Propedeutica al latino universitario Flashcards
Qual è la lingua madre del latino?
I
L’indoeuropeo
Da quali lingue, oltre l’indoeuropeo, il latino ha subito delle influenze?
I
- Dalla lingua dei Siculi e il greco in misura maggiore (per il greco soprattutto influssi lessicali)
- Dall’osco e dall’etrusco in maniera minore. Dall’etrusco nello specifico il latino avrebbe ereditato l’alfabeto, a sua volta modificato a partire da quello calcadico di Cuma
Quali sono le fasi della lingua latina?
(7 fasi, nominare anche una breve caratteristica)
I
- latino preletterario (inizi/III sec. a.C.) → scarse iscrizioni, frammenti
- latino arcaico (240 a.C./I sec. a.C.) → Palliata e Catone
- latino classico (I sec. a.C.) → Cesare e Cicerone
- latino augusteo (principato di Augusto) → poeti augustei e Livio
- latino postclassico (14 d.C./180 d.C.) → lin. poetica e prosaica si avvicinano, lin. parlata e letteraria divergono
- latino cristiano (dal II sec. d.C.) → negli scrittori cristiani, lin. “sporcata” da volgarismi, grecismi, semitismi
- tardolatino (ultimi sec. dell’Impero)
Che caratteristiche ha la variazione sincronica del latino?
(Sia nello scritto che nel parlato)
I
Lingua scritta: il latino cambia molto a seconda di prosa o poesia, e poi a seconda dei vari generi di ognuna. La lingua letteraria si affianca poi a quella tecnica, che ovviamente varia seconda dell’ambito di riferimento
Lingua parlata: il latino non conosce la divisione in dialetti a causa del forte accentramento politico. Era comunque comune che popolazioni bilingui passate sotto il controllo romano contaminassero il latino con elementi della propria lingua.
Una vera e propria differenziazione diatopica arriverà con la caduta dell’impero e l’isolamento dei luoghi dove il latino era stato esportato
Cosa accadde al latino letterario dopo la caduta di Roma?
I
Il latino letterario venne adottato dalla Chiesa come lingua del clero e delle scritture, oltre che come lingua di comunicazione internazionale.
Nonostante la lingua letteraria fosse meno soggetta a variazioni, il latino medievale (quello usato dalla Chiesa) subì comunque influenze barbare rispetto a quello classico.
Cosa accadde al latino parlato dopo la caduta di Roma?
I
Il latino parlato si è gradualmente evoluto nelle lingue romanze, ognuna caratterizzata dagli elementi tipici delle parlate delle zone in cui era stato portato
Nel corso del tempo il latino era diventato molto caotico: chi e come fermò questo processo?
I
Carlo Magno, sovrano dai grandi interessi culturali, che commissionò a dotti italiani e irlandesi di normare il latino e ripristinarne principalmente le strutture lessicali e sintattiche.
Questa operazione venne condotta tramite soluzioni artificiali come il recupero e la modifica di materiale antico (il latino non aveva possibilità di rinnovamento, era necessario guardare al suo passato)
Che caratteristiche ha il latino umanistico? Da cosa viene messo in difficoltà?
I
Il latino medievale viene ripulito per essere portato dagli umanisti ad un latino simile a quello classico. Questo però portò all’irrigidimento e alla cristallizzazione della lingua, che si aliena dal mondo esterno.
A mettere in difficoltà il latino umanistico fu da una parte la caduta dell’ideale dell’Europa unitaria, dall’altra la fine dell’unità religiosa con la Riforma protestante.
Quali questioni legate alla pronuncia esistevano già in tempi antichi?
II
Già in tempi antichi esistevano diversi modi di pronunciare il latino:
* L’urbanitas, la pronuncia cittadina di Roma
* La rusticitas, la pronuncia delle campagne
* La peregrinitas, la pronuncia delle province
* Il barbare loqui, pronuncia comparsa alla fine del II. sec d.C. e che si opponeva al latine loqui
Quali sono attualmente le due possibili pronunce adottate?
