Argomenti Trattati A Lezione Flashcards

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Rivoluzione francese

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La Rivoluzione Francese è uno degli eventi storici più importanti della storia occidentale, in cui l’assetto politico della Francia cambia in modo inedito. Inizia nel 1789, mentre individuarne la fine è più difficile: secondo molti storici possiamo dire nel novembre del 1799, quando con un colpo di stato Napoleone Bonaparte diventa Primo Console della Repubblica.

La Rivoluzione Francese segna la fine di istituzioni vecchie di secoli in Francia e non solo, come l’assolutismo e ciò che rimaneva del sistema feudale. Un po’ come la Rivoluzione Americana, la Rivoluzione Francese è stata anche il tentativo di realizzare ideali dell’Illuminismo come la sovranità popolare ed i diritti inalienabili.

La Rivoluzione Francese non riesce però a realizzare tutti gli obiettivi dei rivoluzionari, e a un certo punto degenera in un vero e proprio bagno di sangue. Nonostante questo però, il suo ruolo resta fondamentale nella nascita delle nazioni moderne, cambiando per sempre il modo di concepire il potere in Europa e nel mondo.

Prima che scoppiasse la Rivoluzione Francese, la Francia era sull’orlo della bancarotta per molti motivi. Uno dei più evidenti erano le enormi spese sostenute dalla corte del re Luigi XVI (1754-1793) e dei suoi predecessori: non soltanto un simbolo di prestigio ed un centro di svaghi, ma anche un vero e proprio strumento di dominio sulla nobiltà. La Francia aveva poi investito molto denaro per partecipare alla Rivoluzione Americana.

Oltre al denaro sperperato, però, c’erano altri problemi che portarono alla Rivoluzione Francese: i pessimi raccolti, il bestiame flagellato da epidemie ricorrenti per tutto il seguito, le conseguenti carestie, ed un prezzo del pane alle stelle. Tutto questo stava portando i contadini e gli abitanti poveri delle città verso l’agitazione, se non la disperazione.

Come risolvere questa situazione? Nell’autunno del 1786 Charles Alexandre de Calonne (1734-1802), un economista che svolgeva l’incarico di controllore generale delle finanze di Francia, propone al re un pacchetto di riforme finanziarie molto avanzate, che andavano ad eliminare alcuni privilegi delle classi privilegiate: Nobiltà e Clero. Per scongiurare una rivolta delle classi privilegiate, il re aveva bisogno di supporto per realizzare queste misure.

Per questo motivo, il re indice gli Stati Generali, un’assemblea dove i rappresentanti delle tre “classi” che costituivano la società francese: nobiltà, clero e borghesia, si riuniscono. Gli Stati generali vengono convocati per il 5 maggio del 1789: era in qualche modo un evento epocale, perché non venivano convocati dal 1604.

Il Terzo Stato alla riscossa: verso la Rivoluzione Francese

I membri del “Terzo Stato” (popolo e borghesia), rappresentavano il 98 % della popolazione. Nonostante questo, potevano essere tranquillamente sconfitti dal potere di veto degli altri due “ordini”.

Prima dell’incontro previsto per il 5 maggio, il Terzo Stato inizia a chiedere una rappresentazione più equa: un’assemblea dove a contare sarebbero stati i voti singoli, “per testa”, e non per “stato”. Questo andava contro gli interessi della nobiltà, che non era minimamente intenzionata ad abbandonare i privilegi di cui godeva tradizionalmente.

Quando gli Stati Generali si riuniscono finalmente a Versailles, il dibattito pubblico sui processi di votazione era degenerato: tra i tre ordini c’era ormai aperta ostilità. Lo scopo originale dell’assemblea si era ormai perso di vista: ad essere in discussione ormai era addirittura l’autorità del re.

Giuramento della Pallacorda nel 1789, in Francia

Il 17 giugno, mentre le procedure e le discussioni erano in pieno stallo, il Terzo Stato si riunisce autonomamente, senza gli altri due, ed assume formalmente il nome di Assemblea Nazionale. Il 20 giugno, l’Assemblea Nazionale si riunisce nella famosa sala della pallacorda, un ambiente della reggia utilizzato per praticare uno sport simile al tennis. I membri dell’Assemblea giurano solennemente di non disperdersi finché non ci sarà stata una riforma costituzionale.

Entro una settimana, all’Assemblea Nazionale si sono uniti moltissimi membri del clero e 47 nobili. Il 27 giugno, Luigi XVI è costretto a riconoscere l’assorbimento di tutti e tre gli ordini in un’unica nuova assemblea: l’Assemblea Nazionale Costituente.

La Rivoluzione Francese nelle strade: la presa della Bastiglia - 14 luglio del 1789

Il 12 giugno, mentre l’Assemblea Nazionale si riuniva a Versailles, per le strade di Parigi iniziavano a scoppiare i primi episodi di violenza, che davano di fatto il via alla Rivoluzione Francese. I cittadini, soddisfatti di come stavano andando le cose, temevano un imminente colpo di stato militare. I membri degli strati più popolari della società parigina, coloro che svolgevano lavori manuali, chiamati “sanculotti” semplicemente perché portavano i pantaloni lunghi al posto delle culottes, iniziavano ad armarsi e ad avere voce in capitolo per la prima volta.

A causa di questo clima teso, il 14 luglio alcuni rivoltosi assaltano la Bastiglia, una fortezza che fungeva da carcere, in cerca di munizioni e polvere da sparo: questi eventi, oggi commemorati in Francia attraverso una festa nazionale, sono considerati da molti studiosi il vero e proprio inizio della Rivoluzione Francese.

Presto il clima di tensione si espande e l’isteria collettiva si sparge per le campagne. I contadini, in rivolta dopo anni di tasse e sfruttamento, assaltano le abitazioni degli esattori delle tasse e dei proprietari terrieri. Ricordata come la “Grande paura”, questa insurrezione agraria causa la fuga di molti nobili dalle campagne. L’Assemblea Costituente reagisce abolendo una volta per tutte il feudalesimo (4 agosto 1789): era la fine di un ordine costituito ormai superato.

la Costituzione

Il 4 agosto del 1789 l’Assemblea Costituente adotta la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. In questo modo i principi dell’Illuminismo, ispirati da pensatori politici come Jean-Jacques Rousseau, cambiavano in modo profondo ed irreversibile la cultura politica francese. Princìpi come le pari opportunità, la libertà di parola, la sovranità popolare ed il governo rappresentativo venivano finalmente riconosciuti, ed ispiravano ufficialmente i lavori dell’Assemblea Costituente.

La stesura della vera e propria costituzione non era stata semplice, anche perché era ancora in corso una durissima crisi economica. I problemi da risolvere, poi, non erano da poco. Chi avrebbe eletto i delegati in Parlamento? A chi avrebbe giurato fedeltà il clero, alla chiesa cattolica o al governo francese? Quanta autorità sarebbe rimasta al re, che nel giugno del 1791 avrebbe tentato maldestramente di fuggire dalla Francia, perdendo ulteriormente credibilità davanti al popolo?

Georges Jacques Danton (1759 -1794): politico e rivoluzionario francese

La Costituzione viene adottata dalla Francia il 3 settembre del 1791. Riflette alcune tra le posizioni più moderate dell’Assemblea Costituzionale. La nuova Francia sarebbe stata una monarchia costituzionale in cui il re avrebbe avuto il potere di veto e quello di nominare ministri. Iniziava tuttavia ad emergere l’insoddisfazione delle frange più radicali della Rivoluzione Francese, quelle che si riunivano nei club dei sanculotti, incarnate da pensatori come Robespierre e Danton, che ambivano ad una costituzione repubblicana, oltre che al processo pubblico di Luigi XVI.

Il grande terrore

Nell’aprile del 1792 una nuova Assemblea, l’Assemblea Legislativa, dichiarava guerra all’Austria e alla Prussia, colpevoli secondo i francesi di ospitare esuli che stavano organizzando una controrivoluzione. I membri più radicali dell’Assemblea, Giacobini e Cordiglieri, nutrivano la speranza di poter diffondere attraverso tutta l’Europa le idee della rivoluzione.

Sul fronte interno, però, la crisi era aperta: il 1’ agosto del 1792 una rivolta popolare, comandata dai Giacobini più estremisti, assalta la residenza reale di Parigi ed arresta il re e tutta la sua famiglia. Per tutto il mese di agosto continueranno ad esserci ondate di violenza, in cui chiunque venisse anche soltanto sospettato di essere contrario alla Rivoluzione Francese poteva essere giustiziato.

L’Assemblea Legislativa a questo punto viene rimpiazzata dalla Convenzione Nazionale, che proclama l’abolizione della monarchia. Il 25 settembre del 1792 viene proclamata la Repubblica Francese. Il 21 gennaio del 1793 Luigi XVI viene condannato a morte per alto tradimento: sia lui che sua moglie, Maria Antonietta, verranno ghigliottinati.

Nel giugno del 1793 i Giacobini assumono il controllo della Convenzione Nazionale, estromettendo i più moderati Girondini, ed istituendo una serie di misure radicali, tra cui l’istituzione di un nuovo calendario (oltre che del sistema metrico decimale in vigore ancora oggi), e la totale eradicazione del cristianesimo, che veniva sostituito da una vera e propria sacralità pubblica, o religione di stato.

La morte del re di Francia, la guerra aperta con gran parte delle potenze europee, ed una serie di divisioni in seno alla Convenzione Nazionale sono le cause scatenanti del periodo più duro e violento della Rivoluzione Francese: il cosiddetto “Terrore”: un periodo di 10 mesi in cui verranno giustiziati alla ghigliottina migliaia di oppositori del regime. Il responsabile di molte condanne è Robespierre, a capo della Comitato di Salute Pubblica finché non finirà ghigliottinato anche lui, il 28 luglio del 1794, in seguito alla Reazione termidoriana. I francesi, esausti, chiedevano la pace. I Giacobini perdono credibilità, e su di loro si abbatte la vendetta spontanea di coloro che desideravano un ritorno alla monarchia (il Terrore Bianco). La Francia si avviava verso il ritorno al potere della borghesia liberale.

La fine della Rivoluzione Francese e l’avvento di Napoleone

Il 22 agosto del 1795 la Convenzione Nazionale, composta per la stragrande maggioranza da Girondini che erano sopravvissuti al Terrore, approva una nuova costituzione, stavolta bicamerale. Il potere esecutivo sarebbe passato nelle mani di un “Direttorio” composto da 5 membri, e nominato dal parlamento. Le proteste degli oppositori, in particolare Giacobini e Realisti, venivano soffocate dall’esercito, in cui iniziava ad emergere un giovane generale di successo, Napoleone Bonaparte.

Durante i 4 anni di governo del direttorio, i problemi saranno molti: crisi finanziarie, insoddisfazione da parte del popolo, inefficienza burocratica ed una forte corruzione. Alla fine degli anni ‘90 del ‘700, il Direttorio riusciva a mantenere il potere quasi soltanto per merito dell’esercito.

Napoleone Bonaparte, 1810: Primo Console della Repubblica francese

Il 9 novembre del 1799, Napoleone Bonaparte organizza un colpo di stato che culminerà con l’abolizione del direttorio. Napoleone assume la carica di Primo Console. L’evento è generalmente considerato come la fine della Rivoluzione Francese, o meglio la sua evoluzione verso una nuova fase. Con Napoleone la Francia, profondamente ridefinita dai numerosi cambiamenti degli ultimi anni, ma allo stesso tempo dominata dal potere di Bonaparte, arriverà al dominio di quasi tutta l’Europa continentale.

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Rivoluzioni industriali

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Nel corso della storia abbiamo avuto tre rivoluzioni industriali: la prima rivoluzione industriale fu quella della macchina a vapore e del carbone e si sviluppò a partire dalla fine del Settecento e caratterizzò gran parte dell’Ottocento; la seconda fu quella del motore a scoppio, dell’elettricità e del petrolio, e iniziò attorno al 1870 e divenne tipica della prima metà del Novecento; la terza è quella dell’energia atomica, dell’astronautica e dell’informatica, e ha avuto inizio al termine della seconda guerra mondiale.

Prima rivoluzione industriale
Mentre la Rivoluzione Francese stava sconvolgendo tutto il continente europeo, un’altra grande rivoluzione si faceva strada: la prima rivoluzione industriale. Essa rappresentò un grande cambiamento nel modo di produrre: per la prima volta si utilizzò una nuova fonte di energia, il carbone, e un nuovo mezzo, la macchina a vapore. La prima rivoluzione industriale si avviò verso il 1870 in Inghilterra e in seguito si diffuse nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti.
La prima rivoluzione industriale scoppiò in Inghilterra perché questo paese era avvantaggiato da alcuni fattori che ne favorirono lo sviluppo economico, quali: era all’avanguardia negli studi scientifici e tecnici, e quindi le sue industrie furono le prime a utilizzare importanti scoperte;
era stato attraversato nel Seicento da un grande rinnovamento politico che consentì sul suo territorio quella libera concorrenza nei commerci, ancora vietata nella maggior parte degli altri Paesi;
era un’isola, e quindi la navigazione permetteva facili collegamenti;
era ricco di carbone, una materia prima fondamentale per la produzione di energia;
inoltre l’Inghilterra possedeva dei campi “aperti” cioè che potevano essere coltivati da tutti. Questi campi vennero “chiusi” e messi all’asta. Li compravano solo coloro che possedevano un certo capitale e investivano il loro denaro nelle industrie.

Il Settecento venne definito un’età dell’oro delle invenzioni. Infatti, ci furono numerose scoperte nel settore tessile. Questi inventori erano persone geniali, ma quasi totalmente prive di istruzione. Dopo qualche decennio, tuttavia, non fu più sufficiente la sola capacità inventiva. Nel momento in cui furono messi in atto interventi più complessi, si dovette ricorrere alla scienza.
Nel 1796 James Watt, dopo lunghe ricerche scientifiche e tecniche, inventò la macchina a vapore. James Watt era infatti un uomo di grande cultura che proveniva dalle moderne università scozzesi. La sua macchina utilizzava il vapore come forza motrice. Le industrie che fino ad allora dovevano essere collocate nei pressi di un corso d’acqua per sfruttarne l’energia attraverso il mulino, ora potevano essere costruite dove era più vantaggioso, cioè nelle città. L’energia impiegata dalle nuove industrie veniva fornita da un combustibile, il carbone, di cui l’Inghilterra era ricca.

A questo punto la macchina a vapore e il carbone divennero i fattori determinanti dello sviluppo economico. In pochi decenni la macchina a vapore venne applicata ai telai e ai mezzi di trasporto. La locomotiva a vapore, per esempio, fu inventata nel 1814 da George Stephenson che fu inaugurata sul tragitto Liverpool-Manchester.

Grazie a questa serie di innovazioni l’Inghilterra divenne il Paese più sviluppato del mondo, imponendo il proprio predominio anche nei commerci. Per realizzare un’attività industriale occorrono dei capitali, cioè un adeguata disponibilità di denaro. Bisogna comprare le macchine e la materia prima da lavorare, avere un locale dove effettuare le lavorazioni, pagare i lavoratori. Inizialmente in Inghilterra non furono necessarie forti somme di denaro per costruire le fabbriche. I macchinari erano ancora pochi e la concorrenza limitata. Successivamente, invece, il ricorso ai capitali si resero necessari per lo sviluppo delle ferrovie e anche per il rapido rinnovarsi delle industrie, resosi urgente per l’incalzare della concorrenza. Tutto questo denaro veniva richiesto alle banche, ma ciò non bastava ancora. Per questo motivo vennero create le cosiddette società per azioni, che permisero alle aziende di aprirsi al contributo di più persone. Il valore di una azienda veniva diviso in tante quote, chiamate azioni: queste potevano essere vendute o acquistate da chiunque nella quantità voluta. Man mano che la rivoluzione industriale avanzava, sempre più si faceva sentire la necessità dell’intervento statale. In primo luogo per rimuovere tutti gli ostacoli che impedivano il libero commercio.

Lo Stato intervenne massicciamente sulle infrastrutture, cioè stradi, ponti, canali navigabili, porti. L’azione dello Stato fu particolarmente incisiva nell’ambito dell’istruzione. La costruzione delle scuole a tutti i livelli venne considerata un fondamentale investimento per il futuro, che avrebbe dato i suoi frutti con personale competente e produttivo. Infine lo Stato intervenne per sostenere l’iniziativa privata. Quando uno Stato possedeva tutti i mezzi e personale preparato, si trovava nelle condizioni di svilupparsi economicamente. Lo sviluppo industriale richiedeva uomini che sapessero unire all’abilità tecnica, tipica dei grandi inventori, la scienza caratteristica delle persone di cultura. Ma tutto ciò era inutile se non si possedeva lo spirito di iniziativa, cioè la capacità di intuire un buon affare e di investirvi tempo e denaro. Lo spirito di iniziativa era ed è la qualità che caratterizza gli imprenditori. Prima che la rivoluzione industriale si diffondesse, le condizioni di vita dei lavoratori non erano facili. Essi erano in genere contadini e il lavoro della terra era molto duro, a volte drammatico, soprattutto quando le carestie rendevano vana la loro fatica. Tuttavia il ritmo del lavoro era scandito dal ciclo diurno del sole e del succedersi delle stagioni. In questo periodo si assiste ad un esodo dalle campagne in città per lavorare nelle industrie. L’alba segnava l’inizio della giornata lavorativa e il tramonto il suo termine; il lavoro era sempre diverso, a seconda dei periodi dell’anno.

Tutto ciò mutò radicalmente con l’industrializzazione. Basti pensare ai seguenti aspetti:

l’obbligo di rimanere al chiuso tra le pareti della fabbrica;
i rumori assordanti delle macchine;
gli ambienti malsani delle fabbriche di cotone, mantenuti umidi per non far spezzare i fili;
il lavoro faticosissimo nelle miniere, dove la crescente richiesta di carbone fece aumentare il numero di minatori.

La vita dei proletari, come venivano chiamati allora gli operai, era difficile e squallida. I proletari erano coloro che vendevano la propria manodopera in cambio di uno stipendio. La loro esistenza non era facile. L’orario lavorativo arrivava anche alle 15 ore giornaliere. I giorni festivi erano trascorsi perlopiù a letto, nel tentativo di smaltire la stanchezza, se non la febbre. Anche donne e bambini vennero impiegati senza alcun riguardo. Anzi nei primi decenni dell’Ottocento costituivano la maggior parte dei lavoratori dell’industria tessile. Le donne e i bambini infatti si comandavano facilmente e costavano meno degli uomini. Per quanto possa oggi apparire incredibile, era normale lavorare dopo appena i 6 anni. Le nuove macchine dell’industria migliorarono le condizioni di vita dei lavoratori. Nel contempo però provocarono disoccupazione. Infatti, l’introduzione di un nuovo macchinario aveva come conseguenza la diminuzione del numero dei lavoratori impiegati. La situazione era dunque paradossale: alle terribili condizioni di vita causate dall’orario di lavoro si aggiungeva anche la sciagura del licenziamento. Il disagio sociale si manifestò in un primo tempo con la distruzione da parte dei lavoratori dei telai e delle macchine. Tale forma di protesta prese il nome di luddismo. Nel corso dell’Ottocento, le condizioni di vita dei lavoratori migliorarono: vennero emanate leggi che limitavano lo sfruttamento; le ore giornaliere di lavoro diminuirono e le macchine sollevarono l’uomo dai lavori più massacranti. Nuove attività sostituirono quelle precedenti e la richiesta di manodopera aumentò.

Rivoluzione agricola
Oltre ad una rivoluzione industriale ci fu anche una rivoluzione agricola. In soli cinquant’anni la produzione agricola raddoppiò. Questo fu possibile grazie all’abolizione degli obblighi dei contadini nei confronti dei nobili che li rese liberi di coltivare la terra. Poi cambiò la tecnica di coltura: mentre nel Medioevo c’era la rotazione triennale dei campi, cioè la coltivazione si ruotava su tre campi lasciandone sempre uno a riposo; verso la metà del Settecento ci si accorse che rendeva di più coltivare con le leguminose anche la parte lasciata a riposo in precedenza. In questo modo il terreno diventava più fertile, questa tecnica venne chiamata: rotazione quadriennale. Si fece più ricorso alla chimica per la produzione di prodotti fertilizzanti. Le tecniche di irrigazione migliorarono sensibilmente. Furono costruiti nuovi mezzi: l’aratro di fabbricazione industriale, la seminatrice e la falce.

Seconda rivoluzione industriale: scoperte e fiducia nel progresso

Il decollo della seconda rivoluzione industriale avvenne attorno al 1870. Ma già dal 1850 ci furono scoperte straordinarie. Negli Stati Uniti furono perforati i primi pozzi petroliferi.

La luce elettrica fece la sua comparsa nel 1878 costruita da un americano. Il telefono venne sperimentato dall’italiano Antonio Meucci, che venne perfezionato e brevettato dall’Americano Graham Bell. Due tedeschi produssero il primo motore a scoppio: iniziava l’era dell’automobile. I fratelli Lumière costruirono il primo apparecchio cinematografico. Due americani riuscirono a far decollare il primo aereo. La scienza e la tecnica unite insieme avevano reso possibili queste scoperte. Perciò si diffuse una grande fiducia nei confronti di queste discipline. Questa assoluta fiducia prese il nome di Positivismo. La scienza e la tecnica, infatti, erano considerate un sapere “positivo”, cioè utile all’uomo. Le industrie utilizzarono rapidamente le scoperte scientifiche.
Così, la scoperta della luce elettrica portò immediatamente alla produzione delle lampadine: la scoperta dell’acciaio permise la produzione delle automobili e degli aerei; e dall’estrazione del petrolio prese slancio l’industria chimica. Con l’avvio della seconda rivoluzione industriale il modo stesso di produrre mutò: accanto a macchine sempre più evolute, in grado di prendere il posto dell’operaio, comparve la catena di montaggio, cioè un sistema meccanizzato di produzione che divideva un lavoro complesso, come produrre un’auto, in tanti lavori semplici. Al lavoratore non era richiesta alcuna competenza. Egli doveva rimanere sempre allo stesso posto, mentre gli scorreva davanti una catena, la “catena di montaggio” appunto, che gli portava i pezzi da montare.

Società di massa
Con la seconda rivoluzione industriale nacque la società di massa, il tipo di società in cui viviamo oggi. Nella società di massa le industrie producono una enorme quantità di prodotti tutti uguali e disponibili per un gran numero di persone. Anche la cultura e le informazioni sono alla portata di tutti attraverso mezzi di comunicazione quali: giornali, radio, televisione. I mezzi di comunicazione sono detti con un’espressione anglo-latina, mass media. Infatti “media” è un termine latino, ma è diventato celebre perché utilizzato dall’inglese che significa mezzi. Nella società di massa il settore che predomina è il settore terziario. In una società come quella di massa la democrazia è senza dubbio il sistema politico che funziona meglio. Nella società di massa le notizie circolano con più facilità, la gente è sempre più istruita, si informa e vuole partecipare alla vita politica. La democrazia permette questa partecipazione attraverso il voto. Inoltre tra l’Ottocento e il Novecento la possibilità di esprimere il voto divenne universale, grazie al suffragio universale. In realtà però, inizialmente fu concesso solo agli uomini, successivamente alle donne. Per ottenere il diritto di voto alcune donne protestarono, queste vennero chiamate suffragette. Nella società industriale i lavoratori si riunirono in sindacati, associazioni il cui compito era difendere i diritti dei lavoratori.
Lo strumento principale della lotta sindacale era lo sciopero, cioè l’astensione del lavoro da parte dei lavoratori: allo sciopero i capitalisti rispondevano spesso con la serrata, cioè con la chiusura delle fabbriche.

Grazie ai sindacati, i lavoratori non erano più soli a trattare con il proprio datore di lavoro. Uniti, acquistavano maggior forza e potevano ottenere risultati migliori: dall’aumento dei salari alla diminuzione dell’orario di lavoro. Nel momento in cui si affermò la seconda rivoluzione industriale, molti si interrogarono sulla sua validità. Qual era il compito dello Stato? Doveva intervenire per limitare la libertà di opinione e di iniziativa economica? Era giusto che alcuni guadagnassero molto e altri poco? A queste domande cercarono di rispondere le diverse tendenze politiche. Tra Settecento e Ottocento si affermarono la tendenza liberale e quella democratica. A partire dall’Ottocento tutte le altre: quella socialista, quella anarchica e quella cattolica.

Terza rivoluzione industriale: caratteristiche
Le principali caratteristiche della terza rivoluzione industriale sono:
alcune scoperte scientifiche e tecniche hanno aperto all’umanità prospettive che nella prima metà del Novecento erano impensabili. Per rimanere solo alle più note, l’astronautica e l’informatica;
il principale settore dell’economia, per numero di persone che vi lavorano, è il terziario. Questo settore dell’economia comprende tutti i servizi: scuola, sanità, trasporti, telecomunicazioni;
il mondo è diventato un villaggio globale, in quanto la cultura di massa si è diffusa quasi in ogni suo angolo. E la maggior parte della gente imita il modo di vivere degli americani.

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Guerre di indipendenza

A

Dopo molte esitazioni, Carlo Alberto si convinse a dichiarare guerra all’Austria sulla spinta degli avvenimenti di Milano. La decisione nasceva sia dalla volontà di non rimanere estraneo al moto di indipendenza nazionale, sia da quella di riprendere il tradizionale progetto espansionistico sabaudo, indirizzato alla conquista della Lombardia.

L’esercito piemontese oltrepassò il Ticino il 28 marzo 1848, mentre muovevano in suo appoggio gruppi di volontari e corpi di spedizione inviati da quegli stati italiani (Stato della Chiesa, Regno delle Due Sicilie e Granducato di Toscana), nei quali era entrata in vigore la costituzione.

VITTORIE E SCONFITTE NELLA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA ITALIANA
Con le vittorie al ponte di Goito e a Pastrengo i piemontesi costrinsero l’esercito austriaco, comandato dal maresciallo Radetzky, a indietreggiare, abbandonando parte della Lombardia, e a rifugiarsi nelle fortezze del Quadrilatero (Legnago, Mantova, Peschiera e Verona).
L’avanzata piemontese si arrestò nei pressi di Verona, a Santa Lucia. Intanto da Gorizia sopraggiungevano i rinforzi austriaci, alla guida del generale Nugent, che sconfissero le truppe pontificie a Cornuda sul Piave, per poi ricongiungersi agli uomini di Radetzky, così da determinare una schiacciante superiorità numerica sull’esercito piemontese e sui contingenti italiani.

Il 29 maggio a Curtatone e Montanara truppe di volontari toscani e napoletani, in gran parte studenti, furono impegnati in una violenta battaglia con i soldati austriaci, ma furono sopraffatte.

A Goito i piemontesi conseguirono un’importante vittoria il 30 maggio. Tuttavia, per una serie di errori strategici, non venne sfruttata: questo permise agli austriaci di riorganizzarsi prima di lanciare una pesante controffensiva, conclusa a loro favore nella battaglia di Custoza del 25 luglio.

L’esercito piemontese in ritirata tentò un’ultima resistenza alle porte di Milano, prima che Carlo Alberto consegnasse la resa a Radetzky. Il 9 agosto il generale Carlo Canera di Salasco firmò un armistizio che consentiva alle truppe sarde di ritirarsi entro i confini, al di là del Ticino.

