venendo danneggiato non riceve il controllo regolatore dei centri superiori e manda impulsi ai muscoli periferici; avremo quindi una paralisi spastica con deficit di forza.

Inoltre episodi di compressione dell’arteria spinale anteriore con il tempo possono innescare fenomeni di necrosi e fibrosi di tutti i neuroni interessati che vanno incontro a degenerazione, ciò porterà ad un quadro di mielopatia cervicale tardiva con manifestazioni di paresi (NON paralisi).

139
Q

diagnosi traumi ortopedici

A

La diagnosi di certezza la si può fare almeno dopo 6 – 12 ore dal trauma, solo dopo tale periodo è possibile stabilire se vi è stata una sezione completa o se è solo una sintomatologia di tipo funzionale.

Anamnesi
EO
Valutazione neurologica: ricercare eventuali deficit motori, del sensorio, valutare la presenza dei riflessi osteotendinei.
Clonie
Ipertono spastico
Iperreflessia
 triade sintomatologica positiva per impegno delle vie piramidali, ovvero un quadro compressivo delle corna anteriori del midollo
RX: mai accontentarsi di una sola proiezione radiografica, poiché non in tutte è possibile riscontrare eventuali lesioni.
Segni radiografici di instabilità: dislocazione, allargamento dello spazio interlaminare, ampliamento della distanza interpeduncolare, ampliamento delle faccette articolari, disallineamento del muro posteriore vertebrale

La TC permette di osservare meglio le struttura ossee piuttosto che neurali quindi è necessario approfondimento con RM.

140
Q

prognosi e terapia traumi ortopedici

A

Da compressione
Difficilmente si trattano conservativamente perché lasciando una cifosi segmentaria così importante il paziente potrebbe sviluppare un’insufficienza midollare.
Si utilizza la vertebroplastica tramite iniezioni di una resina detta polimetil-metacrilato. Non trattate predispongono ad altre fratture di questo tipo. In un soggetto giovane con insufficienza midollare si fa una somatectomia quindi sostituzione del corpo vertebrale fratturato.

Il trattamento comunque è sempre chirurgico nelle forme instabili (?)

Tecniche simili alla vertebroplastica: cifoplastica (si inserisce un trocar e si va a riempire un pallone inserito in sede con del cemento), elastoplastica
Le fratture osteoporotiche gravi vanno trattate con sintesi vertebrale percutanea
L’artrodesi strumentata prevede la fusione di segmenti vertebrali per stabilizzare a colonna, poichè l’unione sia solida è necessario usare un innesto osseo
Sostituzione del corpo vertebrale con protesi

Complicanze: fibrosi epidurale post chirurgica, sindrome giunzionale dopo artrodesi, pseudoartrosi, fallimenti dell’hardware, lesioni durali, rare le lesioni viscerali e vascolari.

141
Q

lesioni legamentose del ginocchio, definizione

A

Parliamo di lesioni spesso strettamente connesse alle attività sportive

142
Q

classificazione lesioni legamentose del ginocchio

A

Anatomia:
distinguiamo un compartimento mediale, uno laterale (LCM e LCL) e un pivot centrale costituito dai legamenti crociati che rappresentano il pilastro attorno al quale ruotano la maggior parte dei movimenti
I crociati sono deputati alla stabilità anteroposteriore
I collaterali concorrono alla stabilità in valgismo e varismo, cioè impediscono i movimenti di lateralità

Abbiamo un menisco laterale e uno mediale , rispettivamente a forma di O e a forma di C. La parte interna è poco deformabile avascolare e fibrocartilaginea, la parte esterna è vascolarizzata deformabile e fibroelastica. Funzioni: trasmissione del carico, assorbimento delle sollecitazioni, stabilizzazione, propriocettività.

143
Q

eziopatogenesi lesioni legamentose

A

Traumi spesso di origine sportiva, nel 60% dei casi. Età media 15-40 aa.
La più frequente è la lesione del legamento collaterale mediale, la più invalidante quella del legamento crociato anteriore.

144
Q

clinica lesioni legamentose del ginocchio

A

(??). Essi stabilizzano il ginocchio su tre piani: frontale, sagittale e assiale.
LCA
Valgismo rotazione esterna lesione sempre combinata
Varismo rotazione interna combinata o isolata
Iperestensione es calcio a vuoto
Iperflessione con contrazione riflessa es ginnastica artistica
LCP
Trauma diretto di tibia che scivola all’indietro
Varo rotazione esterna
Valgo iperestensione

Il crociato anteriore misura 38 mm di lunghezza e 10 mm di larghezza, prende inserzione sul piatto tibiale anteriore e centralmente, si trova anterolateralmente alla spina tibiale, quindi obliqua a spirale posteriormente per inserirsi sul condilo femorale laterale nella sua parte interna; il crociato posteriore prende inserzione dalla parte posterolaterale del piatto tibiale e si inserisce con decorso obliquo nella parte anteriore della faccia laterale del condilo mediale del femore (meno obliquo del LCA). La maggior parte del carico è sopportata dal LCA

Traumi in valgo ed extrarotazione  Triade infausta di Trillat: collaterale mediale, crociato anteriore e menisco mediale
Pentade: entrambi i collaterali, entrambi i crociati e uno o più menischi

145
Q

diangosi lesioni legamentose del ginocchio

A

Anamnesi
EO. Test di Lachman o segno del cassetto a ginocchio flesso: si afferra la tibia e si porta in avanti e indietro per indagare i crociati
Artroscopia (?)