II
Le pronunce attualmente valide sono:
- classica, quella verosimilmente usata nella prima metà del I sec a.C. dalle classi colte romane
- scolastica (o ecclesiastica), quella usata nel latino ecclesiastico già dal tardoantico
Come vengono pronunciati i dittonghi?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: i dittonghi sono pronunciati come tali; nel caso in cui l’accento cada sul dittongo, si legge accentata la prima vocale
S: i dittonghi vengono monottongati (ae ed oe si leggono [e]). Questo tipo di lettura verrebbe dalla pronuncia rustica, che tendeva anch’essa alla monottongazione, e che poi avrebbe portato alla scrittura di quei suoni non come digrammi ma come ē
Come viene pronunciata la Y?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: la y venne aggiunta all’alfabeto latino per rendere la ipsilon greca (prima trascritta come u), e di conseguenza si legge come questa, ovvero come la u francese ü
S: la ipsilon viene letta come i
Come viene pronunciata la U semivocalica?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: la u, scritta in maiuscolo come V, venica letta sempre come la vocale u, o al massimo con valore di semivocale; la fricativa labiodentale [v], presente in italiano, non viene conosciuta dal latino
S: la u e la v vengono pronunciati come suoni distinti, come in italiano
Come viene pronunciata l’aspirazione?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: l’aspirazione vocalica iniziale viene pronunciata, e si conserva soprattutto in area urbana; l’area rustica perse l’aspirazione iniziale col tempo; l’aspirazione vocalica interna non veniva pronunciata, mentre quella consonantica (legata alle consonanti importate dal greco) veniva conservata nella pronuncia colta ed eliminata in quella popolare
S: non pronuncia mai l’aspirazione
Come si pronuncia ti davanti a vocale?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: si pronuncia esattamente com’è scritto, senza assibilazione
S: ti si pronuncia come [ts]
Come vengono pronunciate le occlusive velari C e G davanti a i ed e?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: le due velari vengono di fatto pronunciate come occlusive, quindi come suoni duri
S: le due lettere vengono pronunciate come le affricate palatali [tʃ] e [dʒ]
Come viene pronunciato il gruppo GN?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: il gruppo gn viene pronunciato come se le due consonanti fossero separate
S: il gruppo gn viene pronunciato come in italiano, quindi [ɲ]
Come viene pronunciato il gruppo QUU?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: la pronuncia classica (nello specifico quella colta) pronunciava il gruppo come l’originaria consonante labiovelare indoeuropea, ma la seconda U veniva letta come O
S: il gruppo viene pronunciato come se QU fosse un C dura, e si conserva così nella lettura la seconda U (lettura CU)
Come viene pronunciata la s intervocalica?
Spiegare entrambe le pronunce
II
C: si pronuncia [s], quindi come sorda, in ogni caso; tutte le s sonore intervocaliche infatti si rotacizzarono entro il IV sec. a.C:
S: la s intervocalica viene pronunciata sonora, come in italiano, quindi [z]
Quali sono gli aspetti positivi e negativi di ogni pronuncia?
II
La pronuncia classica è sicuramente quella più vicina alla pronuncia che avevano i latini (almeno quelli colti), ma è comunque il semplice frutto di ipotesi e ricostruzioni
La pronuncia scolastica è prodotto della tradizione medievale ed ecclesiastica del latino (quindi è meno fedele a quella del latino classico), ma vanta una lunga tradizione e una sicurezza sul come debba essere pronunciato
Qual è la differenza fra accento intensivo e accento di altezza?
III
L’accento intensivo è dato dalla forza con cui si pronuncia la sillaba
L’accento di altezza (anche chiamato accento melodico) è dato dalla diversa frequenza delle vibrazioni delle corde vocali con cui la sillaba viene pronunciata, ed è chiamato anche tono
Che tipo di accento ha il latino?
III
Anche se non ha senso fare una distinzione rigida del tipo di accento delle lingue, il latino ha un accento melodico, quindi basato sul tono, così come il greco
Cos’è la quantità? Perché è importante in latino?
III
La quantità è la dimensione temporale in cui viene pronunciata la sillaba. In latino è importante perché è un tratto fonologicamente pertinente, ovvero ha valore distintivo.
Quali sono i due tipi di sillaba? Come può variare la loro lunghezza?
Le sillabe chiuse (terminanti per consonante) sono sempre lunghe, a prescindere dalla quantità della vocale che contengono
Le sillabe aperte (terminanti per vocale) sono chiuse quando la vocale che contengono è chiusa, e lunghe quando le vocale che contengono è lunga
Il dittongo si considera di quantità lunga
Come avviene la scomposizione in sillabe in latino?
III
- Due consonanti consecutive si dividono sempre, anche nel caso della s seguita da consonante, e nei casi di sc(i) e gn
- Le consonanti composte x (c+s) e z (d+s) vanno scomposte
- La muta cum liquida rappresenta un’eccezione, perché p, b, c, g, d, t seguite da l o r costituiscono normalmente un unico nesso da non dividere
- La h va sempre ignorata
- Qu e nasale+gu+vocale fanno sillaba con la vocale che segue. Nei casi in cui gu + vocale non siano preceduti da nasale il gruppo gu va trattato normalmente
- i/u più vocale non fanno dittongo ma si dividono in due sillabe
- i/u semivocaliche vanno trattate come consonanti (quindi quando si trovano in seconda posizione nel dittongo)
Quali sono le tre leggi dell’accento latine?
