LEZIONI Flashcards

1
Q

Etimologia di pedagogia

A

Il termine pedagogia (paidagoghìa) trae origine dal greco e significa “educazione del bambino” (paidòs = bambino, figlio; aghein = condurre, guidare)
Quest’etimologia racchiude due concetti:
1. Andare verso l’altro (estratto dal concetto di “condurre”, “guidare”)
2. Accompagnare l’altro, nel senso di aver cura dell’altro e aver cura della relazione

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
2
Q

Come avviene il passaggio da pedagogia come ancilla (serva) della filosofia–> a pedagogia come scienza

A

-La pedagogia nasce come Filosofia – “ancilla philosophiae”, e resterà legata alla filosofia per circa due millenni.
-Dal 700 al 900 avverrà il processo di emancipazione della pedagogia dalla filosofia, durante questo processo, la pedagogia si fa scienza (scienza non intesa come lavoro di laboratorio, ma intesa come fondare il proprio agire su metodi e strumenti certi e replicabili)
-Poi diventerà scienza di scienze e quindi scienza che riflette su dati attraverso il contributo di molte altre scienze (quindi la pedagogia è scienza che si interroga sul fatto educativo attraverso il contributo di altre scienze, è quindi in continuo dialogo con le altre scienze. È in continuo sviluppo)
-Della filosofia resta l’aspetto critico, regolativo e riflessivo.

Verso la fine della seconda metà del Novecento oltre al termine pedagogia appare quello di scienze dell’educazione, in quanto propone una riflessione sistematica e globale sul fenomeno educativo, quindi sul suo soggetto (persona), sui fini, metodi e i mezzi del suo oggetto (educazione).

-Il metodo di indagine della pedagogia non è più solo riflessione teorica;
-Non riguarda solo l’educazione del fanciullo ma tutte le età e tutti i soggetti che si trovano in situazioni di disagio e/o difficoltà
-Pedagogia diventa un “ponte” fra l’attività educativa e le altre discipline

Da un sapere unitario e chiuso si è passato ad un sapere plurale e aperto; dal primato della filosofia si è passati a quello delle scienze.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
3
Q

L’alfabeto teorico della pedagogia: parla dell’oggetto della pedagogia

A

L’oggetto della pedagogia = sono i soggetti, i tempi e i luoghi della formazione.
o i soggetti della formazione, uomini e donne nelle diverse età della vita, in tutti in contesti con le loro differenze: di genere, individuali, biologiche e psicologiche, sociali, etniche, linguistiche e culturali
Se le differenze di razza, di genere e di cultura vanno salvaguardate ed esaltate, le differenze legate alle ingiustizie vanno denunciate e respinte. Per questo è necessario mettere in atto il “decentramento cognitivo”: promozione di un pensiero sensibile ai bisogni e alle ragioni diverse dalle proprie.
o i tempi della formazione
La ricerca neurologica ha dimostrato che il sistema cerebrale è sempre assetato di apprendimento. Ne consegue:
1. La messa in crisi della concezione adultocentrica che vedeva l’età adulta come l’apice della maturità e della completezza umana.
2. Istruzione, educazione e formazione si cementano come principali risorse volte al mantenimento dell’efficienza cognitiva ed emotiva in ogni fase dell’età umana (infanzia, giovinezza, età adulta e vecchiaia).
o i luoghi della formazione
-Sistema formativo integrato: teorizzato nel 1974 da Franco Frabboni, è un modello utopico (non nel senso di irraggiungibile, ma come rappresentazione di meta ideale) di integrazione e collaborazione tra tutti gli spazi educativi (non solo la scuola, ma anche la famiglia, e le istituzioni culturali e del tempo libero, definibili come aule didattiche decentrate) presenti in un determinato territorio, allo scopo di attuare una proposta formativa unica, basata sulla specificità che ogni istituzione ha da offrire. Questo modello mette al centro la persona, il soggetto, sulla quale verrà costruito un progetto formativo comune.
-Un ulteriore “luogo della formazione” è costituito dal sistema dei media (cinema, tv, radio, telefono e computer). Veicolano schemi comportamentali, diffondono informazione, mettono in relazione realtà tradizionalmente distanti. Comportano rischi legati alla pervasività e frammentarietà delle sue procedure comunicative e all’omologazione alla quale sospinge.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
4
Q

L’alfabeto teorico della pedagogia: parla del linguaggio della pedagogia

A

Il linguaggio della pedagogia = la pedagogia ha un ampio repertorio comunicativo, che dimostra la difficoltà di un discorso pedagogico univoco e lineare. I vari tipi di linguaggio pedagogico sono:
o Linguaggio analitico-descrittivo: Esplicativo. Linguaggio scientifico volto a fornire chiarificazioni sulla specificità del soggetto della formazione, sulla struttura biologica, sugli stadi del suo sviluppo, sui condizionamenti di natura sociale e culturale.
o Linguaggio narrativo: Interpretativo ed esplicativo. Attento alla ricostruzione dei processi di apprendimento dei soggetti in formazione, alle loro differenti realtà di vita, alle «storie» della personale costruzione cognitiva e affettiva.
o Linguaggio retorico-persuasivo: Argomentativo, critico e dialettico. Riferito a problemi relativi a fini o valori.
o Linguaggio della quotidianità e del senso comune: Comprende formule diversificate e talvolta contraddittorie. Ciò dimostra come il «parlare di educazione» sia una «pratica» che coinvolge tutti i soggetti della realtà comunitaria.
o Linguaggio dell’analogia e della metafora: Si caratterizza per la totale libertà nella scelta di parole utilizzate in forma inedita e originale. Consente all’immaginazione di proporre soluzioni originali e creative (Es. concetto della coltivazione e della cura, espressa con la metafora del giardino e del giardiniere di Froebel).

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
5
Q

L’alfabeto teorico della pedagogia: parla della logica ermeneutica della pedagogia

A
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
6
Q

L’alfabeto teorico della pedagogia: parla del dispositivo investigativo della pedagogia

A

Il dispositivo investigativo = ovvero i metodi di ricerca. Data la complessità dell’oggetto della pedagogia si usano più metodologie.
o Ricerca storica: si occupa
- di autori, teorie e paradigmi che la pedagogia, attraverso i suoi esponenti più interessanti, ha assunto con il passare del tempo;
- della storia delle istituzioni (specie quelle scolastiche) e delle metodologie di insegnamento-apprendimento di altre istituzioni formative (famiglia, extrascolastico)
- una pluralità di soggetti: i bambini, le donne, gli anziani, i disabili, i «diversi».
o Ricerca teorica: analizza la strutturazione e le norme della pedagogia.
Parte dal riconoscimento della «scientificità difficile» della pedagogia, dovuta a:
- lo storico legame di dipendenza con la filosofia, dalla quale si è faticosamente affrancata;
- il problematico rapporto con le altre scienze (psicologia, sociologia, biologia ecc.). Un rapporto indispensabile per l’intreccio tra le varie discipline, ma «rischioso» rispetto alla ricerca di una chiara autonomia epistemologica della pedagogia;
- la complessità di un approccio interpretativo fortemente condizionato dalla prassi
o Ricerca sperimentale: si occupa dell’osservazione e verifica dei fatti educativi (l’ideazione e la messa a punto di prove oggettive di misurazione e valutazione degli apprendimenti, la sperimentazione di metodologie di insegnamento individuale e di gruppo, l’osservazione sistematica del peso esercitato da condizionamenti sociali e culturali);
o Ricerca comparata: pone a confronto diversi modelli di organizzazione pedagogica, al fine di sollecitare revisioni, favorire armonizzazioni, stimolare arricchimenti e riformulazioni;
o Ricerca clinica: allarga l’analisi ai vissuti emotivo-affettivi, ai processi della socializzazione che condizionano profondamente le dinamiche dell’apprendimento.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
7
Q

L’alfabeto teorico della pedagogia: parla del principio euristico della pedagogia

A

Il principio euristico = l’euristica si occupa di favorire la ricerca di nuovi sviluppi teorici tramite soluzioni inedite, impreviste e creative. Nel caso della pedagogia, il suo principio euristico si articola nell’apertura all’utopia, intesa come direzione e non come meta.
Nella sua doppia istanza critico-progettuale, l’utopia:
-a livello critico: affronta e interpreta la problematicità della realtà educativa;
-a livello trasformativo-progettuale: si pone verso la realizzazione integrale del pensiero e della personalità, alla ricerca di valori nuovi e differenti. L’utopia agisce in direzione di un cambiamento che richiede un rinnovato modo di «vivere» e «pensare» la natura, un diverso modo di «imparare ad abitare» la terra, superando distruttive logiche di sopraffazione e di sfruttamento, a favore di una logica di cooperazione, in un’etica planetaria.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
8
Q

L’alfabeto teorico della pedagogia: parla del paradigma di legittimizzazione della pedagogia

A

Il paradigma di legittimazione = Ovvero il traguardo ultimo del viaggio epistemologico della pedagogia, la definizione dell’identità della pedagogia quale scienza della formazione.
In questo ultimo paradigma, trovano collocazione i cinque paradigmi precedenti, che contraddistinguono il sapere pedagogico come:
o Sapere complesso: caratterizza l’«oggetto» della pedagogia
La formazione pluridirezionale e multidimensionale dell’uomo e della donna all’interno delle dinamiche biologiche, culturale, storiche e sociali.
o Sapere plurale: caratterizza il «linguaggio» e il «metodo» della pedagogia
Consente alla pedagogia di muoversi trasversalmente tra più codici e più ambiti di ricerca:
a) dai linguaggi della scienza e della filosofia a quelli della quotidianità e del senso comune;
b) dagli ambiti della ricerca teorica a quelli della ricerca storica, dalla ricerca sperimentale alla ricerca comparata, alla ricerca clinica.
o Sapere dialettico-contestativo: caratterizza la «logica ermeneutica» della pedagogia.
La pedagogia vive in un permanente (ma salutare) stato di crisi, mobilità e provvisorietà. Ciò è dovuto alla distanza che separa il piano della progettualità (del futuro e dell’utopia), cioè del suo dover-essere, e il piano dell’azione (della contraddittorietà e della problematicità dell’esperienza), cioè del suo concreto essere nella storia. E da questa situazione di continua tensione che la pedagogia trae costante slancio verso la ridefinizione dei suoi presupposti, del suo sistema di ipotesi, del complessivo supporto logico-linguistico e prassico.
o Sapere generativo-trasformativo: caratterizza il «principio euristico» della pedagogia.
La dimensione utopica svolge una funzione decostruttivo-ricostruttiva, radicalmente critica rispetto alle condizioni dell’esistente e creativamente proiettata al futuro, Sua idea regolativa è l’emancipazione, intesa come liberazione dai molteplici vincoli della dipendenza (sociale, culturale, intellettuale, affettiva) e come conquista individuale e collettiva di una completa autonomia esistenziale, intellettuale e affettiva