In questa prima fase della guerra si svolsero anche le operazioni militari condotte da Giuseppe Garibaldi, che si mise alla testa di 1500 volontari che portarono alla temporanea liberazione di Varese. I patrioti italiani furono poi costretti a lasciare il paese e fuggire in Svizzera.

Carlo Alberto, su pressione del parlamento subalpino e delle manifestazioni popolari, riprese nuovamente il conflitto nel marzo del 1849, assegnando il comando delle truppe al generale polacco Chrzanowski, le cui scarse doti di stratega militare avrebbero pesato sull’esito delle operazioni.

La nuova campagna di guerra iniziò il 20 marzo e si concluse in soli tre giorni. Radetzky, che aveva a disposizione una forza di artiglieria nettamente superiore, avanzò in Piemonte e, dopo una serie di brevi scontri, affrontò vittoriosamente l’esercito piemontese a Novara il 23 marzo.

Travolto dalla sconfitta, Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II, che a Vignale concordò l’armistizio firmato a Novara e seguito dalla pace di Milano del 10 agosto. Le clausole prevedevano che il Piemonte venisse temporaneamente occupato dalle forze austriache nelle province orientali, che fossero sciolti i contingenti di volontari e che terminasse la mobilitazione dell’esercito sabaudo.

LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA ITALIANA
Le premesse della seconda guerra di Indipendenza italiana sono racchiuse nella politica che Cavour, primo ministro del governo piemontese dal 1854, mise in atto per restituire allo stato sabaudo un ruolo di primo piano in Italia, dopo che le sconfitte del 1848-1849 ne avevano minato la credibilità. Con la partecipazione alla guerra di Crimea, il Regno di Sardegna poté tornare a inserirsi nelle relazioni internazionali, per rilanciare il progetto di unificazione italiana.
Cavour, per rafforzare il fronte antiaustriaco, con gli accordi di Plombières del 1858 strinse un’alleanza con l’imperatore francese Napoleone III, che si impegnò a combattere a fianco dell’esercito piemontese, ma solo in caso di aggressione austriaca e in cambio della cessione di Nizza e della Savoia. Il progetto prevedeva una sistemazione dell’Italia in quattro stati (il Regno sardo, il Ducato di Parma con la Toscana, lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie), per impedire la nascita di una nuova grande potenza territoriale e garantire al papa e alla Francia il ruolo di garanti dei nuovi equilibri.

Portare la situazione al punto in cui potesse realizzarsi la premessa degli accordi franco-piemontesi, ossia che l’Austria sia la prima a dichiarare guerra, si rivelò più complesso del previsto. Un’intensa azione diplomatica svolta dalla Gran Bretagna tentò di scongiurare il conflitto tra Austria e Francia, temendo che questo potesse portare a combattere una guerra di dimensioni ben più ampie.

All’opera di pacificazione svolta dagli inglesi si aggiunse l’iniziativa della Russia che cercava di risolvere la questione italiana in un congresso europeo. Tuttavia, le difficoltà insorte principalmente per l’opposizione di Cavour e del papa fecero tramontare la proposta.

Cavour non accettò il veto che l’Austria aveva posto sul congresso alla presenza del Regno di Sardegna, mentre il papa Pio IX si oppose a un’interferenza da parte delle potenze straniere negli affari interni del suo stato.

Si propose anche un disarmo generale in Italia, ma questa proposta non ebbe seguito, questa volta per l’opposizione dell’Austria, che il 23 aprile 1859 lanciò un ultimatum al Piemonte, che chiedeva il disarmo immediato, pena la guerra. Cavour utilizzò l’ultimatum austriaco per intensificare i preparativi militari, ai quali erano partecipi anche truppe di volontari agli ordini di Garibaldi, i Cacciatori delle Alpi.

La risposta negativa data da Cavour all’ultimatum il 26 aprile 1859 determinò lo scoppio della guerra, dichiarata dall’imperatore Francesco Giuseppe il 28 aprile e iniziata con l’improvviso ingresso in Piemonte delle truppe austriache al comando del generale Gyulai. L’esercito sardo schierò 63.000 soldati, mentre i francesi inviarono un corpo di spedizione di 120.000 uomini, con cannoni e sussistenza, trasferiti rapidamente al fronte grazie alla rete ferroviaria e si posizionarono nel Piemonte meridionale il 30 aprile. Lo stesso Napoleone III assunse il comando dei due eserciti.

All’avanzata austriaca, che portò alla conquista di Biella e di Vercelli, l’Italia rispose una manovra su tre fronti, che aveva lo scopo di costringere le truppe di Gyulai a ripiegare a sud: Garibaldi con i Cacciatori delle Alpi occupò Varese e Como.

Napoleone III trasferì il grosso delle truppe a Novara, mentre le forze piemontesi coprivano il centro dello scacchiere occupando Palestro, nei pressi di Pavia (siamo al 30-31 maggio). Il primo scontro a Montebello (il 20 maggio) vide respinta un’offensiva degli austriaci, che vennero poco dopo attaccati a Palestro (il 30-31 maggio) in un’azione diversiva, che voleva favorire l’avanzata dell’esercito franco-piemontese verso Milano.

La prima grande battaglia fu combattuta il 4 giugno a Magenta: gli austriaci sconfitti ripiegarono verso le fortezze del Quadrilatero, mentre Napoleone III e Vittorio Emanuele II facevano ingresso a Milano l’8 giugno e Garibaldi con i suoi uomini liberava Como, Bergamo e Brescia.

TERZA GUERRA DI INDIPENDENZA
Francesco Giuseppe, che aveva esonerato Gyulai e assunto il comando diretto dell’esercito austriaco, aiutato dal generale Hess, si preparò a nuovi scontri sul campo. Le due ultime sanguinose battaglie si combatterono il 24 giugno: a Solferino i piemontesi e a San Martino i francesi vinsero contro gli austriaci che ripiegarono al di là del Mincio, sulla linea di difesa dell’Adige.
Napoleone III cinse d’assedio Peschiera. Intanto nell’Adriatico una flotta franco-piemontese si avvicinava a Venezia.

La sera del 5 luglio, tuttavia, Napoleone III decise di ritirarsi dal conflitto, preoccupato sia per le perdite subite, sia per le proteste guidate da gruppi liberali e democratici in Toscana, nei Ducati di Parma e Modena e nello Stato Pontificio, sia infine per timore di una discesa in guerra dell’esercito prussiano a fianco dell’Austria.

Senza preavvertire Cavour, incaricò il suo aiutante in campo, il generale Fleury, di aprire negoziati per un armistizio con Francesco Giuseppe. I due imperatori si incontrarono a Villafranca l’11 luglio, accordandosi sui preliminari di pace, firmata a Zurigo il 10 novembre 1859. Secondo questi accordi la Lombardia veniva ceduta alla Francia, che successivamente l’avrebbe consegnata al Piemonte; Si doveva formare poi una confederazione di stati italiani presieduta dal papa e che a Parma e in Toscana tornassero i legittimi sovrani. Le ultime due clausole non ebbero seguito, perché le popolazioni emiliane e toscane insorte chiesero l’annessione al Piemonte, che Napoleone finì per accettare in cambio di Nizza e della Savoia.

Il progetto dell’Unità d’Italia venne poi rilanciato per iniziativa dei democratici e portato a compimento con la spedizione dei Mille di Garibaldi, che nel 1860 avrebbe portato alla liberazione del Sud dalla dominazione borbonica.

I plebisciti per l’annessione al regno sabaudo e l’intervento di quest’ultimo con l’occupazione di parte dello Stato Pontificio sfociarono nella costituzione del Regno d’Italia, proclamato il 17 marzo 1861 dal parlamento unitario, eletto nel gennaio dello stesso anno.

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depretis, crispi, giolitti

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Depretis, Crispi e Giolitti furono gli indiscussi protagonisti della seconda fase dell’Italia post-risorgimentale. Inizialmente guidata dalla Destra Storica, a partire dal 1876 l’Italia venne governata quasi esclusivamente da uomini provenienti dalla Sinistra Storica, che accompagnarono il popolo italiano in una fase molto delicata della sua storia.

Governo Depretis
Dopo 15 anni di potere della Destra Storica, il leader indiscusso della Sinistra liberale, Agostino Depretis, prese quindi il potere nel 1876, facendosi portavoce della media borghesia e godendo al contempo delle simpatie della piccola borghesia cittadina senza diritto di voto. Ma come si articolò il programma politico e l’operato di Depretis volto, sulla carta, a far incamminare il Paese verso un allargamento dei diritti, sulla strada della liberal-democrazia?

Innanzitutto lavorò ad una nuova legge elettorale, approvata nel 1881 ed entrata in vigore per la prima volta nel 1882. In base a questa nuova legge, il diritto di voto rimase sì per capacità e censo, ma quest’ultimo venne sostanzialmente dimezzato (si passa da 50 lire a 20 lire annue), arrivando a concedere il diritto di voto proprio a quella borghesia cittadina che era espressione più diretta della Sinistra Storica. Avrebbe tuttavia potuto votare solo chi avesse esibito la licenza del biennio elementare.

L’Italia di Depretis
In tal senso, nel 1887 il Governo Depretis favorì un progetto di legge portato avanti dal ministro Coppino. La legge Coppino, che prese il nome proprio dal Ministro e restò in vigore fino al 1910-11, prevedeva la gratuità e l’obbligatorietà del primo biennio di scuole, nonché qualche cambiamento all’interno dei programmi scolastici (ad esempio la sottrazione della religione cattolica dalle materie obbligatorie). Depretis abolì poi, nel 1884, la durissima tassa sul macinato che era stata promulgata da Quintino Sella nel 1868 e che aveva messo in ginocchio la popolazione italiana. Per quanto concerne la politica estera, nel 1882 Depretis sottoscrisse un accordo con la Germania e l’Impero austro-ungarico, che prese il nome di Triplice Alleanza.

Ciò per cui, però, viene ricordato il Governo di Depretis è il cosiddetto trasformismo: la spregiudicata capacità degli uomini politici dell’epoca di modificare il proprio pensiero pur di rientrare sempre nella coalizione o nel gruppo vincente. Dopo le elezioni del 1882, le prime con la nuova legge elettorale, si cominciò infatti a vedere chiaramente una sempre maggiore vicinanza tra uomini della destra e della sinistra liberale che, pur di rimanere al potere, erano disposti ad allearsi con il “nemico” e formare così un grande partito di centro dai connotati liberali.

Governo Crispi
Con l’interno di portare voti al Governo anche dal Mezzogiorno, nel 1887 Depretis prese la decisione di nominare Francesco Crispi, uno dei padri del Risorgimento italiano convertitosi alla causa liberale e monarchica, Ministro dell’Interno.
Fortuna per Crispi volle che, pochi mesi dopo, Depretis morì e così, sorretto dal gran consenso dell’opinione pubblica, nello stesso anno divenne nuovo capo del Governo. Cominciò così una nuova stagione politica per l’Italia, caratterizzata da un trasformismo più ampio, e dall’ingresso dell’Italia nella Seconda Rivoluzione Industriale e, di conseguenza, da una forte modernizzazione del Paese.
Tra gli interventi politici più importanti di Crispi ricordiamo: l’ampliamento dell’elettorato dello Stato amministrativo, il conferimento di maggior potere agli enti locali, la promulgazione delle prime leggi per l’assistenza al lavoro femminile e minorile e la creazione di un codice penale, il Codice Zanardelli, che portò l’Italia ad essere un Paese pioniere dell’abolizione della pena di morte. Sono tutti elementi che ci danno la sensazione di un grande sforzo legislativo tendenzialmente orientato al progresso del Paese.

L’Italia di Crispi
Nello stesso tempo Crispi cominciò però a governare attraverso ad un ricorso sempre più massiccio al decreto legge, escludendo dunque il più possibile la discussione parlamentare, e ad adottare misure apertamente repressive contro le forze extra-sistema, facendo ricorso all’utilizzo dell’esercito e degli stati di assedio.
Sul fronte economico, Crispi fu un grande fautore delle protezioni doganali che, in quegli anni, stavano prendendo sempre più piede in tutta Europa trasformando il protezionismo in una vera e propria battaglia doganale. Il primo ministro si impegnò inoltre in una forte campagna coloniale verso l’Africa occidentale, in Eritrea; un progetto esoso che gravò sulle tasche dei cittadini italiani, colpite da ingenti tassazioni.

Da Crispi a Giolitti
Messo in minoranza proprio per via di queste tassazioni, nel 1991 Crispi fu costretto a cedere il proprio mandato ad un uomo della destra, Antonio Di Rudinì. Il suo Governo durò solo un anno e mezzo, per poi lasciare il posto a quello di sinistra firmato Giovanni Giolitti. Anche questo fu, però, un mandato molto breve: nel 1983, dopo uno scandalo che aveva coinvolto la Banca Romana, Giolitti fu costretto a dimettersi e Crispi tornò a governare l’Italia.
Crispi tornò quindi ai vecchi dettami: in pochi mesi pose lo stato d’assedio in Sicilia, sbaragliando con l’esercito la protesta dei contadini, sciolse il Partito Socialista e lo mise fuori legge. Anche sul fronte della politica estera, il leader della Sinistra Storica proseguì sul cammino da lui precedentemente tracciato, riprendendo la politica coloniale e protezionista. Ma quando il 1 marzo del 1896 l’esercito italiano portò a casa una dura disfatta dall’Etiopia, con una perdita di circa 5mila giovani italiani, il Re si vide costretto a imporre le dimissioni a Crispi.

Giolitti al potere
Negli anni successivi alle dimissioni di Crispi, al potere si succedettero diversi uomini: Di Rudinì, Pelloux, Saracco, Zanardelli ed infine, a partire dal 1903, Giovanni Giolitti. Ebbe così inizio il quindicennio che siamo soliti chiamare Età Giolittiana, un lungo periodo caratterizzato da una forte crisi sociale ed economica e che accompagnò il popolo italiano fino all’instaurarsi del regime fascista.
Fu uno dei Governi più lunghi della storia politica italiana: per questo motivo, per il maggiore approfondimento che l’età giolittiana merita, vi lasciamo questi appunti e lezioni.

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L’italia giolittiana

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Negli ultimi anni dell’ottocento si fece strada tra le forze conservatrici italiane la tentazione di risolvere in senso autoritario le tensioni politiche e sociali. Essa si manifestò con la dura repressione militare dei moti per il pane del 1898, quando a Milano il generale Beccaris fece sparare sulla folla provocando numerosi morti e feriti e con il tentativo del governo Pelloux di far approvare delle leggi limitative della libertà. L’opposizione incontrata alla camera e le elezioni del 1900 portarono a un mutamento di rotta che, dopo l’assassinio di Umberto I, fu confermato dal nuovo re Vittorio Emanuele III.

Il nuovo re Vittorio Emanuele III era assai più aperto del padre nei confronti delle forze progressiste. Nel 1901 il richiamo alla guida il leader della sinistra liberale Giuseppe Zanardelli, che affidò il ministero dell’interno a Giovanni Giolitti. Secondo Giolitti lo Stato liberale non aveva nulla da temere dallo sviluppo delle organizzazioni operaie e nulla da guadagnare da una repressione indiscriminata delle loro attività, ma al contrario aveva tutto l’interesse a consentire il libero svolgimento, purché non uscissero dei confini della legalità. Questo atteggiamento di apertura favorì lo sviluppo delle organizzazioni sindacali: le camere del lavoro, le organizzazioni di categorie, le leghe tra i lavoratori agricoli, che diedero vita nel 1901 alla federazione italiana dei lavoratori della terra. Questo sviluppo dell’attività sindacale fu accompagnato da un brusco aumento degli scioperi con la conseguenza di un notevole incremento dei salari operai agricoli.

Negli ultimi anni dell’ottocento iniziò il decollo industriale italiano, preparato dalla costruzione di una rete ferroviaria, dalla scelta protezionistica, dal riordinamento del sistema bancario. Lo sviluppo industriale, se non annulla il divario con i paesi più ricchi, provocò un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di vita dell’italiani. Cresceva, tuttavia, l’emigrazione, conseguenza di una sovrabbondanza della popolazione rispetto alle capacità produttive dell’agricoltura, che soprattutto nel mezzogiorno restava arretrata. Qui analfabetismo, disgregazione sociale, assenza di una classe dirigente moderna, difesa degli interessi della grande proprietà terriera è una politica clientelare impedirono di colmare il divario con il Nord industrializzato.

Su una realtà complessa e contraddittoria come quella dell’Italia all’inizio del 900 si esercitò per oltre un decennio l’opera di governo di Giovanni Giolitti, la più notevole figura di statista mai apparsa in Italia dopo la morte di Cavour. Chiamato alla guida del governo nel novembre 1903, dopo le dimissioni di Zanardelli, Giolitti cercò di portare avanti l’esperimento liberale progressista avviato dal precedente ministero e anche di allargare le basi offrendo un posto nella compagine governativa e socialista Filippo turati. Rifiutò l’offerta perché temeva di non essere seguito dal suo partito. Giolitti finì col costituire un ministero aperto alla destra. Una mossa che dà la misura dei limiti entro cui si moveva riformismo Giolittiano, sempre condizionato dal peso delle forze moderate e sempre attento alla conservazione degli equilibri parlamentari, al punto da sacrificare progetti anche importanti quando si rivelassero incompatibili con la solidità della maggioranza: tipico fu il caso della riforma fiscale che fu lasciata cadere nonostante costituisse uno dei punti qualificanti del programma di Giolitti.
Giolitti rimase a capo del governo, con alcune interruzioni, dal 1903 al 1914; in questo tempo varò importanti riforme: le leggi per il mezzogiorno volte a modernizzare l’agricoltura e a favorire l’industrializzazione attraverso stanziamenti statali agevolazioni fiscali, la statizzazione delle ferrovie, la conversione della rendita (per alleggerire il bilancio statale riducendo i tassi di interesse sui titoli di Stato), l’introduzione del suffragio universale maschile nel 1912 e il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. Il suo riformismo però fu condizionato dalla costante attenzione agli equilibri parlamentari su cui si reggeva la maggioranza di governo.

Si parla di età Giolittiana in quanto in questo periodo lo statista piemontese esercitò sulla vita del paese un’influenza ancora maggiore di quanto non dica la sua più lunga permanenza alla guida del governo. Giolitti esercitò una dittatura parlamentare molto simile a quella realizzata da Depretis tra il 1876 e il 1887, anche se diversa, e decisamente più aperta nei contenuti. Questa dittatura trovò molti critici tra le forze politiche e soprattutto fra gli intellettuali.

Sul piano della politica estera, l’Italia si avvicinò tra fine ‘800 inizio ‘900, alla Francia, pur restando fedele alla triplice alleanza. Muta contemporaneamente l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti delle imprese coloniali, che cominciarono ad essere caldeggiate soprattutto dal nuovo movimento nazionalista. Proprio la campagna di stampa dei nazionalisti fu, con la pressione degli interessi della finanza cattolica, tre fattori che spinsero il governo all’intervento militare in Libia nel 1911.
E nel settembre del 1911 l’Italia inviò sulle coste libiche un contingente di 35.000 uomini, scontrandosi però contro la reazione dell’impero turco, che esercitava su quei territori una sovranità poco più che nominale. La guerra fu più lunga e difficile del previsto. Solo nell’ottobre del 1912 turchi e consentirono a firmare la pace di Losanna, rinunciando alla sovranità politica sulla Libia.

Nel partito socialista italiano la corrente riformista guardo con simpatia alla politica Giolittiana e presto crebbe però entro il partito la forza delle correnti di sinistra, che portarono nel 1904 al primo sciopero generale nazionale d’Italia (in seguito alla morte di alcuni minatori in Sardegna). La fondazione della Cgil nel 1906 segna un rafforzamento della presenza riformista; anche gli industriali cominciarono organizzarsi e il 1910 fu creata la Confindustria. Inoltre si accentuavano le fratture interne al PSI. Nel 1912 i rivoluzionari riuscirono a imporre l’espulsione dal partito socialista italiano dei riformisti di destra, che diedero vita al partito socialista riformista italiano. I riformisti rimasti nel partito socialista italiano furono nuovamente ridotti in minoranza e la guida del partito tornò in mano a degli intransigenti. Fra questi venne emergendo la figura di un giovane agitatore romagnolo che si era distinto nelle manifestazioni contro la guerra libica ed era stato tra i protagonisti del congresso di Reggio Emilia: Benito Mussolini. Chiamato alla direzione del quotidiano del partito che si chiamava “avanti”, Mussolini portò nella propaganda socialista uno stile nuovo, basato sull’appello diretto alle masse e sul ricorso a formule agitatorie prese a prestito dal sindacalismo rivoluzionario. Uno stile che si inseriva bene nel clima politico creato in Italia all’indomani della guerra e in campo cattolico si sviluppò il movimento democratico-cristiano, condannato dal nuovo Papa Pio X. Ebbero un grande sviluppo contemporaneamente, le organizzazioni sindacali bianche, cioè cattoliche sul piano politico le forze clericomoderato e stabilirono alleanze elettorali, in funzione conservatrice, con i liberali: questa nuova linea politica avrebbe avuto piena consacrazione nelle elezioni del 1913 con il patto Gentiloni.

La crisi del governo Giolittiano
I mutamenti in atto nel sistema politico italiano alla vigilia della grande guerra (sviluppo del nazionalismo, accresciuto peso dei cattolici, prevalenza dei rivoluzionari del PSI) segnarono la progressiva crisi della politica Giolittiana, sempre meno in grado di controllare la radicalizzazione che si stava verificando. Un sintomo evidente del nuovo clima fu la cosiddetta settimana rossa del giugno 1914. La morte di tre dimostranti in uno scontro con la forza pubblica durante una manifestazione antimilitarista e antimonarchica ad Ancona provocò un ondata di scioperi e di agitazioni in tutto il paese. Tutto questo provocò agitazioni che si esaurirono comunque in pochi giorni. L’unico risultato fu quello di rafforzare le tendenze conservatrici in seno alla classe dirigente, spaventato dal ritorno di fiamma del sistema vecchia maniera, e di accentuare le fratture all’interno del movimento operaio
La grande guerra avrebbe reso irreversibili la crisi del giolittismo e messo in luce la debolezza di una strategia politica che aveva avuto il merito innegabile di favorire la democratizzazione della società, incoraggiando al tempo stesso lo sviluppo economico, ma che, tutta fondata sulla mediazione parlamentare, si rivelava inadeguata a fronteggiare le tensioni sprigionate dalla nascente società di massa.

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Le grandi potenze europee della seconda metà dell’800

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Nella seconda metà dell’800, le maggiori potenze europee si impegnarono nella lotta per l’egemonia. Il ruolo più attivo fu svolto dalla Francia del secondo impero, che però, nel suo tentativo di indebolire l’Austria con una politica estera ambiziosa e aggressiva, finì con il facilitare l’ascesa della Prussia. Una prima manifestazione di questa strategia si ebbe con la guerra di Crimea (1854 1855). La Prussia si incamminava, invece, sulla via dell’unificazione, in particolare con l’ascesa al governo di Bismark (1862).

La guerra del ‘66 tra Prussia e Austria portò alla formazione di una confederazione della Germania del Nord. Nel ‘67 si giunse alla divisione dell’impero asburgico da tempo in difficoltà, in due parti, una austriaca e l’altro ungheresel 1870 Bismark e riuscì a provocare una guerra con la Francia, ultimo ostacolo ai suoi progetti di unificazione tedesca, che fu rovinosamente sconfitta a Sedan. A Versailles nel 1871 nasceva il nuovo Reich tedesco. La sconfitta comportò per la Francia la caduta di Napoleone III, la proclamazione della Repubblica e la cessione dell’Alsazia e della Lorena. Più in generale, rappresenta un’umiliazione nazionale che, per il desiderio di rivincita che alimentava, avrebbe condizionato per quasi mezzo secolo la politica francese.

Tra le conseguenze della sconfitta militare francese vi fu la ribellione di Parigi è la proclamazione della comune, radicale e breve esperimento di democrazia diretta rivoluzionaria (marzo-maggio 1871). Isolata dal resto del paese la comune tento inutilmente di coinvolgere nella rivolta la popolazione delle altre città e le campagne perlopiù di tendenza conservatrice moderate e presto viene sconfitta dalle gruppo governativo dopo durissimi combattimenti. Questa vicenda contribuì a diffondere nell’opinione pubblica moderata un senso di paura e di odio per i rivoluzionari.

la Germania unita era il più potente stato dell’Europa continentale. La supremazia del potere esecutivo sul legislativo e un blocco sociale dominante formato dal mondo dell’industria e della finanza e dell’aristocrazia degli Junker , non impedirono la nascita, negli anni ‘70, di due nuovi partiti: il centro cattolico e il partito socialdemocratico. In politica interna Bismark lavorò per affermare il carattere laico dello Stato e fronteggiare nuovo pericolo rappresentato dalla socialdemocrazia affiancando le tendenze autoritarie una legislazione sociale molto avanzata, secondo un modello di stampo paternalistico. In politica estera creò un sistema di alleanze per isolamento della Francia. Fondato sul patto dei tre imperatori del 1873, questo sistema si scontra con le rivalità che opponevano nei Balcani gli altri due contraenti (Austria Russia), che determinarono la guerra russo-turca (1877) e il successivo congresso di Berlino (1878). Nel 1882 la Germania stipulò il trattato della triplice alleanza con Austria Italia.

La Francia si riprese rapidamente della sconfitta del 1870. La nuova costituzione della Francia un sistema di governo di compromesso fra il modello presidenzialista all’americana e quello parlamentare. La scena politica era dominata dai repubblicani, opportunisti e radicali, che riuscirono gradualmente consolidare il nuovo regime, spesso però messo a repentaglio della notevole instabilità dei governi e dalla grande corruzione che dominava il mondo politico e finanziario.

In Gran Bretagna, gli anni dal 1850 al 1870 videro il rafforzamento del sistema parlamentare, con una lunga presenza dei liberali al governo, una notevole prosperità economica e il varo di alcune importanti riforme, soprattutto quella elettorale, che allargava di quasi 1 milione il numero degli aventi diritto al voto. Fra il 1866 e il 1886 si alternarono al potere il conservatore Disraeli, fautore di una politica imperialistica non privo di apertura e sociali, e il liberale Gladstone, che realizzò nuove riforme, tra cui un ulteriore ampliamento del suffragio dopo quelli attuati da Disraeli, e tentò senza fortuna di concedere l’autonomia l’Irlanda.

In Russia, all’arretratezza sociale politica faceva riscontro una grande vivacità della vita culturale ed è dibattito ideologico. L’avvento al trono di Alessandro Secondo nel 1855 alimentò forti speranze di rinnovamento, soprattutto in conseguenza delle riforme attuate dal nuovo sovrano, tra le quali l’abolizione della servitù della gleba (1861) presto tuttavia si torna home indirizzo autocratico con il conseguente accrescimento del distacco tra potere statale è borghesia colta.