III
Legge del trisillabismo: l’accento nelle parole latine non risale mai oltre la terzultima
Legge della baritonesi: l’accento non cade mai sull’ultima sillaba
Legge della penultima: se la penultima sillaba è lunga l’accento cade lì, se la penultima è breve l’accento risale sulla terzultima
Quali sono i tre principali casi di eccezione alle leggi dell’accento?
III
- ossitonie secondarie: parole che originariamente rispettavano la legge della baritonesi (quindi non avevano l’accento sull’ultima) ma a causa di apocope o sincope hanno l’accento sull’ultima sillaba: illíc < illíce
- enclisi: le enclitiche (es. -que, -ve, -ne, -nam, -ce, -met) non seguono la legge della penultima, ma sono accentate sulla sillaba che le precede, al di là di quale sia la quantità di quest’ultima
- epectasi, che costituisce un’eccezione all’enclisi: riguarda parole con enclisi si sono trasformate in parole autonome e seguono le normali leggi dell’accento (es. ítaque, ùtĭnam)
Com’è l’accento nei composti di facio non apofonici?
III
I composti di facio non apofonici hanno la caratteristica di essere, più che dei composti, dei giustapposti fra il preverbio e facio, che conserva l’accento dove lo ha solitamente (es.calefàcio, benefàcio etc)
Cos’è l’accento “colonnare”?
III
L’accento colonnare è l’accento che si mantiene sulla stessa sillaba, nello specifico lungo le voci di uno stesso paradigma, e che porta spesso a commettere errori, visto che con l’aggiunta di determinate desinenze alla radice le quantità si spostano.
Come si comportano i suffissi presi dal greco?
relativamente all’accento
III
-
Cos’è l’apofonia? Quali suoni e quali loro caratteristiche coinvolge?
L’apofonia è un fenomeno che comporta il mutamento delle vocali all’interno della parola. I mutamenti apofonici possono riguardare la quantità vocalica, la lunghezza o entrambe
Quali sono i due tipi di apofonia?
IV
Apofonia indoeuropea: interessa le lingue figlie dell’indoeuropeo, ed è caratterizzata dal valore morfologico di ogni variazione.
Apofonia latina: interessa solamente le vocali brevi, facenti parte di sillabe un tempo a inizio e fine di parola, passate poi ad una posizione centrale. È esclusiva del latino e ha valore solo fonetico, non anche morfologico
Quali sono i gradi di variazione dell’apofonia indoeuropea?
IV
Si divide grado zero (assenza di vocale), grado medio (di timbro e, che può essere lunga o breve) e grado forte (di timbro o, che può essere lunga o breve)
Quali sono i mutamenti a cui dà origine l’apofonia latina?
IV
Se la sillaba è chiusa: la vocale risulta in ĕ, o in ŭ se la vocale di partenza era o
Se la sillaba è aperta: risulta in ĭ, più raramente in ŭ
Nei dittonghi: ai>ae, au>ō, ei>ī, eu>ū
In quali eccezionali casi l’apofonia latina non agisce?
IV
L’apofonia latina non agisce nei giustapposti, nei composti formatisi quando l’apofonia non era più operante, ricomposizione analogica (preservazione dell’etimologia), parole su cui interviene l’assimilazione, composti tardivi
Cos’è la sincope?
IV
La sincope è la caduta di una vocale estremamente indebolita dall’apofonia. La sincope tende a colpire le vocali brevi e le sillabe non accentate e adiacenti alla sillaba tonica, entrambe maggiormente vulnerabili ai mutamenti
Quale questione relativa all’accento preistorico viene sollevata dall’apofonia?
IV
Spesso la sillaba apofonica è quella che risulta accentata nel latino classico, nonostante si sia detto che la sillaba tonica sia la più protetta. Questo lascia intendere che l’accento anticamente non si trovasse in quella sede, e che quindi il latino seguisse diverse leggi dell’accento.
Osservando l’apofonia latina, cosa possiamo dedurre riguardo all’accento preistorico?
IV
Dal momento che l’apofonia tende a colpire la seconda sillaba della parola, è lecito pensare che in origine l’accento latino fosse fisso sulla prima sillaba della parola, a prescindere dalla lunghezza
Oltre all’apofonia, esistono altri fenomeni vocalici?