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
9
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla del trinomio educazione-istruzione-formazione

A

Trinomio di: Educazione-istruzione-formazione
o L’educazione (dal latino: allevare, nutrire; trarre fuori) è la parola madre su cui il sapere-agire pedagogico si struttura e si ramifica. Essa fa riferimento soprattutto all’ambito di riflessione valoriale, affettivo-relazionale, etico-sociale, realizzandosi prevalentemente nelle istituzioni non formali quali famiglia, chiese, libere associazioni, oltre che nella scuola.
o L’istruzione, invece, fa riferimento all’ambito del cognitivo e ai processi dell’acquisizione di conoscenze, saperi e competenze. Essa si esplica e realizza prevalentemente nelle istituzioni formali e principalmente nella scuola.
o La formazione è intesa come processo dinamico dell’«acquisir forma» in cui si realizza l’integrazione critico-costruttiva del nesso (intricato e dialettico) educazione-istruzione.
L’intreccio di questo trinomio è stato costantemente al centro della riflessione pedagogica che ha progressivamente argomentato il prevalere di una dimensione sulle altre. Tuttavia, non solo ognuna di queste dimensioni integra le altre, ma insieme esse portano alla comprensione dei processi della trasmissione di conoscenze, competenze, e dei valori elaborati dall’umanità nel corso della storia.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
10
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla dello sviluppo

A

Sviluppo
Diversamente da come aveva teorizzato Piaget, oggi riteniamo lo sviluppo:
o Come irregolare: non procede solo per accumulazione, ma per progressioni e regressioni.
o Come un processo in divenire per l’intero corso della vita: abbiamo abbandonato l’idea di arco di vita, in favore del percorso di vita (vedi lezione 3);
o Come legato imprescindibilmente all’apprendimento.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
11
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla dell’interesse

A

Interesse
È sostenuto dalla motivazione, ed è fondamentale per favorire l’apprendimento e la formazione. Di qui, l’importanza di creare curricoli scolastici in grado di sollecitare e sostenere l’interesse:
o per la conoscenza, quale condizione per un pensiero curioso, critico, e creativo;
o per gli altri, per imparare a scoprire e a riconoscere pensieri e sentimenti altrui, per scoprire il confronto; per attivare occasioni di dialogo e di cooperazione;
o per l’ambiente, per l’attivazione di una matura coscienza ecologica finalizzata alla salvaguardia di tutte le forme di vita e dell’intero habitat naturale.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
12
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla del gioco

A

Gioco
Ha nell’infanzia la sua più libera espressione, ma rimane una risorsa a cui continuiamo ad attingere per l’intero corso della vita. Implica l’intreccio di due dimensioni formative:
o La dimensione cognitiva= il gioco elicita varie funzioni cognitive:
- funzione esplorativa attraverso la manipolazione degli oggetti, e attraverso l’osservazione degli avvenimenti che compongono la sua esperienza;
- funzione costruttiva soddisfa il bisogno di autonomia ed elicita competenza di pensiero e di azione, esercitando le potenzialità cognitive a contatto con la realtà;
- funzione comunicativa attraverso linguaggi verbali e non verbali, aprendosi a nuovi orizzonti di relazione con i coetanei e con gli adulti;
- funzioni creativa e inventiva consente di scomporre la realtà e riprogettarla.
o La dimensione emotivo-affettiva= fa riferimento alla funzione simbolica del gioco.
-Attraverso il gioco simbolico il bambino si mette nei panni di un altro, prendendo consapevolezza che esistono modi di essere diversi dal proprio. Sperimenta decentramento affettivo, relazionale e conoscitivo.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
13
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla della diversità

A

Diversità
La diversità attraversa l’individuo a livello:
o biologico: dal genoma, che a sua volta influenza le interconnessioni neuronali;
o psicologico: ognuno si caratterizza per una specifica identità cognitiva e affettiva;
o etnico-linguistico-culturale: necessario sollecitare il rispetto e il valore delle differenze;
o di deficit (a volte): che possono portare a pesanti condizioni di handicap, ma che dimostrano la possibilità che l’uomo ha di esprimersi attraverso molteplici vie ugualmente ricche.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
14
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla dell’autonomia

A

Autonomia
o L’autonomia, intesa come esercizio costante di autogoverno e di responsabilità del soggetto, fra gli obiettivi fondamentali, e la meta del processo educativo formativo.
o Nascendo in condizioni di totale dipendenza dagli altri, l’uomo deve percorrere un lungo cammino di progressiva autonomizzazione dagli adulti significativi della propria vita, a cominciare dalla madre.
o Solo sperimentando gradualmente il distacco, da persone e situazioni protettive, è possibile costruire quella sicurezza indispensabile per affrontare una vita adulta autonoma.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
15
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla della creatività

A

Creatività
-È la capacità di trasformare e ricostruire la realtà attraverso il pensiero laterale-divergente (cerca risposte alternative ed originali per risolvere un problema).
-Lo sviluppo del pensiero creativo impegna la pedagogia su due piani diversi ma inseparabili:
1. piano della formazione intellettuale, si impara ad osservare, riflettere e comunicare;
2. piano della formazione estetica, che riguarda il lato di sensibilità artistica della creatività.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
16
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla della corporeità

A

Corporeità
Storicamente si è sempre assistito ad una separazione tra il corpo e la mente, come se l’apprendimento e la conoscenza passassero solo per la mente. Ma oggi sappiamo che la corporeità (il movimento, le percezioni, i sensi) è il mezzo attraverso cui si realizza l’apprendimento.
(Maria Montessori: “l’uomo prende possesso dell’ambiente con la sua mano”)
o Prima del Novecento, pedagogia del corpo declinata sulla disciplina rigorosa delle posture, delle pulsioni, dello sguardo e dell’abbigliamento.
o Dal Novecento, le teorie sulla corporeità iniziano a liberarsi da vincoli moralistici e sessuofobici e si incamminano verso frontiere pedagogiche che accolgono la dimensione fisica del bambino come irrinunciabile strumento di conoscenza e di relazione.
L’educazione della corporeità si connota come l’insegnamento all’uso intenzionale, creativo e della corretta gestione del corpo, attraverso: la conoscenza anatomico-fisiologica del corpo umano, dell’educazione alimentare, e della promozione di attività ginnico-sportive e di gioco

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
17
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla dell’affettività

A

Affettività
Con il termine affettività indichiamo sentimenti ed emozioni consci ed inconsci.
Una dimensione emotivo-affettiva sostenuta da un rapporto equilibrato e gratificante con sé stessi e con gli altri contribuisce alla costruzione di personalità in grado di fronteggiare le difficoltà, le delusioni e le angosce inevitabili nel corso della vita.
È un campo molto ampio e complesso, che investe varie dimensioni:
o dimensione dell’apprendimento: Le manifestazioni dell’affettività (interesse e disinteresse, costanza e discontinuità, ecc..) sono la base delle motivazioni dell’apprendimento
o dimensione etico-sociale: fin dalla nascita, e poi in tutte le età, risultano fondamentali il bisogno di legame con gli altri ed il bisogno di sicurezza.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
18
Q

L’alfabeto prassico della pedagogia: parla della socialità

A

Socialità
La socialità si riferisce alla capacità di vivere «insieme» agli altri, condividendo impegni, vincoli e progetti sulla base dei valori e delle norme che regolano la società.
Alla base della socialità c’è la necessità di trovare un equilibrio tra i bisogni del singolo e della collettività, perciò:
o la socialità si costruisce attraverso dinamiche interpersonali;
o la socialità è strettamente intrecciata alla dimensione dell’etica: alla condivisione di vincoli e di responsabilità nei confronti degli altri, delle istituzioni e dell’ambiente. Socialità ed eticità confluiscono insieme nel campo della solidarietà sociale, da cui va affermandosi, oggi, un paradigma etico-sociale che spazia dai diritti umani ai diritti degli animali, delle piante, dell’intero ecosistema, e alla necessità di stabilire principi di convivenza e solidarietà con ogni tipo di cultura e pensiero, di etnia e di gruppo sociale.
La costruzione dell’io sociale avviene:
o all’interno della famiglia, dove il bambino ha modo di negoziare regole di gioco e di lavoro di gruppo, di strutturare raffinate abilità sociali;
o all’interno della scuola, dove il bambino viene posto in situazioni di apprendimento, di relazione e di acquisizione di valori condivisi, uscendo dal suo iniziale egocentrismo, negoziando regole di convivenza, scoprendo il piacere di «stare insieme» e di «pensare insieme», in un’ottica di multiculturalità e rispetto per il diverso.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
19
Q

Cosa si intende con “apprendimento nell’arco di vita”?

A

Apprendimento visto appunto come un arco, una curva che, dalla nascita, sale verso l’alto, dagli istituti scolastici, fino all’università, passando varie fasi, o riti di passaggio, e raggiungendo l’apice con l’età adulta. Questi riti di passaggio coincidono con il raggiungimento di obbiettivi socialmente scanditi, come l’acquisizione di un lavoro stabile, il generare una famiglia, o l’acquisto della casa.
Una volta raggiunto l’apice, la curva dell’apprendimento cala verso il basso. Perciò questo modello prevede la perdita di abilità e conoscenze con il passare del tempo.
In questa concezione, viene dato valore solo all’apprendimento formale.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
20
Q

Perché il paradigma dell’apprendimento nell’arco della vita muta?

A

Il precedente paradigma si basava sulla stabilità. La formazione portava al lavoro, e la carriera definiva l’identità dell’individuo, che rimaneva stabile nel tempo.
Con il tempo, aumentano le richieste di flessibilità e aggiornamento professionale (si pensi all’avvento dell’informatica). Oggigiorno, la formazione porta sì al lavoro, ma il lavoro richiede a sua volta altra formazione, la quale può portare persino ad intraprendere altre carriere. Quindi, ogni apprendimento non è mai completo e concluso.
Oggi prevale una condizione di instabilità, di continuo cambiamento. Siamo la società dell’incertezza. A questa precarietà è legata una sensazione di pericolo, angoscia, e preoccupazione.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
21
Q

Cosa si intende con “apprendimento nel percorso di vita”?

