Dalla tavola alla cucina Flashcards

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Q

Gli scritti degli storici

A

Storici di professione che hanno trovato nelle loro ricerche elementi gastronomici e hanno deciso di tramandarli ai posteri.

  • Monaco Donizone – poema Vita Mathildis (inizio XII secolo). Narrò i fatti di Matilde di Canossa e della sua famiglia d’origine.
  • Lunga descrizione del banchetto nuziale dei genitori di Matilde (Bonifacio di Canossa e Beatrice di Lorena), che sembra un paese di cuccagna dal quale si attinge il vino dal pozzo e le spezie sono macinate al mulino, come se fossero reperibili allo stesso modo di cereali.
  • Salimbene de Adam – cronache del Medioevo italiano (XIII secolo). Documentò gli avvenimenti storici del suo tempo unendo anche molte testimonianze personali e scene di vita quotidiana.
  • In una fonte del 1238 ci parla di differenziazioni sociali nei conventi: da quando si è fatto frate mangia solo cavoli. I monaci, infatti, non sono abati: i primi mangiano legumi, i secondi portate di carne.
  • Fonte del 1248: attestazione di un pranzo regale per omaggiare Luigi IX, ospite dei minori francescani. Ora vengono serviti ciliegie, pane bianchissimo e vino abbondante.
  • In una fonte che narra il banchetto nuziale di un nipote di Innocenzo III a Genova, mostra di disapprovare l’eccesso, pur senza tuonarvi contro. Si lascia andare a pensieri nostalgici per il passato, quando gli «uomini primitivi si accontentavano dei cibi creati dalla natura» senza ricercare raffinatezze attraverso la cucina. Il tutto per aver visto dei ravioli fatti senza l’involucro di pasta…
  • Bernardino CorioHistoria di Milano (XVI secolo):
  • Una fonte cinquecentesca ci parla di un banchetto milanese avvenuto nel 1368, in occasione delle nozze di Lionello d’Anversa, figlio di Edoardo III d’Inghilterra, con Violante Visconti. È un esempio eccellente per dare uno sguardo sui banchetti trecenteschi, organizzati all’insegna dello sfarzo e dell’artificiosità (a tal punto che una fonte ci parla di un banchetto probabilmente svoltosi a Roma nel 1473, dove il redattore descrive prima il «cibo» distribuito, poi la sua «representatione»). A catturare l’attenzione dei cronisti trecenteschi, come in questo caso, è la doratura di tutte le vivande, l’argenteria del vasellame e la presenza di grossi massi di carcasse al centro della tavola. Tutte le portate sono costituite da carne.
  • Pietro VerriStoria di Milano (fine Settecento)
  • Descrive il lungo e grandioso pranzo di Giangaleazzo Visconti nel 1395 stigmatizzandone gli eccessi e la «stomachevole abbondanza». Riporta l’usanza di collocare al centro della tavola dei pezzi enormi di maiale, vitelli, orsi, cervi rivestiti con la loro pelle naturale e internamente arrostiti.
    Allo stesso tempo, però, prova una sorta di nostalgia per quel tempo passato, quando «gli uomini erano più colti e raffinati».
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Q

Uomini e lettere che viaggiano

A

Sono uomini che scrivono di cucina per varie ragioni: per raccontarla, per impartire consigli oppure perché si tratta di un argomento tra gli altri che interessa, colpisce e piace.