146
Q

prognosi e terapia lesioni legamentose del ginocchio

A

Nel trattamento di tipo conservativo è necessaria l’immobilizzazione mediante tutori per permettere ai fibroblasti del connettivo di raggiungere una restitutio ad integrum; ciò per un periodo di almeno 20 giorni fino a più di un mese;
nei casi più gravi si ricorre alla chirurgia

147
Q

piede piatto, definizione

A

Deformità del piede nella quale la volta longitudinale del piede è più o meno appiattita. Spesso quando sintomatico si associa a un’anomalia anatomica di eccessiva pronazione; l’aumento del valgismo tra l’asse della gamba e l’asse del calcagno rappresenta un movimento compensatorio causato da una relazione non corretta tra la gamba e il piede

148
Q

epidemiologia piede piatto, classificazione

A

Piede piatto flessibile congenito
Piede piatto flessibile acquisito
Piede piatto rigido congenito
Piede piatto rigido acquisito

149
Q

eziopatogenesi piede piatto

A

E’ una patologia evolutiva che si osserva quando la testa dell’astragalo si approfonda troppo nella coxa pedis. Al contrario quando la testa dell’astragalo non entra abbastanza nella coxa pedis si parla di piede cavo.

  1. Il piede piatto flessibile congenito è provocato da eccessivo valgismo del calcagno che persiste dopo la prima infanzia. Raramente sintomatico
  2. Il piede piatto rigido congenito è dovuto ad alterazioni strutturali tarsali, quindi le sinostosi tarsali (sinostosi astragalo calcaeare, sinostosi calcaneo scafoidea)
    Si presenta nell’adolescenza o in età adulta, durante l’accrescimento si ha il passaggio da un ponte fibroso a uno osseo e ciò spiega la comparsa della sintomatologia
  3. Il piede piatto flessibile acquisito è causato dalla presenza di sinovite o dalla rottura del tendine del tibiale posteriore
  4. Il piede piatto rigido acquisito è secondario a contrattura del tendine di Achille, malattie neurologiche, traumi, esiti di fratture del calcagno
150
Q

diagnosi piede piatto

A

Per distinguere un piede piatto rigido da uno flessibile valutiamo all’esame obbiettivo se è correggibile o meno. Nel piede piatto flessibile avremo una perdita della volta longitudinale solo in carico e ricomparsa in scarico!
Test del “piede bagnato”
Fotopodogramma
RX sia sotto carico che sotto scarico

151
Q

prognosi e terapia

A

Piede piatto flessibile congenito: conservativo, plantari correttivi.
Chirurgico se la deformità causa dolore persistente e difficoltà in carico, intervento di calcaneo stop che prevede il posizionamento di un cuneo laterale nel seno del tarso, o una vite nel calcagno o nell’astragolo, questi interventi vanno a ridurre il movimento dell’articolazione astragalocalcaneare impedendo l’eccessivo valgismo del calcagno. Indicato tra i 12 13 aa, mai prima dei 6 aa.

Piede piatto rigido acquisito
Trattamenti conservativi
Chirurgia

152
Q

cartilagine, costituzione

A

La cartilagine articolare è costituita da quattro strati situati al di sotto del rivestimento superficiale, la lamina splendens, che le conferisce un aspetto brillante quasi azzurro.
Strato superficiale  strato intermedio  strato profondo zona calcificata (a ridosso osso subcondrale)
Troviamo la matrice, composta di acqua (70-80%) , proteoglicani (funzione osmotica) e fibre collagene (a distribuzione arciforme, arcate di Benninghoff); i condrociti alloggiano nelle lacune condrocitarie (rappresentano il 2% del volume totale della cartilagine).
L’unità morfofunzionale della cartilaigne è il condrone, formato sia dalla matrice che dal condrocita.
Il carico ha una funzione fondamentale per il trofismo cartilagineo (così come muscolare ed osseo); esso determina modificazioni del flusso del liquido interstiziale così modificazioni nella sua composizione, stimolando la produzione di GAG. Per le sue caratteristiche viscoelastiche la cartilagine tende a sopportare meglio dei carichi a compressione intermittente rispetto a una compressione improv

153
Q

membrana sinoviale

A

a membrana sinoviale è un tessuto connettivale che tappezza la superficie interna delle articolazioni sinoviali, è costituita da sinoviociti di tipo A (hanno funzione di spazzini e secernono acido ialuronico) e di tipo B (secernono i costituenti del liquido sinoviale) è interrotta in corrispondenza dei menischi e della cartilagine articolare. Il liquido sinoviale appare di colore giallo citrino e trasparente.
Funzioni della membrana sinoviale: produzione del liquido sinoviale, eliminazione di detriti, riparazione di perdite di sostanza, funzione di neurocettore.
Versamento articolare non infiammatorio: idrarto
Versamento articolare con sangue: emartro
Quando la capsula ernia posteriormente si formano le cosiddette cisti di Becker
Se il liquidi sinoviale fosse torbido, corpuscolato ma sterile ci troviamo di fronte a un infiammazione (gotta, pseudogotta, )
Ecco un elenco delle patologie che possono interessare la membrana sinoviale: artrosinovite post traumatica, sinoviale infiammatoria, artrosinovite artrosica, artrosinovite reumatoide, sinovite villonodulare pigmentosa, condromatosi sinoviale, artrosinoviti dismetaboliche da microcristalli, reattive, settiche, metalliche, sintetiche.

154
Q

epidemiologia artrosi

A

Artrosi (primitiva) sesso femminile, > 40 aa
Invecchiamento, familiarità, sovrappeso, sovraccarico funzionale, fattori ormonali e vascolari
Possiamo avere poi artrosi secondarie da artriti, infezioni….
Le più frequenti sono le artrosi di ginocchio, anca e rachide.