A

concezione che va a sostituire il paradigma dell’apprendimento nell’arco di vita, e che vede l’apprendimento come un percorso che avviene durante l’intero percorso di vita, in diversi contesti di vita, in senso profondo.
Secondo questo paradigma, 3 dimensioni caratterizzano l’apprendimento:
-lifelong learning
-lifewide learning
-lifedeep learning

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
22
Q

Definisci il lifelong learning

A

Lifelong learning (o formazione permanente): Concezione dell’apprendimento che lo considera come un continuo percorso lungo l’intera vita. La concezione precedente, che vedeva l’apice dell’apprendimento nell’età adulta, seguita dal decadimento nella terza età, è sfatato. Ricerche neurobiologiche confutano quest’ipotesi. L’essere umano non smette mai di imparare. Ogni apprendimento genera nuovi inizi. Inoltre, questa concezione prevede momenti di criticità, situazioni che ci ricordano le nostre lacune. Davanti a questi episodi, la prima reazione è quella della resistenza, di trincerarsi dentro le nostre aree di confort cercando di fare affidamento su quelle abilità che possediamo, che però non sono più sufficienti (il tipico abbiamo sempre fatto così). Invece è necessario mettersi in discussione ed intraprendere una nuova formazione. È necessario, dunque, equipaggiarsi di competenze trasversali

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
23
Q

Definisci il lifewide learning ed il lifedeep learning

A

o Lifewide learning: apprendimento avviene in un’ampia varietà di contesti (non solo il contesto scolastico, ma anche lavoro, vita sociale, ecc…), e non è necessariamente intenzionale (l’intenzionalità può avvenire successivamente, con la riflessione). Concetto ricollegabile al sistema formativo integrato di Frabboni.
o Lifedeep learning: Apprendimento profondo di valori, etica e credenze per la vita.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
24
Q

Cosa comporta il concetto del lifelong learning per il ruolo dell’educatore?

A

L’educatore per primo deve applicare il concetto del lifelong leraning, continuando a formarsi per tutto l’arco della vita. Questo significa anche imparare padroneggiare diverse metodologie da applicare in diversi contesti (si pensi al modo diverso con cui ci si pone con un bambino, o con un adolescente)

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
25
Q

Come è diventato noto il termine lifelong learning?

A

-L’uso del termine Life learning era di nicchia fino alla metà degli anni 90.
-La Commissione Europea dichiarò il 1996 l’anno europeo del lifelong learning.
-Quando l’Europa dedica un anno ad un particolare argomento, vengono promossi progetti a sostegno di quella tematica, così nel 1996 l’espressione LLL prese piede grazie a varie organizzazioni (dalla banca mondiale, all’UNESCO) cominciano ad adottare questo termine.
-Così, da una concezione esclusivamente legata all’istruzione, è diventato un concetto politico sullo sviluppo delle persone e delle nazioni.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
26
Q

Cos’è il MEMORANDUM SULL’ISTRUZIONE E LA FORMAZIONE PERMANENTE?

A

Documento di riferimento nel discorso dell’educazione, redatto dalla Commissione Europea nel 2000, al fine di attuare il concetto di lifelong learning nei paesi europei. All’interno di questo documento vengono distinti gli apprendimenti di tipo formale, non formale e informale, e si delineano sei propositi a cui gli stati membri devono puntare.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
27
Q

Come vengono definiti gli apprendimenti di tipo formale, non formale e informale, nel Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente?

A

o Apprendimento formale: che si svolge negli istituti di istruzione di formazione e porta l’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;
o Apprendimento non formale: si svolge al di fuori delle strutture d’istruzione e di formazione e non porta a certificati ufficiali (quindi apprendimento formale e non formale non possono mai sovrapporsi). È dispensato sul luogo di lavoro, nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati) ma può essere fornito anche da organizzazioni o servizi a completamento dei sistemi formali.
o Apprendimento informale: è la condizione naturale della vita quotidiana (che significa che tutta la vita è apprendimento). Quest’apprendimento non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, persino dallo stesso interessato.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
28
Q

Quali sono i 6 propositi che l’Europa lancia nel Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente?

A
  1. Nuove competenze di base per tutti
    È necessario garantire un accesso universale e permanente all’istruzione e alla formazione per consentire l’acquisizione e l’aggiornamento delle competenze necessarie per una partecipazione attiva alla società. (Questo proposito si aggancia al punto 4 dell’agenda 2030, l’agenda di sviluppo sostenibile attualmente in vigore)
  2. Maggiori investimenti nelle risorse umane
    Assicurare una crescita visibile dell’investimento delle risorse umane, per rendere prioritaria la più grande risorsa dell’Europa: la sua gente (scardina un concetto economicistico, non è il PIL il bene del paese, ma la gente e le sue conoscenze).
  3. Innovazione nelle tecniche di insegnamento e apprendimento
    Sviluppare contesti e metodi efficaci di insegnamento e di apprendimento, per un’offerta di formazione e di istruzione lungo l’intero arco della vita e in tutti i suoi aspetti.
  4. Valutazione dei risultati dell’apprendimento
    Migliorare considerevolmente i modi in cui sono valutati e giudicati la partecipazione e i risultati delle azioni di formazione, in particolare nel quadro dell’apprendimento non formale e informale.
  5. Ripensare l’orientamento
    Garantire a tutti un facile accesso a informazioni e a un orientamento di qualità sulle opportunità di istruzione e formazione in tutta l’Europa e durante tutta la vita. (Il problema spesso non è la presenza o l’assenza della possibilità, ma l’accesso ad essa).
  6. Un apprendimento sempre più vicino a casa
    Offrire opportunità di formazione permanente, il più possibile vicine agli utenti in formazione, nell’ambito delle loro comunità, e con il sostegno qualora opportuno di infrastrutture basate sulle TIC (tecnologie dell’informazione della comunicazione), quindi promuovendo percorsi che possano essere usufruiti anche a distanza.
How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
29
Q

Cosa sono i progetti per l’apprendimento intergenerazionale?

A

programmi originati negli anni 70 per la promozione dell’apprendimento e la crescita sociale, che prevede l’interazione di diverse generazioni (es, bambini e anziani insieme) con:
-intenzionalità: chi progetta l’intervento, intenzionalmente decide di mettere insieme più generazioni per raggiungere determinati obbiettivi;
-reciproco vantaggio: non è solo una generazione che apprende dall’altra, ma entrambe ne beneficiano;
-approcci didattici e metodologici adeguati ad entrambe le generazioni, sviluppati a doc.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
30
Q

Quali sono i benefici dell’apprendimento intergenerazionale?

A

-L’apprendimento intergenerazionale può essere considerato come elemento integrante del processo di lifelong learning, tagliando trasversalmente l’intero processo di apprendimento nel percorso di vita (vedi immagine).
-Può supportare lo sviluppo dell’autostima, soddisfazione di vita, partecipazione sociale.
-Introduce aspetti di apprendimento informale, all’interno di sistemi formali.
-Promuove culture e tradizioni in un’ottica di scambio
-“È occasione di mutuo apprendimento, in quanto i giovani sanno fare cose gli anziani non sanno fare o non hanno mai provato; gli anziani hanno, però, un patrimonio di storia e di esperienza che i giovani non hanno avuto tempo per accumulare. Insieme possono costruire una nuova intercultura”. (cit. Franca Pinto Minerva)

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
31
Q

Un progetto intergenerazionale (che spesso prevede le generazioni di bambini e anziani) apre il dilemma di come affrontare il discorso della morte con i bambini. È giusto affrontare l’argomento della morte con i bambini? Come dovremmo fare?

A

La morte è un avvenimento naturale, solo da poco tempo considerato un tabù.
Quando qualcuno di vicino al bambino muore, nascondere l’accaduto avrà effetti deleteri:
-Il bambino si aspetterà che la persona torni, creando aspettative che verranno inevitabilmente deluse
-Spesso il bambino si incolperà per l’assenza della persona
-Quando il bambino scoprirà la verità, questo danneggerà la fiducia nella figura di riferimento.

Come:
Attraverso strumenti e metodologie che l’educatore conosce e inserisce intenzionalmente nella progettazione. In questo ambito, abbiamo parlato degli albi illustrati e dei cartoni animati. Attraverso la narrazione di albi con illustrazioni dai colori brillanti e non cupi, raccontiamo l’evento della morte in modo appropriato all’età del bambino, dandogli modo di comprendere:
-la finalità della morte (es.: la persona è andata in cielo, non torna più);
-la continuità relazionale, ovvero il fatto che, anche nella morte, il ricordo che la persona ci ha lasciato è prezioso e continuerà a vivere fintantoché continueremo a ricordare la persona (es.: la persona non c’è più ma ti guarda sempre dal cielo);
-con la morte si estingue il dolore della malattia.

How well did you know this?
1
Not at all
2
3
4
5
Perfectly
32
Q

esponi il PROCESSO DI BOLOGNA 1999

A

È stato un processo europeo di riforma dell’istruzione superiore (che coinvolge 47 paesi) che aveva l’obiettivo di realizzare uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore, caratterizzato da:
- trasparenza e leggibilità dei processi formativi e dei titoli di studio
- maggiore mobilità di laureati, studenti e docenti fra i paesi
- maggiore capacità di attrazione dell’istruzione superiore europea nei confronti dei cittadini di paesi extra europei
- innalzare il livello di qualità dell’istruzione superiore

Questo processo ha portato a cambiamenti tangibili, come l’Erasmus, il curriculum vitae europeo, i crediti formativi universitari (CFU) comparabili tra paesi dell’UE, o il diploma supplement.

33
Q

Esponi la strategia di Lisbona del 2000

A

La strategia di Lisbona è un programma di riforme economiche approvato a Lisbona dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione europea nel 2000. La strategia si basa sull’obbiettivo strategico dell’UE: rafforzare l’occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di un’economia fondata sulla conoscenza (non più sul PIL, vengono valorizzate le persone come risorse). Le sue linee programmatiche mirano a fare dell’Unione europea l’economia più competitiva e dinamica al mondo, (entro il 2010) in grado di coniugare la crescita con nuovi e migliori posti di lavoro.

34
Q

Esponi i punti chiave della Strategia UE 2020

A

o Crescita basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza;
o coinvolgere i cittadini in una società partecipativa;
o creare un’economia competitiva interconnessa e più verde;
o l’inclusione digitale rientra nel più vasto concetto d’inclusione;
o potenziare il settore dell’istruzione in UE, dalla scuola materna all’istruzione superiore per:
-aumentare la produttività,
-sostenere le categorie vulnerabili,
-lottare contro le disuguaglianze e la povertà,

35
Q

Parla della comunicazione del 2001 della Commissione Europea, intitolata “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente”, in cui è stato definito l’apprendimento permanente (LLL):

A

è stato definito l’apprendimento permanente (LLL) come:
“qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale civica sociale e/o occupazionale.”
1) viene de-gerarchizzata l’età durante la quale si può imparare (non c’è un’età stabilita nella quale apprendere, c’è apprendimento per tutto il percorso della vita);
2) qualsiasi attività: scardinata l’idea che la formazione è solo quella formale;
3) riguarda tutti gli ambiti della vita;
4) conoscenze, capacità e competenze sono termini distinti.

36
Q

Di cosa tratta la raccomandazione europea “KEY COMPETENCES FOR LIFELONG LEARNING” redatta nel 2006 e poi aggiornata nel 2018?