Fare esempi
IV
Sì, nello specifico esistono fenomeni che modificano le vocali presenti nelle desinenze, e che hanno valore morfologico.
Esempi sono:
-l’apocope della -e finale (es illice>illic)
-la sincope di -i- nella sillaba finale, che dà origine a ossitonie
-abbreviamento giambico, col passaggio di un bisillabo dalla struttura breve-lunga a quella breve-breve
- l’abbreviamento di una vocale lunga seguita nella stessa parola da un’altra vocale
- l’abbreviamento della vocale dell’ultima sillaba nei polisillabi che escono con consonante diversa da -s
Quali sono e cosa sono in latino le semivocali?
Spiegare anche u intervocalica e la i presa dai composti greci
IV
Le semivocali in latino sono la i e la u poste prima di una vocale sia ad inizio di parola che al suo interno. Sono chiamate consonantiche perché le vocali a cui sono associate si “appoggiano” alle semivocali quasi fossero consonanti.
Quando la u però si trova fra vocali dello stesso timbro, di cui la seconda è atona, tende a sparire e dà come risultato una vocale allungata
Quando la i nei dittonghi è ereditata da un grecismo, non ha valore semiconsonantico
Quali sono i principali fenomeni di consonantismo?
IV
Rotacismo: trasformazione di una consonante in /r/, specialmente la s intervocalica, talvolta esteso anche a posizioni non intervocaliche
-S cadùca: la s non viene considerata come consonante se si trova a chiudere una sillaba a fine di parola, nel senso che se presente alla fine della sillaba questa si considera aperta, quasi come la s non ci fosse. Questo ricalcherebbe la tendenza del parlato di elidere la s finale di una parola quando quella successiva inizia per consonante
-M cadùca: è la tendenza, simile a quella della -s, di scomparire alla fine di una parola
In quali casi il rotacismo non si verifica?
IV
- Parole di origine non indoeuropea, es. rosa
- Parole mutuate da altre lingue, es. basium (bacio)
- Parole in cui -ss- è diventata -s- dopo vocale lunga o dittongo, es. caussa > causa, quaesso > quaeso
- Parole in cui si ha la dissimilazione, es. Caesar, miser
- Grecismi, es. pausa da παῦσις
Quali sono i morfemi base per lo studio della morfologia latina?
V
- La radice è l’elemento minimo comune ad una famiglia di parole, esprime il significato semantico fondamentale. Gli elementi vocalici possono cambiare per apofonia, e allo stesso modo
- La desinenza è la parte finale e variabile di una parola. Esprime le marche fondamentali legate alla categoria sintattica della parola (es. nei sostantivi esprime caso, genere e numero, mentre nei verbi la diatesi, il modo, il tempo e la persona)
- Il suffisso è interposto fra radice e desinenza. Il suffisso che sfuma il significato dato dalla radice
- Il prefisso è un elemento che precede la radice, sempre per modificarne in qualche modo il significato
- Il tema è tutto ciò che resta della parola meno la desinenza,e può comprende quindi suffissi, prefissi etc.
Quali fenomeni che interessano la parola possono rendere difficilmente riconoscibili i morfemi che la compongono?
V
- L’apofonia, che modifica anche sensibilmente una parola
- l’assenza di un suffisso tematico, come avviene per l’imperativo presente dei verbi
Secondo quale criterio andrebbe divisa la flessione dei sostantivi?
V
La flessione nominale andrebbe divisa in base ai temi dei sostantivi:
- temi in -a-
- temi in -o-/-e-
- temi in -i-
- temi in consonante
- temi in -u-
- temi in -ē-
Ognuno corrisponde ad una delle canoniche declinazioni, tranne per i temi in -i- e in consonante, che sono riuniti nella III
Come si spiega il genitivo singolare in-as (e non in -ae) nei temi in -a-?
V
Il genitivo in -as è residuo del genitivo indoeuropeo che usciva allo stesso modo (e di cui per esempi rimane traccia in greco).
Tutti i sostantivi in -a- hanno poi preso il genitivo -ae, tranne quelle forme arcaiche più vicine all’indoeuropeo, che si sono magari conservate all’interno di formule fisse o nei patronimici di origine greca (es. pater familias)
Come si spiega il genitivo plurale in -um (e non -orum) dei sostantivi in -o-/-e-?
V
La forma in -um del genitivo plurale (derivata a sua volta da quella -om) è più antica di quella in -orum/-arum. Di fatto il greco, anche in questo caso più vicino all’indoeuropeo, ha il genitivo plurale in -ων.