  • Liutprando da Cremona – relazione sull’ambasceria presso l’imperatore d’Oriente Niceforo II Foca (968).
  • Francesco di Marco Datini, mercante di Prato buongustaio – epistolario (seconda metà XIV secolo).
  • Descrizione della composizione dei brodi/brodetti, con formaggio grasso, salsa di mandorle, spezie e zucchero.
  • Nelle sue spese un ruolo di spicco, in virtù della sua valenza simbolica di distinzione sociale, è riservato alle carni (vitella, selvaggina da piuma, che potevano costituire anche un pregiato dono alimentare), ma scrive anche di pesce, verdure e legumi.
  • Una lettera molto nota è quella che gli scrisse il suo medico, Lorenzo Sassoli, nel 1404, per elencargli quello che avrebbe dovuto essere il suo vitto ideale, a cominciare dalle qualità delle carni: vitella, castroni, capretti, da accompagnare con alimenti che permettono al corpo di spurgare attraverso l’urina, come aceto e asparagi. Alcuni alimenti invece sono da evitare: alcune carni (paperi, anatre, maiale), il formaggio e le vivande fritte. Naturalmente Francesco deve poter godere di quello che mangia, e allora via all’utilizzo di spezie che ingentiliscono il piatto: una «peverada di ceci» viene nobilitata attraverso l’aggiunta di zafferano.
  • La nomea del cardinale Pietro Riario, nipote di papa Sisto IV, dalle lettere di Marsilio Andreasi e Ludovico Genovesi a Barbara Hohenzollern del Brandeburgo (1473). È un uomo dissoluto e incontinente, dedito ai piaceri della tavola: le sue cene sono costituite da tantissime portate, ciascuna intervallata da un intermezzo musicale.
  • Federico I di Gonzaga scrive una lettera (1483) in cui suggerisce a Giovanni Gonzaga di mangiare cassoni riempiti da tortelletti di marzapane e zucchero, visto che i medici ne raccomandano l’uso.
  • Sull’etimologia della parola «marzapane» e sugli ingredienti necessari alla sua preparazione si esprime Ermolao Barbaro in una lettera al cardinale Francesco Piccolomini. Probabilmente deriva dall’accostamento di maza e pane, dove maza indica una pasta di pane. Quello toscano si prepara con mandorle, zucchero, farina e acqua di rosa.
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Q

Fonti religiose

A

Raramente abbiamo indicazioni sulle preparazioni culinarie nelle fonti religiose, considerato che la cucina, in questi ambienti, è vista come una pericolosa raffinatezza che corrompe le anime. Ad esempio, la regola benedettina parla genericamente di «due pietanze cotte» senza menzionarne la composizione.

  • Ma più generosa di informazioni è la regola camaldolese – priore Martino (XII secolo).
    Viene specificato il contenuto delle due pietanze: la prima di erbaggi, la seconda – nelle domeniche e nei giorni di solennità – di pasta di frumento. Il regime alimentare è prettamente vegetale: la carne non è menzionata mai neppure nei giorni di festa, in cui si suole invece mangiare farro, torte, migliacci e la giuncata, bevanda a base di latte. Durante le quaresime, all’eremo devono invece pervenire tortelli e frittelle. Dopo l’Epifania, invece, è concesso il cacio.
  • Innocenzo III – trattato sul disprezzo del mondo (fine XII secolo).
    Si scaglia contro i «golosi», cui non bastano più i cibi semplici, colti e cucinati così come la natura li offre, ma sono alla ricerca di raffinatezze gastronomiche, come spezie e animali grassi, e i cuochi per loro trasformano «la natura in arte». La cucina non sostiene il corpo, ma rinvigorisce la gola e l’avidità.
  • Girolamo Savonarola – predica (1494): la gola è messa al primo posto tra i vizi e i peccati.
  • Salimbene da Parma nella sua cronaca disapprova gli eccessi nella quantità e nella varietà.
  • Bernardino da Siena – prediche (1427): utilizza l’alimentazione come immagine metaforica per parlare ai suoi fedeli (soprattutto alle donne) in maniera semplice e diretta, invitando alla moderazione e al disprezzo delle cose terrene: in una fonte è descritta una scenetta in cui un marito ghiotto, dopo aver chiesto alla moglie una lasagna, si ritrova una mosca sul primo boccone che mette in bocca, perché chi aspira a grandi altezze può spesso ritrovarsi in bassezza.
  • Una visione completamente positiva del cibo è nelle testimonianze di stampo francescano, come nella Vita seconda di san Francesco di Tommaso da Celano (XIII secolo).
    1) Il cibo è una simbolica, ma anche materialissima, ricompensa per la fede dimostrata nella misericordia e onnipotenza del Signore. San Francesco è ammalato e il medico che lo visita è invitato dal santo a restare a pranzo. Nella dispensa però non c’è nulla; Francesco insiste e il medico dimostra di apprezzare il gesto. La loro fede sarà ripagata: una donna bussa alla loro porta con un canestro pieno di pane, pesci e pasticcio di gamberi.
    2) La carne è, secondo san Francesco, obbligatoria nei giorni di festa, anche se questi cadono di venerdì, giorno tradizionalmente di magro.
  • Ci sono molte varianti quaresimali di ricette di grasso, che prevedono l’eliminazione o la sostituzione dell’elemento carneo. Ad esempio, nel manoscritto Toscano appartenente alla famiglia del Liber de coquina, un piatto di ceci viene reso “di magro” mediante l’eliminazione del brodo di carne. Oppure, ci sono ricette che nascono come quaresimali “travestite” e che insegnano come ricreare ingredienti proibiti in quaresima mediante artifizi culinari, come la ricetta per ricreare la ricotta senza prodotti animali (attraverso mandorle pelate), contenuta nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino.
    Ma ci sono anche, come in Iohannes de Bockenheim, ricette che nascono quaresimali e prevedono la variante grassa.
    La pratica dell’alterazione e dell’intervento sugli ingredienti della cucina non serve solo a soddisfare appetiti viziosi, ma per provare, benché in periodi di astinenza, a riportare alla mente il ricordo di gusti amati, creando un repertorio ricco e variegato, grazie alla duttilità d’uso degli ingredienti.
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4
Q