155
Q

eziopatogenesi artrosi

A

Il danno cartilagineo può essere
Diretto: es sollecitazioni stato dinamiche abnormi
Indiretto: alterazioni della sinovia, dell’osso, che poi secondariamente colpiscono la cartilagine

156
Q

fisiopatolia artrosi

A

Fisiopatologia artrosi:
I distretti interessati dalla fisiopatologia dell’artrosi sono primariamente la cartilagine, la membrana sinoviale e l’osso subcondrale, in quanto sottoposti agli stress meccanici. Come detto sopra condrociti e cellule sinoviali lavorano in accordo per il rinnovo del pabulum di cellule a livello articolare, entrano in gioco numerosi enzimi tra cui collagenasi, catepsine, ecc per la formazione dei GAG e del collagene.
La cartilagine articolare dal punto di vista anatomopatologico può andare incontro ad alterazioni diverse a seconda del grado di lavoro alla quale è stata sottoposta
Inanzitutto abbiamo una consistenza molle, poi abrasioni superficiali che possono diventare sempre più profonde sino a diventare ulcerazioni, sino ad avere esposizione dell’osso subcondrale, in questa fase vi è stata una totale distruzione della cartilagine articolare
Meccanismi di difesa nella fase iniziale del processo artrosico: proliferazione delle cellule, incremento sintesi DNA con replicazione cellulare (il condrocita somiglia al condroblasto), aumento GAG collagene
Questi meccanismi dopo un po’ non sono più sufficienti, si ha la disgregazione della matrice , rarefazione delle fibre collagene…
Successivamente abbiamo detto viene esposto l’osso subcondrale, questo andrà poi incontro ad abrasione superficiale, poi profonda. Lo stress meccanico continuo a questo livello porta a una stimolazione della neoosteogenesi , si formano quindi nuovi osteoni. I geoidi sono cavità pseudocistiche che contengono liquido fibrinoide tipiche di un processo artrosico in fase avanzata, l’osteofitosi è la formazione di tessuto osseo che forma poi speroni ossei.

157
Q

clinica artrosi

A

Fasi della patologia cartilaginea
Condropatia: si verifica tendenzialmente in soggetti giovani (20aa) di sesso femminile che presentano un mal allineamento femoro-rotuleo con intrarotazione del femore
Artrosinovite(?)
Artrosi : essa è un danno primariamente di natura degenerativa cronica della cartilagine , la componente infiammatoria è secondaria alle alterazioni biochimiche e meccaniche che ne conseguono. Interessa le diartrosi
Quando diventa sintomatica la patologia della cartilagine (fase di artrosi) da dolore, tumefazione , limitazione funzionale, rigidità, deformità, la fase di appoggio monopodalico è accorciata con zoppia di fuga, la fase di ricezione, stabilizzazione del carico e la durata totale del movimento sono allungate.

Le gonartrosi primitive danno prevalentemente ginocchio varo per coinvolgimento mediale, le gonartrosi secondarie a AR danno ginocchio valgo
Per quando riguarda l’artrosi del ginocchio un segno è il segno della Ruspa: blocchiamo il ginocchio del paziente e gli chiediamo di contrarre il quadricipite: proverà un forte dolore con scroscio.

L’RX è positiva nel momento in cui ci troviamo di fronte a uno stadio artrosico, avremo: (vedi classificazione in 5 stadi di Ahlback)
riduzione rima articolare
sclerosi osso subcondrale, addensamento
formazione d osteofiti (servono a dare maggiore stabilità all’articolazione??) e geodi ( cavità all’interno delle quali troviamo liquido sinoviale disidratato, hanno consistenza gelatinosa )
osteoporosi da disuso
irregolarità delle superfici articolari
Artroscopia. La cartilagine artrosica è dura mentre quella con condropatia è ancora molle.

La RM può permetterci di valutare il danno cartilagineo e classificarlo in 4 gradi a seconda del coinvolgimenti degli strati cartilaginei.

Anatomia patologica: l’osso assume caratteristiche corticali (??)

158
Q

prognosi e terapia

A

I processi riparativi della cartilagine portano alla sostituzione del tessuto cartilagineo necrotico con un tessuto fibrocartilagineo, se il danno è limitato e superficiale questa riparazione risulta sufficiente in quanto il tessuto di riparazione ha caratteristiche meccaniche compatibili con un buon risultato clinico; tuttavia quando la lesione è profonda si va a integrare con la chirurgia.
Chirurgia:
Innesti omologhi crioconservati (da donatore)
Lembi di periostio
Lembo adiposo presente sotto il tendine rotuleo detto corpo di Hoffa (lasciando il peduncolo vascolare)
Impianti di condrociti coltivati posti su uno scaffold (membrana di collagene sintetica)

Li possiamo classificare in:
Trattamenti palliativi in artroscopia:
Lavaggio articolare
Il debridement
Lo shaving
La condrocompattazione
Trattamenti riparativi
Condroabrasione
Perforazione
Microfratture
Trattamenti ricostruttivi
Innesti OC autologhi
Innesti OC omologhi
Trapianti cartilaginei osteocondrali

Chirurgia dell’gonartrosi
Osteotomie: riallineiamo l’asse con dei cunei ossei di addizione o sottrazione
Protesi monocompartimentale
Artroprotesi totale
Chirurgia della coxartrosi
Osteotomia ormai in disuso
Artroprotesi (di vari tipi: endoprotesi, di rivestimento in disuso, non cementate, cementate. L’età media di durata della protesi è 10-15 aa
quando? Coxartrosi primaria, secondaria a displasia congenita, perthes, epifisiolisi, fratture peritrocanteriche; fratture femore intraarticolari, necrosi avascolare testa del femore, patologie artritiche di alto grado
Meglio non fare interventi chirurgici odontoiatrici nei primi mesi dopo l’impianto della protesi
Complicanze protesi: infezioni, lesioni nervose come la lesione del nervo sciatico popliteo esterno (piede cadente), lussazione embolia, ……
Riabilitazione
Fase precoce primi 20 gg
Fase del recupero dalla 20 alla 50 – 60esima giornata
Fase della riabilitazione
VEDI SBOBBE RIABILITATIVA

159
Q

lombalgia, definizione

A

Non è una patologia ma un sintomo.