Anche qui, la forma sopravvive negli arcaismi in poesia e nelle formule fisse
Quali particolarità riguardano il vocativo di deus?
Spiegare sia le forme attestate che le teorie sulla sua rara comparsa
V
Le forme attestate del vocativo di deus sono dive in Orazio, dee in solo due casi letterari, o deus nel latino cristiano, che lo ricalca dall’ebraico.
Una teoria diffusa riguardo ad una tale scarsità del vocativo singolare di deus è che i romani, essendo politeisti, non necessitavano del vocativo singolare per rivolgersi agli dei.
Una seconda teoria trova la spiegazione nel greco e nei fenomeni fonetici: anche qui mancano i vocativi di parole con costruzioni simili a deus/θεός; in latino avrebbero dato luogo a fenomeni vocalici che avrebbero portato alla coincidenza di più forme (es. dē)
Cosa sono i plurali eterogenei? Che funzioni hanno?
V
I plurali eterogenei sono quelle doppie forme di plurale associate ad una parola (es. loci/loca).
Capita che una abbia un valore singolativo (quindi indica delle entità in particolare), e l’altra un valore collettivo (indica un insieme indistinto).
In buona parte dei casi comunque i due plurali sono interscambiabili.
Che particolarità ha il sostantivo vis?
V
Vis è un sostantivo difettivo, che non presenta il genitivo singolare. In alcuni casi come forma al genitivo viene usato lo stesso vis; lo stesso vale per il dativo, che compare in un caso come vi.
Nel caso dell’insegnamento italiano del latino le due forme sono state sostituite da roboris e robori, anche se in maniera errata dal punto di vista semantico.
Che particolarità presenta sūs?
V
Questo sostantivo presenta due forme per l’ablativo/dativo plurale, ovvero subus e suibus. La prima è etimologica e rimarca una certa regolarità con la forma al nominativo singolare, la seconda è analogica agli altri sostantivi della terza declinazione
Che particolarità ha bos?
V
La parola ha in realtà un originario tema in -ou-, come il greco βους, tema che si manifesta lungo la declinazione. Il genitivo plurale fa boum da *bowom. Il dativo/ablativo plurale fa invece bubus (risultato di bou+bus) o bobus (forse per analogia con bos).
Quali sono le due grandi categorie in cui si possono dividere i verbi latini?
A livello mofologico
V
Possono essere divisi fra tematici, ovvero con una vocale tematica a collegare verbo e desinenza, e atematici, dove la desinenza si unisce direttamente alla radice, dando talvolta origine a mutamenti consonantici
Che caratteristiche morfologiche e semantiche hanno i verbi frequentativi?
V
Morfologia: verbi in -ā- formati:
- dal participio perf./supino
- col suffisso -ito (sopratt. verbi della I con. o per frequentativi di II grado)
Semantica: hanno valore durativo (azioni in corso di svolgimento) e possono essere iterativi, conativi, intensivi, di consuetudine o attenuanti
Talvolta, se manca questa opposizione di significato col verbo originale il valore durativo tende a sbiadire.
Questi verbi, particolarmente regolari ed espressivi, sono molto usati nella lingua d’uso.
Che caratteristiche morfologiche e semantiche hanno i verbi incoativi?
V
Morfologia: verbi in -ĕ- formati:
- col suffisso incoativo -sco unito ad una radice verbale o nominale
- senza suffisso nel sistema del perfectum
Semantica: hanno valore progressivo, relativo ad azioni dallo svolgimento graduale (es. fiorire o arrossire).
Talvolta a questi verbi vengono aggiunti dei preverbi che sfumano ulteriormente il significato, facendolo diventare ingressivo, che indica il momento del processo graduale in cui avviene il cambio di stato.
Anche qui, se manca l’opposizione fra il verbo ingressivo e quello base, il significato ingressivo si perde.
Che caratteristiche morfologiche e semantiche hanno i verbi desiderativi?
V
Morfologia: si formano:
- con il suffisso -(s)sere
- con il suffisso -urire
Semantica: hanno valore desiderativo, anche se per i verbi col primo suffisso questo valore non è così forte; per quelli col secondo l’opposizione è maggiore
Che caratteristiche morfologiche e semantiche hanno i verbi causativi?
V
Morfologia: verbi in -ē- con vocalismo radicale in o (es. noceo da neco)
Semantica: hanno valore fattivo, cioè “fanno fare” qualcosa. È tuttavia piuttosto improduttiva
Il latino, per rendere dunque la sfumatura del “far fare” usa costruzioni come:
- composti di facio
- verbi di significato vario
- perifrasi (es. iubeo+inf., facio ut etc)
Quali due valori semantici unisce in sè il perfectum latino?