A

È una raccomandazione (ovvero una delle fonti del diritto dell’UE prive di efficacia vincolante, diretta agli Stati membri e contenente l’invito a conformarsi ad un certo comportamento) redatta dal Parlamento Europeo, inizialmente nel 2006, e poi rivisitata nel 2018, nella quale sono state individuate le 8 competenze chiave per il lifelong learning (competenze che trasversalmente toccano ogni aspetto della vita, da sviluppare da ciascun individuo per tutte le età della vita). Da questo documento, il sistema scolastico italiano assume, come orizzonte di riferimento verso cui tendere, il quadro delle competenze chiave per l’apprendimento permanente.

37
Q

Elenca e spiega le key competences for lifelong learning (2018)

A
  1. Competenza alfabetica funzionale
    Saper leggere e scrivere. Comprendere e produrre un testo orale o scritto. Conoscere il vocabolario, la grammatica e le funzioni del linguaggio. Capacità di utilizzare le fonti. Utilizzare il pensiero critico. Comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo.
  2. Competenza multilinguistica
    Conoscenza del vocabolario e della grammatica funzionale di lingue diverse. È importante la conoscenza delle convenzioni sociali, dell’aspetto culturale e della variabilità dei linguaggi.
    Capacità di comprendere e produrre messaggi orali e in diverse lingue. L’apprezzamento della diversità culturale.
  3. Competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria
    -Matematica: Conoscenza dei numeri, delle misure e delle strutture, delle operazioni fondamentali e delle presentazioni matematiche di base, la comprensione dei termini e dei concetti matematici da applicare nella sfera domestica e lavorativa.
    -Scienze, tecnologie e ingegneria: conoscere i principi del mondo naturale, i metodi scientifici fondamentali.
  4. Competenza digitale (presentata a lezione)
    La competenza digitale presuppone l’interesse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza, spirito critico (controllando le fonti) e responsabile per apprendere, lavorare e partecipare alla società. Comprende l’alfabetizzazione informatica e digitale, e competenze relative alla cybersicurezza. Le persone dovrebbero saper comprendere le opportunità e i rischi della tecnologia; saper utilizzare diversi dispositivi, software e reti; conoscere i principi etici e legali dell’utilizzo delle tecnologie digitali, ed essere in grado di utilizzare le tecnologie digitali come ausilio per la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale.
  5. Competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare (presentata a lezione)
    Consiste nella capacità di riflettere su sé stessi, gestire efficacemente il tempo e le informazioni, lavorare con gli altri in maniera costruttiva, mantenersi resilienti e gestire il proprio apprendimento e la propria carriera. Saper far fronte all’incertezza e alla complessità̀, imparare a imparare, favorire e mantenere il proprio benessere fisico ed emotivo, empatizzare e gestire il conflitto.
    Essenziale comprendere i codici di comportamento e le norme in società̀ diverse. Avere capacità di metacognizione.
  6. Competenza in materia di cittadinanza (presentata a lezione)
    Capacità di agire da cittadini responsabili, sulla base della conoscenza dei valori comuni dell’Europa, delle vicende, della storia nazionale, europea e mondiale, dei movimenti sociali e politici, dei sistemi sostenibili. È essenziale la consapevolezza della diversità̀, la capacità di pensiero critico e di risoluzione dei problemi, di argomentare e partecipare al processo decisionale, da quello locale e nazionale al livello europeo e internazionale.
  7. Competenza imprenditoriale (presentata a lezione)
    Capacità di agire sulla base di idee e opportunità̀. Si fonda sulla creatività̀, sul pensiero critico, sulla risoluzione di problemi, sull’iniziativa, sulla perseveranza, sulla capacità di lavorare in gruppo al fine di programmare e gestire progetti che hanno un valore culturale, sociale o finanziario.
    Le persone dovrebbero conoscere gli approcci di programmazione dei progetti, l’economia, le opportunità̀ e le sfide cui vanno incontro i datori di lavoro, le organizzazioni o la società̀. Dovrebbero inoltre conoscere i principi etici e le sfide dello sviluppo sostenibile.
  8. Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali
    Comprensione, conoscenza e rispetto di come le idee e i significati vengono espressi creativamente e comunicati in diverse culture e tramite tutta una serie di arti e altre forme culturali.
38
Q

Esponi il documento “Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere” (2006)

A

Il ruolo centrale svolto dall’apprendimento è stato ribadito con questo documento. I cui punti fondamentali sono:
 Necessario migliorare l’offerta formativa indirizzata agli adulti: questo perché se si può apprendere sempre è importante ribadire della differenza che c’è tra un apprendimento rispetto ad un altro (bambini-ragazzi-adulti) quindi attraverso le scelte metodologiche;
 eliminare gli ostacoli alla partecipazione garantendo accessibilità
 riconoscimento e convalida degli apprendimenti considerando in particolar modo quelli informali e non formali

È seguito il documento “È sempre il momento di imparare” (2007)
Comunicazione delle comunità europee, per dare attuazione alla comunicazione del 2006 (“Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere”), sostiene che la qualità del personale costituisce un fattore chiave nell’educazione degli adulti.

39
Q

Esponi l’ET 2020 - Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (2009)

A

Conclusioni del Consiglio Europeo che, tramite questo documento, definisce gli obbiettivi di sviluppo in ambito formativo da raggiungere entro il 2020.
Insiste su quattro punti fondamentali:
1) Fare in modo che l’apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà;
2) migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione;
3) Promuovere l’equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva;
4) Incoraggiare la creatività e l’innovazione, comprese l’imprenditorialità.

40
Q

Esponi l’Agenda 2030, approfondendo l’aspetto dell’istruzione di qualità e della parità di genere

A

L’Agenda 2030 è una raccolta di 17 obbiettivi per lo sviluppo sostenibile stilati dall’ONU, da raggiungere entro il 2030, allo scopo di porre fine alla povertà, lottare contro l’ineguaglianza, affrontare i cambiamenti climatici, costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani. Riguardano in particolare: economia, aspetti sociali ed ecologici.

Diversi di questi obbiettivi ci riguardano come educatori. Ne abbiamo approfonditi due:
Istruzione di qualità:
Alcuni obbiettivi da raggiungere entro il 2030 secondo l’Agenda:
- Garantire libertà, equità e qualità dell’educazione, istruzione e formazione di tutti gli ordini e gradi ad ogni ragazzo e ragazza.
- Aumentare il numero di giovani con competenze per l’occupazione
- Costruire e potenziare le strutture dell’istruzione che siano sensibili ai bisogni dell’infanzia, alle disabilità e alla parità di genere e predisporre ambienti sicuri per tutti

Parità di genere
Alcuni obbiettivi da raggiungere entro il 2030 secondo l’Agenda:
- Porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione e violenza nei confronti di donne e ragazze
- Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito
- Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica
- Garantire accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva

41
Q

Significato del termine “competenza”:

A

Nel quotidiano, il termine “competenza” viene usato con molti significati diversi.
Origina dal latino, competentia (=dirigersi verso) che può essere interpretato come “capacità di orientarsi in determinati campi”.
Il termine “competenza” presenta un carattere relazionale che ha al suo interno una doppia dinamica: cooperativo e antagonista.
o Cooperativo: ho bisogno dell’altro per diventare competente e per dimostrarmi competente. Osservo chi è più competente di me e agisco emulando.
o Antagonista: sta nel fatto che ciascuno in quest’ottica emulativa cerca sempre di superare quello che è il “maestro” al quale si ispira alimentando quello che Esiodo definisce Zelos, ovvero la gelosia emotiva (non la gelosia che vede l’altro come nemico, ma come modello, non per sconfiggere la persona competente ma per emularla e superarla).

Il competente svolge funzioni di scaffolding (Bruner) e accrescimento dell’area di sviluppo prossimale (Vygotskij).
La competenza si esprime sempre in un’azione concreta all’interno di un contesto, non esiste competenza senza contesto.

42
Q

Esistono due grandi modelli delle competenze: quali? Chi sono i loro maggiori esponenti?

A

o Modello individuale: In questo modello, la competenza viene vista come caratteristica internistica del soggetto.
Autori che si riferiscono a questo modello: McClelland, Boyatzis, Spencer & Spencer.
o Modello relazionale e contestuale: In questo modello la competenza viene vista come processo dinamico all’interno del percorso di vita.
Autori che si riferiscono a questo modello: Le Boterf (e la prof)

43
Q

Come viene definita la competenza nei modelli individuali? (McClelland, Boyatzis e Spencer & Spencer)

A

o (1973) McClelland: definisce per primo la competenza come “sistema di schemi cognitivi e comportamenti operativi causalmente correlati al successo sul lavoro”. Ne parla nell’ambito della psicologia delle organizzazioni, poiché riteneva che i test dell’intelligenza non fossero più adatti per predire il successo professionale.
Si avvia una concezione nuova delle risorse umane basata sulle competenze.
Il focus si sposta dal lavoro al soggetto che possiede ed utilizza un sistema di competenze caratterizzato da conoscenza, capacità, motivazioni, valori e immagini di sé tali da consentirgli di esprimere comportamenti professionali competenti.
o (1982) Boyatzis: definisce la competenza come una possibile “motivazione, un tratto, un aspetto dell’immagine di sé o del proprio ruolo sociale, una skill, o un corpo di conoscenze […]. Siccome le competenze sono caratteristiche interiori si possono considerare generiche. Una caratteristica generica può apparire in diverse forme di comportamento e in grande varietà di azioni.”
o (1993) Spencer & Spencer: Definiscono la competenza come “una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata ad una performance efficace o superiore in una mansione o situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito.”

44
Q

Parla del MODELLO ICEBERG delle competenze: (Spencer & Spencer)

A

Viene usata l’immagine dell’iceberg come metafora per le competenze:
o La parte emersa: rappresenta skill (abilità che possediamo per portare a termine un compito fisico o mentale) e conoscenze (nozioni su determinati argomenti). È possibile percepire, osservare, ed intervenire direttamente sulla parte emersa.
o La parte sommersa: rappresenta motivazioni, tratti (caratteristiche e reazioni stabili a situazioni), immagine di sé. La parte sommersa rappresenta la parte più consistente, che noi non vediamo, sulla quale è difficile intervenire direttamente.

45
Q

Parla della competenza secondo il modello relazionale e contestuale: Le Boterf

A

Secondo Le Boterf la competenza è il risultato dinamico del:
o saper agire: che presuppone il saper combinare e mobilitare le risorse* adeguate. Questo si può collegare a una delle caratteristiche principali della competenza ovvero la trasferibilità in altri contesti diversi e di conseguenza utilizzarla;
o voler agire: che riguarda la motivazione. Il volere da parte del soggetto di voler combinare queste risorse, quanto il soggetto è motivato ad esprimere la competenza;
o poter agire: si riferisce al contesto e alle situazioni che rendono possibile l’espressione della competenza. Le Boterf si chiede quanto il contesto aiuti il soggetto a combinare e mobilitare le risorse purché abbia la motivazione per farlo.