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L’Europa e il mondo agli inizi del ‘900

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Prima della prima guerra mondiale nel 1914, l’Europa visse una fase di forti contraddizioni. Furono anni di intenso sviluppo economico e di continua crescita del commercio mondiale, ma anche di inasprimento delle tensioni internazionali e della conflittualità sociale all’interno dei singoli Stati; l’incessante progresso scientifico e tecnologico e di critica nei confronti del progressismo positivista. Le spinte alla democratizzazione che portarono poi al diritto di voto in molti paesi, incontrarono le resistenze dei conservatori e in alcuni casi furono duramente represse, come in Russia o come in Germania nell’impero asburgico.

Questa compresenza di spinte diverse tra loro e tra loro contraddittorie ha fatto sì che nella realtà europea di quest’epoca si costruissero due rappresentazioni contrapposte. Da un lato quella idilliaca e nostalgica di un’età di progresso e di spensieratezza, di pace e di benessere: la belle époque, l’epoca bella come sarebbe stata definita successivamente in implicito confronto con le tragedie del primo conflitto mondiale e con gli anni agitati del dopoguerra. Dall’altro quella di una stagione dominata dal militarismo, dall’imperialismo e dalla più spietata logica di potenze.

In realtà la guerra fu il prodotto della combinazione di eventi casuali e di cause profonde. E queste ultime vanno ricercate principalmente negli storici contrasti tra le grandi potenze europee e nella nuova configurazione del sistema di alleanze, quale si venne delineando a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo.

In seguito alla crisi del sistema Bismarkiano le alleanze in Europa cambiarono. In Europa si venne a costituire uno schieramento, chiamato triplice intesa, che comprendeva Francia, Russia e Gran Bretagna e che si contrapponeva alla triplice alleanza, che univa Germania, impero austroungarico e Italia.
Il primo quinquennio del 900 vide inoltre manifestarsi i primi segni di declino dell’Europa di fronte all’emergere di popoli extraeuropei. I timori provenivano dal risveglio di popoli dell’estremo oriente: Giappone e Cina. La minaccia veniva sentita a livello demografico e, più in generale, alla supremazia dei popoli bianchi. Si iniziò a parlare di pericolo giallo, un’espressione coniata dall’imperatore di Germania Guglielmo II.

Uno dei punti di frizione riguardava il Marocco, uno degli ultimi Stati indipendenti africani, da secoli governato da dinastie islamiche, oggetto delle mire francesi e proprio per questo scelto dalla Germania come ultimo possibile terreno di scontro per contrastare lo strapotere dei rivali in campo coloniale. Per due volte, nel 1905 e nel 1911, il contrasto franco-tedesco sul Marocco sembra portare l’Europa sull’anno della guerra. Alla fine la Francia ottenne un protettorato sul territorio conteso.

Nel primo decennio del 1900 avvenne anche la rivoluzione in Turchia: la cosiddetta rivoluzione dei giovani turchi che volevano proporre la trasformazione dell’impero in una moderna monarchia costituzionale. Questa rivoluzione non fece altro che accentuare le spinte indipendentiste e di accelerare la fine della presenza ottomana in Europa.
Negli stessi anni l’Austria-Ungheria vide l’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina che provocò un inasprimento dei rapporti con la Serbia e con la Russia. Anche l’Italia subì a malincuore l’iniziativa austriaca.

Il caso Dreyfus
Il caso Dreyfus è stato uno scandalo politico e giudiziario che ha avuto luogo in Francia alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo. Il protagonista principale era il capitano Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo dell’esercito francese.
Nel 1894, Dreyfus fu accusato ingiustamente di tradimento per aver presunto passato segreti militari alla Germania. Il caso si basava principalmente su prove circonferenziali e su un documento incriminante noto come “bordereau”. Dreyfus fu condannato in un processo segreto e degradato pubblicamente nell’infamante cerimonia della “degradazione”.
Tuttavia, nel corso degli anni, emersero dubbi sulla sua colpevolezza. Nel 1896, un altro ufficiale dell’esercito scoprì prove che suggerivano che il vero traditore potesse essere il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy, ma le autorità dell’esercito fecero tutto il possibile per coprire questa scoperta.
Il caso Dreyfus divenne una questione di grande dibattito pubblico e politico in Francia, diviso in fazioni pro-Dreyfus e anti-Dreyfus, con divisioni profonde sulla base di questioni di classe sociale, religione ed antisemitismo. Il giornalista Émile Zola scrisse un famoso articolo intitolato “J’Accuse…!” nel 1898, in cui accusò il governo e l’esercito di coprire l’ingiustizia.
Infine, nel 1899, Dreyfus fu nuovamente processato e condannato, ma questa volta con una sentenza più mite. Nel 1906, dopo un ulteriore dibattito pubblico e pressioni, Dreyfus fu completamente riabilitato, ristabilito nell’esercito e decorato con la Legion d’Onore.
Il caso Dreyfus è diventato un simbolo di ingiustizia, antisemitismo e abuso di potere e ha avuto un impatto duraturo sulla politica e sulla società francese. Ha anche influenzato il movimento per i diritti umani e ha dimostrato l’importanza di una giustizia equa e della difesa dei diritti civili.

In Germania, dopo l’uscita di Bismark dalla scena politica, il “nuovo corso“ di Guglielmo II non segnò un effettivo mutamento di indirizzi: anzi la più aggressiva politica estera della Germania Guglielmina-perseguita grazie a un accelerato riarmo navale-rafforzava la tradizionale alleanza tra grande industria, aristocrazia Terriera e vertici militari, e finiva con l’ottenere l’appoggio di tutte le forze politiche. Da questa forte base di consenso venivano però esclusi i socialdemocratici, che nonostante ciò riuscirono ad allargare il proprio elettorato. Nell’impero asburgico invece, lo sviluppo economico rimaneva limitato ad alcune aree, mentre il sistema politico e la struttura sociale delle campagne erano caratterizzati da un sostanziale immobilismo. il problema più grave era rappresentato però dalle agitazioni autonomistiche e indipendentiste delle varie nazionalità anzitutto dagli slavi. Queste tensioni interne all’impero sarebbero state all’origine della prima guerra mondiale.

Grazie all’intervento diretto dello Stato e all’afflusso di capitali stranieri si ebbe, nella Russia degli anni ‘90, un primo decollo industriale. La società russa rimaneva però fortemente arretrata. Queste contraddizioni si rivelarono nella rivoluzione del 1905, che vide nascere i nuovi organismi rivoluzionari, i soviet. A far precipitare gli eventi contribuì lo scoppio della guerra con il Giappone del 1904, che fece immediatamente salire la tensione sociale nelle città provocando un aumento dei prezzi.in una domenica di gennaio del 1905, a Pietroburgo, un corteo di 150.000 persone si diresse verso il palazzo d’inverno, residenza dello zar Nicola secondo, per presentare al sovrano una petizione in cui si chiedevano maggiori libertà politiche e interventi per alleviare il disagio delle classi popolari. I manifestanti furono accolti e fucilati dall’esercito: i morti furono più di 100 e oltre 2000 i feriti Questo episodio viene chiamato anche domenica di sangue.

Come abbiamo visto, nel 1905, mentre era ancora scossa della rivoluzione, la Russia aveva subito una severa sconfitta militare ad opera del Giappone che, già la fine dell’ottocento, si era affacciato prepotentemente sulla scena della competizione imperialistica in Asia: aveva infatti mosso guerra all’impero cinese nel 1894 e lo aveva sconfitto dando una prima prova della sua efficienza bellica. Subito dopo il Giappone entrò in diretta concorrenza con la Russia per il controllo delle regioni del nord-est asiatico. Nel 1903, le due potenze non trovare un accordo sulla spartizione della Manciuria. Nel febbraio del 1904, senza alcuna dichiarazione di guerra, la flotta nipponica attaccò con la Russia del Mar giallo. Anche la flotta, giunta in maggio dal Mar Baltico, fu distrutta in una grande battaglia navale nello stretto di Tsushima, tra il Giappone e la Corea. Alla Russia non restò che accettare la mediazione offerto dagli Stati Uniti e firmare in settembre il trattato di Portsmouth, in base al quale il Giappone otteneva la Manciuria meridionale è una parte dell’isola di Sakhalin, situata di fronte le cose della Siberia, e si vedeva riconosciuto il protettorato sulla Corea.
Per l’impero zarista la sfortunata guerra contro il Giappone significò un ridimensionamento della propria posizione internazionale. Inoltre per la prima volta, un paese asiatico batteva in un’autentica guerra una grande potenza europea, distruggendo il mito della supremazia militare tecnologica europea e quello di una presunta superiorità della razza bianca. L’estremo oriente cessava di essere campo d’azione incontrastato per le potenze europee e si avvia a diventare terreno di competizione fra i due nuovi imperialismo in ascesa: quello giapponese e quello statunitense

La Cina dall’impero alla Repubblica
Dopo la vittoria del Giappone sulla Russia nel 1905, iniziarono lotte nazionali e anticoloniale dei popoli asiatici. Movimenti indipendentisti si svilupparono nell’Indocina francese, nell’Indonesia olandese, nelle Filippine, da poco passate sotto il controllo degli Stati Uniti, e nell’India britannica. Ma fu soprattutto la Cina a subire in maniera determinante l’influsso del vicino Giappone, visto a un tempo come minaccia all’indipendenza nazionale e come modello da imitare sul piano dello sviluppo economico e azione politica. Da decenni ormai l’impero cinese era oggetto della pressione commerciale militare delle potenze europee, che miravano a spartirsi il territorio in zone di influenza. La sconfitta nella guerra del 1894 contro il Giappone non fece che accelerare la crisi e provocò, per reazione, la nascita di un movimento conservatore e xenofobo che si proponeva di restaurare integralmente le antiche tradizioni imperiali. Questo movimento conservatore e xenofobo era composto da persone che si chiamavano boxer, ossia pugili.
Nel 1900 le grandi potenze, compresi Stati Uniti e Giappone, si accordarono per un intervento militare congiunto che represse ogni tentativo di ribellione.
Tuttavia all’inizio del 900, si diffuse un movimento nazionalista e democratico, guidato da Sun yay-sen che mirava all’indipendenza nazionale e alla istituzione del paese di una democrazia rappresentativa. Nell’ottobre del 1911 la decisione del governo di affidare a imprese straniere il controllo della rete ferroviaria cinese provocò una serie di sommosse nelle province centro-meridionale e l’ammutinamento di alcuni reparti dell’esercito. nel 1912 un’assemblea rivoluzionaria dichiarò decaduta la dinastia Qing ed elesse sun yay-sen alla presidenza della Repubblica.
La presidenza della neonata Repubblica fu assunta da Sun yay-sen , ma le forze conservatrici presero preso il sopravvento, inaugurando così una lunga stagione di guerre civili.
Mentre l’Asia orientale assisteva la crescita inarrestabile della potenza nipponica, favorita anche dal crollo dell’impero cinese, sull’altra sponda del Pacifico si andava progressivamente rafforzando il ruolo egemonico degli Stati Uniti.

Il presidente Roosevelt salì al potere nel 1901 e mostrò grande decisione nella difesa degli interessi americani nel mondo. Un esempio significativo di questa politica fu la vicenda del canale di Panama. Nel 1901 gli Stati Uniti avevano ottenuto dal governo della Colombia l’autorizzazione a costruire e a gestire per un periodo di 100 anni un canale che tagliasse l’istmo di Panama Aprendo un passaggio tra il Pacifico e il Mar dei Caraibi.
Sul piano interno, Roosevelt mostra particolare sensibilità e apertura verso i problemi sociali. Le divisioni nel partito repubblicano però favorirono nel 1912 l’elezione del democratico Wilson. Fu tuttavia questo presidente a guidare gli Stati Uniti nel 1917 nella prima guerra mondiale.

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L’Europa degli anni ‘30: totalitarismi e democrazie

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Nel corso degli anni 30, i sistemi politici democratici attraversarono un periodo di enorme difficoltà: l’ascesa del nazismo in Germania dimostrò che la democrazia poteva essere messa in discussione anche nei paesi più sviluppati. Caratteristiche fondamentali dei movimenti e dei regimi fascisti furono l’accentramento del potere nelle mani di un capo, la struttura gerarchica dello Stato, l’inquadramento forzato della popolazione nelle organizzazioni di massa, il rigido controllo sull’informazione e sulla cultura. Il fascismo esercitò una notevole attrazione, negli anni ‘30, soprattutto sui ceti medi: rappresentava una reazione contro la società di massa, ma al tempo stesso un’esaltazione di alcuni suoi aspetti. Questa capacità di adattamento alla società di massa costituì una caratteristica specifica del fascismo e del nazismo, ma anche del regime sovietico nell’età di Stalin. Per la loro pretesa di dominare in modo totale la società, di condizionare comportamenti e mentalità dei cittadini, tali regimi sono detti totalitari.

Caratteristica comune ai regimi totalitari fu il disprezzo del valore della vita e della dignità umane e ricorso sistematico alla forza. In una visione della nazione come organismo unico la cui integrità va tutelata ad ogni costo, anche a prezzo dell’espulsione dei corpi estranei, si inquadra la fortuna dell’eugenetica, disciplina che persegue il miglioramento di una popolazione attraverso la selezione genetica. Il passaggio a una diffusa pratica di eliminazione fisica si ebbe solo nei regimi totalitari, in particolare nella Germania nazista. Diverse nelle motivazioni ma analoghe nelle conseguenze furono le politiche di sterminio adottate nell’unione sovietica di Stalin: qui le vittime erano scelte su basi ideologiche e di classe.

Il successo del nazismo è strettamente collegato alle conseguenze della crisi economica. Dopo il fallito colpo di Stato di monaco del 1923, che comportò per Hitler il carcere, e fino al 1930, infatti, il partito nazionalsocialista era un gruppo marginale, che si serviva della violenza contro gli avversari politici, grazie ai suoi reparti d’assalto, le SA. In carcere Hitler scrisse Main campf , ovvero la mia battaglia, in cui espose la sua ideologia fondata sull’esistenza della razza superiore ariana che avrebbe dovuto, nel suo programma, dominare sull’Europa e sul mondo, dopo aver sottomesso i popoli slavi per costruire il suo nuovo impero. Questo programma trovò ascolto nella popolazione tedesca solo dopo la crisi economica. Il partito di Hitler vide crescere i suoi consensi nelle numerose elezioni che si tennero tra il ‘30 e il ‘32, fino a diventare il primo partito tedesco. Nel gennaio del ‘33 Hitler fu chiamato a guidare il governo.

La trasformazione della Repubblica tedesca in dittatura avvenne nel giro di pochi mesi. Traendo pretesto dall’incendio del reichstag del febbraio del 1933, Hitler varò una serie di misure eccezionali che limitavano o annullavano le libertà di stampa e di riunione. Dopo la formazione elettorale del marzo (il partito nazista prese 44%), Hitler fece approvare una legge che conferiva al governo i pieni poteri, compreso quello di modificare la costituzione. In luglio una legge sancisce il partito nazionalsocialista era l’unico partito consentito in Germania. In novembre, le nuove elezioni di tipo plebiscitario, accordavano al partito unico il 92% dei voti favorevoli. Nell’estate del ‘34 dopo la notte dei lunghi coltelli con cui si sbarazzò dell’ala estremista del nazismo che faceva capo alle SA, Hitler unificò nelle sue mani le cariche di cancelliere e di capo dello Stato.

Il terzo Reich creato da Hitler si posava sul rapporto diretto tra il Fuhrer del nazismo e le masse, inquadrate del partito unico e nei suoi organismi collaterali. Compito di queste organizzazioni era trasformare l’insieme dei cittadini in una comunità di popolo compatta che escludesse gli elementi estranei e i nemici, primi tra tutti gli ebrei. Contro la comunità ebraica tedesca, Hitler scatenò una massiccia campagna di odio, fino alla discriminazione legale sancito dalle leggi di Norimberga del 1935 con le quali gli ebrei perdevano la nazionalità tedesca e tutti i diritti politici. Non vi fu, durante il nazismo, alcuna forma di opposizione politica e anche le chiese cristiane finirono perlopiù con adattarsi a regime. All’efficienza dell’apparato repressivo (controllato dalla Gestapo e dalle SS) si aggiunsero i consensi ottenuti dal regime per i successi di Hitler in politica estera e soprattutto per la ripresa economica, e la capacità dei miti antimoderni della ideologia nazista di toccare le corde profonde del popolo tedesco, unita a una capillare propaganda e al controllo assoluto della cultura. Tutti i momenti più significativi della vita del regime furono scanditi da cerimonie pubbliche che assumevano per i cittadini il valore di un rito sacrale: sfilate militari, esibizioni sportive, adunate di massa.

In Urss, alla fine degli anni ‘20, Stalin decise di industrializzare il paese a tappe forzate e di collettivizzare settore agricolo. I kulaki, i contadini agiati, furono individuati come un ostacolo a questo piano ed eliminati con una feroce repressione. Unita allo scoppio di una tremenda carestia del 1932-33, tale repressione costò milioni di vittime, decimando la popolazione delle campagne e determinando un sensibile abbattimento della produzione agricola. positivi furono, invece, in termini economici i risultati dei piani quinquennali per l’industria: con il primo, varato nel 1928, la produzione al 1932 risultava aumentato del 50%; con il secondo (1933-37), la produzione aumentò di un altro 120%.

Gli anni ‘30 videro anche il continuo rafforzamento della dittatura personale di Stalin, che assunse ruolo di capo assoluto, procedendo alla eliminazione di ogni dissenso. Stalin non solo èpurò dal partito tutti i suoi rivali ma li elimino fisicamente insieme a migliaia di quadri dirigenti del partito e un numero incalcolabile di semplici cittadini sospetti. Nel 1934 iniziarono le grandi purghe, una gigantesca repressione poliziesca che colpì negli anni milioni di persone. Fra l’inizio della collettivizzazione e lo scoppio della seconda guerra mondiale, il conto totale delle vittime aumento a 10-11 milioni.

Le prime iniziative hitleriane in politica estera - a cominciare dal rito della società delle nazioni - rappresentarono una minaccia di equilibrio internazionale costruito negli anni ‘20. A partire dal 1935 la causa della sicurezza collettiva trovò sostegno della nuova politica estera sovietica, che si riflesse nella linea dettata ai partiti comunisti dalla terza internazionale: in nome della lotta al fascismo fu incoraggiata la formazione di alleanze-i fronti popolari-tra i comunisti e le forze socialiste democratico-borghesi. Nel 1936 governi di fronte popolare si formarono, prima in Spagna, poi anche in Francia sotto la guida del socialista Leon Blum, che cadde però l’anno successivo senza essere riuscito a portare a termine il suo programma di riforme sociali.

Tra il 1936 e 1939, la Spagna fu sconvolta da una sanguinosa guerra civile un conflitto basato su una forte contrapposizione ideologica che presto si trasformò in uno scontro tra democrazia e fascismo, fra rivoluzione sociale e reazione conservatrice. Alla visione del fronte popolare nel febbraio del 1936, seguì una ribellione militare. I golpisti, guidati dal generale Franco, ebbero il decisivo appoggio di Italia e Germania, mentre i repubblicani poterono contare solo su rifornimenti sovietici e sui reparti di volontari antifascisti (brigate internazionali). Nel 1939 la guerra civile terminò con la vittoria di Franco grazie anche dei profonde divisioni esistenti all’interno del fronte repubblicano, soprattutto tra comunisti e anarchici.

Negli stessi anni della guerra in Spagna, la linea della pacificazione (appeasement) seguita da Francia e Gran Bretagna nei confronti della Germania finì con l’incoraggiare la politica espansionistica del nazismo. Nel 1938 si compiva l’annessione dell’Austria alla Germania; subito dopo Hitler avanzava mire sul territorio cecoslovacco abitato da popolazioni tedesca (i sudeti). Gli accordi di monaco nel settembre del 1938 che accettavano le richieste tedesche, finirono con lo spianare la strada a un nuovo conflitto mondiale.

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Guerra civile americana

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A metà dell’800 gli Stati Uniti erano divisi in tre zone:
- nord-est: zona più ricca e industrializzata influenzata dal capitalismo imprenditoriale dominata da gruppi industriali, commerciali e bancari
- sud: società agricola e tradizionalista che fondava la sua economia e organizzazione sulle grandi piantagioni di cotone e la manodopera era costituita da schiavi neri
- ovest: liberi agricoltori e allevatori di bestiame

C’erano contrasti tra nord e sud sulla questione degli schiavi e si aggiunsero poi contrasti tra le forze politiche.
Da una parte c’erano i partiti democratici favorevoli allo schiavismo, dall’altra emerse nel 1854 il partito repubblicano con a l’elezione nel 1860 di Abraham Lincoln che assunse una posizione antischiavista e che quindi ebbe subito molto seguito.

Tra dicembre 1860 e febbraio 1861 i timori nei confronti della politica di Lincoln spinsero dieci stati del sud a staccarsi dall’unione e costituire una federazione indipendente.
Questo scatenò una guerra civile tra unione e confederazione che ebbe inizio nell’aprile del 1861.
Inizialmente erano le forze sudiste Ad avere una netta prevalenza (guidate dal generale Robert Lee) ma essendo poi da soli senza aiuti da parte di Gran Bretagna e altre potenze europee, il fattore numerico e economico incise sulle sorti della guerra. Nell’aprile del 1865 si concluse la guerra con la resa dei confederati al generale Grant, comandante delle forze del nord. Pochi giorni dopo Lincoln cadeva vittima di un attentato per mando di un fanatico sudista.

Conseguenze della guerra
Nel 1863 furono liberati gli schiavi, anche per consentire l’arruolamento e nel 1862 vennero assegnate gratuitamente quote di terra ai cittadini che lo richiedevano (legge revocata pochi anni dopo la fine della guerra).
La guerra non cambiò la situazione sulle disuguaglianze sociali e non cancellò i pregiudizi razziali radicati nella società del sud.
In questi anni nacque l’organizzazione del KU KLUX KLAN (gruppi di organizzazioni segrete con finalità politiche e terroirstiche a contenuti razzisti che propugnano la superiorità della razza bianca.

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Imperialismo

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Utilizzato per indicare una politica di potenza e di conquista territoriale su scala mondiale. Rappresentò la tendenza degli stati europei a proiettare aggressivamente verso l’esterno i propri interessi economici, la propria cultura, la propria immagine e l’affermazione del proprio prestigio nazionale.

Fin dai tempi delle grandi scoperte l’Europa ha sempre cercato di conquistare il mondo, ma alla fine dell’800 questo processo divenne più intenso e con dimensioni nuove e forme diverse.
La colonizzazione tradizionale era rimasta legata soprattutto all’iniziativa delle grandi compagnie mercantili, mentre la nuova espansione era più un tentativo di assoggettamento politico e di sfruttamento economico.

La tendenza prevalente fu quella di controllare vasti territori come Africa, Asia e del pacifico che furono ridotti alla condizione di vere e proprie colonie o protettorati.
Tra i vari stati che tentarono di espandere il loro controllo economico principalmente, ci furono: Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Giappone e Stati Uniti.
Un ruolo fondamentale ebbero la spinta all’accaparramento di materiali a basso costo e la ricerca di sbocchi commerciali
C’erano anche motivazioni politico-ideologiche: una mescolanza di nazionalismo, di politica di potenza, di razzismo e di concetti come “nazione eletta”.

La conquista dell’Africa
I primi paesi ad essere conquistati furono la Tunisia nel 1881 da parte della Francia (che già controllava l’Algeria) e l’Egitto nel 1882 da parte del Regno Unito britannico.
Nel 1869 il canale di Suez venne aperto e questo favoriva alla Gran Bretagna di raggiungere rapidamente l’Asia e i possedimenti in india senza circumnavigare l’Africa.
Il Sudan fu interesse della Gran Bretagna, ma Mohamed Ahmed si oppose con una guerra santa e nel 1885 fondò un proprio stato. Soltanto nel 1895 i britanni riuscirono a rovesciare questo stato.

Anche il Congo venne conquistato dal re leopoldo II di Belgio, inizialmente con scopi umanitari in realtà si era costruito un impero personale. Si scontro con il Portogallo in quanto rivendicava la foce del Congo per la contiguità con la sua antica colonia dell’Angola.

Conferenza di Berlino e spartizione dell’Africa
Nel 1884-85 Bismarck propose una conferenza internazionale convocata a Berlino. In questa conferenza si stabili la norma che l’unico titolo valido per occupare un paese, era quello dell’effettiva occupazione. Riconobbe quindi la sovranità al re Leopoldo II sul territorio del Congo che poi sarebbe stato nominato Congo belga ma che allora venne chiamato stato libero del Congo (paradossale eufemismo visto il trattamento delle persone e lo sfruttamento delle risorse). La conferenza anche sancì la spartizione dell’Africa.

L’espansione britannica
La Gran Bretagna non si oppose alle espansioni della Francia. Era maggiormente interessata all’Africa sud-orientale importante per il controllo dell’oceano indiano.
Ci furono contrasti con la Germania che si placarono con la decisone da parte della Gran Bretagna di riconoscere alla Germania l’Africa orientale e ricevendo in compenso l’isola di Zanzibar, importante per le rotte commerciali nell’oceano indiano.
All’inizio del ‘900 la spartizione dell’Africa era completa. Soltanto alcune zone restavano indipendenti (impero etiopico, la piccola repubblica di Liberia, la Libia, il Marocco e le repubbliche boere del sudafrica.

Le guerre boere
I boeri erano discendenti di coloni olandesi in sud africa. Queste guerre conosciute anche come anglo-boere si sono svolte tra il 1880 e il 1902 e hanno visto i boeri combattere contro le forze britanniche per difendere la loro indipendenza.
Prima delle guerre c’era stato il grande TREK, ovvero la grande marcia verso nord per sfuggire al controllo britannico e avevano fondato la repubblica dell’Orange (1845) e la repubblica del Transvaal (1852)
Alla fine degli anni ‘60 vennero scoperti importanti giacimenti nel transvaal e la Gran Bretagna si interessò nuovamente.

La prima guerra boera 1880-81 i britannici vennero sconfitti e il Transvaal riuscì a mantenere una propria autonomia.
Crebbero tensioni tra il 1885 e l’86 in quanto emersero nuovi giacimenti auriferi nelle due repubbliche e attirarono un gran numero di immigrati sopratutto di origine britannica.
Nel 1899 il presidente del Transvaal dichiarò guerra alla Gran Bretagna e si trattò della seconda guerra boera piu sanguinosa della precedente.
I boeri vennero sconfitti nel 1902 ma nonostante questo i boeri continuarono a resistere accanitamente.
In seguito orango e Transvaal ottennero uno statuto di autonomia e vennero unite nel 1910 dando vita all’unione sudafricana.

La conquista dell’Asia
A differenza di quando accadeva in africa, agli inizi dell’età dlel’imerialismo gli europei avevano messo radici profondi e nel continente asiatico.
La spinta alla conquista asiatica fu data dall’inaugurazione del CAnale di Suez nel 1869 che mise in comunicazione il mediterraneo con il mar rosso, abbreviando di parecchie settimane i collegamenti tra Europa e Asia

L’India britannica
A metà ‘800 il territorio controllato era vastissimo. I colonizzatori britannici si erano appoggiati alle gerarchie sociali preesistenti per riscuotere le tasse e mantenere l’ordine, inoltre tentarono di diffondere la cultura occidentale e abolire pratiche crudeli.
Nel 1857 ci fu la rivolta dei Sepoys di iniziativa degli indigeni dell’esercito. Questa rivolta porto ad una riorganizzazione del controllo britannico: la compagnia delle indie fu soppressa e il paese passo sotto la corona. La regina vittoria si proclamo imperatrice delle Indie.