160
Q

epidemiologia lombalgia

A

Circa l’80% degli individui presenta un episodio di lombalgia / sciaticalgia nella propria vita

161
Q

eziopatogenesi lombalgia

A

Patologie muscolo- scheletriche (nella maggior parte dei casi):
a.i) ernia del disco lombare (excursus anatomia e fisiologia disco intervertebrale)
a.ii) spondiloartrosi
a.iii) fratture vertebrali
a.iv) instabilità vertebrali
a.v) stenosi canale vertebrale
a.vi) spondilolistesi: congenita, da lesione (interruzione dell’istmo vertebrale), da artrosi delle faccette articolari
a.vii) sindrome del piriforme: rara, data da intrappolamento del nervo sciatico che passa sotto il piriforme per ipertrofia di quest’ultimo o accorciamento.
a.viii) sindrome delle faccette articolari: ad esempio nei soggetti con iperlordosi sacrale, abbiamo restringimento del neuroforame, sovraccarico delle faccette articolari (sovente compressione radici)
Su base infiammatoria
a.i) Spondilite anchilopoietica (scatica mozza)
a.ii) Morbo di Paget
a.iii) Disciti come morbo di Pott, osteomielite vertebrale
a.iv) Patologie viscerali (renale, aorta, pancreas , sistema GI, sistema geniturinario)
Su base neoplastica
Metastasi osteolitiche e addensanti (più rare, K prostata)
Su base psicogena

162
Q

clinica lombalgia

A

Distrettuale : rachide lombare, lombosacrale, raramente il passaggio dorsolombare
Monoradicolare : interessa una singola radice nervosa, tipico dell’ernia del disco lombare
Poliradicolare: come accade nella stenosi del canale vertebrale (il canale finale in cui, a livello lombare, si trova il sacco durale con le radicole che a ogni livello emergono sottoforma di radici e che, unendosi nel plesso, formano nella parte alta lombare le radici del nervo femorale otturale, e nella parte bassa il nervo sciatico.
Se il paziente descrive di un dolore sulla natica, faccia laterale della coscia, faccia laterale della gamba, dorso del piede fino all’alluce, sta descrivendo il territorio radicolare della quinta radice lombare che costituisce il tronco del nervo sciatico, inoltre la radice L5 irradia con la branca motoria l’estensore lungo dell’alluce (tira su l’alluce) e il tibiale anteriore (flette dorsalmente adduce e ruota medialmente il piede). Inoltre il paziente con ernia del disco L4 L5 avrà probabilmente una scoliosi funzionale antalgica, paura di starnutire, contrattura antalgica della muscolatura paravertebrale.

163
Q

diagnosi lombalgia

A
Anamnesi FONDAMENTALE
EO
Ispezione e postura
Palpazione 
Mobilizzazione
Esame neurologico: 
** Lasegue: paziente supino, arto inferiore disteso, fletti prima l’anca poi il ginocchio e poi porti su fino ad arrivare a 90°. Il Lasegue è un dolore evocato sul punto di Valleeix che è il punto di emergenza del nervo sciatico dal forame ischiatico. Normalmente il test è positivo nell’ernia del disco lombare che interessa il nervo sciatico.
** Wasserman: paziente prono, prendi il ginocchio e fa fare l’estensione dell’anca. Il paziente che ha l’ernia del disco L1 L2 L3 L4 che sono le radici del nervo femorale, sentirà un dolore irradiato sulla faccia anteriore della coscia che si riflette sul tratto lombare
** positività dei punti di Valleix
Esami strumentali
RX: standard, sotto carico
TAC utilissima per vedere stenosi del canale vertebrale
RMN
164
Q

ernia del disco, definizione

A

Fuoriuscita del nucleo polposo attraverso la rottura dell’anello fibroso

165
Q

epidemiologia e classificazioni, ernia del disco

A

Protrusione (Bulging) : l’anello non è del tutto rotto, il nucleo spinge sull’anulus e sul legamento longitudinale posteriore
Ernia contenuta: il nucleo ha rotto l’anulus ma è ancora all’interno del legamento longitudinale posteriore
Ernia protrusa: rottura dell’anulus e anche del LLP. L’ernia è a contatto col sacco durale
Ernia espulsa: perde i rapporti anatomici con la parte di nucleo che resta nell’anulus e poi migra all’interno del canale vertebrale in alto o in basso, viene detta anche ernia migrata. Può anche non rompere il legamento longitudinale e dare origine a una variante che è l’ernia migrata sottoligamentosa.
I livelli maggiormente interessati da ernia sono L4-L5, L5-S1
Fattori di rischio sono la vita sedentaria, essere sovrappeso, lavori ad alto impegno fisico.
Il nucleo polposo è molto ben idratato, all’interno possiede pressione elevata, quindi l’ernia del disco non la trovo in un soggetto di 85 anni ma in un giovane dai 30 ai 50 (il disco per erniare deve essere ben idratato)
La fuoriuscita del nucleo polposo dall’anello fibroso lo porta posteriormente, dove va a comprimere il nervo causando dolore di durata e intensità variabili.
Nel normale processo evolutivo, dopo i 25 30 anni inizia la disidratazione discale e si ha un alterazione delle fibre dell’anulus, perciò in presenza di lesioni l’indebolimento dell’anello per sollecitazioni porta ad erniazione, a causa della riduzione della resistenza ai traumi, non per forza traumi intensi ma talvolta lievi ma ripetuti nel tempo.
Compressione diretta che l’ernia discale esercita sul ganglio spinale
Compressione delle strutture microvascolari che nutrono i nervi, il nervo quindi va incontro a demielinizzazione su base anossica. Se l’ernia comprime le vene abbiamo stasi venosa causata dal blocco del reflusso