Disposizioni di legge, atti notarili, libri di spese

A

Le scritture giuridiche e amministrative, come statuti cittadini (che recano disposizioni in materie di igiene e di tutela del consumatore), contratti agrari e libri contabili e di spesa, parlano più che altro del prodotto grezzo e non cucinato, ma ci sono a volte delle fortunate eccezioni.

Disposizioni di legge

Tra le disposizioni di legge che disciplinano la vita cittadina e che entrano nel merito del nostro discorso, sono da menzionare le leggi suntuarie e la loro regolamentazione delle pratiche conviviali, come quelle del banchetto. Accanto alle motivazioni morali ed economiche si affiancava una volontà di mettere ordine nell’universo delle apparenze, perché sono queste che marcano le differenziazioni per classi.
Prima del Cinquecento, i legislatori si occupano perlopiù di regolamentare il numero degli invitati e quello delle portate, senza occuparsi nello specifico di cosa si porta in tavola.
Un’eccezione è costituita da:
* Lo statuto senese detto del “Donnaio” (1343), dal nome dell’ufficiale responsabile dell’osservanza di quelle leggi, che regolamenta il banchetto nuziale e quello generale, tra loro molto simili:
1) Non più di tre portate, di cui viene specificato il peso massimale di sei libbre e la natura: la prima costituita da lessi, la seconda dall’arrosto (se si decide di servirne, ciascun volatile costituisce una portata a sé stante), la terza spesso dal marzapane. Oltre a queste, si possono portare in tavola confetti e canditi, soltanto all’inizio e alla fine del pasto, e frutta.
2) Regolamentato anche il numero degli invitati e la tipologia (non gli estranei, ma i parenti, dal cui conteggio sono esclusi i figli e le figlie).

Atti notarili

Raramente si menzionano i prodotti cucinati. Esistono però delle eccezioni:

  • Atto notarile (Asti, 1266) che vincola i conduttori Michele Coparino e Anselmo Focaccia di Govone a corrispondere annualmente al signor Pancia due pranzi per due persone, uno per lui e uno per il compagno che condurrà con sé.
    Il pranzo sarà costituito da prodotti ricercati, come pane bianco, cappone arrosto e limone per aprire lo stomaco.
  • Deposizione dell’anziana Samaritana a Rivalta di Reggio Emilia, nel 1266, a favore dei nipoti Gotulo e Guido, accusati da alcuni canonici di aver preso possesso improprio di un prato. Lei dichiarò che per i nipoti – che lavoravano regolarmente nel prato in loro possesso da generazioni – preparava una sorta di pranzo al sacco costituito da torte, un genere che è presente anche sulle tavole dei nobili, ma la distinzione viene fatta a livello di contenuto.

Fonti di conto

In alcune di queste fonti si nota come la pasta e le torte trionfino sulle tavole italiane.