V
Il perfectum latino contiene in sè sia il valore dell’aoristo (valore di azione momentanea) che del perfetto vero e propro (azione compiuta), in più nel corso del tempo al valore aspettuale si aggiunse quello temporale.
L’indoeuropeo e il greco tenevano invece separati il perfetto e l’aoristo.
Quali sono le modalità di formazione del perfetto latino?
è sufficiente nominarle e basta
V
Perfetto in -ui, sigmatico, apofonico, con raddoppiamento, non caratterizzato
Spiegare la formazione del perfetto in -ui, del perfetto apofonico e di quello non caratterizzato
V
Perfetto in -ui è una formazione molto adottata, soprattutto per quanto riguarda i verbi regolari. Questi danno origine a forme sincopate, che per altro si avvicinano alle forme attualmente usate in italiano. Nei temi in vocale lunga la u ha forma semiconsonantica, in quelli con vocale breve per apofonia questa si assimila alla u.
Perfetto apofonico: questo tipo di perfetto si forma per apofonia indoeuropea (che ha infatti valore morfologico), e può essere quantitativa o qualitativa; può coinvolgere anche verbi che hanno nel presente un infisso nasale, il quale si perde nel perfetto
Perfetto non caratterizzato: i verbi presentano il tema del perfectum come quello dell’infectum
Spiegare la formazione del perfetto sigmatico e di quello a raddoppiamento
V
Il perfetto sigmatico: è formato con l’aggiunta della esse ai temi in consonante, nei quali per altro dà luogo a diversi esiti
Il perfetto a raddoppiamento: è quello più vicino all’indoeuropeo, ma non così diffuso in latino. Il tema con raddoppiamento si forma aggiungendo prima del tema una sillaba formata dalla vocale iniziale della radice + la vocale e.
Cosa sono e quali sono i verbi anomali?
è sufficiente nominarli
V
Sono verbi atematici, in genere con forme atematiche solo nell’indicativo presente (II e III sing. e II plur.), all’imperativo presente e futuro, all’infinito presente e al congiuntivo imperfetto.
Sono sum, possum, volo, nolo, malo, edo, fero, eo, nequeo e queo
Che caratteristiche hanno i verbi sum e possum?
V
Sum è anomalo per:
- la I pers. sing. in -m, residuo della desinenza corrispondente per i verbi atematici in indoeuropeo
- l’alternanza fra il grado medio e zero nella radice (es-/s-)
- il suppletivismo del perfectum, per cui la radice fu- è derivata dall’indoeuropeo
Possum:
- ha la radice proveniente da una radice indoeuropea presente anche in greco
- il tema del perfectum è da un antico poteo, utilizzato anche in alcune forme dell’infectum per rendere il verbo più regolare
Che caratteristiche hanno volo, nolo e malo?
V
VOLO:
- ha alternanza vocalica radicale vel-/vol-
- il timbro della vocale radicale è ĕ se la L è seguita da L o da i (palatale) e ŏ se la l è seguita dalle altre vocali (velare); nel caso in cui L sia seguita da consonante emerge il timbro ŭ
NOLO e MALO:
Sono formati da ne+volo e da magis+volo, ma non è chiara la formazione delle verie forme, probabilmente si formano per analogia con le prime singolari del presente nolo e malo
Che caratteristiche ha fero?
V
Fero:
- è atematico
- forma il perfectum per suppletivismo con tul-, originario perfetto di tollo, e con lat-, altra radice di tollo con diversa gradazione vocalica
Nel tempo, soprattutto nelle lingue romanze, è stato sostituito dal verbo porto, meno generico e decisamente più regolare
Che caratteristiche hanno eo, nequeo e queo?
Eo presenta apofonia radicale indoeuropea sempre timbro e/zero, a cui si è aggiunta l’alternanza latina e-/ī
Degli altri due è discussa l’origine: forse nequeo sarebbe derivato dall’espressione nequit; queo sarebbe stato frutto della rianalisi di nequeo in ne+queo (invinece che neque eo)
edo
Cos’è il locativo?
VI
Il locativo, insieme allo strumentale, è un antico caso indoeuropeo. Esprimeva una collocazione nel tempo o nello spazio, ma la sua funzione è stata poi acquisita dall’ablativo.
La desinenza del locaitivo era la -i nei temi in o/e e nei temi in consonante, mentre si era mutata in -e nei temi in a.