*Con “risorse”, Le Boterf intende sia risorse all’interno del soggetto (conoscenze teoriche, conoscenze ambientali, conoscenze procedurali, abilità operative, abilità relazionali, capacità cognitive) che reti di risorse esterne al soggetto.
Queste risorse vanno mobilitate, integrate e trasferite per arrivare alla performance.

46
Q

Cosa si intende dire quando si dice che “la competenza è un processo”?

A

la competenza non è uno stato o una conoscenza posseduta. Non è riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione, non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) da mobilitare, ma nella mobilitazione stessa di queste risorse.
La competenza è un processo.

o La competenza si esplica sempre nella relazione del soggetto e la “situazione sfidante” colta nel suo contesto.
o È una dinamica che si gioca tra individuo e realtà, che coinvolge differenti processi: emozionali, cognitivi, motivazionali, interpretativi
o Le competenze non sono “cose”, non le vediamo, ma possiamo vedere i loro effetti espressi nei comportamenti, e nelle azioni messe in atto dalle persone.
o Per comprenderle pienamente è necessario analizzare le relazioni, i contesti e le attività all’interno delle quali vengono esplicitiate.

47
Q

Quali sono le caratteristiche delle competenze?

A

o dinamicità: la competenza non è statica, ma si sviluppa continuamente attraverso esperienze personali e professionali;
o multidimensionalità: la competenza comprende e integra in maniera coerente un insieme articolato di risorse;
o riflessività: la competenza è legata sempre all’azione, ma è anche importante la riflessione che faccio sull’azione. Che può essere:
* riflettere nell’azione (rifletto nel momento in cui svolgo l’azione),
* riflettere sull’azione (rifletto a posteriori, quando l’azione si è conclusa),
* riflettere per l’azione (serve per progettare lo sviluppo futuro).
o contestualizzazione: il contesto costituisce lo scenario all’interno del quale la competenza viene agita (non esiste competenza senza contestualizzazione);
o trasferibilità: trasferire significa applicare la competenza ad una nuova situazione, ad un nuovo problema; ed è in questo “adattare” la competenza al nuovo contesto che si rende manifesto il “saper agire” di un soggetto.

48
Q

Qual è la differenza tra conoscenze, abilità e competenze e chi ha definito questa differenza?

A

La differenza tra questi tre termini, spesso usati in maniera alternativa o confusa, è stata definita dalla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla costituzione del “Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente” (2008):
o Conoscenze: “Indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme dei fatti, principi, teorie e pratiche, relative e ad un settore di studio e di lavoro. Nel Quadro, sono descritte come teoriche o pratiche.”
o Abilità: “Indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per potere a termine compiti e risolvere problemi. Nel Quadro, sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti).”
o Competenza: “Comprovata (vado a dimostrare in modo concreto) capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale.”
È un costrutto di ordine superiore che ingloba abilità e conoscenze, che vengono comprovate all’interno di un contesto. È un costrutto lifelong che fa parte di tutti gli ambiti.

49
Q

Come si definisce la competenza collettiva?

A

La dimensione plurale e relazionale è insita nel concetto stesso di competenza, nella sua natura sociale e relazionale. Nessuno diviene competente da solo, né al di fuori di un contesto.
Perciò possiamo declinare il concetto di competenza anche in riferimento ad un gruppo ((ovvero come organismo unico che agisce)
La competenza collettiva è una rete di competenze che si realizza nella cooperazione tra persone che sanno interagire (in cui ogni soggetto ha bisogno del contributo degli altri per perseguire uno scopo comune), e che genera apprendimenti e riflessioni condivise.

50
Q

Com’è cambiata la definizione di competenza collettiva nel tempo?

A

o De Montmollin (1984) La competenza collettiva non sostituisce l’aspetto individuale della competenza, lo va a completare. La competenza collettiva si sviluppa quando sono presenti competenze individuali, a sua volta la competenza collettiva mi permette, di svilupparmi ulteriormente nelle mie competenze individuali. Relazione reciproca tra individuale e collettiva (senza quella individuale non ho quella collettiva).
o Dejoux (1998) La c.c. non è semplicemente la somma delle competenze individuali ma diventa un qualcosa di indefinibile e risultante.
o Pemartin (1999) “Sapere combinatorio specifico del gruppo risultante dalla complementarità e sinergia delle capacità individuali di cui non è la somma.”
Competenza collettiva non è la somma di competenze individuali, ma ha qualcosa in più.
o Guilhon et Trepo “Insieme di conoscenze (apprese e formalizzate) e sapere (tacito ed esplicito) coinvolte in un processo produttivo, che agiscono in un’organizzazione. È il risultato dell’incontro tra l’organizzazione e l’ambiente attraverso l’interpretazione che crea e definisce un linguaggio, e una modalità di coordinamento tra le persone”
Emerge l’aspetto del linguaggio, i gruppi che lavorano assieme elaborano un proprio linguaggio.
o Bataille (2001) “Capacità riconosciuta di un collettivo di affrontare una situazione che non può essere assunta individualmente da ciascuno dei suoi membri” = la competenza collettiva diventa il modo di fronteggiare situazioni ancora più complesse. Affrontare i compiti più complessi in modo collettivo non individuale.
o Le Bortef (2006) “Una rete di competenze che si realizza nella cooperazione tra persone che sanno, vogliono e che possono interagire, e che genera apprendimenti condivisi, riflessioni comuni sulle esperienze e sugli esiti.”
Una rete di competenze non si realizza in modo automatico ma si fonda sula cooperazione delle persone che hanno una consapevolezza fondata sul saper, voler e poter interagire.

51
Q

Quali sono le caratteristiche fondanti della competenza collettiva?

A

o Esistenza di un’immagine operativa comune: in un contesto di lavoro di equipe ciascuno è tenuto a guardare al problema e/o obbiettivo e a considerarlo in una cornice più ampia. Ciò comporta l’assunzione di modalità operative comuni, e la negoziazione di sensi e significati.
o Esistenza di un codice linguistico comune: offre l’opportunità di leggere tra le righe, di guadagnare tempo, di evitare commenti e spiegazioni. Costituisce un linguaggio/gergo valido contestualmente. È necessario per comunicare e per cooperare. Rafforza la coesione e la complicità dei membri.
o Saper cooperare, coprodurre, co-agire: Messa in azione di abilità sociali quali collaborazione, ascolto attivo, mediazione e negoziazione. Ciò non significa escludere a priori tensioni e conflitti.
o Saper apprendere dall’esperienza: I fallimenti, gli intoppi e i successi costituiscono episodi colmi di insegnamenti e di apprendimento collettivo. Costituisce un’occasione di apprendimento durante l’azione e attraverso l’azione, in modo collettivo, creando una memoria collettiva.
o Sapersi pensare in quanto gruppo: Capacità del gruppo di pensarsi, di viversi, e di percepirsi in quanto gruppo.
o Sviluppo della formazione reciproca: i membri del gruppo possono agire fra di loro come formatori uno dell’altro, anche attraverso attività intergenerazionali.

52
Q

Quali sono i prerequisiti per lo sviluppo di competenza collettiva?

A

o Interdipendenza positiva: (termine che deriva dagli studi dei fratelli Johnson nell’ambito dell’apprendimento cooperativo) La necessità/percezione all’interno di un gruppo:
-del singolo, di dipendere per il proprio successo dal gruppo,
-del gruppo, di dipendere per il proprio successo dal singolo.
Valorizzazione di ciascun membro come determinante nel raggiungimento dell’impresa comune (interdipendenza di scopo, compito, materiali, ruolo, ricompense).
o Engagement: Elemento costitutivo della coesione del gruppo e uno stimolatore di comportamento che conduce alla fedeltà di gruppo. Possiamo definirlo il livello di coinvolgimento, quanto mi sento partecipe.
o Competenze individuali: senza le competenze individuali dei singoli membri, non posso costruire una competenza collettiva all’interno del gruppo. Esiste un rapporto dinamico fra la dimensione individuale e collettiva delle competenze, la competenza individuale si deve alimentare della competenza collettiva, che a sua volta si nutre delle competenze individuali, in un circolo virtuoso di accrescimento e sviluppo reciproco (metaforicamente, in un rapporto “a spirale aperta”)
o Obbiettivi comuni: i vari gruppo ad alte prestazioni hanno obbiettivi condivisi e intermedi a supporto di quelli superiori. È l’esistenza di obbiettivi che forniscono uno schema di lavoro per il gruppo. Necessario capire e condividere l’obiettivo, perché spesso vengono letti dai vari membri in modo differente.

53
Q

Che cos’è il role playing? E in cosa consiste la tecnica dell’acquario?

A

Il Role Playing (letteralmente: gioco di ruolo) consiste nell’interpretare un ruolo, anche professionale, da parte di una o più persone, in cui i protagonisti provano a vivere e ad agire in situazioni possibili, secondo un canovaccio di orientamento o liberamente. Il Role Playing affonda le radici all’interno della tecnica psico-terapeutica dello psicodramma, ideata del medico Moreno (in cui vengono messe in scena esperienze passate e/o traumatiche). In ambito educativo, il Role Playing non ha scopo terapeutico, ma ha varie funzioni (tra cui lo sviluppo dell’empatia).

La tecnica dell’acquario:
(Quella che abbiamo utilizzato noi a lezione, e che è adeguata ai contesti di classe, o comunque con gruppi numerosi). Ci sono persone che giocano ed altre che guardano “l’acquario”, senza nessuna interferenza da chi osserva a chi gioca (appunti, riflessioni). La dinamica non viene toccata, chi guarda è come se la filmasse, fotografasse dei momenti per poi analizzarli.

54
Q

Quali sono le funzioni del Role Playing?

A

o Addestramento= formazione, preparazione a ricoprire un ruolo, una funzione in un determinato contesto.
o Selezione= all’interno dei processi di selezione è possibile realizzare dei Role Playing, per valutare la reale competenza della risorsa che voglio assumere per un ruolo, in confronto al curriculum scritto.
o Animazione= a fini animativi, gruppi, scout, dopo scuola, centri estivi, valenza animativa di gioco
o Formazione= imparar ad imparare, cosa si ha capito, cosa si può sviluppare come equipe, possibili strategie da mettere in atto

55
Q

Quali sono le fasi del Role Playing?

A
  1. Riscaldamento= lascio che i partecipanti entrino nel ruolo
  2. Gioco/esecuzione = Messa in atto dell’interpretazione (minimo 15 min, massimo 30). Chi gestisce il Role Playing oltre a fornire la trama piò intervenire all’interno della dinamica.
  3. Raffreddamento = un arco di tempo per raffreddare l’aspetto emotivo/motivazionale
  4. Analisi e interpretazione = analizzare il ruolo e non la persona, come il ruolo è stato giocato (importante astenersi dal giudizio), come il ruolo si è relazionato con le altre figure

Analizzando queste fasi, si evince che lo strumento del Role Playing va preparato in anticipo da chi guiderà l’attività.

