Domande a risposta aperta Flashcards
1) Indicare tre elementi in comune tra il giapponese e le lingue uralo-altaiche.
Lo studioso Fujioka Katsuji fu uno dei primi ad esplorare l’ipotesi della correlazione tra il giapponese e le lingue uralo-altaiche, già nel 1908. Egli, sulla base dei tratti comuni di questi due gruppi linguistici, aveva predisposto una lista di 14 peculiarità come base per la sua comparazione, che, seppure verrà in seguito criticata, costituisce un punto di partenza condiviso per trattare il giapponese in prospettiva comparativa. Questi sono:
1. Non si verifica nessun nesso consonantico in posizione iniziale di parola
2. Non esistono parole indiigene che iniziano con il fonema /r/
3. Presenza dell’armonia vocalica
4. Assenza di articoli
5. Assenza della distinzione di genere grammaticale
6. Flessione verbale realizzata con elementi di suffissazione
7. Presenza di molti tipi di terminazione verbale
8. Declinazione pronominale realizzata con l’uso di particelle
9. Posposizioni in luogo di preposizioni
10. Nelle espressioni di possesso vengono utilizzati i verbi di esistenza
11. Nei comparativi il secondo termine di paragone viene indicato con la particella ablativa ‘da’
12. Nelle proposizioni interrogative una particella interrogativa è legata alla fine della frase
13. Presenza limitata di congiunzioni
14. Il modificatore precede il modificato e l’oggetto precede il verbo (SOV)
Le affermazioni di Fujioka sono sicuramente veritiere. Tuttavia, esse si basano su delle astrazioni, limitandosi a indicare le correlazioni e le similitudini tipologiche, spesso privative, tratti che possono essere comuni anche in lingue che non sono genealogicamente collegate. Dunque, non si fa un corretto uso del metodo comparativo, alla base degli studi sulla linguistica moderni.
2) Indicare quali possibili rapporti esistono tra giapponese e Ainu.
L’ipotesi di imparentamento del giapponese con le lingue parlate dagli Ainu si inserisce nel più ampio contesto di ricerche definito “settentrionale”. Molte delle prime ricerche che hanno indagato la possibilità di un legame tra giapponese e ainu hanno fornito conclusioni negative e si potrebbe affermare che queste siano state intraprese più per la vicinanza geografica dell’area in cui l’ainu viene utilizzato che per le sue caratteristiche strutturali. Il risultato al quale si è prevenuti è che le similitudini riscontrate non siano altro che prestiti. Dunque, ci sarebbe stato un contatto linguistico storico, ma le due lingue non avrebbero un’affiliazione genetica comune.
3) Quali sono le tre categorie lessicali che si basano sull’origine della parola?
Le tre grandi categorie di termini che costituiscono il lessico della lingua giapponese sono:
1. Wago o Yamato kotoba, ovvero le parole di origine giapponese.
2. Kango, ovvero le parole di origine cinese.
3. Katakanago, chiamati anche Gairaigo, ovvero parole di origine estera. Quasi sempre si tratta di prestiti da lingue occidentali. Tuttavia, questo concetto è molto labile, dal momento che anche i kango rientrano nella categoria dei prestiti. Dunque, è possibile accomunare questi due gruppi all’interno di una più ampia sfera, quella dei cosiddetti shakuyogo, cioé i “prestiti linguistici”
4) Quali caratteristiche fanno supporre che il giapponese possa avere un’origine maleo - polinesiana?
- Plurale ottenuto tramite ripetizione di uno stesso morfema
- Bisillabicità delle parole
- Aggiunta di prefissi per rafforzare l’aggettivo
- Semplicità del sistema vocalico
- Perdita della labialità nel fonema /p/ a inizio parola
5) Il giapponese e il coreano sono lingue sorelle secondo Vovin?