Gli europei in Cina
A metà ‘800 l’isolamento della Cina dal resto del mondo fu interrotto dalla pressioni degli stati europei e sopratttuo dal conflitto nato con la Gran Bretagna per il commercio dell’oppio vietato in Cina ma lucroso per la Gran Bretagna. Queste due guerre (1839-42, 1856-60) imposero al paese l’apertura al commercio straniero

Il dominio coloniale
Le potenze conquistatrici fecero generalmente un uso indiscriminato della forza contro le popolazioni indigene, sconvolsero l’economia dei paesi afro-asiatici sottoponendola a un sistematico sfruttamento finalizzato all’esportazione di materie prime e, colpirono spesso antiche culture danneggiando inolter il mercato interno.
Ci furono anche sviluppi positivi, per esempio un principio di modernizzazione, sia pur finalizzata agl interessi dei dominatori. Sul piano culturale alcun ti paesi piu solidi riuscirono a difendere le loro identità, ovvero ad assimilare alcuni aspetti della cultura dei dominatori. Sul piano politico, la colonizzazione favorì la formazione di nazionalismi locali che avrebbero suscitato le lotte per l’indipendenza.

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Governare l’Italia unita

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Al momento dell’unità la grande maggioranza degli italiani era analfabeta, soltanto il 20% della popolazione viveva in città; l’agricoltura era l’attività economica prevalente, ma si trattava di un’agricoltura perlopiù povera, caratterizzata da una grande varietà negli assetti produttivi: aziende agricole moderne(pianura padana), mezzadria (Italia centrale), latifondo (mezzogiorno). La condizione di vita dei contadini era generalmente ai limiti della sua esistenza fisica questa realtà di arretratezza economica e disagio sociale era poco conosciuto dalla classe dirigente nazionale. Inoltre , pur essendoci un divario reale tra il Nord e il sud del paese (in termini di sviluppo, infrastrutture, produttività e istruzione), al confronto con i paesi più sviluppati in Europa, tutta l’Italia appariva complessivamente arretrata
Morto Cavour nel giugno del 1861, il gruppo dirigente che tenne redini del paese proseguendo l’opera fu quello della destra, poi detta “storica“, e composta in realtà dai rappresentanti della classe dirigente moderata. Le si contrapponeva la sinistra, che faceva proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale: suffragio universale, decentramento amministrativo, completamento dell’unità attraverso l’iniziativa popolare. Destra e sinistra erano espressione di una classe dirigente molto ristretta, solo 400.000 persone avevano il diritto di voto, che diede un carattere accentrato la vita politica. I leader della destra realizzarono, sul piano amministrativo e legislativo, una rigida centralizzazione, temendo le conseguenze disgregatrici dei fermenti sociali e facendo proprio il modello di Stato accentrato napoleonico.

Tra le circostanze che spinsero il governo verso la centralizzazione va ricordata soprattutto la situazione del mezzogiorno, dove l’ostilità delle masse contadine verso i conquistatori assunse col brigantaggio caratteristiche di vera e propria guerriglia. Il brigantaggio fu sconfitto grazie un massiccio impiego dell’esercito.

Sul piano economico, la linea liberistica seguita dal governo produsse un’intensificazione degli scambi che favorì lo sviluppo dell’agricoltura. È importante anche l’impegno del governo nella creazione dell’infrastrutture necessarie allo sviluppo economico (strade, ferrovie). L’idea dei politici italiani che paese avesse essenzialmente una vocazione agricola, tuttavia, non ti ho fatto lo sviluppo industriale accrescendo il divario tra l’Italia e i paesi più progrediti. Nell’immediato, infatti, il tenore di vita della popolazione non migliorò e diminuì il peso percentuale dell’attività industriale la distanza tra la classe dirigente e il paese rurale aumentata della dura politica fiscale seguito della destra. Particolarmente impopolare fu la tassa sul macinato, che provocò violente agitazioni sociali in tutta la penisola.

Il completamento dell’unità costituì uno dei problemi più difficili per la nuova classe dirigente nazionale. Falliti i tentativi di conciliazione con la chiesa, riacquisto spazio di iniziativa dei democratici: nel 1862 l’iniziativa garibaldina di una spedizione di volontari si risolse in uno scontro con l’esercito regolare (Aspromonte). Nel 1864 fu firmata la convenzione di settembre con la Francia, che prevedeva il trasferimento della capitale a Firenze ma anche il ritiro delle truppe francesi dal Lazio. L’alleanza con la Prussia contro l’Austria e la vittoria prussiana consentirono all’Italia l’acquisto del Veneto, nonostante le sconfitte subite a Lissa e a Custoza (1866). Il problema della conquista di Roma-fallito a Mentana nel 1867 un nuovo tentativo garibaldino-si risolse il momento della sconfitta inflitta dalla Prussia al secondo impero di Napoleone III, che permise al governo italiano di approfittare delle difficoltà francesi per prendere la città (20 settembre 1870). Finiva il potere temporale dei papi e Roma diveniva capitale del regno d’Italia. Con la legge delle guarentigie lo Stato italiano si impegnava a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale. L’intransigenza di Pio IX, tuttavia, si manifestò nel divieto per i cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche: ulteriore ostacolo che si frapponeva al processo di reale unificazione del paese.

Nel 1876 a marzo il governo della destra fu battuto alla camera su un progetto di legge relativo alla statalizzazione delle ferrovie. L’avvento al potere della sinistra segnò l’inizio di una nuova fase con una classe dirigente più giovane, che avrebbe ripreso le componenti radical-democratiche. Approvata la legge Coppino sull’istruzione e la riforma elettorale del 1882, gran parte del programma riformatore della sinistra fu accantonato. Il sistema politico italiano perse, con il trasformismo di Depretis (l’allora leader della sinistra), il suo carattere bipartitico finendo con l’essere dominato da un grande centro che immaginava le ali estreme.

Depretis fu otto volte presidente del consiglio del regno di italia dal 1876 al 1887.
Nel maggio del 1882 il governo Depretis stipulò la triplice alleanza con la Germania e l’Austria Ungheria. Questa scelta rappresentava una netta rottura poiché abbandonava la politica seguita dai governi precedenti basata sul mantenimento di buone relazioni con le grandi potenze e sul rapporto preferenziale con la Francia. La motivazione principale fu il desiderio di uscire da questa situazione di isolamento diplomatico che appariva insopportabile in un’epoca dominata dalla logica di potenza. La triplice alleanza era un’alleanza di carattere difensivo, che impegnava gli Stati firmatari a garantirsi reciproca assistenza in caso di aggressione da parte di altre potenze.
Il trattato costringeva l’Italia a rinunciare implicitamente alla rivendicazione di Trentino, Venezia Giulia e Trieste.
Depretis aveva ritenuto opportuna in quegli anni, un’espansione coloniale sulle coste del Mar Rosso, in Africa, ma il tentativo di estendersi verso l’interno portò al contrasto con l’Etiopia e all’eccidio di Dogali (1887).

Nel 1857 Filippo turati fondò il partito socialista Italiano.

Crispi
Alla morte di Depretis, nel 1887, fu nominato presidente del consiglio Francesco Crispi, la personalità più rilevante della sinistra. Crispi impresse una svolta all’azione di governo: si fece promotore di un’opera di riorganizzazione e di razionalizzazione dell’apparato statale, ma accentuò anche le spinte autoritarie e repressive.
Crispi fu anche sostenitore dell’ascesa dell’Italia a grande potenza coloniale. Puntò su rafforzamento della triplice alleanza, all’interno di essa, sul consolidamento dei legami con l’impero tedesco. Nel 1890 i possedimenti italiani furono ampliati e riorganizzati con il nome di colonia Eritrea, mentre venivano poste le basi di una nuova espansione sulle coste della vicina Somalia la politica coloniale di Crispi però risultava troppo costosa per il bilancio dello Stato e nel 1891, messo in minoranza, si dimise.

Il primo governo Giolitti
Nel maggio del 1892 la presidenza del consiglio passò al piemontese Giovanni Giolitti. Figura centrale del successivo trentennio di storia italiana.il suo programma era piuttosto avanzato: in politica finanziaria mirava a un’equa ripartizione del carico fiscale in modo da risparmiare i ceti disagiati e colpire di più i redditi maggiori secondo il principio della progressività delle imposte. Inoltre in politica interna aveva idee innovatrice, contrari all’intervento repressivo contro i movimenti operai e le organizzazioni popolari.
I conservatori però ritenevano il presidente del consiglio un debole e questo contribuì a indebolire il governo e ad accelerare la caduta che fu dovuta tuttavia alle conseguenze del grave scandalo della Banca romana, responsabile dell’emissione fraudolenta di cartamoneta e di finanziamento culto di uomini politici e giornalisti per influenzare la stampa e l’opinione pubblica in occasione delle campagne elettorali. Giolitti, implicato nello scandalo, cadde e fu sostituito da Crispi, anche lui coinvolto nelle vicende della banca ma ritenuto un uomo forte e capace di mettere ordine nel paese e di arrestare la crescita delle organizzazioni operaie.

Il ritorno di Crispi
Tornato al governo nel dicembre del 1893 e affrontò con risolutezza i diversi problemi dell’Italia.
In campo economico il nuovo governo avviò una politica di risanamento del bilancio basata su pesanti inasprimenti fiscali e con una legge veniva istituita la Banca d’Italia. Questo nel 1926 avrebbe ottenuto il monopolio dell’emissione di cartamoneta e a partire dal 1947 avrebbe svolto compiti di controllo sull’intero sistema bancario.
All’inizio del 1894 venne proclamato lo stato d’assedio (ossia il trasferimento all’esercito del controllo dell’ordine pubblico), fu proclamato prima in Sicilia e successivamente esteso alla Lunigiana, tra Toscana e Liguria, dove si era verificato senza alcun nesso con gli avvenimenti siciliani un tentativo di insurrezione anarchica. Ci fu una repressione militare dura e sanguinosa che viene accompagnata da una più generale repressione poliziesca estesa a tutto il paese rivolta soprattutto contro circoli, leghe i giornali facenti capo al partito socialista, che pure non aveva responsabilità diretta nel moto siciliano.
Per dare un carattere organico alla azione repressiva, venne approvata dal parlamento un complesso di leggi che limitavano la libertà di stampa, di riunione e di associazione. Queste leggi venivano definite antianarchiche e avevano in realtà come obiettivo principale il partito socialista, che poi nell’ottobre fu dichiarato fuorilegge.

E ciò che fece cadere il governo di Crispi definitivamente fu il fallimento della sua politica coloniale. Gli etiopi infatti reagirono energicamente ai tentativi italiani di penetrazione ripresi dopo ritorno al potere di Crispi. Fra Italia di Etiopia armato, culminato nel disastro di Adua del 1 marzo del 1896, quando un contingente italiano di 20.000 uomini bene praticamente annientato dalle forze etiopiche. La sconfitta ebbe immediatamente ripercussioni in Italia, nacquero infatti violente manifestazioni contro la guerra d’Africa. Crispi fu costretto a dimettersi e uscì dalla scena politica l’episodio di Adua e le reazioni che erano conseguiti avevano dimostrato quanto la guerra coloniale cose poco sentito dalle masse popolari e dal larghi strati della stessa classe dirigente e quando illusorio fosse stato il tentativo di Crispi di cogliere i successi di prestigio, per sempre il paese, in un’avventura imperialistica a cui mancavano le indispensabili premesse ideologiche politiche dei economiche.

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Chi era la triplice alleanza e chi la triplice intesa?

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Triplice alleanza: Germania, Austria e Italia
Triplice intesa: Gran Bretagna, Francia e Russia
L’Italia dopo un primo anno di neutralità, però dichiaro guerra all’Austria

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Chi furono durante la 1 guerra mondiale il primo ministro e il ministro degli Esteri ?

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Furono rispettivamente Antonio Salandra e Sidney Sonnino

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Cosa comporto l’assassinio dell’arciduca d’Austria?

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Francesco Ferdinando venne assassinato alle 10:45 del 28 giugno 1914 da uno studente serbo-bosniaco Gavrilo Princip. Esattamente un mese dopo, il 28 luglio, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, appoggiata nella sua decisione dal Reich tedesco.

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Gabriele D’Annunzio, chi era che ruolo ha avuto?

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Era un poeta a favore della guerra. Era chiamato il vate per le abilità di convincere le piazze grazie alle sue qualità di oratore

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Quando è entrata in guerra l’Italia durante la prima guerra mondiale?

A

Il 24 maggio del 1915.

Dopo aver firmato in tutta segretezza il Patto di Londra, rimaneva il problema di convincere il parlamento di maggioranza giolittiana ad entrare in guerra. Molte furono le manifestazioni a favore, ed alla fine il Re Vittorio Emanuele III e il Presidente del Consiglio Antonio Salandra riuscirono nell’impresa attraverso uno stratagemma. Salandra finse di dare le dimissioni e al suo posto fu convocato Giolitti, che saputo parzialmente del patto di Londra, si rese conto che le sue tesi non erano più sufficienti e rifiutò l’incarico. Allora il Re non accettò le dimissioni di Salandra e il governo da lui presieduto ebbe poteri speciali.
Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria ed entrò così nella Prima Guerra Mondiale, dando vita a quello che sarebbe stato chiamato anche Fronte italiano oppure Guerra di Montagna,poiché buona parte delle relative operazioni si svolsero nell’Italia nord-orientale lungo le frontiere alpine. Una dichiarazione di guerra che nei quattro anni seguenti avrebbe visti impegnati 5 milioni di soldati italiani, fra i quali ci sarebbero stati circa 620.000 morti, 600.000 fra prigionieri e dispersi e quasi 1 milione di feriti.

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Quando è stato stipulato il patto di Londra e in cosa consisteva?

A

Il Patto di Londra fu un accordo segreto tra l’Italia e la Triplice intesa firmato il 26 aprile 1915. Trattato con il quale l’Italia si impegnò a entrare nella prima guerra mondiale, a fianco dell’Intesa, entro un mese. In caso di vittoria avrebbe ottenuto numerosi compensi territoriali: Alto Adige, Trentino, Venezia Giulia, territori in Dalmazia, Albania, Turchia e parte delle colonie tedesche. L’Italia abbandonò quindi la Triplice Alleanza e il 23 maggio dichiarò guerra all’Austria-Ungheria. Nonostante l’Intesa avesse vinto la guerra, l’Italia non ricevette tutti i territori promessi perché ciò si sarebbe opposto al principio di autodeterminazione dei popoli stabilito dal presidente degli Stati Uniti. I nuovi confini dovevano essere tracciati in base alla nazionalità dei cittadini. L’Italia ricevette quindi: il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e Trieste. Ciò provocò malcontento tra il popolo italiano, tanto che il poeta Gabriele D’Annunzio la definì una “Vittoria mutilata”.

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18
Q

Cosa accadde nel 1918 per la Germania?

A

Intanto nel 1918 tedeschi ed austriaci lanciano un ultimo disperato attacco contro i rispettivi fronti (fronte francese e italiano). L’offensiva tedesca inizialmente ha successo, ma la contro-offensiva dell’intesa sul fronte frena e se va ancora meglio, visto che inglesi e francesi possono contare pienamente sugli aiuti americani. I tedeschi sono costretti ad arretrare parecchio, mentre in Germania cominciano a scoppiare problemi interni. In Germania venne costituito un governo provvisorio di coalizione per trattare l’armistizio, ma la tensione è tantissima e seguendo il modello della rivoluzione russa, i marinai della flotta tedesca si ammutinano e formano insieme agli operai dei consigli rivoluzionari, sul modello dei soviet russi, assemblee democratiche di lavoratori e soldati. Alla fine l’imperatore Guglielmo II è costretto a fuggire dalla Germania e un socialdemocratico viene nominato capo del governo. L’11 novembre il nuovo governo tedesco firma l’armistizio con le truppe dell’intesa. Nel mese precedente erano già accaduti anche gli altri alleati (Bulgaria, Turchia e la stessa Austria).

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19
Q

Durante la prima guerra mondiale, chi deteneva il potere nelle decisioni?

A

Governi e vertici militari detengono il potere, mentre salano le tradizionali procedure parlamentari e democratiche. I governi diventano sempre più autoritari, anche per combattere l’altra battaglia, quella sul cosiddetto FRONTE INTERNO. Tramite la propaganda i governi cercano di condizionare l’opinione pubblica per avere l’appoggio dei cittadini ed evitare cosi che emergano le posizioni pacifiste, come ad esempio quelle di alcuni gruppi socialisti.
I socialisti europei, hanno per gran parte appoggiato i rispettivi governi nella guerra (o non li hanno ostacolati come ad esempio ha fatto il partito socialista italiano).

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20
Q

Quando entrano in guerra gli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale?

A

La guerra non si sta combattendo solo via terra, ma anche via mare, in particolare tra Germania e Gran Bretagna. La Germania sta conducendo anche una guerra sottomarina per ostacolare la supremazia navale della Gran Bretagna e per ostacolare i rifornimenti dell’intesa. A partire dal 1917 finiscono sotto tiro anche molte navi americane, e gli Stati Uniti decidono di entrare in guerra. Non è solo questo il motivo ovviamente. Da anni c’era un dibattito anche negli Stati Uniti tra interventisti e neutralisti, ma c’era soprattutto in gioco il nuovo ordine mondiale che questa guerra avrebbe ridisegnato. Il 1917 quindi è un anno chiave nella grande guerra. Dallo schieramento con Francia e Inghilterra esce la ormai debole Russia, ed entrano i fortissimi Stati Uniti che senza aver subito danni e distruzioni perchè lontani geograficamente dal terreno di guerra, mettono subito a disposizione un’industria pesante per produrre armi, molto potenti.

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21
Q

Perchè 1917 rischia di essere anche l’anno del tracollo italiano?

A

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Proprio nell’ottobre del 1917 l’Austria, con l’aiuto di alcune divisioni tedesche prova a sfondare sul fronte italiano, all’altezza di Caporetto (comune che è oggi in Slovenia). La manovra riesce e le truppe austro-tedesche dilagano nel Friuli, avanzando per oltre 150 km. L’esercito italiano disorientato comincia una fuga precipitosa, rovinosa, drammatica. Più di 300.000 soldati vengono catturati. È la disfatta di Caporetto.
Cadorna, il generale al comando supremo, prima di essere rimosso dal comando diede la colpa ai soldati dicendo che non avevano combattuto. In realtà la rottura del fronte era stata determinata da errori dei comandi.

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22
Q

Quali sono le condizioni dell’Europa e quale era l’obiettivo del trattato di Versailles?

A

Anche l’Europa esce da questa guerra fortemente ridimensionata: l’economia e la società degli stati europei coinvolti sono devastate dopo quattro anni di guerra, e poi perhcè è stato decisivo l’intervento di uno stato extraeuropeo, gli Stati Uniti che per la prima volta hanno dimostrato la loro potenza economica e militare.
Sarà difficilissimo in qeuste condizioni scrivere un trattato di pace.
Il 18 gennaio 1919, iniziano i lavori del congresso di Versailles. Che avrebbe il compito di riportare la pace sul continente di stabilire un nuovo assetto europeo. Ma l’assetto europeo che verrà fuori da questi trattati, sarà tutt’altro che risolutivo. La pace di Versailles sarà davvero problematica: alcuni la definiranno una tregua , piu che una pace per indicare come avesse solo rimandato alla seconda guerra mondiale la risoluzione dei conflitti.
Per molti altri i problemi irrisolti da quella pace avranno come conseguenze la nascita del nazismo e l’involuzione autoritaria in Europa. Di fatto, più che una pace, sarà una premessa per una nuova crisi.

Il trattato di Versailles segnò a livello diplomatico la conclusione delle controversie tra i Paesi usciti vincitori dal conflitto e i vinti. Venne firmato il 28 giugno 1919 nella sala degli specchi della reggia di Versailles, vicino Parigi. Non fu l’unico trattato firmato alla fine della guerra, ma viene riconosciuto come il principale perché riguardante la Germania, ritenuta la principale colpevole del conflitto.

Il nuovo equilibrio doveva tener conto dei principi di democrazia e giustizia internazionale enunciati nei 14 punti di Wilson, rappresentante americano. Punti però che non accontentavano tutti i paesi vincitori. Infatti, alla Francia non era sufficiente la restitiuzione dell’Alsazia e della Lorenza, voleva anche spostare i confini fino alla riva sinistra del Reno, cosa non concessa da Wilson.

Il trattato fu firmato il 28 giugno del 1919, e venne considerata un’imposizione (Diktat).
La Germania subì un durissimo colpo, perse parti della polonia abitate da tedeschi, e privata delle sue colonie in Africa e in Oceania (spartite tra i paesi vincitori).
La parte piu pesante furono le clausole economiche e militari.
Tutte condizioni umilianti che ferirono l’orgoglio nazionale tedesco.
La dissoluzione dell’impero asburgico permise il riconoscimento delle nuove realtà nazionali. I polacchi della Galizia si riunirono alla Polonia. Cechi e slovacchi confluirono nella repubblica di Cecoslovacchia. Gli slavi del sud (abitanti della Croazia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina) si unirono alla Serbia e al Montenegro per dar vita al regno dei serbi, croati e sloveni (dal ‘29 regno di Jugoslavia).

Le negoziazioni furono lunghe e difficili e mostrarono chiaramente le ostilità ancora ben presenti tra i protagonisti. Gli storici individuano proprio in quel clima di avversità e nelle decisioni prese in quell’occasione le ragioni più profonde che avrebbero poi condotto alla Seconda Guerra Mondiale.

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23
Q

la disfatta di Caporetto

A

Approfittando della crisi politica interna alla Russia zarista, dovuta alla rivoluzione bolscevica, Austria-Ungheria e Germania poterono trasferire consistenti truppe dal fronte orientale a quello occidentale e italiano. Forti di questi rinforzi, gli austro-ungarici, con l’apporto di reparti d’élite tedeschi, sfondarono le linee tenute dalle truppe italiane che, impreparate a una guerra difensiva e duramente provate dalle precedenti undici battaglie dell’Isonzo, non ressero all’urto e dovettero ritirarsi fino al fiume Piave, a 150 chilometri di distanza. Proprio nell’ottobre del 1917 l’Austria, con l’aiuto di alcune divisioni tedesche prova a sfondare sul fronte italiano, all’altezza di Caporetto (comune che è oggi in Slovenia). La manovra riesce e le truppe austro-tedesche dilagano nel Friuli, avanzando per oltre 150 km. L’esercito italiano disorientato comincia una fuga precipitosa, rovinosa, drammatica. Più di 300.000 soldati vengono catturati. È la disfatta di Caporetto. Il fronte non si è spostato di molto nei mesi precedenti e non ci sono state particolari conquiste territoriali, come su tutti i fronti, anche su quello italiano, si moltiplicano i casi di ammutinamento e di diserzione. Repressi duramente dai vertici militari, mentre la popolazione civile mostra sempre più i segnali del malcontento per la durezza della vita quotidiana negli anni del conflitto. Le truppe austriache e tedesche dilagano in territorio italiano, e il fronte si attesta sul fiume Piave dove viene organizzata la nuova linea difensiva. La disfatta produce pesanti ripercussioni interne. Cadorna, il comandante dell’esercito italiano, viene messo sotto accusa e lui si difende scaricando le responsabilità della disfatta sui soldati che accusa di essersi arresi senza combattere. Ma le ragioni della sconfitta sono principalmente da trovare negli errori strategici dei vertici militari. Cadorna viene rimosso e sostituiti dal generale Armando Diaz.

Le unità italiane si riorganizzarono abbastanza velocemente e fermarono le truppe austro-ungariche e tedesche nella successiva prima battaglia del Piave, riuscendo a tenere a oltranza la nuova linea difensiva su cui aveva fatto ripiegare Cadorna.

24
Q

Quali novità porta il nuovo generale dell’esercito italiano Armando Diaz?

A

Portò novità nella gestione delle truppe. Se Cadorna faceva leva sulle minacce, sulla repressione per evitare le diserzioni, Diaz cerca subito di risollevare il morale esigendo pasti migliori per i soldati, concedendo più permessi e più licenze, intensificando la propaganda per far sentire le truppe maggiormente partecipi della difesa dell’Italia.
In questi giorni tragici, anche la popolazione si compatta, visto che il nemico è entrato in territorio italiano e anche i socialisti ora incitano la popolazione alla resistenza contro gli invasori, mentre si insedia il nuovo governo di unità nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.

25
Q

Benito Mussolini è sempre stato a favore della guerra?

A

No. Inizialmente era fermamente contrario alla guerra, infatti, quando cambio idea venne espulso dal partito socialista

26
Q

Verso la fine della guerra, come agisce Woodrow Wilson?

A

W. Wilson si impegna invece a preparare il terreno per la vittoria della democrazia. Wilson stila un documento con 14 punti in cui ribadisce che l’intervento americano è volto a ristabilire la pace e la libertà in Europa.
Nel documento propone una soluzione molto distensiva per il dopo guerra. Tra i vari punti prospetta: un periodo di pace tra le nazioni, la riduzione degli armamenti allo stretto necessario per la sicurezza interna, il riconoscimento delle nazionalità, l’istituzione di un organismo internazionale per dirimere le controversie tra gli stati (organismo chiamato poi “società delle nazioni”).
Gli Stati Uniti già si preparavano a dirigere i trattati di pace da veri protagonisti della vittoria della guerra.

27
Q

Quali sono i motivi percui l’Italia riesce a vincere la guerra la Battaglia di Vittorio veneto nel 1918?

A

L’Italia alla fine riesce a vincere la guerra. Principalemente perchè l’austria si disgrega dall’interno, le truppe di nazionalità non tedesca lasciano il forte italiano , mentre vengono proclamati nuovi stati indipendenti da parte dei cechi e degli slavi nei Balcani. In queste condizioni, l’Italia riesce a vincere la battaglia di Vittorio Veneto e il 3 novembre firma l’armistizio con l’austria.
La grande guerra finisce quindi con la vittoria degli stati dell’intesa, ma soprattutto finisce con un bilancio terrificante sia per i vincitori, che per i vinti: in quattro anni sono morti 10.000.000 di soldati, almeno 5.000.000 di civili, per non parlare dei feriti e mutilati (più di 20.000.000).
Poi sono caduti gli imperi, quello russo, quello austriaco, quello tedesco. Di li a poco, anche altri imperi come quello britannico e quello turco, subiranno dei contraccolpi. Finisce cosi l’età dell’ imperialismo

28
Q

Dopoguerra e fascismo in italia

A

L’Italia del dopoguerra era un paese inquieto attraversato da problemi politici e tensioni sociali. Le tensioni sociali erano alimentate prima di tutto dal caro vivere, che fu all’origine di una serie di tumulti di piazza, mentre le industrie erano investiti da una ondata di scioperi e aumenti salariali. A questo si aggiunse la questione della cosiddetta “vittoria mutilata“, ovvero l’insoddisfazione di una parte dell’opinione pubblica per il trattamento riservato all’Italia nella conferenza di pace. L’Italia ottenne Trento e trieste, aveva raggiunto i confini naturali segnati dalle Alpi. L’italia secondo il patto di Londra, avrebbe dovuto ottenere anche la Dalmazia (popolata prevalentemente da slavi) e non era prevista la città di fiume (prevalentemente italiani).