Il dolore ha una genesi multifattoriale, dovuto sia a compressione del disco sulla radice nervosa, sia a fenomeni infiammatori neurali e perineurali, di tipo cellulo mediato che umorale. Una evidenza speculativa di questo meccanismo è l’alto livello di anticorpi anti-pso P27 (marker per i processi infiammatori di origine autoimmune) ritrovati nel liquor di pazienti con lombalgia e/o sciatalgia. Il nucleo erniato che torna a contatto col sistema immunitario viene riconosciuto come non self, ciò porta a una reazione infiammatoria che da irritazione della radice nervosa.

166
Q

clinica ernia del disco

A

Tre stadi clinici
Primo stadio sindrome irritativa, sintomatologia esclusivamente algica
Secondo stadio fase di compressione, dolore più sintomi di tipo deficitario
Terzo stadio: sindrome da interruzione, nella quale il nervo non riesce più a mandare l’impulso al muscolo. Abbiamo paralisi muscolare.

Dolore (irradiazione del dolore vedi diagnosi)

167
Q

diagnosi ernia del disco

A

Anamnesi
EO
Irradiazione del dolore
Quando le radici interessate sono da L1 a L4 il dolore interessa la regione anteriore della coscia e si definisce lombocruralgia
Le radici L5 e S1 (ma in parte talvolta anche L4) interessano la faccia posteriore della coscia la gamba e il piede e si definisce sciatalgia.

Nervo sciatico  manovra di Lasègue flettere l’anca ad arto esteso, manovra di WhitePajabi, aggiungendo la dorsiflessione del piede
Nervo crurale  Wassermmaan

Strumentale : RX quando il paziente è sintomatico ha altre patologie, nel giovane come prima manifestazione si prova una terapia ex-juvantibus. NB noi dobbiamo curare il paziente e non la radiografia
TC
RMN
TC e RMN con mdc per individuare eventuali tessuti cicatriziali nei pazienti già operati in precedenza
Elettromiografia

1) Diagnosi differenziale con la discopatia degenerativa (è clinica, il paziente con discopatia si flette tranquillamente, il paziente con ernia no, il paziente con discopatia ha dolore nell’inarcare la schiena perché va a schiacciare il disco già schiacciato , il pz con ernia no)
2) Diagnosi differenziale con la sindrome della cauda equina, rara, dovuta a una grossa ernia mediana migrata tra L4 e S1 che va a comprimere la cauda equina. Il Pz avrà lombalgia, sintomi agli arti inferiori, incontinenza fecale e urinaria. La regione anestetizzata viene individuata dalla porzione con la quale, stando a cavallo, si poggia sulla sella.
3) Tumore intradurale, frattura vertebrale, spondilolistesi, patologia neoplastica (metastasi), Spondilodiscite, presenza importante di osteofiti

168
Q

prognosi ernia del disco

A

In letteratura su 10 ernie del disco se ne operano 2 perché la storia naturale fa si che nell’80% dei casi ci sia una risoluzione clinica del dolore, perchè dopo un certo periodo il materiale discale dell’ernia tende a disidratarsi, occupa così meno spazio, esercita meno pressione e il dolore diventa piano piano un formicolio.
Soprattutto quelli con ernia a livello L4 L5 vengono operati in quanto vanno a perdere la radice di L5 responsabile dell’estensione del piede, non riusciranno a camminare sul tallone e questo è molto invalidante.

Conservativa non chirurgica in fase acuta è il riposo con FANS, oppioidi deboli, cortisonici, miorilassanti, antidepressivi, farmaci per il dolore neuropatico; utilizzo di tutori (fasce lombari)
^Manipolazione (pericolosa, si fa soprattutto cervicale)
Trazione (non nei soggetti anziani , preceduta da una decontrattura dei muscoli paravertebrali tramite l’utilizzo di calore esogeno e/o massaggi)
Farmacologico sistemico, infiltrativo (epidurale con anestetici e cortisonici)
Riabilitativo: Tecnica Mc Kenzie trattamento ernie del disco lombari
Nel porre indicazione al trattamento riabilitativo, la metodica di Mézières, è basata sullo stretching, è indicata nella discopatia degenerativa , anche nelle instabilità lombari, ma NON nelle ernie del disco. Mentre la tecnica di Mc Kenzie è indicata nel trattamento delle ernie del disco lombari vere. Si tratta di esercizi di iperestensione. Se questi esercizi li facesse un paziente con discopatia tornerebbe piangendo.
Chirurgica dopo 4 6 mesi se il paziente non ha avuto beneficio dal trattamento conservativo, oppure quando siamo già in presenza di una condizione di sintomatologia deficitaria oltrechè algica.
** Laminectomia con discectomia: Si fa un’incisione mediana, si raggiunge la doccia paravertebrale, cioè la superficie posteriore delle lamine, e si fa una breccia con un laminotomo, uno strumento che porta via pezzettini di osso dalla lamina. Scoprendo la lamina, si scopre il canale vertebrale.
Quindi si vedrà se è un’ernia del disco classica, cioè una posterolaterale. Avremo da una parte il midollo nella parte controlaterale all’ernia, al centro avremo la radice, più lateralmente avremo invece l’ernia.
a. Trattamenti mini invasivi
Chemionucleolisi con chimopapaina  Discectomia percutanea lombare automatica con nucleotomo  Decompressione del disco con laser  Discectomia percutanea lombare endoscopica  Terapia intradiscale elettrotermica o anuloplastica