56
Q

Cos’è il setting?

A

La parola setting deriva dall’inglese “to set”, la cui radice indoeuropea “sta” designa la stabilità, dalla quale derivano anche istituzione e instituire. Quando si parla di setting comunemente si tende a riferirsi allo spazio, tuttavia questa visione è limitante. Il setting riguarda tutto ciò che costituisce il contenitore, la cornice, il confine organizzativo e limitante in cui un’attività umana viene disposta.
Dobbiamo anzitutto distinguere tra setting istituito e setting istituente per comprendere il setting in ambito educativo.

57
Q

Cosa sono il setting istitutivo e il setting istituente?

A

Il setting istituito
Si trova in ambiti in cui il setting non ha bisogno di essere costruito, perché è già dato, è predefinito, implicito. Il profano si rivolge all’esperto assumendo da un lato di non avere le competenze tecniche per affrontare autonomamente l’oggetto del proprio interesse dall’altro che tali competenze siano possedute dal proprio interlocutore e che quest’ultimo sia disponibile ad esercitarle in suo favore. L’uno si configura come colui che manca di, l’altro come colui che provvederà a (es. medico, avvocato, ecc…).

Il setting istituente
Non è prestabilito, viene realizzato ed è modificabile, ed è il setting che troviamo in ambito educativo. Setting inteso non solo come spazio fisico, ma come una struttura organizzata degli spazi, dei tempi, delle regole, delle relazioni e del progetto educativo, condiviso da due o più persone, da un gruppo classe, da una famiglia, da una comunità. E su queste dimensioni di tempo, spazio, regole condivisi si va a basare: la progettualità e l’organizzazione del servizio, il progetto educativo, le regole proprie di esercizio di quella relazione, la cultura organizzativa.

58
Q

Quale elementi determinano un setting sufficientemente buono in ambito educativo?

A

o Attenzione al singolo e al gruppo
o Rispetto reciproco
o Coerenza nell’organizzazione degli spazi, dei tempi, delle regole
o Buon clima
o I conflitti e i problemi presenti hanno modi e tempi appositi in cui essere affrontati

59
Q

Attraverso la lettura del Piccolo Principe abbia fatto delle riflessioni su alcuni elementi del setting educativo, quali?

A

-L’unicità: Il Piccolo Principe si rattrista perché crede che la sua rosa non sia unica come aveva creduto. Non sa ancora che l’unicità della sua rosa non è data dal suo essere rosa, ma dal tempo e la dedizione che il Piccolo Principe ha speso per lei. Allo stesso modo, l’educando non è reso unico dalla classificazione a cui appartiene (es. bambino con sindrome di Down, autismo, ecc…), ma dalla sua soggettività intrinseca, che verrà scoperta nella relazione educativa solo con il tempo e la dedizione alla relazione.

-La costruzione della relazione: La relazione educativa presuppone di creare un legame con l’altro. È un legame innanzitutto nel quale io vengo riconosciuto come persona unica e di irripetibile. Prima della relazione si è uno tra tanti, è “addomesticare” (il tempo e la dedizione che si spende l’uno per l’altro) che crea la relazione, in cui ciascuno dei due viene riconosciuto come portatore di una sua unicità.

-Pazienza: Ci vuole del tempo per creare la relazione. La pazienza è uno di quegli aspetti che l’educatore deve tanto praticare. “All’inizio starai lontano, poi ogni giorno verrai più vicino”, sta a significare la creazione di fiducia per gradi, una vicinanza non solo prossemica ma emotiva, interiore.

-I riti: I riti riguardano i tempi dell’incontro, che devono essere stabili e ripetuti per creare aspettative, che, venendo mantenute, creeranno al fiducia sulla quale si basa la relazione.

-La fine del rapporto educativo: In tutte le relazioni, specialmente quelle educative, lasciamo delle tracce. E dobbiamo essere attenti, pazienti, decentrati affinché queste tracce siano positive. È normale che alla fine di una relazione educativa ci possa essere un momento di tristezza, però questo qualcosa che finisce rappresenta un nuovo inizio per l’educando. La relazione educativa nasce per finire, perché il compito dell’educatore è quello di aiutare l’altro a crescere e diventare autonomo, non creare un’altra situazione di dipendenza. Devo curare il momento del congedo, pianificandolo e assicurandomi che l’educando sappia del suo arrivo.

La responsabilità educativa: rimane in mano all’educatore, perché lui (con tutta l’equipe) può organizzare, valutare e modificare il progetto educativo.

60
Q

Qual è la posizione di Brezinka su chi può essere educatore, esposta in “Metateoria dell’educazione”?

A

Il concetto di «educatore» è molto generale. Lo si può applicare ad ogni uomo che sia soggetto o autore di azioni educative. Ci sono gli educatori naturali, le madri e i padri e poi chiunque dedichi all’educazione per professione (insegnanti d’ogni tipo, assistenti sociali, psicoterapisti, medici, operatori sociali, e a questi si aggiungono coloro che hanno compiti direttivi nell’amministrazione, che non si occupano prettamente di educazione, ma al tempo stesso, educano, come medici, sacerdoti, poliziotti.).
L’azione educativa si compie sempre in determinate circostanze socioculturali: in un determinato tempo, in un determinato luogo, ad opera di appartenenti ad un determinato gruppo, con una determinata cultura. Essa s’inquadra nel contesto della vita di una società. Sia gli educatori che gli educandi dipendono, nella loro esperienza e nel loro comportamento, da molte condizioni.
Le condizioni esterne vengono raccolte sotto il concetto di «ambiente», «milieu» o «spazio vitale». Già queste sono estremamente complesse e non possono mai essere descritte appieno.

61
Q

Cosa intende Enriquez quando parla di “fantasmi” del lavoro educativo?

A

Fantasma significa letteralmente “un’immagine creata dalla fantasia che non ha alcuna corrispondenza con la realtà dei fatti” (ad es. dobbiamo volerci tutti bene, ci sarà tempo per ogni cosa). È un prodotto illusorio che può rappresentare un desiderio o un timore. L’educatore è naturalmente abitato da fantasmi, rispetto al proprio ruolo (nel senso di farsi condizionare da queste immagini illusorie), che deve combattere attraverso un continuo lavoro riflessivo.

62
Q

Esponi brevemente i vari fantasmi elencati da Enriquez

A
  • Il formatore
    Trovandosi di fronte a persone che hanno una forma che il formatore considera inadeguata o imperfetta, egli si assume il compito di sostituirla con una forma ‘buona’, una forma ‘ideale’. Questa posizione implica un immaginario fondato su tre tipi di rappresentazioni:
  • che esista di una forma ideale, pura, perfetta
  • che il formatore abbia in mente una forma precisa sulla base del quale modellare l’educando
  • e che ogni ordine biologico tenda verso la forma buona, verso un comportamento ordinato che gli permetta di realizzare le sue potenzialità.
    Rischio: Produrre soggetti in serie, senza rendersi conto della ricchezza della diversità/unicità dell’individuo.
  • Il terapeuta
    Colui che vuole guarire e restaurare. Il terapeuta opera per riportare il soggetto ad un presunto stato originario di salute. Viene dato per assodato che un individuo che si trova in uno stato perturbato da qualsivoglia motivo, possa tornare ad uno stato di salute originario, senza risentire delle conseguenze della malattia
    Rischio: valutare il soggetto come “deviante” da una norma. Inoltre, questo approccio non tiene conto che non si ha evoluzione senza perdita. La malattia e la disabilità possono avere del valore intrinseco.
  • Il maieuta
    Colui che vuole far emergere, tirare fuori. L’educandato è visto come una persona “naturalmente” buona e ricca di potenzialità che l’educatore deve far emergere.
    Rischio: idealizzare il soggetto e pensare che l’azione educativa si risolva solo stabilendo un buon clima relazionale e un ascolto comprensivo
  • L’interpretante
    Si tratta dell’educatore che, a ogni costo, assegna significato ad ogni azione e comportamento, cercando di spiegare tutto ciò che accade.
    Rischio: non essere mai sfiorato da alcun dubbio.
  • Il militante
    Colui che vuole cambiare il mondo. Il militante crede che l’alienazione collettiva di cui gli educandi sono vittima, sia da imputarsi esclusivamente alla società, e che tutto il male sia situato al di fuori dei partecipanti e che essi non sono in alcuno modo in collusione con il sistema nel quale vivono. Il militante promuove quest’idea, e incita ad azioni collettive che rendano gli educandi sempre più padroni del loro destino.
    Rischio: non tiene conto della complessità della realtà.
  • Il riparatore
    Colui che tende a riparare il male che è stato fatto. Il riparatore si sacrifica per gli altri, non risparmia tempo, fatica e si fa coinvolgere. Il suo lavoro è quello di soccorrere l’altro.
    Rischio: mantenere in vita il disagio perché, in fondo, il riparatore ha bisogno del malessere degli altri. Inoltre, l’aiuto indiscriminato, in ogni contesto, priva le persone aiutate della loro autonomia.
  • Il distruttore
    Il distruttore instaura (inconsciamente) un’interazione interpersonale basata sul conflitto affettivo nell’altro. Da una parte egli richiede autonomia dall’educando, mentre dall’altra, simultaneamente, lo rinchiude nel suo sistema interpretativo, generando squilibrio, che porterà il distruttore a rimproverare l’educando per la sua dipendenza infantile.
    Rischio: rovina ogni buon auspicio iniziale in quanto mancante di un atteggiamento efficace e consapevole.
  • Il trasgressore
    Colui che ritiene che le norme siano divieti tendenti a reprimere il “piacere”. Il trasgressore promuove un atteggiamento provocatorio nei confronti delle istituzioni, la trasgressione dei tabù e delle regole sociali.
    Rischio: teorizzare la rottura sempre e comunque. Le regole sono funzionali alla relazione.
63
Q

Che cos’è la supervisione e quali tipi esistono?

A

Nel lavoro educativo esiste una diffusa pratica di supervisione educativa. Per supervisione si intende il rapporto con qualcuno che, per esperienze e competenza, può esprimere un parere su un’esperienza nella quale il richiedente è impegnato.
Il supervisore deve avere una necessaria posizione di distacco dall’esperienza che deve valutare, quindi essere una persona esterna al contesto, che può assumere un punto di vista nuovo.

Esistono due tipologie di supervisione:
-Supervisione psicologica
Non si intende una terapia individuale, immagine spesso legata alla figura dello psicologo. Nella supervisione psicologica, lo psicologo aiuta a dipanare le criticità della relazione educativa o tra i colleghi. È un intervento focalizzato sul lavoro.
-Supervisione pedagogica
Guarda il progetto, gli elementi pedagogici educativi, non solo in caso di difficoltà, ma è necessaria per un carattere preventivo, prima che insorgano problemi. È un’opera di cura nei confronti dell’attività professionale.