Clamorosa fu la protesta attuata da D’Annunzio con l’occupazione della città di fiume (settembre 1919), a maggioranza italiana, la cui assegnazione non era però previsto nel patto di Londra. in Italia i problemi del dopoguerra furono aggravati dalla crisi della classe dirigente liberale.

I cattolici abbandonarono la linea astensionistica e diedero vita a una nuova formazione politica, il partito popolare italiano (PPI) nel 1919, guidata da Luigi Sturzo e ispirata un programma democratico. I socialisti (PSI), invece, conquistarono moltissimi nuovi consensi ma non riuscirono a superare le divisioni interne al partito, dove continuavano ad esserci correnti rivoluzionarie. Questa connotazione contribuì ad alimentare le paure dei ceti medi e creò un terreno favorevole alla nascita di movimenti di ispirazione nazionalista, come i FASCI DI COMBATTIMENTO, fondati da Benito Mussolini nel 1919. Il nuovo movimento si schierava a sinistra, chiedeva audacia riforme sociali e si dichiarava favorevole alla repubblica; ma nel contempo ostentava un acceso nazionalismo e una feroce avversione nei confronti dei socialisti.
Le elezioni del novembre del 1919 segnarono la sconfitta delle forze liberali di governo e successo clamoroso del partito socialista e del partito popolare.

Il ritorno di Giolitti
Nel giugno del 1920 Giolitti tornò al potere con un governo di coalizione formato da popolari e liberali democratici.
Nel novembre del 1920 ci fu il negoziato diretto con la Jugoslavia. Risolta la questione fiumana con il trattato di Rapallo (che assegnava l’Istria all’Italia, la Dalmazia, eccetto Zara, alla Jugoslavia e proclamava fiume città libera - che sarebbe diventata italiana co un successivo accordo del 1924), dovette affrontare gravi problemi di politica interna, come l’agitazione dei metalmeccanici, che rappresenta il momento più critico del biennio rosso (19-20) italiano.

Occupazione delle fabbrice
Nell’estate autunno del 20 la vertenza culminò nell’occupazione delle fabbriche che coinvolse 400.000 operai, prefigurando l’inizio di un moto rivoluzionario destinato a stendersi a tutto il paese. In realtà prevalse la linea dei sindacati, che videro accantonate le loro richieste economiche. Questa conclusione, fortemente voluta da Giolitti, risultò deludente perché aveva sperato nella rivoluzione e accentuò le divisioni le divisioni nel movimento socialista che avrebbero portato, nel congresso di Livorno del 1921, alla scissione dell’ala più vicina alla terza internazionale e la nascita del partito comunista d’Italia.

L’offensiva fascista
Dalla fine del 1920 le squadre d’azione fasciste attaccarono il movimento socialista, con azioni violente in particolare contro le leghe rosse della Val padana. Conquistato l’appoggio dei proprietari terrieri, l’offensiva squadrista dilagò anche in altre zone del centro Nord, colpendo le sedi delle amministrazioni locali e delle rappresentazioni sindacali socialiste che venivano sistematicamente devastate e incendiate, ma anche le persone dei dirigenti e militanti. L’offensiva fascista godette anche della neutralità degli apparati statali: le forze di polizia solo di rado soppressero le violenze, mentre lo stesso Giolitti pensò di servirsene per ridimensionare il peso politico di socialisti e popolari.

Nelle elezioni del 1921 i fascisti entrarono la camera con 35 deputati, ma continuarono a rendersi protagonisti di azioni squadristiche, profittando della debolezza dei governi. Nell’estate autunno del 1922 Mussolini avviò trattative con i leader liberali in vista di una partecipazione al governo, ma intanto lasciava che le milizie fasciste preparassero una presa violenta del potere.

La marcia su Roma
Si trattava di una mobilitazione generale di tutte le forze fasciste, con obiettivo la conquista del potere centrale. Un piano del genere non poteva funzionare se il governo fosse stato fermo con le autorità. Ma mussolini puntava sulla debolezza dello stesso governo.
Il 28 ottobre, il giorno fissato per la marcia su Roma, Vittorio Emanuele III rifiuto di firmare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio e qusto apri ai fascisti la strada della capitale.il 30 ottobre Mussolini ricevette dal sovrano l’incarico di formare un nuovo governo. Pochi nella classe politica capirono che il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale.

Diventato presidente del consiglio senza disporre di una maggioranza alla camera, Mussolini riuscì a consolidare il suo potere per la miopia degli alleati di governo che continuarono ad appoggiarlo anche di fronte a misure incompatibili con i fondamenti dello Stato liberale.alla fine del 1922 furono creati due nuovi organismi: il gran consiglio del fascismo, che doveva fungere da raccordo tra partito fascista e governo; e la milizia volontaria, un corpo armato di partito cui erano attribuite funzioni politiche. il duce cerco inoltre l’appoggio della chiesa e del potere economico, grazie una politica di stampo liberista.nell’estate del 1923 dopo aver costretto alle dimissioni del governo i ministri del partito popolare, Mussolini riuscì a far approvare dal parlamento una legge elettorale maggioritaria che di fatto consegnava la maggioranza alla lista nazionale, risultata vincitrice con largo margine nelle elezioni dell’aprile del 1924. Nel giugno del 1924 il deputato socialista Matteotti fu rapito, caricato su un auto e ucciso a pugnalate da una squadra fascista. Il suo cadavere si trovò in mezzo al bosco soltanto due mesi dopo.
Dieci giorni prima Matteotti aveva pronunciato alla camera una durissima requisitoria contro il fascismo, denunciandone le violenze e contestando la valitdità dei risultati elettorali.
L’ondata di sdegno che ne seguì fece vacillare il potere di Mussolini. Ma la reazione dei partiti di opposizione fu debole e l’ondata antifascista si esaurì, lasciando a Mussolini la possibilità di contrattaccare, con il discorso del 3 gennaio del 1925, e di sfidare le opposizioni prospettando l’uso della forza.
Tra il 1925 1926 furono presi numerosi provvedimenti che rafforzavano i poteri del governo e riducevano gli spazi per la libertà di stampa e di associazione e per la contrattazione sindacale provvedimenti culminati nell’autunno del 1926 nella legge per la difesa dello Stato, che tra l’altro decretare lo scioglimento dei partiti antifascisti e istituiva un tribunale speciale per i reati contro la sicurezza dello Stato.

Le leggi fasciatissime
Nel novembre del 1926 all’indomani di un fallito tentativo di attentato a Mussolini, vennero emessi provvedimenti per la difesa dello stato, che cancellarono le ultime tracce di vita democratica: furono dichiarati decaduti dal mandato i deputati aventiniani, fu reintrodotta la pena di morte per chi andava contro la sicurezza dello stato, fu istituito un tribunale speciale composto da ufficiali delle forze armate e della milizia.

Il successo del fascismo in Italia non fu un caso isolato regimi autoritari di tipo tradizionali, sostenuti dall’esercito e da gruppi conservatori, e privi di una base di massa, sia fermo al Ungheria nel 1920 e in Polonia nel 1926. Anche in Austria le tensioni tra il partito Cristiano sociale al potere e le posizioni socialdemocratica portare un’amica involuzione autoritaria.in Spagna, un colpo di Stato e 923 dal generale Miguel primo de Rivera, con l’appoggio del sovrano, mentre in Portogallo un economista cattolico, sala zar, assunse nel 1926 autoritario clericali corporativo che sarebbe rimasto in vita per quasi mezzo secolo

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Dichiarazione di Balfour

A

Il 2 novembre 1917, il governo britannico rilasciò una breve dichiarazione, conosciuta con il nome del ministro degli Esteri Arthur James Balfour, con la quale si impegnava a sostenere la costituzione di un «focolare nazionale» per il popolo ebraico in Palestina. Aveva così inizio il coinvolgimento di Londra in Medio Oriente: la Gran Bretagna avrebbe avuto un ruolo determinante nelle vicende della regione fino alla Guerra del Canale di Suez del 1956, che avrebbe segnato la fine della presenza anglo-francese e l’arrivo della Guerra Fredda. La Dichiarazione Balfour segnò al contempo l’inizio della collaborazione politica tra Londra e il movimento sionista. Quest’ultimo fu dunque in grado di iniziare la costruzione di una realtà pre-statuale che sarebbe culminata con la nascita di Israele nel 1948.

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Il declino degli imperi coloniali

A

Dopo la prima guerra mondiale, durante gli anni ‘20-‘30 Gran Bretagna e Francia, esaurite dal conflitto mondiale, non avevano piu le risorse per mantenere il controllo sui loro imperi, dove intanto continuavano segni di insofferenza nei confronti dei dominatori.
In questo periodo nascono nuovi movimenti indipendentisti.

RIVOLUZIONE E MODERNIZZAZIONE IN TURCHIA
Mustafa kemal fu un generale che aveva combattuto contro i britannici durante la guerra. Assunse la guida del movimento di riscossa nazionale e nel 1920 gli fu affidato il compito di liberare dal suolo la Turchia dagli stranieri. In due anni riusci nell’impresa: britannici e francesi rinunciarono ai loro progetti di penetrazione economica, e i turchi sconfissero ripetutamente i greci costringendoli a evacuare da Smirne. La Turchia si impossessava nuovamente di tuta la Tracia orientale.
Contemporaneamente si avviava la trasformazione della Turchia in uno stato nazionale laico. Nel novembre ‘22 venne abolito il sultanato, e l’anno dopo proclamanta la repubblica. Nel ‘24 venne nominato presidente MUSTAFA KEMAL (ataturk, ossia padre dei turchi) che si impegno a fondo in una politica di occidentalizzazione e di laicizzazione dello stato.

NAZIONALISMO ARABO E SIONISMO
Nel 1915 la Gran Bretagna promise a Hussein Ibn ali, uno dei capi di movimenti nazionalisti, territori come Arabia, Mesopotamia e Siria, in cambio di una collaborazione militare contro l’impero romano.
Ma le vere intenzioni della Gran Bretagna erano diverse (dovevano tenere conto degli interessi dei francesi). Nel maggio 1916 francesi e britannici firmarono un patto segreto, gli accordi SYKES-PICOT, per la spartizione di zone di influenza di tutta la zona compresa tra Turchia e penisola arabica.
Alla Francia spettava la Siria e il libano, alla Gran Bretagna la Mesopotamia e la Palestina.

Nel 1917 con l’accordo Balfour, era una dichiarazione in cui il movimento sionista aveva diritto a creare in Palestina una sede nazionale per il popolo ebraico. Tra gli anni ‘20 e ‘21 scoppiarono i primi violenti scontri tra i coloni ebrei e i residenti arabi. Negli anni ‘3’0 il flusso degli immigrati ebrei aumento rapidamente, suscitando ulteriori tensioni e risentimenti nella popolazione araba.

LA LOTTA PER L’INDIPENDENZA IN INDIA
Verso il 1920 riscuoteva sempre maggiori consensi Gandhi, che divenne il nuovo leader indipendentista. Adottò nuove forme di lotta, basate sulla resistenza passiva, sulla non violenza e sul rifiuto di qualsiasi collaboratori con i dominatori, e coniugando la battaglia per l’indipendenza con quella per la rottura del sistema delle caste.
La crescita di questo movimento indipendentista permise di conquistare alcuni obiettivi ma la piena indipendenza si realizzerà solo dopo la seconda guerra mondiale.

LA GUERRA CIVILE IN CINA
Tutta la prima metà del ‘900 la Cina era sconvolta e paralizzata da una lunga e sanguinosa guerra civile.
La repubblica democratica di SUN YAT-SEN del 1911 (leader del Kuomingtang, partito nazionalista cinese) durò appena due anni di governo e anche il regime autoritario di YUAN SHI-KAI nel 1913 non favorì la ripresa. La Cina precipitò quindi in una situazione di semi-anarchia.
Il governo non riusciva a imporre la sua autorità né ai cosiddetti signori della guerra (che arruolavano milizie e imponevano tributi), ne riusciva a opporsi alle mire egemoniche del Giappone.
Nonostante nel 1917 la Cina decide di intervenire nel conflitto mondiale e verrà considerata vincitrice, si vedrà comunque umiliata in seguito alle condizioni su di lei imposte (verrà sacrificata alle potenze occidentali che riconoscono al Giappone il diritto di controllo economico della regione Shantung)
Nel 1919 ritorna SUN YAT-SEN che accolse il risentimento nazionalista e nel 1921 formò un proprio governo, tra cui ebbe anche l’appoggio del partito comunista cinese (tra cui c’era anche Mao Zedong) e l’Unione sovietica che sostenne il governo di Sun Yat-Sen inviando aiuti economici e militari.

Nel 1925 muore Sun Yat-Sen e il suo successore fu CHIANG KAI-SHEK. Egli era diffidente riguardo i comunisti e nel 1927 a Shanghai, i comunisti furono sconfitti e il relativo partito fu messo fuori legge.

CHIANG KAI-SHEK tentò di riorganizzare economia e apparato statale secondo modelli di ispirazione occidentale. C’erano però grosse difficoltà in quanto il paese era molto vasto e internamente diviso: comunisti sconfitti da una parte e alcune zone in cui ancora prevalevano i “signori della guerra” aiutati dal Giappone.

Nel 1931 il Giappone invade la Manciuria e vi insinua uno Stato-fantoccio, il MANCHUKUO utile come base per ulteriori espansioni. La Cina non ebbe grossi aiuti dalle potenze occidentali, la società delle nazioni si limitò solo ad una condanna dell’aggressione.

La LUNGA MARCIA di MAO ZEDONG
Secondo Mao Zedong le masse rurali dovevano essere il vero protagonista della rivoluzione.
Nell’ottobre del 1934 circa 100.000 militanti marciarono dallo Hunan verso la regione dello Shanxi. A destinazione arrivarono 10.000 con una marcia che durò un anno. Mao Zedong ricostituì poi il partito comunista proprio nelle zone in cui era piu forte la minaccia giapponese.

Nel 1937 comunisti e nazionalisti si accordarono per costituire un fronte unito contro il nemico giapponese.

L’IMPERIALISMO GIAPPONESE
In seguito alla partecipazione alla prima guerra mondiale del Giappone, diversi fattori condussero il paese verso una politica imperialistica con obiettivo principale la sottomissione della Cina.
Se nel primo decennio post bellico era permessa una certa dialettica politica, verso la fine degli anni ‘20 comparsero movimenti autoritari di destra (ispirati al fascismo occidentale) facendo emergere una stagione di crescente autoritarismo.

L’ORIENTE IN GUERRA
Nel 1937 il Giappone aggrediva la Cina. Alla fine dello stesso anno i giapponesi raggiunsero NANCHINO (allora capitale della Cina) e la occuparono: per sei terribili settimane gli occupanti infierirono sulla popolazione (uccisioni, incendi, saccheggi e stupri, tanto da chiamare lo “stupro di Pechino”). Il Giappone continuava la sua avanzata lentamente, e nel ‘39 il Giappone occupava gran parte della zona costiera, tutto il Nord-est è quasi tutte le città importanti.
Ma a questo punto le vicende di questa guerra cominciarono a intrecciarsi con il secondo conflitto mondiale.

L’AFRICA COLONIALE
Nell’Africa sub sahariana il dominio coloniale era arrivato piu tardi e non mostrava segni di crisi. Permaneva però la condizione di marginalità economica ed i subalternità politica delle popolazioni africane (nonostante migliori condizioni sanitarie e una lenta diffusione dell’istruzione)
All’inizio degli anni ‘20 nacquero le prime organizzazione autonome dei nativi e tra il ‘19 e il ‘27, quattro congressi panafricani discussero dei problemi comuni e lanciarono per la prima volta proposte di federazione tra le colonie. Il tema dell’indipendenza era ancora assente ma in quei contesti iniziarono ad emergere nuove figure di intellettuali.

L’AMERICA LATINA
In America Latina la grande crisi ebbe conseguenze negavate, ma stimolo in alcuni paesi un processo di diversificazione produttiva. Sul piano politico, molti stati videro l’affermarsi di dittature personali o di governi piu o meno autoritari.

31
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Crisi del ‘29

A

Alla fine del 1929 inizio ebbe una crisi economica che si prolungò fino a buona parte degli anni ‘30.
Questa crisi diede una spinta ala decadenza dell’Europa liberale, creando le premesse per l’affermazione dei regimi autoritari e mettendo in modo una serie di eventi che scatenarono in seguito un nuovo conflitto mondiale.

Stati Uniti: dal boom al crollo di Wall Street
In seguito alla guerra, gli Stati Uniti erano una potenza economica mondiale.
Dal 1921 l’economia statunitense cominciò a crescere a ritmi molto rapidi.
La diffusione della produzione in serie e i miglioramenti nell’organizzazione del lavoro in fabbrica favorirono un notevole aumento della produttività dei salari. Contemporaneamente però diminuiva il numero degli occupati.

Conservatorismo e razzismo
All’isolazionismo fece riscontro una forte egemonia conservatrice. Ila distribuzione dei redditi era fortemente squilibrata e portava all’emarginazione di consistenti fasce di popolazione.
Sacco e Vanzetti vennero accusati ingiustamente di omicidio e furono mandati a morte (1927)
Nacquero sette come quella del Ku Klux Klain, razzisti che diventarono un’organizzazione di massa.

Nonostante queste tensioni, la borghesia statunitense rimaneva fiduciosa. In questo clima emergeva la frenetica attività della Borsa di Wall Street: i risparmiatori acquistavano azioni per rivenderle a prezzo maggiorato, confidando nella continua ascesa delle quotazioni.

il legame con l’Europa
L’espansione americana finanziava la ripresa europea e quest’ultima, a sua volta alimentava con le sue importazioni lo sviluppo degli Stati Uniti. Questo meccanismo poteva però incepparsi da un momento all’altro, perchè i crediti statunitensi all’estero erano generalmente erogati da banche private quindi legati a puri calcoli di profitto.

la caduta della borsa
A inizio settembre 1929 i valori dei titoli di Wall Street raggiungevano i livelli piu elevati. Dopo alcune settimane di incertezza, la gente cominciò vedere i propri pacchetti azionari per realizzare i guadagni fino ad allora ottenuti. Questa corsa alle vendite determinò una precipitosa caduta dei titoli e a metà novembre le quotazioni si stabilizzarono su valori più o meno dimezzati.
Il crollo del mercato colpì in primo luogo ceti ricchi e benestanti. Ma, riducendo drasticamente la loro capacità di questo e di investimento ebbe conseguenze disastrose sull’intera economia nazionale colpendo tutta la popolazione: industria chiudeva licenziando i dipendenti per mancanza di ordine, i disoccupati dovevano ridurre i suoi consumi ecc…

La recessione economica si diffuse in tutto il mondo, tranne in unione sovietica, come una spaventosa epidemia.

Aumento delle disuguaglianze e assenza di collaborazione tra gli stati
In quel periodo il divario tra i paesi piu ricchi e quelli meno sviluppati toccò una delle sue punte massime.

La crisi in Europa
Quando la crisi ebbe inizio, i governi dei paesi industrializzati si preoccuparono di mettere ordine nei bilanci statali cerando di ridurre il deficit tagliando drasticamente la spesa pubblica: riducendo stipendi ai pubblici dipendenti, ridotte prestazioni sociali, imposte nuove tasse.
In Germania il governo cadde e la politica del nuovo cancelliere Bruning aveva prodotto disastri: 6 milioni di disoccupati mentre ascendeva il partito nazionalsocialista di Hitler che sfruttò il risentimento della popolazione.

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New Deal

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Nel 1932 venne innaugurato dal presidente Roosvelt il NEW DEAL
Che prevedeva un energico intervento dello Stato nei processi economici in seguito alla grave crisi del ‘29. Si è trattato di una serie riforme e interventi governativi, al fine di creare posti di lavoro, facilitare i prestiti per aiutare chi si era indebitato con ipoteche sulle case, e dare sussidio di disoccupazione.
Vennero proposti anche ultieriori provvedimenti più specifici come:
* Aaa (Agricultural Adjustment Act) per limitare la sovrapproduzione del settore agricolo;
* Nira (National industrial recovery a t) che imponeva codici comportamentali alle aziende al fine di ridurre una concorrenza accanita;
* Tva (Tennessee Valley Authority) un ente che doveva sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee per produrre energia a buon mercato a favore degli agricoltori.

Di tutte queste proposte e riforme, la Tva rappresentò un notevole successo, mentre altre iniziative ebbero effetti più lenti e contraddittori.

In conclusione il new Deal se da un lato smentì il principio di liberismo, dall’altro no riuscì a ridare slancio all’economia dei privati.
La vera ripresa ci fu soltanto in seguito con la seconda guerra mondiale con lo sviluppo della produzione bellica.

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Italia repubblicana

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Le condizioni in cui versava l’Italia alla fine della guerra erano molto gravi. L’apparato produttivo era stato fortemente colpito. Ingenti anche i danni subiti dall’edilizia, elevatissima l’inflazione. La maggioranza della popolazione risentiva della scarsità di cibo e abitazioni. La disoccupazione aveva raggiunto livelli preoccupanti. Numerosi erano anche i problemi di ordine pubblico: difficoltà nella smobilitazione dei partigiani occupazione delle terre, borsa nera.il ritorno della democrazia determinò una crescita della partecipazione politica. La democrazia cristiana , perno del fronte moderato, era l’unico partito in grado di competere con i socialisti e comunisti sul piano dell’organizzazione di massa. Molto minor seguito avevano i liberali, i repubblicani e il partito di azione.a destra il movimento dell’uomo qualunque ebbe, per breve tempo, notevole successo. Il primo governo dell’Italia liberata, basata sulla coalizione tra i partiti del CLN, fu presieduto da Ferruccio Parri. Nel novembre del 1945, leader della democrazia cristiana.

Il 2 giugno del 1946 un referendum popolare sancì la vittoria della Repubblica è la fine della monarchia. Nello stesso giorno si tennero le elezioni per l’assemblea costituente, che videro il successo di tre partiti di massa e, soprattutto, della democrazia cristiana, che divenne il partito di maggioranza relativa.nel 1946 e il 1947 i contrasti tra i partiti della coalizione antifascista. Gli accresciute tensioni interne e internazionali provocarono, nel gennaio del 1947, la scissione del partito socialista: Layla contraria alla stretta alleanza con il partito comunista italiano fondò il partito socialista dei lavoratori italiani (poi partito socialdemocratico). A maggio De Gasperi estromise socialisti e comunisti dal governo e formò un ministero “monocolore“.

La costituzione repubblicana si spirava ai modelli democratici ottocenteschi per la parte riguardante le istituzioni e i diritti politici: essa dava vita a un sistema parlamentare, quel governo responsabile di fronte alle due camere (la camera dei deputati e Senato della Repubblica), entrambi titolari del potere legislativo, senza apprezzabili differenze di funzioni. alle camere spettava di scegliere un presidente della Repubblica con mandato settennale e con funzioni di garanzia e di rappresentanza dell’unità nazionale.temo che avevi detto vedi tu alle camere spettava di scegliere un presidente della Repubblica con mandato settennale e con funzioni di garanzia e di rappresentanza dell’unità nazionale.

Nel luglio del 1947 avvenne la ratifica del trattato di pace; l’Italia fu trattata a tutti gli effetti come una nazione sconfitta: si impegnò a pagare riparazioni agli Stati che aveva attaccato (Russia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Etiopia) e perse tutte le sue colonie.

L’esercito di liberazione jugoslavo comandato da Tito aveva occupato l’Istria e rivendicava Trieste.l’occupazione aveva fatto di esplodere il conflitto tra italiani e slavi.nella primavera-estate del 1945 migliaia di italiani, a Trieste, a Gorizia, e in molti centri dell’Istria, erano stati uccisi o deportati, con la generica accusa di complicità col fascismo.molti di loro erano stati gettati vivi o morti nelle foibe, profonde cavità naturali all’altopiano carsico comunemente usate come discariche. Anche a seguito di queste violenze molti italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia lasciarono le loro terre ripararono in Italia.
Per quanto riguarda Trieste alla fine del 1946 fu attuata una sistemazione provvisoria che lasciava la Jugoslavia la penisola istriana, eccettuata una striscia comprendente Trieste e Capodistria, che avrebbe dovuto costituire il territorio libero di Trieste.il territorio fu a sua volta diviso in una zona a Trieste e dintorni occupata dagli alleati in una zona B tenuto da jugoslavi.solo nel 1954 giunse a una spartizione di fatto, che sanciva il controllo Jugoslavo sulla zona B è il passaggio dell’amministrazione alleata a quella italiana della zona, ossia di Trieste, che veniva così riunita al territorio nazionale.

La campagna per le elezioni parlamentari del 18 aprile 1948 vide una forte contrapposizione tra il fronte popolare e la DC. I democristiani ottenere un successo grande, anche grazie all’appoggio della chiesa e degli Stati Uniti.
L’indifferenza dei militanti di sinistra per questo risultato esplose tre mesi dopo le elezioni, quando nel luglio 1948 il segretario comunista Togliatti fu ferito gravemente mentre usciva da Montecitorio da un giovane di destra che gli sparò alcuni colpi di pistola. Scoppiò un’insurrezione che si esaurì in pochi giorni.
Dopo le elezioni Degasperi diede vita a una coalizione centrista che vedeva la DC alleata con liberali, repubblicani e socialdemocratici. Sul piano della vita politica economica, i governi postbellici non introdussero novità significative, preoccupandosi soprattutto di sanare il bilancio dello stato e di contenere l’inflazione. Dopo l’estromissione delle sinistre dal governo, questa politica si affermò pienamente, ad opera del ministro del Bilancio Einaudi: il successo della sua linea di risanamento finanziario ebbe comunque forti costi sociali, soprattutto in termini di disoccupazione. Nel 1949 l’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale ottenne una sanzione sul piano militare con l’adesione al patto atlantico.

Dopo le elezioni del ‘48, si affermò la formula del centrismo, che vedeva una DC molto forte occupare il centro dello schieramento politico, lasciando fuori della maggioranza sia la sinistra socialcomunista, sia la destra monarchica e neofascista. Componente essenziale della politica centrista era un riformismo moderato. I cinque anni della prima legislatura repubblicana (48-53), in cui De Gasperi tenne la guida del governo, videro importanti interventi sociali, come la riforma agraria e l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. La linea di austerità finanziaria e contenimento dei consumi perseguita dal governo suscitò numerose proteste di piazza cui le forze dell’ordine risposero con durezza. In questa situazione la DC cerco di rendere più stabile la propria maggioranza con una riforma del meccanismo elettorale (“legge truffa”), la cui approvazione suscitò vivaci proteste a sinistra e fu comunque priva di risultati pratici nelle elezioni del ‘53.
Uscito di scena de Gasperi che si dimise nel ‘53, i successivi governi a guida democristiana continuarono ad appoggiarsi sulla ormai esigua maggioranza centrista, rafforzata in qualche caso dall’apporto di voti monarchici e neofascisti.
Gli anni del ‘53-‘58 furono un periodo di transizione: si consolidarono sia la crescita economica sia i legami con l’Europa più avanzata, confermati dall’adesione italiana alla comunità europea (1957). Nella DC si affermo con la segreteria Fanfani una nuova generazione, piu favorevole all’intervento dello stato nel’economia e piu sensibile ai problemi sociali. Il psi, soprattutto a partire dall’invasione sovietica dell’Ungheria nel ‘56, cominciò ad allontanarsi dai comunisti. Si creavano cosi le premesse politiche per una apertura a sinistra.