Probabilmente nei temi o/e e la desinenza originaria era -ei. Le forme che ancora appaiono nel latino sono residuali.
Quali sono i pronomi indefiniti in latino?
Specificare anche il loro significato (sono 5)
VI
Quidam: individua ma non specifica (es. individua una persona senza specificare chi sia)
Aliquis: afferma l’esistenza di una cosa o di una persona non individuabile
Quispiam: è l’indefinito della probabilità; il fatto che quidam e aliquis ne coprano in parte il significato lo ha ridotto alle formule fisse
Quis: è l’indefinito della possibilità, quindi compare assieme a particelle o contesti che esprimono questa sfumatura (es. si o il congiuntivo potenziale)
Quisquam: pone in discussione l’esistenza di qualcuno o di qualcosa
Quale costruzione veniva prevalentemente usata per rendere l’aspetto causativo?
VI
Di fronte all’improduttività dei verbi causativi il latino ha reso il significato di “far fare verbo” come facio + infinito, attestato sia in poesia che nella lingua dell’uso; la prosa letteraria classica invece usava il costrutto facio ut
Cosa sono aspetto e tempo di un verbo?
VI
Il tempo di un verbo, categoria molto attiva in italiano, è la collocazione nel tempo dell’azione espressa dal verbo
L’aspetto del verbo è invece il tipo di processo verbale in rapporto alla durata dell’azione
Quali sono le due opposizioni fondamentali per l’aspetto verbale?
è sufficiente nominarle e basta
IV
Le opposizioni principali sono compiuto/incompiuto e durativo/momentaneo
Spiegare l’opposizione fra compiuto e incompiuto
VI
L’opposizione, presente in latino come sistema dell’infectum e del perfectum.
Le forme verbali compiute esprimono un’azione giunta a compimento, le forme verbali incompiute sono invece quelle che indicano un’azione in corso di svolgimento.
Se l’infectum latino corrisponde effettivamente all’incompiuto, il perfectum ha perso il valore aspettuale per acquisirne due temporali: quello assoluto di passato e quello relativo di anteriorità, soprattuto nelle subordinate.
Quale forma perifrastica ha col tempo sostituito il valore aspettuale perso dal perfetto?
VI
La forma habeo + participio perfetto
Spiegare l’opposizione fra durativo e momentaneo
VI
L’aspetto durativo è quello che considera il verbo nel suo durare indefinito (es. sto camminando)
L’aspetto momentaneo invece descrive un processo puntuale, condensato in un solo momento. L’aspetto momentaneo può avere diverse sfumature: può essere ingressivo se descrive il momento iniziale di un processo, o egressivo se ne definisce il momento finale.
L’aspetto momentaneo viene reso tramite preverbi, soprattutto con-
Cosa si intende con aspetto complessivo?
L’aspetto complessivo è l’espressione usata per definire il corrispettivo nel perfectum dell’aspetto durativo (che che sarebbe più corretto usare per definire un verbo nell’infectum),
Cos’è la paratassi?
VI
La paratassi è la giustapposizione fra due proposizioni senza che il rapporto sintattico fra queste sia esplicitato da elementi di collegamento (es. congiunzioni).
La paratassi non va confusa con la coordinazione: la paratassi infatti include sia alcuni tipi di coordinazione che la subordinazione implicita.
Inoltre la coordinazione comprende di suo anche l’uso delle congiunzioni che, come già detto, non rientra nelle paratassi, la quale comprende solo rapporti sintattici non esplicitati da alcunchè.
Perché è errato dire che una determinata congiunzione o preposizione “regge” un modo o un caso?
VI
È errato perché le preposizioni e le congiunzioni non vengono prima dei modi del verbo e del caso dei sostantivi, ma è il contrario: un caso o un modo esprimono il rapporto sintattico autonomamente rispetto alle preposizioni e alle congiunzioni, che sono state aggiunte alla lingua nel corso del tempo per specificare meglio questo rapporto (che era però già presente).
Descrivere le congiunzioni quod e quia
VI
Entrambe le congiunzioni hanno valore causale.
Quod è il neutro del pronome relativo, e forse era originariamente un accusativo di relazione, tradotto più o meno come ciò per cui; nel latino volgare e poi cristiano avrebbe soppiantato altre coniugazioni e anche la costruzione accusativo+infinito
Quia è anch’esso il pronome relativo/indefinito/interrogativo al neutro plurale con tema in -i-. Come valore di partenza aveva quello interrogativo “perché?”, ed è per questo che ha largo uso nella causali ma uso minore nelle dichiarative.