64
Q

La capacità di educare dell’educatore professionale è naturale o deriva da un’intensa opera di professionalizzazione?

A

La risposta alla precedente domanda darebbe vita a due immagini di educatore:
-un educatore caldo, genitoriale, emotivamente coinvolto, intuitivo, unico;
-un educatore freddo, tecnicista, distaccato, riproducibile in serie.
L’educatore professionale dovrebbe essere un insieme di questi due aspetti

65
Q

Cosa vuol dire che “i caratteri di indefinitezza sono propri del lavoro educativo e ne connotano la specificità”?

A

Il fatto educativo è di per sé indeterminabile, ovvero non possiamo controllare tutte le variabili (come invece può accadere all’interno di un laboratorio). Questa indefinitezza, questa non possibilità di stabilire a priori quello che accadrà, è qualcosa di tipico del lavoro educativo. Ciò non significa cedere all’improvvisazione, significa essere capaci di reagire all’imprevisto. Il professionista cerca di tenere sotto controllo le variabili che può tenere sotto controllo. È consapevole degli imprevisti che possono succedere, e il suo essere professionista sta proprio nel rispondere in maniera flessibile a questi imprevisti.
Agiamo con le persone, non con numeri o cose. Attenzione alle generalizzazioni, perdiamo di vista l’individuo. Guardare chi ho davanti, significa riconoscere la specificità e unicità di chi ho davanti. Ogni individuo è diverso dagli altri.

66
Q

Cosa vuol dire “Lavorare secondo il paradigma della complessità”?

A

L’educazione è un evento complesso, problematico e instabile e richiede all’educatore di abbandonare la tendenza comune a considerare solo le parti (riduzionismo) o a considerare solo il tutto (olismo) e adottare il paradigma della complessità:
- il pensiero complesso permette all’educatore non solo di trarre sapere dall’esperienza tramite una continua riflessività, ma anche di mantenere la consapevolezza sul proprio stato emotivo
- il professionista dell’educazione deve essere capace di cogliere i nessi tra i saperi specialistici e riconoscere che un problema può trovare risposta anche in ambiti molto lontani e diversi da quello in cui si è generato il problema stesso.

67
Q

Cosa vuol dire che l’educazione è un “sistema di sistemi”?

A

Ovvero il sistema della relazione, formato dal sistema dell’educando e dell’educatore, che si condizionano e si trasformano a vicenda. Nel momento in cui intervengo con una persona, non sto agendo soltanto sulla persona ma su tutto il sistema a cui questa persona afferisce. Ogni cambiamento si riverbera sulle reti, relazioni, sui contesti. Nel momento in cui l’educatore entra in relazione, entra come soggetto facente parte di quel sistema, per forza sarà soggetto anche egli stesso al cambiamento. Sono due sistemi che dialogano e si modificano vicendevolmente.

68
Q

Cosa vuol dire che l’educatore è “un mediatore di due mondi”?

A

Come possiamo mediare tra il mondo del sapere autorevole del linguaggio professionale specifico, e il mondo del sapere non autorevole, comune, quotidiano? Dobbiamo “essere comprensibili senza perdere in professionalità. La semplicità è il punto d’arrivo”. Quindi semplificare il linguaggio scientifico quando si deve trasmettere conoscenze specifiche all’educando o alla famiglia. Tale semplicità va nella direzione della comprensibilità del concetto. Dobbiamo esprimere concetti complessi con termini semplici, senza banalizzare, ma rendendo il messaggio comprensibile all’altro.

69
Q

Cosa intendiamo quando diciamo che:
-l’educazione ha carattere dinamico
-educare significa occuparsi dell’intero
-l’educatore è un ricercatore
-L’educatore è l’esito e l’origine di un processo intenzionale
-L’educatore è un custode della parola
-L’educatore è una figura di connessione

A

. L’educazione ha un carattere dinamico
Si compie all’interno di una relazione che è instabile, soggetta all’imprevisto e al cambiamento
. Significa “occuparsi dell’intero”
Occuparsi non solo di ciò che è qui ed ora ma di ciò sarà, sempre in un’ottica di formazione interdisciplinare dell’educatore.
. L’educatore è un ricercatore:
è un rappresentante autorevole del sapere pedagogico, deve conoscere e aggiornarsi profondamente sulla materia.
. L’educatore è l’esito e l’origine di un processo intenzionale:
diventiamo professionisti grazie ad un processo intenzionale di educazione, e a nostra volta diamo inizio a processi intenzionali di educazione, una volta diventati educatori.
. L’educatore è un custode della parola:
dobbiamo dare importanza al linguaggio, al significato preciso delle parole, essendo a conoscenza della valenza pedagogica delle parole.
. L’educatore è una figura di connessione:
l’educatore è il punto d’incontro tra le diverse professioni della cura.

70
Q

Cosa significa perseguire la prossimità e abitare la distanza?

A

Nel corso della relazione educativa è necessario perseguire la prossimità ed essere allo stesso tempo consapevoli delle differenze tra educatore ed educando, abitando la distanza.

Perseguire la prossimità
* L’educazione è un “fare insieme” e per poter fare insieme è necessario essere a contatto
* La prossimità risiede nella capacità di pensare l’altro e di sentirsi a nostra volta pensati
* Si tratta della capacità di stare-con, di dedicare tempo e continuità all’altro, provare nei suoi confronti simpatia e interesse autentici, avvicinarsi con delicatezza e rispetto
* Non è facile reggere l’intimità implicita in questo genere di approccio, poiché essa comporta la rinuncia a indossare la maschera del ruolo e richiede il coraggio di sostenere lo sguardo dell’altro

Abitare la distanza
* È necessario essere consapevoli dell’asimmetria di di ruolo tra l’educatore e l’educando, che si divide in responsabilità e direzionalità. L’educatore ha la responsabilità della relazione. La direzionalità della reazione va verso l’autonomia dell’educando, e questo non può avvenire senza asimmetria (il rischio di una relazione simmetrica riguardano mantenere il soggetto come eterno adolescente, che non si prende mai delle responsabilità; confusione dei ruoli, l’educatore non è un amico).
* La distanza tra l’educatore e l’educando è cruciale perché offre all’educatore la possibilità di una visione progettuale, di dare spazio alla riflessività, permette l’analisi critica, lascia all’altro lo spazio necessario per crescere, tutela la sua e la nostra differenza e permette lo scarto necessario per interrogare tutto quello che nella frenesia del fare viene dato per scontato
* Per guardare lontano (oltre il qui ed ora) è indispensabile guardare DA lontano
* Bisogna sfruttare al massimo quella che Vygotskij definisce come “zona di sviluppo prossimale”: l’educatore deve costantemente domandarsi se la sua azione permetta all’altro di esprimere la sua originalità, oppure se non stia inconsapevolmente soffocando la sua possibile evoluzione sostituendosi a lui.
* Abitare la distanza è una virtù relazionale indispensabile per l’educatore; permette di essere empatici senza confondersi con l’altro e di rispondere all’emergenza.

71
Q

Cosa sai dirmi della fine della relazione educativa?

A

-Un rapporto educativo non è mai per sempre, perché la fine è intrinseca nella sua natura.
-La relazione deve finire, perché la fine della relazione segna l’inizio della vita dell’altro. È una relazione che si gioca per capacità sottrattiva. Quanto più il soggetto si sviluppa in termini di autonomia, tanto più l’educatore si ritrae.
-Dobbiamo evitare di formare legacci (quei fili relazionali che nel momento in cui mi distanzio diventano cappi che soffocano, non rendono autonomi).
-Dobbiamo cercare di formare legami (vincoli con l’altro che si possono consolidare anche attraverso lo scioglimento, nell’allontanamento dell’altro: è qualcosa di profondo che interiorizzo e mi porto dentro, che realizzo all’interno della mia prassi quotidiana).
-L’atto della chiusura della relazione diventa esso stesso un atto di cura verso l’altro. Significa anche che nel momento in cui termina questa relazione, sto lasciando all’altro quello che può essere definito un “bagaglio leggero” (il bagaglio pesante è un intralcio che non lo fa vivere). Dobbiamo Sarà un esserci differente, che l’educando realizzerà nel momento in cui attingerà a quel bagaglio.

72
Q

Cosa ha a che fare l’educatore con il concetto di sostenibilità?

A

L’educatore deve educare ad una cittadinanza attiva e responsabile. Questo comprende lo sviluppo di competenze e atteggiamenti che rendono possibile il vivere in modo più sostenibile. Significa cambiare i modelli di consumo, di produzione, gli stili di vita, per trasformare le nostre società sia a livello individuale che a livello collettivo.

73
Q

Che cos’è il quadro GreenComp e di che dimensioni si compone?

A

Nel 2022, il Centro comune di ricerca (detto jrc) della commissione europea ha pubblicato un nuovo quadro di competenze relative alla sostenibilità nell’ambito dell’apprendimento permanente. Il quadro GreenComp può essere utilizzato in programmi di istruzione e formazione in contesti formali, non formali e informali e per studenti di qualsiasi età.
L’obiettivo è promuovere una mentalità orientata alla sostenibilità aiutando a sviluppare le conoscenze, le abilità e le attitudini necessarie per pensare, pianificare e agire con empatia, responsabilità e attenzione per il nostro pianeta.

Si compone di 12 competenze organizzate in 4 macro dimensioni:
1. Incarnare i valori della sostenibilità
(Competenze: attribuire valore alla sostenibilità, difendere l’equità, promuovere la natura)
Significa che l’obiettivo ultimo è portare una riflessione sul fatto che ciascuno può scegliere- e quindi incarnare e dare priorità- a determinati valori. Certamente il valore della salute personale è strettamente legato a quello del pianeta per cui la qualità ambientale si va a legare ai concetti di equità e giustizia. Di qui, l’importanza di sviluppare un atteggiamento empatico e di connessione non solo verso le altre persone ma anche verso il pianeta stesso.
2. Accettare la complessità nella sostenibilità
(Competenze: pensiero sistemico, pensiero critico, definizione del problema)
Afferiscono a quest’area le competenze relative al pensiero critico, sistemico, di problem solving favorendo un atteggiamento una visione olistica della realtà e della sua complessità
3. Immaginare futuri sostenibili
(Competenze: senso del futuro, adattabilità, pensiero esplorativo)
Pensiero esplorativo e adattabilità. Rappresentano un requisito fondamentale in termini di competenza per essere capaci di intendere il futuro quale opportunità aperta e come qualcosa che può essere modellato collettivamente. Ciò richiede la possibilità, oltre che la capacità, di analizzare il presente cogliendo nella sua complessità, nella sua dimensione di sistemi che interagiscono fra loro, che si influenzano e si trasformano vicendevolmente. Certamente la creatività, l’immaginazione e la consapevolezza delle proprie emozioni incidono notevolmente sulla capacità di immaginare futuri alternativi e possibili.
4. Agire per la sostenibilità
(Competenze: agentività politica, azione collettiva, iniziativa individuale)
Quest’area richiama fortemente gli assunti freiriani, in quanto riguarda l’agire in contesto come agenti di cambiamento in senso globale, avendo cioè impatto a partire dalle situazioni locali fino ad estendersi a quelle globali. Agire in senso sostenibile significa incarnare in contesto i valori della sostenibilità che consentono di tratteggiare dei futuri sostenibili

Da quanto su esposto emerge che tutti gli apprendimenti (formali, informali e non formali) sono attivamente coinvolti per lo sviluppo di tali competenze, in tutte le età della vita: a partire dall’infanzia, per renderle sempre più contestualizzate, concrete ed incarnate in età adulta. Significa consentire sin da piccoli, ma specialmente in età adulta, di superare il gap fra la conoscenza di un problema e l’agire intenzionale su di esso.
Il GreenComp può divenire uno strumento capace di sostenere -nel caso degli adulti- la formazione di persone capaci di pensare in modo critico e sistemico, capaci di vivere nel presente ma anche di immaginare e praticare azioni per un futuro sostenibile.