Il miracolo economico

Già all’inizi degli anni 50, una volta esaurite le urgenze della ricostruzione, l’economia italiana aveva cominciato a crescere a ritmi mai conosciuti in passato. Questo processo giunse al culmine tra il 1958 e il 1963, gli anni del miracolo economico che permisero all’Italia di divenire un paese industriale.
La crescita economica favorì anche un netto miglioramento delle condizioni dei lavoratori che ottennero attraverso i sindacati degli aumenti salariali; questi aumenti però ebbero l’effetto di ridurre i margini di profitto e di mettere in moto un processo inflazionistico. Così nel 1963 e 1965 il miracolo italiano conobbe una battuta d’arresto. La crescita riprese a partire dal 1966, anche se a ritmi più lenti.
Negli anni del boom l’Italia subì una serie di profonde trasformazioni. Con il miracolo economico l’Italia si lasciò alle spalle le strutture e valori della società contadina ed entra nella civiltà dei consumi. Il fenomeno più importante e vistoso di questi anni fu il massiccio esodo dal sud verso il Nord e dalle campagne verso le città portando a una drastica riduzione i coltivatori è un aumento nella piccola borghesia e classe operaia.
La televisione e l’automobile furono gli strumenti e i simboli principali di questo cambiamento. I primi apparecchi televisivi entrarono nelle case degli italiani dal 1954, con inizio di regolari trasmissioni da parte della Rai. La televisione non era solo un nuovo e pervasivo mezzo di svago: era anche un veicolo attraverso cui passava una lingua comune e nuovi modelli culturali di massa. Anche il boom della motorizzazione privata cominciò nella seconda metà degli anni ‘50 e coincise con il grande successo delle nuove utilitarie prodotte dalla Fiat: la Seicento e la Cinquecento.

I mutamenti economici sociali si accompagnarono, all’inizio degli anni ‘60, a una svolta politica, con l’ingresso dei socialisti nell’area della maggioranza (centro sinistra). L’inserimento fu graduale e molto contrastato. Nell’estate del 1960 dopo la crisi del ministero Tambroni - che aveva tentato, suscitando violente proteste, di governare con l’appoggio determinante del Msi - , si formò un governo Fanfani che si reggeva grazie all’astensione, poi trasformata in appoggio parlamentare, dei socialisti. In questa fase furono varati due importanti provvedimenti: la nazionalizzazione dell’industria elettrica e l’istituzione della scuola media unificata. Nel 1963 si formò il primo governo di centro sinistra organico, presieduto da Moro, con la partecipazione dei socialisti. Nonostante le difficoltà, la formula di centro sinistra durò oltre un decennio. Ma il processo riformatore si bloccò per le resistenze della democrazia cristiana e delle componenti moderate della coalizione di governo.

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Repubblica di Weimer

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Siamo in Germania alla fine della prima guerra mondiale. La politica è in u momento di forte crisi. L’arco politico è frammentato e debole. Nessuno ha l’egemonia necessaria a guidare il paese in una delle fasi di transizioni piu delicate. Solo la social democrazia tedesca che può contare sull’appoggio delle masse operaie. È l’unica che può tentare la via del governo.
Il parlmento:
- Spd
- Centro cattolico (in cui si riconoscono le classi medie)
- meno forti ma rilevanti, le forze della destra conservatrice: il partito tedesco nazionale e il partito tedesco popolare
- partito democratico tedesco

Le riparazioni
Un malessere generalizzato che coinvolge principalmente la media e la piccola borghesia.
Il picco massimo del malcontento si tocca nella primavera del 1921, quando viene stabilita l’ammontare della cifra delle riparazioni: 132 miliardi di marchi oro. Una cifra mostruosa che doveva essere pagata in 42 rate annuali.
La Germania è umiliata e questa cifra provoca proteste e rivolte. L’estrema destra cavalca il malcontento e in questo momento che si mete in luce il partito nazionalsocialista guidato da Hitler. Viene scatenata un’offensiva verso la classe dirigente. Tra il 1921 e il 1923 i diversi governi si impegnano a pagare le sanzioni, ma per evitare un crollo definitivo del consenso scelgono di non aumentare le tasse e tagliare nel settore pubblico. Sono costretti a stampare cartamoneta per pagare. La conseguenza è un processo inflazionistico senza precedenti.

La crisi della Ruhr e la grande inflazione
Nel gennaio del 1923 la Germania non riesce a far fronte i pagamenti e la Francia e il Belgio o occupano la Ruhr, il governo tedesco incoraggia la resistenza passiva degli operai che si rifiutano di entrare in fabbrica. In tutto questo il marchio scende ai minimi storici, 1 kg di pane arriva a costare 400 miliardi. Si genera presto un circolo vizioso. Lo stato stampa carta moneta con valore nominale sempre più elevato, mentre chi riceve denaro tende a liberarsene il prima possibile, in cambio di qualunque cosa. Il processo non fa che aumentare l’inflazione. Chiunque abbia titoli di stato, perde tutto.
Nel momento piu aspro della crisi, la classe dirigente tedesca trova la forza di reagire.

La “grande coalizione” e il complotto di Monaco
Agosto ‘23 si forma un governo di coalizione presieduto da Stresemann, leader del partito tedesco popolare. Ordina la fine della resistenza passiva della Ruhr e riallaccia i rapporti con la Francia. Subito dopo decretò lo stato di emergenza e se ne servì per reprimere le insurrezioni nel paese per fronteggiare la ribellione della destra nazionalista che aveva il suo centro in Baviera.
A monaco nel novembre del 1923 verrà organizzata un’insurrezione guidata da Hitler contro il governo centrale. Ma questa fallisce e Hitler viene condannato in carcere per 5 anni (in buona parte condannati).
Il governo quindi si impegna a risolvere alcuni problemi economici: in quella fase lo stato si comporta come un privato cittadino. Il valore del nuovo marco viene garantito dal patrimonio agricolo e industriale della germania che impegna le proprie ricchezze per ottenere un credito. Nel frattempo viene avviata una politica rigorosamente deflazionistica che in parte normalizza la situaizone monetaria.

Il piano Dawes
Una vera stabilizzazione si ottiene grazie ad un finanziere, Charles G. Dawes. Il piano si basa sull’assunto che la germania poteva far fronte ai suoi impegni solo se fosse stata messa in grado di rilanciare la sua economia. Prevedeva quindi che l’entità delle rate da pagare fosse graduata nel tempo e che la finanza internazionale (statunitense) sovvenzionasse lo stato tedesco con una serie di prestiti a lunga scadenza. In poco tempo l’industria tedesca tornò ai primi posti nel mondo per volume di produzione

Stabilizzazione politica
La stabilizzazione politica fu più lenta nei successivi anni. Mentre i governi di centrodestra mantengono il governo fino al 1928, quando i social democratici riportano una vittoria elettorale grazie la quale raggiungono la guida del governo. In questo quadro Stresemann mantiene il ruolo piu importante, ministro degli esteri, fino alla sua morte nel ‘29, garantendo la collaborazione con le potenze vincitrici a discapito di una situaizone interna sempre piu precaria che vedeva crescere le potenzialità del nazional socialismo.
Passeranno pochi anni prima di assistere alla vittoria del nazional socialismo del 1932.

La repubblica di Weimer conta tra il febbraio del ‘19 e gennaio ‘33 conta 20 governi e 12 cancellieri.
Novembre 1919: abdicazione di Guglielmo II
Gennaio 1933: presa del potere da parte di Hitler

I cambiamenti istituzionali piu rilevanti avvenuti in germania
- caduta della monarchia con conseguenti tentativi rivoluzionari
- repubblica consigliare e guerra civile strisciante
- spaccatura del movimento operaio con radicale diffusione della mobilitazione di massa
- sorgere di un nazionalismo con forte sostengo popolare.

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Notte dei lunghi coltelli

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Nella notte tra il 29 e 30 giugno del 1934, le SS di Himmler fanno irruzione in un albergo in Baviera, dove è in corso un raduno delle SA.
Verrano uccise e arrestate diverse persone, tra queste anche il capo delle SA, Ernst Rohm (ucciso successivamente in carcere).
Nel suo percorso all’ascesa al potere ad un certo punto le SA diventano un ostacolo. Hitler infatti temeva l’autonomia delle SA che, già da qualche anno, aveva provveduto a a formare una sua milizia personale.
Le SS per risolvere il problema, fecero un massacro la notte del 30 giugno; massacro che fece inorridire il mondo civile

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Cos’è la notte dei cristalli

A

La notte tra il 9 e il 10 di novembre del 1938 viene tristemente ricordata con il nome -dato dai nazisti stessi- di Kristallnacht, notte dei cristalli; in cui esplosero gli attacchi organizzati a sinagoghe, negozi e abitazioni di proprietà di ebrei.

Le violenze - portate avanti da squadre paramilitari di SA e Gioventù hitleriana – durarono fino alla sera del 10 novembre ma furono solo l’inizio del periodo di discriminazioni , persecuzioni e sterminio che i nazisti stavano pianificando per la popolazione ebraica.

Per capire meglio l’origine e il ruolo che la notte dei cristalli ha avuto nell’escalation di violenza antiebraica nazista, bisogna fare un passo indietro al 18 ottobre del 1938, quando il regime decise l’espulsione dalla Germania degli ebrei polacchi residenti legalmente nel Paese anche da molti anni. Circa 12.000 persone furono obbligate a lasciare la propria casa con una notte di preavviso e a recarsi alla stazione più vicina potendo portare con sé una sola valigia a testa a racchiudere le proprie cose. Nelle varie stazioni trovarono i treni che li portarono verso il confine polacco dove però, all’arrivo, fu negato l’ingresso nel Paese a più della metà degli espulsi. Circa 8.000 persone rimasero bloccate tra i confini senza avere il permesso di risiedere in nessuno dei due paesi.
Tra questi vi erano i coniugi Grynzspan con la figlia Berta, la quale scrisse al fratello sedicenne Herschel – già scappato a Parigi – informandolo della situazione e chiedendogli in aiuto dei soldi.
Herschel ricevette la cartolina della sorella il 3 novembre e, indignato dalla situazione, si armò di una pistola e si presentò il 7 novembre all’ambasciata tedesca della capitale francese con lo scopo di farsi ricevere dall’ambasciatore.

Fu invece mandato dal terzo segretario Ernst von Rham. Appena accolto, in segno di protesta per la situazione della sua famiglia e delle altre migliaia di ebrei costretti nel campo profughi, Herschel Grynzspan sparò al diplomatico ferendolo gravemente. Il giovane non provò nemmeno a fuggire e fu immediatamente catturato. Nella tasca portava una cartolina indirizzata ai genitori: “Con l’aiuto di Dio, miei cari genitori, non ho potuto fare altrimenti, che Dio mi perdoni, il cuore sanguina quando sento della vostra tragedia e quella dei 12.000 ebrei; devo fare in modo che tutto il mondo possa sentire la mia protesta. Perdonatemi, Hermann.”

Mentre la notizia dell’attentato uscì su tutti i giornali tedeschi che ritenevano collettivamente responsabile l’intero popolo ebraico accusandolo di essere un popolo di assassini e di portare avanti una campagna anti-tedesca, agli ebrei fu immediatamente proibito di continuare a pubblicare quotidiani e periodici ebraici con lo scopo di controllare l’informazione ed isolare i membri dalle comunità.

Nonostante il tentativo di Hitler di salvare von Rham mandandogli addirittura il suo medico personale, l’ufficiale morì due giorni dopo l’attacco. Il Führer, informato del decesso mentre si trovava a Monaco per l’anniversario del mancato putsch del 1923, lasciò la birreria dove si tenevano le celebrazioni. Goebbles, ministro della propaganda, colse l’occasione per farsi notare ulteriormente da Hitler. Insinuando che l’intera comunità ebraica internazionale avesse cospirato con il fine di commettere l’omicidio, riportò la posizione di Hitler contraria a manifestazioni antiebraiche organizzate ma - sottolineandone la propensione alla non repressione in caso ne fossero insorte di spontanee - diede il via libera a SA e Gioventù hitleriana, già pronti ad agire.

Le istruzioni sulle modalità di azione furono velocemente diffuse a tutte le sedi locali del partito nazista e le prime violenze iniziarono nella notte del 9 novembre nell’intero paese. Alle 1.20 della notte del 10 novembre, Reinhard Heydrich mandò un telegramma con le direttive per la “gestione” della rivolta: i componenti delle squadre dovevano operare in abiti civili, non potevano attaccare gli stranieri (anche nel caso fossero ebrei) ne’ i non ebrei e le loro proprietà. Avevano altresì la licenza di incendiare le sinagoghe ma con la raccomandazione di preservarne gli archivi e mandarli ai Servizi di Sicurezza del Reich. Alla polizia fu richiesto di arrestare gli uomini ebrei giovani secondo la capienza delle carceri e ai vigili del Fuoco di non intervenire se i danni e le fiamme non si fossero propagati a beni e proprietà non ebraiche.

L’obiettivo del regime era quello di fare credere che le violenze, che perdurarono fino alla sera del 10 novembre, fossero una reazione spontanea della popolazione all’omicidio di von Rham e non delle operazioni organizzate da membri del regime.

Già da subito però, la stampa straniera e le corrispondenze dei diplomatici stranieri – che testimoniarono con immagini, articoli e note gli avvenimenti - compresero e dichiararono invece che l’operazione fosse organizzata e che fosse chiaro dallo stesso modus operandi utilizzato in tutto il territorio sotto il dominio nazista: Germania, Austria e la appena occupata regione dei Sudeti in Cecoslovacchia.

A Berlino, Monaco, Amburgo, ma anche Vienna, Stoccarda, Nordhaus, Lipsia, Bochum, Worms a altre decine e decine di città, la maggior parte delle sinagoghe furono date alle fiamme e - quando questo non era possibile senza mettere in pericolo edifici vicini non ebraici - distrutte con asce e bastoni; i negozi saccheggiati e le vetrine distrutte, le case devastate e gli ebrei umiliati e costretti a guardare i loro beni andare a fuoco. In Austria molti attacchi furono portati avanti addirittura dalle SA spesso in uniforme; tra di loro, molti adolescenti e studenti spesso armati e incitati dai professori.

Data la situazione di pericolo e di incertezza, la mattina del 10 novembre moltissimi studenti ebrei furono rimandati a casa dalle scuole ebraiche delle varie città. Tutti quelli che riuscirono poi a sopravvivere alla guerra e alle persecuzioni ricorderanno perfettamente quella giornata e i soprusi che subirono o videro subire.

Ancora nel mezzo di disordini e distruzioni, alle 17:00 del 10 novembre fu mandato via radio l’ordine di interrompere le dimostrazioni. Secondo il rapporto sui “risultati provvisori” presentato a Heidrich l’11 novembre, furono distrutte 76 sinagoghe e 191 incendiate, demoliti 29 grandi magazzini, vandalizzati 815 negozi e saccheggiate 117 abitazioni private. 36 gli ebrei uccisi.
In realtà In meno di 24 ore erano state distrutte più di 1000 sinagoghe, danneggiate migliaia di casa e frantumante le vetrine di più di 7000 negozi di proprietà di ebrei; proprietà precedentemente rese facilmente identificabili da una legge del giugno del 1938 che obbligava i proprietari a standardizzarne le insegne. Le vittime furono 91, ma rimane incalcolabile il numero di coloro che furono picchiati e umiliati nei modi più crudeli. Seguendo gli ordini dati, la polizia arrestò circa 30.000 uomini in buona salute che furono poi deportati nei campi di concentramento di Dachau, Sachsenhausen e Buchenwald.

La notte dei cristalli viene considerata uno spartiacque della violenza del regime. In quelle poche ore la discriminazione sfociò impunemente nell’omicidio e tutto divenne possibile. Il regime, forte della passività con cui la popolazione aveva reagito davanti alla violenza e ai soprusi, promulgò ulteriori decreti e leggi antisemite volte a privare gli ebrei di beni e mezzi di sostentamento. Tali leggi impedivano agli ebrei l’esercizio di numerose professioni private, li obbligavano a vendere a prezzi stracciati aziende e società agli ariani, li privavano del diritto all’istruzione espellendoli dalle scuole e resero loro sempre più difficile il sostentamento e la sopravvivenza escludendoli a tutti gli effetti dalla vita economica, sociale e culturale del paese.

Furono inoltre gli ebrei stessi a dover pagare i danni di quella notte: la comunità ebraica venne obbligata ad estinguere la “tassa di espiazione” di circa un miliardo di marchi.

Anche se il regime nazista ancora permetteva l’emigrazione ebraica dalla Germania, il 19 novembre vennero sospesi i visti di espatrio agli ebrei fino a quando la comunità non avesse estinto il debito del miliardo di franchi e in generale fino a quando le famiglie interessate non fossero rimaste prive di disponibilità economiche. Il numero degli ebrei che cercava di lasciare al Germania e i territori occupati era però sempre più alto.

Numerosi documenti furono conservati nelle ambasciate di 48 paesi i cui diplomatici assistettero alla notte dei cristalli e alle sue conseguenze; la maggior parte rimase scioccata dalla crudeltà e della violenza del regime nazista e lo riporta in lettere inviate in patria condannando la violenza e le distruzioni definendole barbarie medievali, brutali e disgustose. Nessun Paese però – ad eccezione degli Stati Uniti d’America che richiamarono in patria il loro ambasciatore – ruppe i rapporti diplomatici con il Terzo Reich né cambiò le proprie politiche di accoglienza. I visti d’ingresso rilasciati da paesi come il regno Unito, USA e Australia avevano già raggiunto le quote annuali previste e nonostante lunghi dibattiti sul tema di un aumento dell’accoglienza di ebrei provenienti dai territori posti sotto il dominio nazista, la maggior parte dei paesi decise di non aumentare il numero dei permessi.

Solo grazie a singoli individui come Ho Feng Shan, console cinese a Vienna e Frank Foley - spia britannica con copertura come Direttore dell’ufficio passaporti dell’ambasciata inglese di Berlino - che sfidarono il nazismo, le leggi internazionali e quelle dei loro paesi, un maggior numero di persone di quelle previste dagli accordi vide la salvezza attraverso l’emigrazione. Il destino di moltissimi di coloro che non riuscirono a lasciare la Germania e i paesi occupati è tristemente noto. Entrambi sono stati poi riconosciuti Giusti tra le Nazioni.

Qualche giorno dopo la notte dei cristalli, lo Schwarze korps – quotidiano ufficiale delle SS – pubblicò un articolo che informava che qualsiasi rappresaglia contro i tedeschi per il maltrattamento degli ebrei sarebbe stata pagata dagli ebrei stessi: “useremo i nostri ostaggi in maniera sistematica, indipendentemente da quanto certa gente possa trovare la cosa scioccante. Seguiremo il principio proclamato dagli ebrei: ‘Occhio per occhio, dente per dente’. Ma prenderemo migliaia di occhi per un occhio, migliaia di denti per un dente. Guai agli ebrei se un altro di loro, o un collaboratore aiutato o istigato da loro, dovesse alzare le mani contro un tedesco.“ Nel Terzo Reich ogni singolo ebreo era infatti responsabile di ogni atto vendicativo compiuto da terzi; ebrei o non ebrei.

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Come è scoppiata la seconda guerra mondiale?

A

Nessuna tra le varie potenze voleva un secondo conflitto mondiale. Francia, Inghilterra, Italia e unione sovietica avevano i loro motivi per non scatenare un’altra guerra.
Hitler tuttavia trascina in guerra la Germania, tutti i paesi da lui invasi e i suoi alleati (Italia e Giappone). Per fermare hitler partecipano alla guerra:
- Inghilterra
- Francia
- l’unione sovietica
- Stati Uniti

Si combatte per terra e per mare in Europa, Asia, America, Africa e Oceano pacifico.
Hitler voleva imporre un nuovo ordine politico europeo e si impose tappa dopo tappa senza trovare nessuno in grado di arrestarlo.

Come Hitler ha trovato consenso tra i tedeschi per sostenere la sua politica alla ricerca di uno spazio vitale per la germania nel contesto europeo.

Dal 1933 hitler ha creato uno stato TOTALITARIO e offrire ai tedeschi una possibilità di riscatto dopo l’umiliazione di Versailles, puntando su un esercito cosi imponente da spaventare qualunque a avversario.

La crisi della germania risale nel 1919 con la pace di Versailles. La germania è la grande sconfitta con condizioni durissime.
La germania ha ceduto una parte di territorio alla Polonia, anche se vi vivono diversi tedeschi (Danzica). L’impero austro-ungarico non esiste più, i suoi territori sono stati indipendenti: Austria, Cecoslovacchia e Ungheria.
La germania sembra troppo piccola per hitler e secondo lui il popolo tedesco deve espandersi e conquistare il suo spazio vitale. Una volta ottenuto, la Germania dovrà affermare il suo modello in tutta l’Europa. Spazio vitale significa conquistare nuovi territori e questo si può fare solo con la guerra.

Nel marzo del 1938 l’esercito nazista entra in austria per arrivare fino a Vienna per soccorrere il partito nazista gemello austriaco. L’austria viene annessa alla Germania, con il favore di tutto il popolo tedesco e austriaco.
Nessun paese straniero interviene.

I tedeschi hanno stretto anticomintern con il Giappone. Significa contro i comunisti.
Comintern è l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti.
Il Giappone nel 1937 ha attaccato la Cina.
L’Italia fascista dopo le sanzioni economiche in seguito alla conquista italiana dell’ètiopia, è uscita dalla società delle nazioni. Nel 1938 ha cominciato a perseguitare gli ebrei con le leggi raziali.
Nel 1938 hitler comincia a pensare alla Cecoslovacchia, in cui c’è una regione in cui vivono diversi tedeschi, la regione dei sudeti. Anche qui c’è un partito nazista che può dare supporto. Hitler vuole conquistare una parte del territorio.
Inglesi e francesi vorrebbero che il governo della Cecoslovacchia ascoltassero le rivendicazioni tedesche, sembrano ragionevoli e le cose si sistemerebbero.

L’inghilterra degli anni ‘30 è governata da conservatori di destra, di nevil Chamberlain. Il suo obiettivo principale è mantnere la pace in tutta Europa. Anche in Francia, il primo ministro propende per una politica estera fondata sulla appeasement (politica che tenta di evitare la guerra sottovalutando il pericolo che si corre con Hitler).
Questa politica raggiunge il suo culmine nel 29-30 settembre 1938 viene organizzata la conferenza di Monaco di Baviera.
Vengono invitati i primi ministri di Inghilterra, Francia, Germania e italia (Daladier, Chamberlain, Hitler e Mussolini). Idea degli inglesi che vogliono convicere hitler a non invadere la Cecoslovacchia.
L’Unione sovietica non viene invitata.
La conferenza di Monaco stabilisce che la parte dei sudeti deve essere ceduta alla Germania. Hitler ottiene quello che vuole, e sta volta non gli è servito imporsi con la forza. Tutti pensano che questo sia sufficiente per arrestare Hitler.
Ma ogni di hitler, sembra l’ultima e ogni volta che gli viene concesso sembra che la possibilità di una nuova guerra diventi lontana.

In primavera del 1939 però la tensione in Europa torna a serpeggiare e a crescere. In Cecoslovacchia la questione non è risolta, c’è ancora una parte indipendente non ceduta alla Germania.
Hitler invade e conquista la Cecoslovacchia nel marzo del 1939.
Mussolini vuole fare uguale e invade l’Albania (di fronte alla Puglia) nessun ostacolo, il re albanese scappa in Grecia e Mussolini incorona il re italiano Vittorio Emanuele III come il nuovo re di Albania (poco prima è successa la stessa cosa in Etiopia).
Tra i territori persi dalla Germania durante Versailles, c’era anche un altro da parte della Polonia dove si trova Danzica. La nuova rivendicazione viene chiamato corridoio di Danzica.
La politica di tolleranza non sta funzionando. Hitler continua a pretendere sempre nuovi territorio e sembra non essere mai sazio.
L’Inghilterra a questo punto, fa sapere che in caso di invasione in Polonia, l’avrebbero supportata.
Gli inglesi cercano di elaborare una strategia comune con Francia e unione sovietica (con cui è difficile, i comunisti non piacciono a nessuno: gli inglesi sono liberali, i francesi di sinistra ma non comunisti, i polacchi hanno un governo di destra che preferisce i nazisti). Anche con l’Italia non è facile raggiungere un accordo che scongiuri una guerra. Dopo l’Albania le relazioni si sono rovinate.
Già dal tempo dell’invasine dell’Etiopia e il patto di acciaio del 1939, hitler e Mussolini sono alleati.
L’Italia non è comunque pronta ad una guerra, mancano soldi per formare un esercito all’altezza di quello tedesco.

Hitler chiede al governo polacco di cedere il corridoio di Danzica, ma la richiesta viene respinta.
Prima di attaccare però Stalin e Hitler si accordano per evitare di scontrarsi e viene avviata una trattativa. Il 23 agosto 1939 viene sottoscritto un patto di non aggressione: il PATTO MOLOTOV-RIBENTROP
È un’incredibile sorpresa per tutto il mondo, due paesi nemici che si detestano hanno fatto un patto.
Stalin sa che è conveniente Perché le sue armate rosse sono impegnate sul fronte orientale contro i giapponesi, inoltre una parte della Polonia sarà annessa all’unione sovietica.
Hitler ci guadagna Perchè sa che potrà far entrare in Polonia l’esercito tedesco, ora che si è assicurato la neutralità dei sovietici.
Una settimana dopo, il 1 settembre 1939 le truppe tedesche superano il confine polacco. Due giorni dopo l’Inghilterra e la Francia dichiarano guerra alla Germania.

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Patto di Molotov-Ribbentrop

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Patto che fu firmato nell’agosto del 1939 a Mosca tra Ribbentrop (ministro esteri tedesco) e Molotov (ministro esteri sovietico).
Era un patto di NON AGGRESSIONE tra i due paesi.
Fu uno dei colpi di scena più grandi nella storia in quanto vedeva due regimi contrapposti trovare un accordo. Questo patto assicurava ad ambo le parti considerevoli vantaggi.
L’URSS allontanava momentaneamente la minaccia tedesca dai suoi confini, Hitler invece poteva risolvere la questione polacca senza correre il rischio di una guerra su due fronti

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La seconda guerra mondiale

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La Wehrmacht, l’esercito tedesco era molto potente e ben organizzato e segue la strategia della guerra lampo. Prima arrivano gli aerei che colpiscono zone strategiche. Poi arrivano carri armati e fanteria. Il nemico non riesce a fermare l’avanzata nazista e l’esercito polacco non resiste per molto. Dopo poche settimane cede.
Dall’altra parte della Polonia entra l’armata rossa per occupare la parte orientale del territorio polacco. Nazisti e sovietici si spartiscono la Polonia senza scontrarsi come stabilito dal patto Molotov-Ribentropp.