169
Q

stenosi del canale vertebrale lombare definizione

A

La stenosi del canale vertebrale è un restringimento del canale spinale con conseguente aumento della pressione all’interno del sacco durale e delle radici spinali.
Normalmente l’ampiezza del canale è di 15 mm, è definito “stretto” tra i 13 e 14 mm, al di sotto dei 12 mm è “ molto stretto”.

170
Q

classificazione stenosi canale vertebrale lombare

A

Classifichiamo le stenosi in base alla loro localizzazione:
Interarticolare
Soma-arcale
Del canale radicolare
La principale divisione è però in:
A. stenosi centrale: si tratta di una stenosi di tutto il canale vertebrale e coinvolge più strutture nervose
B. stenosi laterale: si intende una stenosi del forame, tendenzialmente è monoradicolari.
Il primo a descrivere una stenosi laterale fu’ Verbiest tanto da essere nota come sindrom

171
Q

eziopatogenesi stenosi del canale vertebrale lombare

A

Classifichiamo le cause in:
congenite:
a.i) nanismo acondroplasico: è una patologia rara, abbiamo in questo caso una restrizione di tutto il canale vertebrale ma in particolare di quello lombare; si accompagna a problematiche neurologiche
a.ii) brevità congenita dei peduncoli: più frequente, tende a dare stenosi leivi-moderate
acquisite:
a.i) degenerazione del disco intervertebrale: caratterizzata da disidratazione complessiva del disco, la quale porta a una riduzione della sua altezza e secondariamente disfunzioni delle articolazioni posteriori
a.ii) osteofitosi: sia anteriore che posteriore, riduce il calibro del forame
a.iii) artropatia delle faccette articolari
a.iv) spondilolistesi degenerativa instabilità che si viene a creare poichè il disco degenera

Quando ad una brevità dei peduncoli congenita si associa una causa acquisita, come l’artrosi o la spondilosi, allora in questo caso si tende ad avere stenosi abbastanza severe , di solito centrali.

Tutte queste alterazioni hanno una base degenerativa, che ha un meccanismo a cascata: abbiamo una degenerazione del disco intervertebrale, bulging dell’anulus fibroso, ipertrofia zigo-apofisaria e inspessimento del legamento giallo.

172
Q

clinica stenosi del canale vertebrale

A

Dolore cronico: lombalgia, sciatalgia
Deficit sensitivo motori
Claudicatio neurogena intermittente. E’definita paradossa in quanto si ha meno dolore quando si procede in salita rispetto che in discesa. Perché? Quando si sale si flette la colonna in avanti e questo determina un lieve ma comunque sufficiente allargamento del canale vertebrale, viceversa in estensione (discesa) si ha un restringimento dei forami vertebrali di coniugazione.
La claudicatio neurogena intermittens insorge perché durante la deambulazione c’è un aumentata richiesta di sangue da parte degli arti inferiori, questo determina un aumento del ritorno venoso e quindi un aumento del sangue che passa nei plessi venosi vertebrali. Il plesso venoso vertebrale detto plesso di Butson si ingorga abbastanza facilmente, in più se già c’è una stenosi, questo peggiora la situazione; a sua volta l’aumento del plesso venoso non fa altro che peggiorare la stenosi stessa. Quando il paziente si ferma diminuisce il dolore per poi riprendere se il paziente riprende la marcia.

Questi sono i sintomi cardine della patologia, tuttavia la sintomatologia è variabile a seconda della stenosi.
Le stenosi laterali danno forme monoradicolari
Le stenosi centrali e quelle quindi multilivello danno forme pluriradicolari

173
Q

diagnosi stenosi del canale vertebrale

A

Anamnesi, EO
Strumentali: RX ci può indirizzare, tuttavia solo TC e RMN mi permettono di valutare le dimensioni reali del canale vertebrale.
Diagnosi differenziale vista per la lombalgia.

174
Q

prognosi e terapia stenosi del canale vert

A

1) Terapia conservativa: riposo, fisioterapia, FANS, ginnastica posturale. Indicata per le stenosi lievi o per le stenosi gravi nei pazienti non candidabili per la chirurgia.
2) Trattamento chirurgico demolitivo: si va ad aprire il canale vertebrale e facendo una breccia sulle lamine che vengono completamente asportate (laminectomia), si fa una decompressione del canale, “liberando” quindi il midollo. Ciò determina un’instabilità e l’unico modo per correggerla è quello di mettere delle viti; la porzione ossea asportata viene utilizzata per fare dei monti di artrodesi lungo i processi trasversi.
* *Nelle forme lievi moderate possiamo utilizzare il sistema interspinoso, il quale vien inserito nel paziente attraverso un’incisione di pochi cm tra i due processi spinosi; in questo modo essi si allontanano e danno tensione al legamento longitudinale posteriore ed anteriore.