74
Q

In cosa consiste a legge 205/17, e cosa dice in particolare il comma 594?

A

La legge 205/17
Sancisce giuridicamente le professioni di pedagogista e di educatore socio-pedagogico, i cui ambiti di intervento professionale sono stati ulteriormente definiti e perfezionati con il comma 517 della legge di bilancio del 2019, che li ri-estende all’ambito socio sanitario, limitatamente agli aspetti socio-educativi.

Comma 594
-L’educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano nell’ambito educativo, formativo e pedagogico, in rapporto a qualsiasi attività svolta in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, in una prospettiva di crescita personale e sociale, secondo le definizioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, perseguendo gli obiettivi della Strategia europea deliberata dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000.
-Le figure professionali indicate al primo periodo operano nei servizi e nei presìdi socio-educativi e socio-assistenziali, nei confronti di persone di ogni età, prioritariamente nei seguenti ambiti: educativo e formativo; scolastico; socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi; della genitorialità e della famiglia; culturale; giudiziario; ambientale; sportivo e motorio; dell’integrazione e della cooperazione internazionale.

75
Q

Secondo Freire, insegnare esige…? (discusso a lezione)

A

Secondo Freire, insegnare esige:
* Insegnare esige rigore sistemico
Quando si vuole conoscere un determinato oggetto bisogna avvicinarsi ad esso con rigore sistemico. La conoscenza non deve essere superficiale, ma critica e riflessiva. Per poter produrre conoscenza in questi termini è necessaria la presenza di educatori ed educandi estremamente creativi, curiosi, umili, che si pongono dubbi, provocatori.
* Insegnare esige ricerca
La conoscenza non è statica, ma dinamica, in continuo mutamento; necessita quindi di continua ricerca e formazione.
Esistono due tipi di curiosità:
-la curiosità ingenuaquel sapere che deriva dalla semplice esperienza;
-la curiosità critica porta ad un sapere basato su processi rigorosi ed è il superamento della curiosità ingenua.
Questo esplica una grossa responsabilità dell’educatore nei confronti della coscienza critica dell’educando, dato che il “passaggio” dall’ingenuità alla criticità non avviene in modo automatico.
* Insegnare esige rispetto nei confronti dei saperi degli educanti
Per l’insegnante è necessario rispettare i saperi degli educanti, specialmente quelli provenienti da classi sociali svantaggiate. È necessario discutere con gli alunni sulla realtà concreta a cui poi collegare la disciplina di cui si sta insegnando il contenuto, stabilendo così una sorta di “intimità” tra i saperi curriculari fondamentali per gli studenti e la loro esperienza che li caratterizza come individui.
* Insegnare esige estetica ed etica
La pratica educativa deve essere una testimonianza di moralità e purezza, poiché se si vuole rispettare la natura umana, l’insegnamento dei contenuti non può essere scisso dalla formazione morale dell’educando.
* Insegnare esige che si dia corpo alle parole attraverso l’esempio
L’insegnante può dare il buon esempio mettendo in pratica quanto dice.
* Insegnare esige rischio, accettazione del nuovo rifiuto di qualsiasi discriminazione
Produrre conoscenza implica il rischio di ribaltare conoscenze apprese nel passato; assumendosi la responsabilità di questo rischio, si accetta il nuovo. Un altro concetto fondamentale dell’autore è il rifiuto verso qualsiasi forma di discriminazione: qualsiasi pregiudizio di razza di classe o di genere.
* Insegnare esige riflessione critica sulla pratica
Per far evolvere il pensiero ingenuo in pensiero critico è necessario riflettere sulla pratica.
* Insegnare esige riconoscimento e l’assunzione dell’identità culturale
Uno dei compiti più importanti della pratica critico-educativa è favorire le condizioni in cui gli educandi possano fare esperienze profonde elevando (assumendo) sé stessi a soggetti. Questo è incompatibile con la concezione di addestramento pragmatico di chi si ritiene padrone della verità e del sapere complesso.

76
Q

Cos’è la cura? Che caratteristiche ha?

A

La cura è pratica.

La cura è un’attività:
-che implica precise disposizioni e mira a precise finalità
-la cui caratteristica è quella di soddisfare i bisogni degli altri
-richiede investimento di tempo e di energia
-orientata all’altro e a ciò che all’altro procura beneficio
-necessaria per coltivare ogni aspetto della vita umana: sia quello materiale che quello immateriale (la vita cognitiva, emotiva e spirituale). Perciò per svolgere appieno la sua funzione, colui che ha-cura deve impegnare tanto le proprie energie fisiche quanto quelle cognitive, emotive e relazionali.

77
Q

In base a cosa è analizzabile la pratica dell’aver cura?

A
  • L’oggetto a cui si dirige:
    Prendersi cura ed aver cura sono entrambi modi costitutivamente originari della cura. La differenza fondamentale fra prendersi cura delle cose utilizzabili ed aver cura per gli altri è che la relazione con le altre persone non è quella della semplice presenza, ma una “cura per”.
  • La direzione e lo scopo che la muove
    La direzione autentica della cura è quella in cui si sa conservare l’altro nella sua essenza: la costudisce e la coltiva. L’interpretazione inautentica della cura è quella in cui ci si rapporta alle cose e ci si relaziona con gli altri secondo la logica della prensione che struttura la relazione di cura del controllare e manipolare
  • L’atteggiamento relazionale che la sostiene
    Che si esprime in:
    -Occuparsi riguarda il procurare cose necessarie a conservare, riparare e promuovere la qualità della vita, senza un investimento personale, come una serie di mansioni da svolgere. È un agire neutro.
    -Preoccuparsi è un prendersi a cuore, coinvolgimento personale cognitivo ed emotivo. Può realizzarsi come avere premura, dedizione o devozione.
  • La ragione generativa della responsabilità di cura
    Può dividersi in:
    -Cure: azioni orientate a rispristinare lo stato di salute, porre rimedio, riparare.
    -Care: azioni volte a monitorare, proteggere, dedicare attenzione, avere considerazione.
  • La qualità della relazione
    Che può essere:
    -Simmetrica: la responsabilità è distribuita nella diade relazionale, c’è reciprocità di cura
    -Asimmetrica: la responsabilità è assunta da uno dei soggetti. Non c’è reciprocità di cura intenzionale.
  • Il riconoscimento di cui necessita
    Si distingue in:
    -Gratuita: A seconda del tipo di relazione entro la quale viene attuata, la cura assume le caratteristiche di una pratica gratuita, che qualcuno mette in atto perché agisce secondo il principio dell’agapé (amore immenso e disinteressato) inteso come senso di responsabilità per altri. Esiste un lavoro di cura che ha bisogno solo di un riconoscimento simbolico, ed è quello materno, amicale, parentale.
    -Retribuita: lavoro retribuito agito all’interno di organizzazioni
78
Q

Qual è l’essenza della cura? (Con “essenza della cura” intendiamo gli indicatori empirici dell’aver cura, in cui si sa trovare la giusta misura del rapporto con l’altro.)

A

-Ricettività: La postura ricettiva è essenziale per la cura, e consiste nell’essere capaci di fare posto all’altro, ai suoi pensieri e ai suoi lineamenti, al fine di percepire le sue richieste. La ricettività richiede una profonda capacità di ascolto per comprendere ciò che l’altro cerca di comunicare.
-Responsività: ovvero saper rispondere in modo adeguato ai segnali dell’altro. Implica presenza attiva e vigile.
-Disponibilità emotiva e cognitiva: Per praticare la cura in modo adeguato è necessario essere disponibili sia emotivamente che cognitivamente, mettendo a disposizione le proprie capacità e risorse personali nella relazione con l’altro.
-Empatia: consente di sentire la realtà dell’altro e di aprire un ascolto partecipe che salvaguarda la sua irripetibile singolarità. L’empatia non implica fusione affettiva o identificazione, ma una capacità di sentire pensoso che tiene l’altro nella sua posizione di trascendenza rispetto a noi, ovvero rinunciare ad ogni forma di potenza e situarsi in una passività che tiene conto dell’altro.
-Attenzione sensibile: per comprenderne il modo d’essere, le capacità e i desideri, e per prestare attenzione sensibile e vigile al suo vissuto, affinché nulla vada perduto. Prestare attenzione rappresenta la prima forma di cura ed è la matrice dell’atteggiamento eticamente orientato.
-Ascolto: non solo permette di acquisire conoscenza dell’altro, ma anche di comunicargli la considerazione e il rispetto che gli sono dovuti come persona. Quando si dedica tempo e attenzione all’ascolto dell’altro, si mette al centro la sua persona e si cerca di comprendere ciò di cui ha bisogno per vivere una vita degna. Ascoltare richiede di fare uno spazio dentro di sé per l’altro.
-Passività attiva: implica essere presenti nell’assenza di sé, offrendo una cura autentica, senza mai sostituirsi all’altro.
-Riflessività: considerare ogni situazione come unica e singolare richiede un continuo interrogarsi sull’esperienza che si sta vivendo. La riflessione retrospettiva consente di valutare la qualità del proprio agire e di ridefinire le proprie modalità di gestione della relazione di cura (riflessione in azione, sull’azione, per l’azione).
-Avere cura di sé: Questa pratica è necessaria per salvaguardare sia chi ha cura che chi riceve cura, è nostra responsabilità evitare il burnout tramite la cura di sé.
-Il sentire nella cura: Il sentire nella cura implica l’importanza delle emozioni e dei sentimenti nella pratica di cura (fiducia, accettazione, serenità, tenerezza e la compassione).
-Competenza tecnica: Ogni relazione di cura richiede le sue specifiche tecniche. Quella educativa richiede che l’educatore si eserciti ad acquisirne varie tipologie.