Il fronte tra Francia e Germania è stato fortificato con due linee difensive:
- la Francia ha costruito una linea di centinaia di km lungo tutto il confine, la linea maginot;
- I tedeschi hanno costruito anche una linea parallela lunga centinaia di km, la linea sigfrido.

I sovietici continuano a rafforzare l’esercito per prepararsi alla guerra, sanno bene che il patto è provvisorio ed è servito a prendere tempo.
L’armata rossa cerca di appropriarsi di nuove basi militari: l’Estonia, Lituania, Lettonia. Il governo finlandese si è opposto e le armate sovietiche invadono la Finlandia nell’inverno del 1940 (questo comporterà l’espulsione dell’URSS dalla società delle nazioni).

I nazisti, dopo la conquista di parte della Polonia, si muovono in due direzioni, verso nord e verso ovest.
A nord, nella primavera del 1940 vanno a occupare Danimarca e Norvegia. Qui, dopo una resistenza durata qualche mese si instaura un nuovo governo che collabora con i nazisti presieduto da Kisslin.
Verso ovest la Wehrmacht marcia verso la Francia, ma aggira la linea maginot e decide di passare per l’Olanda e il Belgio, le occupa e attira cosi in quel territorio armate francesi e inglesi. Diversivo tattico perchè le altre reparti dell’esercito tedesco riescono a sfondare un punto della linea maginot tra le mura Essedan e accerchiano i francesi. È l’estate del 1940, i nazisti stanno entrando in Francia e puntano su Parigi.
La Germania nazista, in teoria poteva contare sugli alleati italiani (patto di acciaio).
Dopo il successo dell’invasione nazista in Francia, l’Italia entra ufficialmente in guerra a fianco della Germania, era il 10 giugno del 1940.
Pochi giorni dopo i tedeschi entrano definitivamente a Parigi, la maggior parte della Francia è sotto il dominio tedesco. Nella parte rimanente è stato creato un nuovo stato francese, la cui capitale è stata situata a Vichy.
Alla resa francese si oppone Charles de Gaulle per contrastare la lotta contro il nazismo.

I tedeschi possono ora andare in Gran Bretagna, ma non è semplice.
Il nuovo primo ministro Churchill con Hitler non ha intenzione di adottare una linea morbida come quella di Chamberlain. Gli aerei della Lutwaffe bombardano in continuazione la Gran Bretagna, ma anche gli aerei inglesi che dispone del nuovo strumento radar.

Anche altre nazioni intanto si schierano:
In Romania si è insediato un governo filo-nazista
Il Giappone entra nel patto di acciaio di hitler e mussolini
Anche Mussolini tenta una nuova conquista, puntando alla Grecia, ma destinata a fallire.
Anche In Africa del Nord prosegue la guerra tra tedeschi e inglesi.
Nel 1941, il 14 agosto, Churchill e Roosvelt sottoscrivono la CARTA ATLANTICA i cui principi sono orientati nel mantenimento della pace in tutto il mondo.
Hitler ha un nuovo piano, realizzare la seconda parte della sua strategia e invadere l’unione sovietica (ci pensava già dai tempi del mein kampf). L’URSS è in mano ai comunisti e agli ebrei ovvero i peggiori nemici dei tedeschi e il popolo tedesco in parte presente in Russia da sempre, è il solo che può rendere la Russia una grande nazione.

La Germania nazista sembra invincibile.

Nel 1941 (22 giugno) avviene l’operazione BARBAROSSA: occupare e conquistare l’unione sovietica.
Il piano era entrare in Russia con l’esercito tedesco.
Fino ad aprile però le armate naziste erano occupate nelle zone balcaniche (tra Jugoslavia e Grecia).

Stalin riceve un messaggio in cui gli viene detto che il Giappone nel 1941 non aveva intenzione di attaccare, e questo induce Stalin a spostare le forze verso occidente in modo da prepararsi all’arrivo dei nazisti.
Il 22 giugno 1941 i nazisti lanciano il loro esercito contro l’Unione sovietica, con il supporto dell’Italia e della Romania.

Di fatto il patto molotov-ribentrop era annullato. Lo scontro tra la Germania nazista e la Russia comunista non solo una guerra tra potenze, ma anche una guerra tra due ideologie completamente opposte.

Durante l’avanzata tra le terre orientali, l’esercito tedesco Punta verso mosca e Leningrado, l’attuale San Pietroburgo, ma subisce oltre il contrattacco anche le costante azioni di disturbo da parte della popolazione civile. L’armata rossa è sotto il comando di Zhukov (zucof) “il generale che non ha mai perso una battaglia”.

La strategia della rapidità della guerra lampo funziona e nonostante la resistenza dell’armata rossa i tedeschi sembrano essere i più forti.
I tedeschi conquistano molte città strategiche come Kiev, Minsk, Odessa, Riga.
I tedeschi avanzano da piu fronti e oltre ad avanzare verso Leningrado vogliono raggiungere i stabilimenti petroliferi del Caucaso (regione confinante con la Turchia).

Conquistare quelli significa conquistare risorse tali x vincere la guerra. Secondo hitler in tre mesi si sarebbe risolto tutto.

Settembre 1941 i nazisti hanno occupato l’ucraina, sono avanzati in Crimea e sono pronti ad attaccare la capitale Mosca. Leningrado è sotto assedio.

Nell’inverno tra il 1941 e 1942 quasi tutto il continente europeo è sott il dominio nazista tranne: Svezia, svizzera e penisola iberica (nel Portogallo c’era un regime di estrema destra e in Spagna c’è Franco filo-fascista).

Lo spazio vitale conquistato dal nazismo coincide con il continente europeo.

Durante l’operazione Barbarossa, gli ebrei delle città polacche e di quelle sovietiche occupate dalle truppe tedesche, vengono uccisi sul posto in massa. Le persecuzioni ai danni degli ebrei in Germania sono iniziate subito dopo la presa del potere di hitler nel 1933. Le prime leggi razionali sono state emanate nel 1935. Gli ebrei vengono identificati e costretti a vivere in zone ristrette e isolate della città, i ghetti e a portare addosso una stella gialla, la stella di David.

Inizialmente il progetto nazista prevedeva la deportazione degli ebrei fuori dall’Europa ma ora che gli ebrei catturati in Polonia e i Russia sono cosi tanti, gli ufficiali nazisti cominciano a dare ordine di ucciderli direttamente sul posto.

Himmler braccio destro di hitler e capo delle SS, organizza gli SQUADRONI della morte, che uccidono con esecuzioni sommarie, migliaia di ebrei, rom, comunisti e prigionieri di guerra.

Himmler escogita un’altra idea. Fa costruire campi di concentramento e di sterminio organizzando un raffinato sistema di trasporti per far arrivare nei campi i prigionieri provenienti da tutta l’Europa.

Nei campi di concentramento presenti già nel 1933, i prigionieri (criminali comuni, oppositori, omosessuali, zingari e poi ebrei) lavorano fino allo sfinimento e alla morte con manodopera gratis x sostenere l’industria bellica tedesca.
I campi di sterminio servono per massacrare in tempi rapidi e con metodi avanzati camere a gas, gas asfissianti inceneritori di corpi. Milioni di prigionieri in gran parte ebrei di tutte le età e provenienti da tutti i paesi sotto il giogo nazista.

Il più noto è quello Auschwitz e Birkenau.

Il processo di Norimberga, quello in cui un tribunale militare internazionale processo a guerra finita alcuni capi nazisti per crimini di guerra e contro l’umanità.

Soluzione finale: sterminio totale di tutti gli ebrei presenti in Europa (Shoah)

Mentre stava avvenendo questo sterminio di massa, la situazione in guerra continuava. La Wehrmacht era quasi arrivata a Mosca, la Germania stava dominano l’Europa.

PEARL HARBOR
Intanto il l’impero Giapponese aveva già occupato parte della Cina, l’Indocina e la Manciuria. Ora puntava ad espandersi ancora (Aveva aderito al patto con Germania e italia, creando l’asse Roma - Berlino - Tokyo). Nel 1939 il Giappone con una guerra non dichiarata aveva cercato di entrare in Mongolia, stato alleato dell’unione sovietica, che si trova tra la Cina e la Russia. Ma l’armata rossa era riuscita a fermare l’invasione. Più a sud l’impero giapponese sta cercando di conquistare tutti i territori del sud-est asiatico ma per riuscirci deve mantenere il controllo di tutta la zona marittima, quindi conquistare tutte le isole dell’oceano pacifico creando attriti con gli Stati Uniti, senza trovare alcun accordo.
Per raggiungere il completo dominio navale, il 7 dicembre del 1941la flotta giapponese attacca Pearl Harbor (alle Hawaii), distruggendo quasi per intero la flotta americana.
Fino a quel momento Roosvelt non aveva inviato le truppe in Europa ma si era limitato a fornire aiuti materiali all’esercito inglese. Ora gli Stati Uniti erano ufficialmente coinvolti nella guerra.

L’esercito statunitense è potente. Gli alleati potenziano i loro eserciti e si preparano ad affrontare le potenze dell’asse.
La flotta americana riprende la guerra nel Pacifico e vince tre battaglie facendo perdere al Giappone il dominio navale dell’oceano pacifico.

AFRICA DEL NORD
L’esercito tedesco era arrivato quasi ad Alessandria d’Egitto con l’intenzione di superare il canale di Suez e ricongiungersi con le altre armate che dalla Russia avanzano verso i pozzi petroliferi del Caucaso. Ma gli alleati riescono ad impedirlo. Montgomery a capo dell’esercito inglese, sconfigge l’esercito nazista tra l’ottobre e il novembre del 1942 nella battaglia di El Alamen, in Egitto.

Nel frattempo l’esercito statunitense sbarca anche sul lato opposto dell’africa settentrionale tra l’Algeria ed il Marocco.

La vittoria inglese in El Alamein è decisiva per due ragioni:
- blocca l’avanzata tedesca in Nordafrica
- permette alle truppe alleate di muoversi liberamente nel mediterraneo (qualche mese dopo gli alleati potranno sbarcare in Sicilia e dare il loro contributo per far cadere il regime fascista).

Nel 1942 in unione sovietica hanno provato ad entrare a mosca, ma l’armata rossa questa volta li ha fermati. La Wehrmacht arretra e si sposta verso sud, i suoi obbiettivi si spostano verso il Caucaso, dove ci sono importanti giacimenti di petrolio.
Una parte delle armate tedesche scende verso il Caucaso, mentre la sesta armata della Wehrmacht si dirige verso Stalingrado (al suo fianco ci sono anche truppe italiane e rumene).
Stalin ordina: NON UN PASSO INDIETRO! Non è consentita la ritirata. Anche hitler ordina la stessa cosa. Piuttosto la morte.

La battaglia di Stalingrado si combatte su ogni metro della città. Il conflitto dura mesi, nessuno vuole cedere. È un momento cruciale. La vittoria in questa battaglia significherà la vittoria di uno dei due regimi sull’altro.
La vittoria sarà di chi riuscirà a resistere.
L’armata rossa riesce a sconfiggere le truppe rumene e italiane. Febbraio 1942 le truppe dei nazisti si arrendono, sconfessando le imposizioni di hitler
L’operazione BARBAROSSA fallisce definitivamente.
I sovietici recuperano il terreno perduto. Nell’estate del 1943 liberano la Crimea e l’Ucraina.

L’aviazione statunitense intanto bombarda incessantemente le città tedesche. Per sconfiggere hitler definitivamente le forze ANTINAZISTE (alleati e unione sovietica) devono unirsi ed elaborare una strategia comune. Alla fine del 1943 si riuniscono a Teheran in Iran: Roosvelt, Churchill e Stalin che decidono di dare sostegno alla lotta partigiana in Jugoslavia, dove Tito sta guidando la resistenza contro l’occupazione nazista. La resistenza dei partigiani è aggressiva, e in certe occasioni compiono dei massacri ai danni del nemico fascista.
Partigiani colpiscono fascisti e collaboratori dei fascisti, ma capita che venga coinvolto anche chi semplicemente è considerato un ostacolo per la lotta ai seguaci di Tito.
A Teheran si decide che le forze antinaziste devono combattere anche da ovest e si pianifica l’OPERAZIONE OVERLORD che prevede lo sbarco in Normandia, nel nord-ovest della Francia, per accerchiare i tedeschi sui due fronti.
Il 6 giungo 1944 le armate alleate sbarcano in Normandia sotto il comando di Eisenhower. I tedeschi ora sono circondati e nei paesi che hanno occupato si sta facendo una guerra partigiana per scacciarli: i partigiani di jugoslavia, grecia, Francia e italia stanno liberando le loro città mentre l’esercito nazista è tenuto impegnato dagli alleati e dai sovietici.

In italia il regime fascista è crollato nel luglio del 1943 e ha affidato la guida del governo all’ufficiale fascista Badoglio. In seguito allo sbarco americano in Sicilia, ha dovuto firmare un armistizio con Eisenhower, noto via radio 8 settembre 1943.
I nazisti reagiscono immediatamente e occupano l’Italia, fino alla primavera del 1945, quando il 25 aprile dopo 20 mesi di resistenza armata, i partigiani insorgono definitivamente contro il nazifasicmo e liberano le principali città italiane. Mentre gli alleati risalgono verso il nord. A giugno del 1944 Roma viene liberata.
Mussolini nell’inverno del 1943 aveva provato a fondare la repubblica sociale italiana, che era uno stato satellite dei nazisti. E quando le sorti dell’Italia diventano chiare, Mussolini tenta la fuga in Svizzera, ma intercettato dai partigiani viene catturato e ucciso.
Tra il 1944 e il 1945 le truppe alleate da ovest e el truppe sovietiche da est, liberano i prigionieri nei campi di sterminio, nonostante i nazisti stessero cercando di cancellare le tracce dello sterminio di massa.

L’armata rossa prosegue inarrestabile e vuole arrivare a Berlino.
A febbraio del 1945 Stalin, Churchill e Roosvelt si sono incontrati di nuovo a Yalta, città russa del mar nero e hanno stabilito che bisognerà fondare un organizzazione internazionale per mantenere la pace nel mondo (come provava a fare la società delle nazioni). Nei mesi successivi verrà fondata l’Onu (organizzazione delle nazioni unite).
Si accordano sul proseguimento della guerra per sconfiggere definitivamente le potenze dell’asse: gli Stati Uniti combatteranno le forze navali giapponesi nell’oceano pacifico mentre l’unione sovietica entrerà con le sue armate in germania.

Viene presa anche una decisione che porterà poi alla guerra fredda. La germania verra smembrata in quattro aree di influenza ciascuna sotto il dominio di una diversa nazione vincitrice (Inghilterra, stati uniti, Francia e unione sovietica).

BATTAGLIA FINALE
L’armata rossa con Zuckof sfonda la resistenza e raggiunge la capitale. Il 2 maggio del 1945 si arrendono e hitler, piuttosto che consegnarsi al nemico si suicida in un bunker di Berlino e con lui si tolgono la vita altri ufficiali nazisti.

La flotta del giappone continua a resistere all’avanzata americana nell’oceano pacifico. Dagli Stati Uniti arriva un ultimatum dal nuovo presidente Truman (Roosvelt è morto). Il governo giapponese respinge l’ultimatum.
Nell’agosto del 1945 gli Stati Uniti utilizzano una nuova arma messa appunto da un gruppo di scienziati. La bomba atomica. Ne lanciano due, il 6 e 9 di agosto 1945, contro Hiroshima e Nagasaki distruggendole completamente.
Il 14 agosto del 1945 il Giappone è costretto alla resa.

La seconda guerra mondiale è finita, ma con la bomba atomica tutti temono il suo potere devastante e distruttivo.

Nei mesi successivi del 1945 iniziano i processi per i crimini di guerra commessi dai nazisti catturati. Il più noto è quello di Norimberga, condanna 24 ufficiali nazisti per cospirazione contro la pace, guerra di aggressione, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Alcuni condannati a morte, qualcuno finisce in carcere, qualcuno si suicida, qualcuno si pente.

Si contano circa 60 milioni di morti.

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Guerra fredda (guerra di Corea, Vietnam, Afghanistan e crisi missilistica di cuba, muro di Berlino e caduta)

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Nascita dell’ONU
In seguito alla guerra, ai circa 60 mln di morte (tra bombardamenti, carestie, deportazioni ecc), nacque un generale desiderio di rifondare su basi più stabili il sistema delle relazioni internazionali.
Fondata a San Francesco tra aprile e giugno 1945 (quando la guerra non era ancora finita). L’obiettivo era quello di salvare le generazioni future dalla guerra e promuovere progresso economico e sociale di tutti i popoli.

La guerra segnò anche un mutamento irreversibile degli equilibri internazionali. Le antiche grandi potenze (Gran Bretagna e Francia), si resero presto conto di non essere più nella posizione dominante. Le nuove superpotenze erano gli Stati Uniti, che vantavano una superiorità economica e una netta supremazia militare (arma atomica) e l’unione sovietica che disponeva di un imponente apparato industriale e militare.

Nonostante avessero combattuto il nemico assieme, Stati Uniti e URSS avevano profonde divergenze sulla visione del futuro del mondo, e dell’europa in particolare.
Gli Stati Uniti puntavano una ricostruzione nel segno dell’economia di mercato e della libertà degli scambi internazionali; l’unione sovietica pretendeva la punizione degli stati aggressori e soprattutto garanzie territoriali contro ogni possibile attacco lanciato da occidente.
Nell’aprile del 1945 Roosevelt morì (dopo essere stato eletto per la 4 volta, mai successo prima negli Stati Uniti) e gli succedette Harry Truman.

La guerra fredda
L’equilibrio Usa-URSS prodotto dal conflitto mondiale si trasformava cosi stabilmente in un rapporto conflittuale tra le due superpotenze: da una parte il blocco “occidentale” che riconosceva l’egemonia politica e culturale degli usa e si ispirava agli ideali della democrazia rappresentativa, del libero scambio e dell’iniziativa individuale; e un blocco “orientale” guidato dall’URSS e organizzato secondo i principi del comunismo e dell’economia pianificata.

Guerra fredda, definizione di Lippmann in quanto si trattava di una guerra, non combattuta sui campi di battaglia, ma con le armi dell’ideologia e della propaganda.

Durante la stagione della guerra fredda, le due superpotenze non si combatterono mai direttamente, soprattutto perchè dal 1949 anche l’URSS si dotò dell’arma nucleare.

IL PIANO MARSHALL
Su un piano più concreto , gli Stati Uniti si impegnarono massicciamente per rilanciare le economie dei paesi europei.
Nel 1947 fu lanciato un programma di aiuti economici all’Europa, che prese il nome di piano Marshall (nome dl segretario di stato che ne assunse l’iniziativa.
Dalla fine della guerra, la Germania era divisa in quattro zone di occupazione (statunitense, britannica, francese e sovietica). La capitale Berlino, che si trovava all’interno dell’area sovietica, era a sua volta suddivisa in quattro zone.

PATTO ATLANTICO 1949
Alleanza difensiva tra i paesi dell’Europa occidentale (Francia Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Norvegia, danimarca, Islanda, Portogallo, italia), gli Stati Uniti e il Canada. Nel 1952 aderirono anche Grecia, Turchia e nel 1955 anche la Germania federale (la parte occidentale). A questo patto, l’URSS risposte stringendo con i paesi satelliti un’alleanza, il PATTO DI VARSAVIA, basata anche essa su un’organizzazione militare integrata.

RIVOLUZIONE IN CINA, GUERRA DI COREA
Mentre in Europa si stava definendo il confine tra i due blocchi, il confronto tra mondo comunista e mondo capitalistico si allargava al continente asiatico, intrecciandosi con le vicende della lunga e sanguinosa guerra civile che da decenni si stava combattendo in Cina.
Dopo la sconfitta del Giappone e la fine del conflitto mondiale, la repubblica cinese era diventata una potenza vincitrice ma era sempre piu lacerata dallo scontro tra il governo nazionalista di CHIANG KAI-SHEK e i comunisti di MAO ZEDONG. Tra il 1946 e 1947 Chiang kai-shek lanciò una violenta offensiva militare, contado sull’aiuto degli Stati Uniti. Ma le forze maoiste ebbero la meglio e nel febbraio 1949 i comunisti entrarono a Pechino. Chiang kai-she se ne andò nell’isola di Taiwan. Ad ottobre 1949 fu proclamata a Pechino la nascita della repubblica popolare cinese, riconosciuta dall’URSS e dalla Gran Bretagna, ma non dagli Stati Uniti.

LA GUERRA IN COREA (1950-1953)
Alla fine della seconda guerra mondiale, la Corea (a lungo contesa tra Cina e Giappone e annessa all’impero giapponese dal 1910) era stata divisa in due Zone. La Corea del Nord era governata da un regime comunista guidato da Kim Il Sung, mentre la Corea del Sud era insidiato un governo nazionalista appoggiato dagli Stati Uniti.
Nel giugno del 1950 le forze nordcoreane, armate dall’URSS, invasero la Corea del Sud. Gli Stati Uniti risposero con un contingente. La Cina di MAo però intervenì in difesa dei comunisti e riuscirono a respingere gli americani sulle posizioni di partenza.
Nel 1951 Truman accettò di aprire trattative con la Corea del Nord, trattative che si conclusero appena due anni dopo nel 1953 e si concluse con la Corea sempre divisa in due da una ZONA DEMILITARIZZATA”

Gli anni dalla crisi di Berlino alla fine del conflitto in Corea, fu il periodo più buio della guerra fredda. La minaccia di un conflitto nucleare era sempre imminente creando ansia, pessimismo e ripercussioni negative.

A partire dal ‘49 dopo lo scoppio dell’atomica, in America si scateno una propaganda anticomunista che in certi momenti sembrava una “caccia alle streghe” che ebbe come ispiratore il senatore repubblicano McCarthy (Maccartismo). Nel 1950 venne approvata una legge per la sicurezza interna che permise di emarginare o epurare chi fosse sospettato di filocomunismo o simpatie di sinistra. Il maccartismo continuo fino al 1955 fino a quando il senatore venne fatto uscire di scena.

Dopo la morte di STalin (19 53) e le nuove elezioni di Eisenhower i conflitti non cessarono, ma c’era una coesistenza pacifica.

Il successore di Stalin fu Nikita Kruscev. Con l’ascesa di kruscev fu la fine delle grandi purge, un rilancio all’agricoltura e maggiore attenzione alle condizioni di vita dei cittadini.

Nel 1956 kruscev volle demolire la figura di stalin attraverso una sistematica denuncia dei crimini commessi in unione sovietica a partire dagli anni’30 (arresti in massa, deportazioni, torture…)

Periodo ottimistico
Gli anni ‘60 furono un periodo di “pace armata” in cui ci fu un aumento demografico, innovazione tecnologica e sviluppo produttivo.
Ai vertici delle due potenze c’era Kruscev e Kennedy (eletto nel 1960)
Nel 1961 i due si incontrarono a Vienna per discutere del problema sulla Germania ovest. L’incontro fallì e i sovietici risposero costruendo un muro che separava le due parti della città.

Tensione tra Cuba e Usa
A cuba si era affermato il regime socialista di Fidel Castro. Gli Stati Uniti sentivano come ostile la presenza di questo stato a pochi chilometri dalle coste della Florida. Per questo Kennedy tentò una spedizione armata nel 1961 (esuli anticastristi) lo sbarco avvenne nella Baia dei porci e l’intento era quello di suscitare un’insurrezione contro Castro. Si risolse in un totale fallimento.
In questa fase l’unione sovietica si inserì fornendo aiuto a Cuba e installando dei missili nucleari rivolti verso gli Stati Uniti. Nell’ottobre del ‘62, scoperte le basi, Kennedy ordino un blocco navale a torno a cuba per impedire alle navi sovietiche di raggiungere l’isola: per sette giorni il mondo fu vicino a un conflitto generale e di nuovo si aveva l’incubo del nucleare.
Alla fine Kruscev cedette e smantellò le basi missilistiche. In cambio gli Stati Uniti dovevano astenersi da azioni militari contro cuba e dovevano togliere i missili nucleari dalle basi nato in Turchia.

GUERRA DEL VIETNAM
Per piu di 10 anni gli Stati Uniti furono coinvolti nella lotta contro il comunismo in vietnam.
Dopo il ritiro dalla Francia dalla penisola indocinese, gli accordi di Ginevra del ‘54 avevano diviso il vietnam in due repubbliche:
- Nord: comunisti con a capo Ho Chi Minh
- Sud: regime semidittatoriale appoggiato dagli stati uniti
Nacque il VIETCONG, un movimento di guerriglia contro il governo del sud, guidato da comunisti e sostenuto dallo stato nord del vietnam.
Nell’estate del 1964 Johnson ordinò il bombardamento di alcuni obiettivi militari del vietnam del nord, bombardamenti che divennero sistematici.
Ma i comunisti, aiutati anche da Russia e Cina, non cedevano. Inoltre erano sempre più forti le proteste contro questa guerra ingiusta, contraria alla democrazia americana. Ci furono molte manifestazioni di protesta e molti giovani in età di leva rifiutarono di indossare la divisa.
Nel 1973 americani e nordvietnamiti firmarono un armistizio che prevedeva il graduale ritiro delle forze armate statunitensi.
Nel 1975 i vietcong e le truppe nordvietnamite entrarono a Saigon, capitale del sud, i comunisti cambogiani avevano conquistato la capitale della Cambogia e anche il Laos cadde in mani dei partigiani. Tutta l’indocina diventa comunista.

LA CINA DI MAO ZEDONG
La vittoria dei comunisti di mao zedong sui nazionalisti di Chiang kai-she e la fondazione della repubblica poploare cinese (1949) segnarono la rinascita della Cina come atto indipendente.
Con l’unione sovietica, anche la Cina di Mao Zedong era la seconda potenza comunista che si proponeva, in concorrenza con l’URSS, come guida e modello per i movimenti rivoluzionari di tutto il mondo, soprattutto per quelli che si stavano emancipando dal dominio coloniale.
Nel settore agricolo aveva dapprima distribuito le terre tr i contadini,con la riforma agraria del ‘50 creando cosi tante piccole aziende agricole.
Il settore dell’industria ebbe una crescita molto rapida, ma meno invece nel settore agricolo, perchè c’era da sfamare una popolazione in continuo aumento.
Vennero create le COMUNI POPOLARI nel maggio del 1958 per accelerare il rilancio della produzione agricola. Questa strategia fu definita “ grande balzo in avanti”. Ogni comune popolare doveva tendere all’autosufficienza economica producendo in proprio quello che serviva. Fu un fallimento, la produzione agricola fallì e ci fu una spaventosa carestia (30 mld di morti).
Dopo questa riforma i rapporti con URSS si incrinarono.