175
Q

sindrome del tunnel carpale, definizione

A

Frequente quadro clinico neurologico da intrappolamento dovuto alla compressione, all’interno del tunnel carpale, del nervo mediano. Il tunnel carpale e una struttura osteofibrosa con pavimento le ossa del carpo e come tetto il legamento trasverso del carpo. Nel canale decorrono anche il tendine del flessore lungo del pollice, i 4 tendini dei flessori profondi delle dita e i 4 tendini dei flessori superficiali delle dita

176
Q

epidemiologia e classificazioni sindrome tunnel carpae

A

Forma idiopatica maggiormente frequente nel sesso femminile all’età di circa 60 aa
70% bilaterale. Aumentata frequenza in certi settori lavorativi
Fattori di rischio: ereditarietà, fare avori manuali, cambiamenti ormonali es gravidanza, età, alcuni sport, patologie concomitanti

177
Q

eziopatogenesi sindrome tunnel

A

Primitiva idiopatica
Secondaria: esiti di frattura dell’epifisi distale del radio, durante la gravidanza, per tenosinovite dei flessori a genesi reumatologica

178
Q

clinica sindrome tunnel

A

Dolore
Torpore
Parestesie superficie palmare, pollice, indice e medio
Parestesie e dolore notturni
Riduzione forza prensile
Perdita della sensibilità
Debolezza muscoli eminenza tenar (innervati dal n.mediano), nel tempo possono diventare ipotrofici

179
Q

diagnosi tunnel carpale

A

Anamnesi
EO
Manovra di Phalen (60sec) si esegue chiedendo al pz di tenere gli avambracci in posizione verticale e di porre il polso in flessione forzata, positiva se entro un minuto compaiono dolore e torpore
Segno di Tinel: comprimere attraverso ripetute percussioni in regione anteriore del carpo in corrispondenza del canale carpale attraversato dal nervo mediano, questa manovra provocherà un forte dolore, simile a una scossa.
Compressione diretta sul canale carpale
Esami strumentali:
Studio elettrofisiologico: elettromiografia del nervo medianoTrattamenti conservativi
Trattamento chirurgico:. Si fa un incisione in anestesia locale di 3 cm, tagliata la cute e la fascia palmare

sotto si trova tessuto adiposo del palmo della mano, si divarica, si trova superficialmente il tendine esile del muscolo palmare gracile, divarichiamo questo e sotto abbiamo il legamento trasverso: lo incidiamo facendo una piccola asola e sotto vediamo il nervo mediano giallino e traslucido; si mette una gola di protezione e apprezzeremo la decompressione del n.mediano; vedremo pian piano la rivascolarizzazione del perinevrio del nervo.

180
Q

SINDROME DI DUPUYTREN

A

L’aponeurosi palmare è un sottile foglietto ditessuto connettivoecollagene, situato in corrispondenza del palmo della mano, appena sotto la superficie cutanea. Simile, per caratteristiche istologiche, aitendinidelle dita, ha anche le stesse proprietà elastiche di quest’ultimi e rappresenta una loro continuità.
La posizione sottocutanea fa sì che l’aponeurosi palmare ricopra imuscoliprincipali del palmo della mano e ivasi sanguignipassanti in tale regione.Reazione cronica progressiva dell’aponeurosi palmare caratterizzata dal suo inspessimento e dalla retrazione con il risultato di una flessione permanente progressiva e irriducibile di una o più dita, di solito

181
Q

epidemiologia dupuytren

A

Familiare, prevalenza maschile. Più frequente tra la V e VI decade di vita, può essere bilaterale e può interessare le nocche, la fascia plantare del piede e la fascia di Buck del pene. Fattori predisponenti sono l’alcolismo, l’epilessia, il diabete , il fumo, l’iperlipidemia e i traumi.

182
Q

eziopatogenesi dupuytren

A

Proliferazione fibrosa del sottocutaneo palmare, con formazione di noduli non dolenti inizialmente, i quali poi vanno incontro ad un aumento di dimensioni, si infiammano. E diventano dolenti. Nelle immagini istologiche è frequente una proliferazione di fibroblasti.

183
Q

prognosi e terapia dupuytren

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Nelle fasi nodulari il paziente non ha ancora le dita flesse, si cerca di mantenere elasticità e mobilità facendo esercizi e massaggi, si possono fare infiltrazioni di acido ialuronico con funzione lubrificante e di cortisonici ad azione infiammatoria.
Raggiunto lo stadio 2 diventa di pertinenza chirurgica, si fanno degli interventi mirati a liberare i tendini flessori dalla cicatrice fibrotica formatasi sopra la fascia plantare; si fanno delle incisure a Z e si scoprono i tendini con sopra la fascia, quest’ultima si toglie. Importantissima poi la riabilitazione precoce

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Osteomalacia :

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‘osteomalacia è una patologia metabolica a carico delle ossa, a cui sottrae minerali rendendole più suscettibili a dolori, malformazioni e fratture. Stiamo quindi parlando di un’osteopatia metabolica demineralizzante, caratterizzata dalla presenza di tessuto osteoide non calcificato in misura superiore alla norma.
L’osteomalacia non dev’essere confusa con l’osteoporosi, nella quale si riscontra una riduzione della quantità di matrice ossea, peraltro normalmente mineralizzata; nell’osteomalacia, invece, si verifica la condizione opposta: la microarchitettura ossea conserva un volume normale, ma il suo contenuto minerale risulta insufficiente.

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IL TRAUMA

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Per lesioni traumatiche vengono generalmente intese tutte le conseguenze, sia locali che generali, di agenti lesivi la cui intensità superi i limiti di resistenza dei tessuti.

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Contusioni.