  • Spesa per la mensa annuale dei priori di Firenze (1344 – 1345), conservata nel codice Ashburnham di Firenze, che spesso dichiara per che cosa servissero gli ingredienti acquistati. Ad esempio, per il biancomangiare vengono comprati dei capponi, delle mandorle e dei pinoli; per la crostata uova, carne secca e salata, spezie dolci e anguille; carne, prodotti vegetali ed erbe come la salvia per le torte (alcune prendono il nome di erbolato, salviata). Vengono acquistate uova e farina per fare la pasta dei ravioli; a volte, invece, la pasta semplice viene acquistata direttamente.
  • Per la mensa del papa Paolo II (i cui registri di conto sono stati studiati da Bruno Laurioux) le uova servono per fare ruffiole (dolci tipici del Veneto a forma di mezzaluna), frittate, pastelli e ravioli. La presenza dello zucchero indica come quasi tutta la colazione sarebbe stata dolce.
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Q

Scrittori di poesie

A

La cucina è un argomento vicino alla letteratura comica e popolare, e anche quando viene incluso in quella alta, tende comunque ad assumere toni burleschi e irriverenti. Nelle poesie, è soprattutto la carne a far da padrona.

  • Gentile Sermini – sonetto posto in appendice a una sua novella: ricetta di una salsa sovrana a base di erbe e spezie, condita con forte aceto;
  • Luigi Polci – Morgante (1483). È un poema eroicomico che mette in scena le gesta dei paladini classici accanto a quelle di alcuni personaggi originali, quali Morgante e il mezzo gigante Margutte.
    1) Margutte fa una professione di fede in cui la Trinità è rimpiazzata dai fegatelli, recuperando i toni di una canzone popolare del Trecento (dice di credere in molte leccornie, tra cui il cappone, il burro, la torta e il tortello).
    2) Margutte descrive sé stesso come un uomo vizioso e tra i suoi vizi si trova quello della gola.
  • Simone Prudenziani – Saporetto con sonetti gastronomici.
    1) Descrizione di un banchetto destinato a sollazzare la corte immaginaria di tal Pierbaldo signore di Buongoverno, dove le portate sono costituite da volatili accostati a verdure umili, come la cipolla accanto a «fasciani», «oche» e «polli» (che subisce quindi un processo di nobilitazione), da tortelli, lasagne e ravioli, e da portate colorate («bianchi savori, verdi e camellini»).
    2) Descrizione di una tavola popolare durante una festività religiosa: le portate sono molto distanti dal nobile banchetto. Fanno la loro comparsa la pasta (lasagne e maccheroni), la farrata, il formaggio e le uova. Per quanto riguarda la carne, non troviamo certamente volatili, da maiale e agnello pasquale.
  • Folgore da San Gimignano – sonetti dei mesi (prima metà del Trecento).
    La destinataria è una brigata nobile e cortese, che può essere attenta alla stagionalità dei cibi e alla differenziazione della propria tavola. La carne è ampiamente menzionata: starne, fagiani, capponi, capretti, manzo, colombi, lepri, caprioli…
  • Giovanni Boccaccio – Ninfale fiesolano (1344 – 46).
    Qui la cucina delle ninfe è semplice: la selvaggina è a base di cinghiale arrostito e servito senza salse, accompagnato solo da pane di castagne. Entrambi i prodotti richiamano un mondo piuttosto selvatico, vicino a una natura che la cucina non ha ancora contaminato.
  • Cenne della Chitarra – ciclo di sonetti dei mesi.
    La destinataria è una «brigata avara senza arnesi». Le carni che compaiono per il mese di luglio sono quella di porco grasso e di volpe guascotta, accompagnata da cavoli (binomio carne + cavoli).
  • Lorenzo de’ Medici – Canti carnacialeschi in cui è contenuto il Canto de’ cialdonai che descrive la preparazione dei cialdoni.
    Da un punto di vista letterale, il canto segue la preparazione di questa prelibatezza tipica toscana, dall’inserimento degli ingredienti al procedimento meccanico; ma c’è anche un significato sotteso: distribuisce lungo il canto una metafora sessuale con immagini fortemente allusive, in cui è evocata una collaborazione tra partner durante l’atto sensuale. D’altronde, il Carnevale è un periodo associato al gioco e alla trasgressione delle norme sociali.
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