Descrivere le congiunzioni cum e quoniam
VI
Cum era in origine un pronome relativo (forma originaria quom). Dal valore temporale si è sviluppato quello causale e quello concessivo-avversativo quando sovraordinata e subordinata indicano azioni antitetiche.
Nel corso dello sviluppo della lingua il cum causale e concessivo hanno preso il congiuntivo per differenziarsi dal cum con valore temporale.
Quoniam, dato dall’unione quom+iam, prende il valore causale di cum, anche se nel latino arcaico ancora aveva valore anche temporale
Descrivere le congiunzioni quin e quominus
VI
Quin era di origine interrogativa, essendo composto da qui+ne, con apocope della -e finale. Si traduce come perché non…?.
Questo sarebbe forse riconducibile ad uno stadio paratattico con il congiuntivo dubitativo.
Quominus è dato dall’unione quo (per cui)+ minus (non), e di fatto si traduce come per cui non. Nel latino classico tende a prevale su quin.
Descrivere la congiunzione ut
VI
Ut sarebbe un originario avverbio di modo proveniente dalla radice indoeuropea k^wuta, con perdita della labiovelare e della -a finale, facendo parte per altro della famiglia di quis e qui. Come quis e qui ha dunque valore interrogativo, relativo e indefinito.
Dal valore interrogativo: rimane in alcune espressioni formulari
Dal valore relativo: derivano il dichiarativo-causale, il comparativo e il temporale, usati con l’indicativo perché indicano constatazione
Dal valore indefinito: rimane anche qui in espressioni formulari; proprio l’ut usato con questo valore sarebbe poi passato dalla fase paratattica a quella ipotattica delle finali e delle volitive; anche l’ut concessivo si riconduce a questo valore.
Descrivere la congiunzione nē
VI
Nē è una forma rafforzata della particella negativa nĕ-, nello specifico assegnata alla negazione volitiva con congiuntivo e l’imperativo, mentre non viene usato per la negazione oggettiva.
Il fatto che i verba timendi si costruiscano con il verbum timendi+ne ma la frase si traduca comunque affermativamente è spiegata dalla matrice paratattica della congiunzione, che costruiva originariamente le frasi come temo: non succeda questo!, come conferma anche l’uso del congiuntivo volitivo. Passando all’ipotassi di fatto lo si traduce come che, e quindi come fosse ut.
Descrivere le congiunzioni dum e donec
VI
Dum è una particella temporale traducibile come mentre, di cui però l’origine non è chiara: non si attestano usi di dum come avverbio, tuttavia si può ricostruire un suo uso paratattico con valore di intanto
es. dal libro: Taci mentre leggo la lettera originariamente Taci: intanto leggo la lettera
Donec “finchè” verrebbe da doneque, e forse sarebbe connesso con denique (“alla fine”). Si ipotizza così che avesse valore avverbiale di “alla fine”
Descrivere l’avverbio simul/simulatque
VI
Simul(atque) è traducibile come nello stesso tempo, contemporaneamente. Simul è l’antica forma neutra di similis, mentre la forma simulatque sarebbe la giustapposizione di simul e atque, formula originariamente usata per coordinare due proposizioni.
Il valore paratattico di simul è quindi chiaro: date due proposizioni collegate da una virgola, una di queste conteneva simul, e si costruiva con una forma tipo “contemporaneamente succedrà questo, accadrà quest’altro”
Descrivere l’avverbio modo
VI
Modo non è altro che l’ablativo di modus, col significato di limitatamente, soltanto, da cui viene poi il valore di purché.
Descrivere la congiunzione licet
VI
Licet deriva dalla forma verbale corrispondente che sta per “è lecito”, e prende il valore di congiunzione concessiva “pure”.
Descrivere le particelle si, ni, nisi e quasi
VI
Sī deriva dall’antico sei “così”, che aveva una funzione paratattica; da questa avrebbe poi sviluppato il valore ipotetico e ipotattico. Il latino comunque riporta ampia attestazione del periodo ipotetico costruito senza il si
Nī viene da ne-i, quindi dalla negazione ne e dalla particella epidittica (ovvero dimostrativa). Si tratta dunque di una negazione rafforzata, che sviluppa poi un valore ipotetico nelle protasi negative, inizialmente paratattiche e poi ipotattiche.
Nisi viene da ne-sei e ha valore di negazione per l’intera ipotesi, a differenza di si non, che può negare solo un elemento
Quasi viene da quam-si, e si traduce come “come se”, da non confondere col quasi italiano, che ha altro valore.