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on questo termine si intendono quelle lesioni causate da un trauma diretto di scarsa forza. Schematicamente possiamo distinguere:

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abrasione

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1) : è la più elementare delle lesioni ed è caratterizzata da una discontinuità degli strati più superficiali dell´epidermide;

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2) ecchimosi:

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2) la crescente energia del trauma contusivo ha determinato una raccolta ematica che riguarda gli strati superficiali della cute e del sottocutaneo;

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3) ematoma:

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3) in questo caso la raccolta ematica è abbondante ed è legata al danno di vasi di dimensioni maggiori;

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4) necrosi:

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4) si manifesta per un trauma violento con lesione distruttiva diretta o indiretta dei tessuti.

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distorsioni

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Con questo termine si intende una perdita momentanea dei rapporti tra i capi scheletrici costituenti un´articolazione. Sono secondarie a un trauma indiretto che causa una sollecitazione funzionale abnorme dell´articolazione.
Da un punto di vista anatomo-patologico si distinguono tre gradi in relazione all´entità del danno capsulo-legamentoso.
1) primo grado: semplice distensione dei legamenti interessati;
2) secondo grado: lacerazione legamentosa parziale;
3) terzo grado: lacerazione legamentosa totale.

La sintomatologia è caratterizzata da vivo dolore, versamento articolare ed impotenza funzionale.
Il versamento è correlato all´insulto meccanico sulla capsula articolare o ai legamenti propri dell´articolazione colpita. In base alle caratteristiche macroscopiche distinguiamo idrartro in caso di liquido sinoviale, emartro in caso di sangue e piartro in caso di essudato purulento.

Lussazioni. In questo caso la perdita dei rapporti articolari è permanente (Fig. 1.1).
Le lussazioni rappresentano una delle lesioni traumatiche di più frequente osservazione con una predilezione per il sesso maschile.
Le articolazioni più colpite in ordine di frequenza sono: la scapolo-omerale, le metacarpo-falangee ed interfalangee, il gomito, il ginocchio e l´anca.
Spesso una lussazione si accompagna ad una frattura del segmento scheletrico coinvolto; in questo caso si parla di frattura-lussazione. La sintomatologia è caratterizzata da vivo dolore ed impotenza funzionale assoluta.
All´esame obiettivo, l´arto si presenta in un atteggiamento preternaturale con un´alterazione del profilo anatomico. All´esame clinico va sempre fatta seguire una radiografia per escludere la presenza di fratture. Le complicanze possono essere immediate o tardive. Le prime sono legate alla possibile lesione di strutture vicine all´articolazione interessata: per esempio l´interessamento del nervo sciatico nelle fratture-lussazioni d´anca o del nervo ascellare nelle lussazioni gleno-omerali.
Le seconde sono invece rappresentate dalla possibile necrosi dell´epifisi lussata per alterazione della sua vascolarizzazione, dalla conseguente instabilità articolare con la possibilità di una recidiva di lussazione.
n La terapia consiste nella riduzione incruenta della lussazione, in una breve immobilizzazione dell´articolazione, cui farà seguito un intenso e specifico programma di riabil

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lesioni muscolari

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Si distinguono in:
contusioni;
ferite;
rotture;
ernie muscolari.
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e contusioni s

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ono la conseguenza di un trauma diretto e non sono accompagnate da lesioni della cute. Nelle contusioni circoscritte il danno è limitato alla lesione muscolare, senza conseguenze di ordine generale. Alla lesione muscolare si può accompagnare, nelle forme circoscritte più gravi, la presenza di un ematoma.
Nelle contusioni muscolari multiple il danno è esteso a più gruppi muscolari e la presenza di complicanze di ordine generale, legate all´immissione in circolo di sostanze tossiche provenienti dalle strutture muscolari necrotiche, costituisce pressoché la regola.
Clinicamente si hanno due fasi: inizialmente l´arto si presenta edematoso, cianotico e freddo, con lividi e flittene al livello della contusione, mentre dal punto di vista generale si associano sudorazione, polipnea, polso piccolo e frequente, ipotensione ed oliguria; dopo circa 48 ore l´oliguria tende ad evolvere in anuria con iperazotemia ed iperpotassiemia. Dopo una settimana circa il quadro clinico tende a migliorare ed il rene riprende la propria funzionalità.
n La terapia nelle lesioni circoscritte consiste nel riposo; nelle contusioni multiple consiste nella correzione delle eventuali complicanze di ordine generale. n

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Le ferite muscolari si distinguono in

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erite da punta, da taglio e ferite lacerocontuse. Sono la conseguenza di traumi diretti e si accompagnano a soluzioni di continuo della cute.
Le rotture muscolari sono lesioni muscolari tipiche dell´età adulta e del sesso maschile e si manifestano in seguito ad una violenta contrazione muscolare.
Possono essere patologiche o traumatiche: le prime si manifestano in un tessuto muscolare già strutturalmente indebolito ed alterato in conseguenza a sforzi anche di lieve entità; le rotture traumatiche accadono in muscoli strutturalmente normali in seguito ad eccessive sollecitazioni (sono colpiti soprattutto muscoli lunghi con tendine corto, come il bicipite brachiale o il retto femorale, nei punti di passaggio muscolo-tendinei). Clinicamente si hanno dolore ed impotenza funzionale.
n La terapia è generalmente chirurgica. n
Le ernie muscolari sono la conseguenza della fuoriuscita di un muscolo dalla loggia che naturalmente lo contiene attraverso una soluzione di continuo preesistente. Sono lesioni rare che possono interessare il bicipite brachiale, il vasto esterno e gli adduttori della coscia.