No, non lo sono. Vovin Alexander, che inizialmente fu a lungo sostenitore della correlazione tra giapponese e coreano, nel 2010 presentò un’analisi che gettò una nuova luce sulla vicinanza delle due lingue, nella sua opera Koreo-Japonica. A re-evaluation of a common genetic origin. Secondo Vovin, le somiglianze tra giapponese e coreano sarebbero dovute ad un contatto linguistico e non a una comune origine genetica. Secondo l’analisi operata, che si basa sull’osservazione del giapponese antico occidentale (Western Old Japanese), dei dialetti delle Ryukyu e del giapponese antico orientale (Eastern Old Japanese), i tratti comuni con il coreano riguarderebbero principalmente la varietà parlata nel Giappone occidentale durante i periodi Nara e Heian. A quell’epoca, l’influenza coreana si limitava, infatti, al centro culturale del Giappone, situato nella regione del Kansai. La parte orientale del Giappone e le isole Ryukyu furono dunque esenti da questa influenza e non presentano alla stessa maniera i tratti comuni osservabili nell’altra varietà. Questo porta dunque alla conclusione che ci sia stato un contatto linguistico storico e storicamente comprovato tra la penisola coreana e l’area allora culturalmente più importante del Giappone. Secondo Vovin, anche la tipologia dei tratti comuni sarebbe tipica del contatto linguistico, che si potrebbe definire “moderno”, in quanto successivo alla formazione della lingua.
6) Perché non ci sono dubbi sul fatto che il giapponese e le varietà ryukyuane hanno una comune origine?
Osservando, ad esempio, dei lessemi appartenenti al giapponese standard e al dialetto di Hateruma, una delle isole dell’arcipelago delle Ryukyu, sarà possibile notare come ci siano una serie di corrispondenze sistematiche di morfemi e fonemi. Questo permette di accumunare la lingua giapponese e le varietà delle Ryukyu, sotto il più generale gruppo delle lingue ‘japonic’.
7) Qual è l’ultima teoria (1980) di Ono Susumu sull’origine della lingua giapponese?
Secondo una nuova ipotesi, illustrata nella sua opera Nihon no seiritsu, Ono sostiene una possibile correlazione tra il giapponese e le lingue dravidiche. Egli afferma che le prime forme di lingue parlate nell’arcipelago giapponese attorno all’VII millennio a.C. avevano un inventario fonologico molto semplice di derivazione austronesiana o papua. Nel medio Jomon (ca. 3500 a.C.) il proto-tamil si sarebbe sovrapposto alla base originaria in conseguenza delle migrazioni verso oriente della gente tamil. Successivamente, nel periodo Yayoi (ca. 3000 a.C.) una lingua altaica avrebbe introdotto altri elementi, a cui la gente tamil non si sarebbe adattata. Questa teoria attirò pesanti critiche e, effettivamente, si tratta di studi probabilmente influenzati dalle ricerche di geografia preistorica e mossi a partire dalla ricerca di prove linguistiche preistoriche, rendendoli forzati.
8) Spiega brevemente come sono utilizzati i caratteri cinesi nel sistema di scrittura del periodo Nara.
Semplificando, è possibile dire che i caratteri cinesi venivano usati per il loro valore fonetico (jion) che li rendeva adatti a trascrivere parole giapponesi, oppure per il loro valore semantico. In quest’ultimo caso
parole giapponesi venivano rappresentate graficamente con caratteri che in cinese erano utilnzati per scrivere I’equivalente semantico della parola giapponese; la lettura del carattere corrispondeva alla forma fonica giapponese. Dall’attribuzione di due “letture” per ogni carattere (jion di origine cinese e jikun giapponese) risulta anche la possibilità di usare entrarnbe le pronunce per trascrivere parole giapponesi. Ai logogrammi cinesi, quindi, anche se usati solo per il loro valore fonetico (in questo senso vengono definiti kana ‘parole prese a prestito’), poteva essere attribuita
la pronuncia di origine cinese o quella giapponese definendoli rispettivamente
ongana e kungana.
9) Come era letta la consonante [s] davanti alla vocale i nel periodo Nara?
Nel periodo Nara, per quanto riguarda la sibilante alveolare sorda /s/ sono state ipotizzate le seguenti realizzazioni: /s/ davanti a /i/ e /e/; [ts] negli altri casi; oppure, secondo un’altra ipotesi, [tJ] davanti a li, e, o/ della serie B e [ts] negli altri casi; sembra comunque condiviso che lareahzzazione del fonema
/s/ fosse diversa dall’attuale.
10) Perché si ipotizza che per alcune vocali esistesse una doppia serie?
Sulla fonologia e le sue connessioni con aspetti della morfosintassi del giapponese antico si sono concentrati gli sforzi di molti studiosi giapponesi. Già alla fine del 18° secolo Ishizuka (1764-1823), allievo di Motoori Norinaga, nel Kanazukai oku no yamamichi (Le vie segrete dell’uso dei kana, 1798) scrive della possibile esistenza di tre ulteriori vocali nell’inventario fonologico del giapponese antico in aggiunta alle cinque del giapponese moderno che sarebbero scomparse prima del 10° secolo. Sulla scia di tale ipotesi, a cavallo della Seconda guerra mondiale, studi dettagliati e metodologicamente più sistematici giungono ad una descrizione della fonologia del giapponese antico basata sulla ricostruzione puntuale del valore fonetico attribuito ai caratteri cinesi usati nelle fonti per trascrivere parole giapponesi. Queste analisi, che hanno portato alla ricostruzione del cosiddetto tokoshu kanazukai, sono basate sull’osservazione che le serie di caratteri cinesi, letti nel giapponese moderno con uguali valori fonetici, non erano mai utilizzate in maniera intercambiabile. Si è dunque giunti alla convinzione che l’inventario fonologico dovesse essere differente da quello attuale, ed in particolare che le vocali fossero più numerose delle cinque del giapponese standard.
11) Quali sono le vocali che si ipotizza avessero una doppia serie?
La descrizione classica dell’inventario delle vocali del giapponese antico prevede, oltre ad a e u, presenti anche nel giapponese moderno, altri sei fonemi costituiti da una doppia serie (ko e otsu in giapponese, A e B nella lettura occidentale) di e, i e o, convenzionalmente trascritti in caratteri latini come e e i,i e i, o e o oppure, secondo una convenzione più recente, e1 e e2, i1 e i2, o1 e o2. L’ipotesi di un inventario fonologico del giapponese antico con otto vocali è largamente condivisa ed è generalmente data come acquisita in tutta la letteratura manualistica giapponese.
12) Come si utilizzava, generalmente, al posto dei pronomi personali di terza persona singolare?
L’uso della 3° persona è piuttosto raro, caratteristica questa che lascia indiretti riflessi sino ai giorni nostri: la designazione della terza persona veniva affidata ai dimostrativi, il cui sistema morfologico e semantico è
strettarnente legato ai deittici spaziali.
9) Elencare i tipi di onbin.
Con il termine onbin (‘eufonia’) gli studiosi giapponesi descrivono il fenomeno di elisione consonantica (con conseguente formazione di nessi vocalici, che interessano le vocali i e u), sostituzione di sillabe con labiale nasale (-mu) o con nasale dentale consonantica (/N/) e geminazione consonantica. Si parla rispettivamente di: i onbin, u onbin, hatsu onbin e sokuonbin.
10) Quale onbin prevede un processo di geminazione consonantica?
La geminazione consonantica (sokuonbin) si ha nella “forma di
congiunzione” dei verbi della 1° coniugazione (yodan) con radice terminante in -t e in -r come nel caso di Fatte< Fatu + te invece di Fatite (‘iniziare’) o di woFatte< woFaru + te invece di woFarite (‘terminare’) e neltra stessa forma dei verbi della 8° coniugazione (ragyo henkaku) come in atte < aru + te invece di arite (‘esserci’). Anche in questo caso, nei testi scritti spesso non si trova traccia grafemica della geminazione
che inizia a diffondersi dal periodo successivo.
11) Secondo la pronuncia del periodo Heian, come era pronunciata la parola おとこ?
Si verifica un caso di assimilazione:la non distinzione di
/o/ e /wo/ ad inizio di parola si nota già in maniera sporadica nel 9° secolo, sempre legata a determinate forme lessicali, e diviene molto consistente
dagli inizi dell’11° secolo, con assimilazione delle due sillabe che assumono il valore unico di /wo/. In tal modo le forme lessicali che nel periodo di Nara avevano o- ad inizio di parola vengono ora pronunciate con una
semivocale prima della vocale (wo-).