Rivoluzione culturale
Dopo il fallimento di questa riforma, Mao ricorse a una forma di lotta inedita in un regime comunista: con il sostegno dell’esercito, si appello ai giovani esortandoli a ribellarsi contro chi si sospettava seguisse la via del capitalismo.
Si scateno una rivolta apparentemente spontanea, in realtà orchestrata dall’alto. In diversi luoghi (Scuola, lavoro, partito), gruppi di giovani guardie rosse accusavano insegnanti, dirigenti politici, intellettuali e molti furono internati in campi di rieducazione e sottoposti a torture fisiche e psicologiche. L’intento era rimuovere qualsiasi ostacolo alla realizzazione del comunismo.
Nel giro di due tre anni, la rivoluzione si esaurì e a partire dal ‘68 lo stesso mao zedong comincio a pore un freno a questo movimento da lui creato allontanando le guardie rosse dalle città.

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Chi è a capo della rivoluzione Vietnam

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La rivoluzione del Vietnam fu organizzata dal movimento Viet Minh ed è stata guidata principalmente da Ho Chi Minh, un leader politico e rivoluzionario vietnamita. Ho Chi Minh è stato il fondatore del Partito Comunista del Vietnam e ha svolto un ruolo chiave nella lotta per l’indipendenza del Vietnam dal colonialismo francese e successivamente nella guerra del Vietnam. Ha guidato il movimento di resistenza vietnamita e ha lavorato per unificare il paese sotto un governo comunista. Ho Chi Minh è stato considerato il presidente del Vietnam del Nord dal 1945 fino alla sua morte nel 1969.

Premesse
Stabilità nel 1887, l’indocina francese era una federazione di possedimenti della Francia. Le prime organizzazioni anti-colonialiste indocinesi nacquero in Vietnam agli inizi del XX secolo. Le prime dimostrazioni ebbero luogo nel 1908, ma duramente represse dal governo coloniale.

Nel 1941 viene fondato il movimento Viet Minh, un progetto del partito comunista indocinese che voleva arruolare patrioti vietnamiti di qualisasi ideologia al fine di raggiungere l’indipendenza.

Il 9 marzo del 1945 (COLPO DI STATO GIAPPONESE IN INDOCINA) i giapponesi occupano militarmente l’intera Indocina francese e creano l’impero del Vietnam, uno stato fantoccio indipendente ma sotto la propria tutela. A capo dello Stato fu posto l’imperatore vietnamita Bao Dai
Il PCI trasse profitto dal disarmo dei francesi e i giapponesi divennero il loro nuovo nemico.
La situazione giapponese era ormai compromessa nel conflitto mondiale, mentre il popolo vietnamita risposte in massa alle sollecitazioni dei comunisti un po’ ovunque formando nuove organizzazioni di resistenza.
Nel giugno del 1945 Viet Minh aveva iniziato la ridistribuzione delle terre dei francesi che venivano consegnate ai piu poveri, abolite le corvée, fu annunciato il suffragio universale e libertà democratiche. A capo del direttivo fu posto HO CHI MINH.

RIVOLUZIONE DI AGOSTO E INDIPENDENZA
Il 13 agosto 1945, subito dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, con cui gli alleati piegarono il Giappone, il PCI diede indicazioni di dare il via all’insurrezione generale.
Il 15 agosto il Giappone annuncia la resa e subito il comando militare giapponese consegna il potere alle autorità vietnamite.
Il 2 settembre 1945 Ho Chi Minh proclamo la REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL VIETNAM

Nel 1946 ci fu la guerra di Indocina, dove i francesi con i loro bombardamenti uccisero tra le 6000 e le 20000 persone.
L’evento che ha cambiato il conflitto fu la vittoria nel 1949 delle forze maoiste nella guerra civile cinese (tra partito nazionale cinese e partito comunista cinese).

Nel marzo del 1950 i Viet Minh trionfarono nella guerra di Indocina sconfiggendo le truppe coloniali francesi nella battaglia di DIEN BIEN PHU.
Il congresso di Ginevra si svolse nel 1954 che ha posto fine alla guerra di Indocina e ha stabilito il futuro dei territori coinvolti (Vietnam, Laos e Cambogia).
Il Vietnam venne diviso in due parti da una zona demilitarizzata: nel Nord le autorità furono date ai Viet Minh, a Sud invece venne fondata la Repubblica del Vietnam del Sud controllata da Diem (supportato dai servizi segreti statunitensi).
Nel 1956 avrebbero dovuto tenersi delle elezioni in cui entrambe le parti avrebbero riunificato il paese, ma Diem dopo il suo insediamento, rifiutò.
Da questo periodo (novembre 1955) in poi si ebbe l’inizio della guerra del Vietnam (guerra di resistenza contro gli Stati Uniti) in cui forze comuniste presenti nel sud del Vietnam diedero inizio ad azioni di rivolta.
Dal 1956, sia la Cina che L’Unione sovietica fornirono grandi aiuti al Vietnam del Nord.
Il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti iniziò ufficialmente nel 1965, quando vennero inviate truppe combattenti.
Nel 1972 ebbe luogo l’offensiva di Pasqua che fu una campagna militare intrapresa dalle forze armate del Vietnam del Nord e Viet Cong contro il Vietnam del Sud.
Fu il più grande attacco mai scatenato dalle forze comuniste che non aveva l’intenzione di porre fine alla guerra ma di distruggere il maggior numero possibile di reparti dell’esercito sud vietnamita e mettere in crisi il governo di Saigon.
ACCORDI DI PACE DI PARIGI (1973)
Ponevano fine all’intervento statunitense nel conflitto del vietnam.
CAMPAGNA DI HO CHI MIN
All’inizio del 1975 il
Vietnam del nord scatenò l’offensiva finale venendo meno agli accordi di Parigi e invase il sud.
La guerra ebbe fine il 30 aprile del 1975 con l’ingresso delle forze nordvietnamite a Saigon e la sua conseguente caduta.
Nel luglio del 1976 il Vietnam del Sud venne annesso al Vietnam del Nord e venne formata la repubblica socialista del Vietnam; Saigon venne rinominata Ho Chi Minh in onore dell’ex presidente nordvietnamita.

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La decolonizzazione e il terzo mondo

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La seconda guerra mondiale sancì definitivamente la crisi del colonialismo è l’affermazione, a livello internazionale, del principio di autodeterminazione.
Con la carta atlantica del 1941 per volontà soprattutto degli Stati Uniti, gli alleati avevano proclamato, ancora in piena guerra mondiale, il diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo da cui intendono essere retti. Il principio di autodeterminazione dei popoli si impose come base di un nuovo codice etico-politico internazionali, a cui le potenze coloniali, uscite esauste dalla guerra, non potevano certo sottrarsi.
La Gran Bretagna procedette a una graduale abdicazione del proprio dominio, mentre la Francia oppose una tenace resistenza ai movimenti indipendentisti e praticò fino all’ultimo una politica assimilatrice che prevedeva di riunire la madrepatria e le colonie in un’unica compagine politica e concedeva ai popoli soggetti una formale parità di diritti. Sia nel caso dei domini britannici sia in quello dei possedimenti francesi, lo sblocco obbligato fu comunque l’indipendenza. La democrazia parlamentare di tipo europeo si affermò però solo in pochi dei nuovi Stati indipendenti. Il risultato fu quasi ovunque, con importante eccezione dell’India, la prevalenza di regimi autoritari.

L’indipendenza dell’India
Abbiamo visto come negli anni tra le due guerre fosse cresciuto in India un forte movimento indipendentista, organizzato nel partito del congresso, sotto la guida carismatica del Mahatma Gandhi.
Nonostante i tentativi di Gandhi per uno Stato unitario laico dove potessero convivere i diversi gruppi religiosi, la componente musulmana reclamò la creazione di un proprio Stato, che fu infine accordata dai britannici dopo gravi conflitti tra le due comunità.
Nell’agosto del 1947 nacquero due Stati: l’unione indiana, a maggioranza indù, e il Pakistan musulmano, geograficamente diviso in due tronconi situati alle opposte estremità della penisola indiana il Pakistan vero e proprio a ovest, il Bengala orientale, l’odierno Bangladesh a est.

Le guerre d’Indocina
Nel sud-est asiatico l’emancipazione dalle potenze coloniali si intrecciò con lo scontro tra le forze nazionaliste, alleate con l’Occidente, e i movimenti comunisti, con esiti diversi. Lungo e combattuto fu il processo di emancipazione del Vietnam, conclusosi nel 1954 con gli accordi di Ginevra, che sancirono il ritiro dei francesi da tutta la penisola indocinese e la divisione provvisoria del Vietnam in due Stati: uno comunista al Nord, l’altro filoccidentale al sud.

E il mondo arabo e la nascita di Israele
la seconda guerra mondiale accelerò la decolonizzazione nel Medioriente, ma lascio il irrisolto il nodo della Palestina, contesa tra arabi ed ebrei. Nel 1947 Londra annunciò il ritiro delle sue truppe dalla Palestina e rimise alle Nazioni Unite il compito di trovare una soluzione al problema. L’ONU approvò un piano di spartizione in due Stati, che venne però respinto dagli arabi. Nel maggio del 1948 gli ebrei proclamarono la nascita dello Stato d’Israele e gli stati arabi reagirono attaccandolo militarmente. La prima guerra-arabo israeliana si concluse con la sconfitta delle forze arabe. Circa 700.000 profughi abbandonarono i territori occupati da Israele riparando nei paesi vicini.

Nella prima metà degli anni 50 il nazionalismo arabo trovo una guida nell’Egitto, dove Nasser assunse il potere nel 1954. Il nuovo regime avviò una serie di riforme in senso socialista. Nel 1956 Nasser decise di nazionalizzare la compagnia del Canale di Suez, dove i britannici e francesi conservavano forti interessi. Allora Israele, d’intesa con i governi di Londra e Parigi, attaccò l’Egitto e lo sconfisse. Gli Stati Uniti, però, condannarono l’impresa e l’unione sovietica inviò un ultimatum alle potenze occidentali. Israele fu costretto a ritirarsi dal Sinai, mentre le truppe franco britanniche abbandonavano la zona del canale. L’effetto più immediato di questa crisi fu quello di rafforzare la posizione dell’Egitto e il prestigio di Nassar.

Particolarmente drammatico fu il processo di emancipazione in Algeria, per la presenza di oltre 1 milione di coloni francesi avversi all’indipendenza. Fu Charles de Gaulle a capire che era ormai inevitabile rinunciare all’Algeria, riconoscendone l’indipendenza nel 1962. In Libia nel 1969, una rivoluzione portò al potere il colonnello Gheddafi, artefice negli anni successivi di un discusso esperimento di socialismo islamico.

Negli anni ‘60 e ‘70 il Medioriente fu teatro di due successive guerre: la guerra dei sei giorni del 1967 e la guerra del Kippur del 1973. La guerra del 1967, che si concluse con l’occupazione da parte di Israele di nuovi territori arabi, determinò il declino di Nasser è la radicalizzazione dei movimenti di resistenza palestinese, riuniti nell’organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Dopo l’espulsione dalla Giordania, dove aveva inizialmente posto le sue basi, l’Olp guidata da Arafat, avrebbe esteso la lotta terroristica sul piano internazionale. La guerra del 1973 iniziata dall’Egitto con un improvviso attacco ad Israele, si concluse, grazie alla mediazione degli usa senza vincitori né vinti, ma fu all’origine del blocco petrolifero proclamato dei paesi arabi ed è successivo aumento del prezzo del petrolio.

Il contrasto tra tradizionalismo e modernizzazione caratterizzò la storia dei due maggiori paesi musulmani non arabi del Medioriente, che non avevano conosciuto il dominio coloniale: la Turchia e l’Iran. Nel dopo guerra, la Turchia aderì a sistema di alleanze occidentali, mentre in politica interna proseguì il cammino di modernizzazione avviato da Atatürk. In Iran-un paese ricco di petrolio è sottoposto a regime autoritario dello Scià-fallì rapidamente l’esperimento di democratizzazione avviato nel 1951 dal Primo Ministro Modsadeq: nel 1953 è un colpo di stato militare organizzato dei servizi segreti anglo americani depose il Primo Ministro, che aveva tentato di nazionalizzare le compagnie petrolifere straniere, e restituì il potere assoluto allo scià.

A sud del Sahara, nell’Africa nera, il processo di decolonizzazione si compì tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60. Fu un processo pacifico tranne in pochi casi, come quelli del Kenya, della Rhodesia del sud o del Congo. Le nuove istituzioni politiche, ricalcati sui modelli europei, mostrarono una particolare fragilità lasciando spesso il posto a regimi militari. Un caso a sé fu quello del Sudafrica dove la minoranza bianca riuscì a conservare il potere praticando una politica di discriminazione (l’apartheid) ai danni della maggioranza nera.

Sul piano della politica internazionale, i nuovi paesi indipendenti cercarono una piattaforma comune-a partire dalla conferenza di Bandung del 1955-nel non allineamento. I principali leader del movimento (l’indiano nehru, l’egiziano Nasser e lo jugoslavo Tito) lanciarono la formula del non allineamento: gli Stati del terzo mondo si proponevano così come protagonisti di una politica di neutralismo attivo, destinato a erodere l’egemonia delle superpotenze e a sottrarre il mondo alla morsa della guerra fredda. Questi paesi, nonostante le differenze di condizioni economiche e ordinamenti politici, riconoscevano di avere interessi e aspirazioni comuni che non potevano essere contenuti nella logica della competizione tra i due blocchi: di far parte insomma di un terzo mondo distinto sia dall’Occidente capitalistico sia dall’est comunista. Sul piano economico, i paesi del terzo mondo erano accomunati dalla realtà del sottosviluppo, ovvero dall’incapacità di risolvere i problemi di arretratezza economica resi ancora più gravi dell’aumento a sei rapido della popolazione.

I paesi dell’America latina godevano da tempo dell’indipendenza politica ma si trovavano in condizioni di dipendenza economica dagli Stati Uniti, che esercitavano una sorta di tutela su tutto il continente. La politica dell’America centrale e meridionale fu caratterizzata dall’alternanza di governi liberali e di regimi autoritari. Fra le esperienze più significative, quella del regime populista stabilito da Perón in Argentina negli anni ‘40 e ‘50 e quella tenuta da Getulio Vargas in Brasile, entrambe fallimentari sul piano economico e stroncate da colpi di Stato militari. Di grande rilievo, per la trazione che esercitò in tutta l’America latina, fu la rivoluzione cubana guidata da castro del 1959, che diede al nuovo regime un orientamento comunista. Il regime corrotto e dittatoriale di Batista fu rovesciato nel 1959 dopo una guerriglia iniziata tre anni prima sulle montagne della sierra maestra, da un movimento rivoluzionario guidato da Fidel castro. Castro avviò subito una riforma agraria che colpiva il monopolio esercitato dalla United Fruit company sulla coltivazione della canna da zucchero, principale risorsa dell’isola. Gli Stati Uniti risposero con l’embargo nei suoi confronti. Castro si rivolse allora all’Urss che si impegnò ad acquistare lo zucchero cubano a prezzi molto superiori a quelli del mercato internazionale e a rifornire l’isola di petrolio e macchinari. Negli anni ‘70 i militari assunsero il potere anche in un paese tradizionalmente democratico come il Cile che aveva vissuto una breve stagione di radicali riforme socialiste sotto la guida di Salvador Allende.

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Fine dell’età dell’oro e la crisi petrolifera

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All’inizio degli anni 70 si interruppe il ciclo espansivo dell’economia mondiale che aveva contraddistinto l’intero dopo guerra. Non fu una semplice pausa nel processo di sviluppo, ma una svolta dalle conseguenze traumatiche segnata soprattutto da due eventi. L’aumento del prezzo del petrolio nel 1973 in seguito alla guerra arabo israeliana, è l’inizio di una fase di instabilità monetaria internazionale inaugurata nel 1971 dalla decisione degli USA di sospendere la convertibilità del dollaro. L’aumento del prezzo del petrolio creò una crisi economica internazionale di vaste proporzioni.

E la crisi petrolifera pose la società industrializzate di fronte al problema del carattere limitato ed esauribilità delle risorse naturali del pianeta. Si diffusero movimenti ambientalisti, attenti alle tematiche dell’ecologia, mentre i governi adottarono politiche di risparmio energetico e promossero la ricerca e l’uso di nuovi fonti di energia: non solo il nucleare, ma anche energie pulite come quella solare e quella eolica.

Tra la fine degli anni 80 l’inizio degli anni 90 l’emergenza ambientale sembrò per molti aspetti ridimensionarsi. La scoperta di nuovi giacimenti petroliferi, se da un lato rallentò la spinta alla ricerca di fonti alternative, dall’altro fece apparire eccessivi gli allarmi lanciati negli anni della crisi, quando autorevoli studiosi formulavano previsioni catastrofiche sull’esaurimento delle risorse energetiche entro la fine del secolo. Una nuova fase di crescita produttiva e di euforia finanziaria riporto nel mondo dell’economia un clima di diffuso ottimismo.

La crisi energetica metteva in discussione la prospettiva di uno sviluppo industriale continuo.

Intanto nei paesi comunisti era ormai evidente l’incapacità del modello collettivistico di offrire soluzioni adeguate ai problemi della società contemporanea. Si parla infatti di grande riflusso per indicare la caduta dei più ambiziosi progetti di trasformazione politica e sociale: ciò che veniva messo in discussione non era solo la validità di questo o quel programma, ma la stessa capacità ideologie, in particolare quelle di sinistra, di interpretare la realtà e porsi come veicoli di trasformazione sociale

Si assiste così, in alcuni paesi dell’Europa occidentale, a una drammatica esplosione di terrorismo politico attuato da piccoli gruppi clandestini fortemente militarizzati come per esempio le brigate rosse in Italia.
Queste formazioni agivano sulla base di parole d’ordine ispirate a una versione estremizzata del marxismo leninismo, e colpivano personaggi o istituzioni che ai loro occhi più si identificavano col sistema da battere. All’inizio degli anni 80 i gruppi terroristici italiani e tedeschi furono sconfitti prima politicamente e poi con l’arresto di buona parte dei loro componenti.

Ma il terrorismo come fenomeno internazionale non scomparve e si espresse attraverso una serie di azioni sanguinose come: il ferimento di Giovanni Paolo II nel 1981.

Gli anni 70 furono anni molto difficili per gli Stati Uniti dovuti alla instabilità del dollaro, alla fallimentare guerra in Vietnam è da problemi politici interni. Nixon mise fine all’impegno militare in Vietnam ma nel 74 fu coinvolto dallo scandalo di Watergate, chiamato così dal nome dell’albergo di Washington dove alcuni collaboratori del presidente avevano condotto un’operazione di spionaggio ai danni del partito democratico. Sotto accusa Nixon fu costretto a dimettersi.
Nel 1980 salì al governo Reagan che presentò un programma liberista, basato sulla riduzione delle tasse e della spesa pubblica; promise di adottare una politica estera una linea più dura nei confronti dell’Urss e di tutti i nemici degli Stati Uniti, incarnando l’orgoglio nazionalista e il desiderio di rivincita di larghi strati dell’opinione pubblica americana.
Tra il 1983 e il 1986 l’economia americana riprese a marciare a buon ritmo.

L’unione sovietica
Tra la fine degli anni 60 e la prima metà degli anni 80, l’unione sovietica vide accentuarsi il declino economico e politico è nato ormai da tempo.
Eppure proprio in questi anni, l’Urss riuscì approfittare della relativa debolezza degli Stati Uniti per avvantaggiarsi della corsa agli armamenti e per ampliare la sua sfera di influenza in tutti i continenti.il risultato fu che si riacutizzarOno le tensioni internazionali, in quella che allora fu chiamata seconda guerra fredda e che culminò, alla fine degli anni 70, nella decisione sovietica di installare nuovi missili a media gittata puntati verso l’Europa: decisione a cui membri europei della Nato risposero con lo spiegamento di armi analoghe nel loro territorio.

Un intervento militare pagato a caro prezzo su quello attuato dall’Urss in Afghanistan, paese situato in posizione strategica nel cuore dell’Asia musulmana fragranza, il Pakistan e la stessa unione sovietica, fino ad allora schierato su posizioni di non allineamento. Per imporre nel paese un governo fedeli alle loro direttive, i sovietici inviarono in Afghanistan, alla fine del 1979, un forte contingente di truppe che si dovette scontrare per quasi 10 anni contro l’accanita resistenza dei gruppi guerriglieri islamici (sostenuti da Pakistan Iran e Stati Uniti). Per Lourdes fu un’esperienza amara che fu paragonata all’intervento americano in Vietnam.

La svolta per l’unione sovietica e per l’intero mondo comunista arrivo a metà degli anni 80.nel 1985, dopo la morte di Breznev, e dopo un breve periodo in cui salirono al partito Andropov cioè Černenko, la segreteria del PCUS fu assunta da Gorbaciov. Egli si mostrò subito deciso a introdurre una serie di radicali novità nella politica sovietica sia sul piano interno sia su quello internazionale.
In politica economica il segretario propose una serie di interventi volti a introdurre nel sistema socialista elementi di economia di mercato, il nome di questo fu perestrojka. Ancora più importante delle singole riforme fu l’avvio di un processo di liberalizzazione interna condotto all’insegna della glasnost (pubblicità, trasparenza, in senso più ampio libertà di espressione): un processo che consentì lo sviluppo di un dibattito politico culturale impensabile fino a pochi anni prima.
I tentativi di riforme nell’economia in una società ormai lontana dalle logiche del mercato però ne accentuarono il dissesto, mentre l’apertura del dibattito politico mise in moto nuove tensioni e fece emergere movimenti autonomisti e indipendentisti. Tali contraddizioni sarebbero presto esplose determinando il fallimento del progetto riformista di Gorbaciov.

In seguito una serie di incontro tra i leader sovietici è stato una tesi, Reagan e Gorbaciov, si instaurò dopo il 1985, un nuovo clima di distensione internazionale che consentì alcuni accordi tra le superpotenze sulla limitazione degli armamenti e influì positivamente anche sulle prospettive di soluzione nei conflitti locali. Le basi di quello che doveva essere il nuovo ordine internazionale furono gettate a Parigi, nel novembre del 1990, con un trattato di non aggressione e di riduzione degli armamenti convenzionali sottoscritto dai paesi di entrambi i blocchi.

Nella Germania ovest a fine anni 60 si inaugurò la stagione dei governi socialdemocratico liberali che si sarebbe prolungata per un quindicennio e si caratterizzò per una nuova e coraggiosa linea di politica estera, volta alla normalizzazione dei rapporti con i paesi del blocco comunista e soprattutto con la Germania est. In Gran Bretagna, entrata nel 1973 nella comunione europea dopo lunghe trattative condotte dai governi laburisti, a fine anni 70 salirono al potere i conservatori: il nuovo Primo Ministro Thatcher inaugurò una politica economica liberista intransigente, mettendo in discussione i fondamenti e la stessa filosofia del Welfare State e privatizzando settori importanti dell’industria pubblica. In Francia, l’unione delle sinistre, che già aveva sfiorato il successo del 1974, si impose nelle elezioni del 1981, portando alla presidenza il socialista Mitterrand.

A metà degli anni 70, Portogallo Grecia e Spagna furono protagonisti di rapidi e quasi simultanei processi di fuoriuscita da regimi autoritari. In Portogallo, dopo la morte del dittatore salazar nel 1970, un incruento colpo di Stato, nel 1974, portò al potere un gruppo di ufficiali di sinistra, che dopo due anni restituirono il paese a un regime parlamentare e pluri partitico. In Grecia nel 1974 la dittatura dei colonnelli fu travolta dall’insuccesso militare contro la Turchia a Cipro: fu ristabilita la normale dialettica partitica, mentre un referendum popolare sanciva la fine della monarchia. In Spagna fu il re Juan Carlos di Borbone, insediatosi nel 1975 dopo la morte del generale Franco, a guidare il paese verso la democrazia: furono legalizzati i partiti approvata una costituzione democratica.

A partire dall’inizio degli anni 80 in America latina la caduta delle dittature diede di nuovo spazio alle democrazie. In Argentina la dittatura dei generali cade dopo l’occupazione Argentina delle isole Malvina (o Falkland, 1982), liberate in poche settimane dalle truppe britanniche. Anche in Brasile, Perù, Uruguay Bolivia si ebbero, tra il 1984 e il 1985, libere consultazioni. Nel 1988 fu sconfitto da un referendum il dittatore cileno Pinochet. Ovunque però il consolidamento della democrazia trovo gravissimi ostacoli economici: i maggiori problemi erano l’inflazione e gli ingentissimi debiti con l’estero.

Il sud-est asiatico, dopo la partenza degli americani, vide l’esplodere di conflitti tra i paesi comunisti. Nel 1978 la Cambogia teatro del sanguinarie regime di Pol Pot e dei Khmer rossi fu invasa dal Vietnam che vi installo un governo amico nell’intento di estendere il proprio controllo a tutta l’Indocina. Solo nel 1988 con la mediazione dell’ONU, le forze vietnamite cominciarono a ritirarsi dalla Cambogia e nel 1991 si giunse a un accordo tra tutte le fazioni in lotta che avrebbe portato due anni dopo alla restaurazione della monarchia e alla convocazione di libere elezioni.

La Cina dopo Mao
Dopo la morte di Mao zeDong nel 1976 si aprì nella Cina comunista un processo di revisione interna. Artefice principale della “demaoizzazione” fu Xiaoping. Emerse progressivamente come il vero leader del paese e condusse la lotta contro gli ultimi eredi politici della rivoluzione culturale prima di assumere ufficialmente nel 1981 la guida del partito dello Stato. La scesa portò a un processo di riforme interne e liberalizzazione economica che ti ho dei buoni risultati in termini di sviluppo produttivo, ma non si accompagnò alla democratizzazione. Il contrasto tra modernizzazione economica e struttura burocratico-autoritaria del potere fu all’origine, alla fine degli anni 80, di un movimento di contestazione animato dagli studenti dell’Università di Pechino e brutalmente represso militarmente, fino al culmine del massacro di piazza Tienanmen del 1989

Il Giappone, già protagonista nel secondo dopo guerra di un miracolo economico, subì gli effetti della crisi petrolifera che provoca una caduta della produzione. Già negli anni 80 il tasso di sviluppo era tornato a crescere e il paese si affermava come la seconda potenza industriale e finanziaria del mondo. La ridotta spesa militare imposta nel dopo guerra degli USA, se da un lato aveva consentito maggiori investimenti produttivi, dall’altro non permetteva il Giappone di assumere un ruolo in campo internazionale adeguato alla sua forza economica.

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Unione Europea

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Dopo la fine della seconda guerra mondiale negli Stati europei, privati del loro ruolo di centro della politica internazionale, si cominciò a prendere in considerazione l’idea di una comunità integrata e superasse le logiche dello Stato nazionale. La difficoltà di attuare un progetto federalista apri la strada all’opzione “funzionalista”, che privilegiava la messa in comune di funzioni e compiti specifici, soprattutto in campo economico, ma che avrebbe dovuto portare con sé anche le premesse di un’integrazione politica.

Fra il 1973 e il 1986, la comunità economica europea raddoppiò il numero dei suoi membri, da sei a dodici, grazie all’adesione di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Grecia, Portogallo e Spagna. Nel 1974 in un vertice tenutosi a Parigi, fu istituito un nuovo organismo, il consiglio europeo, con il compito di tracciare le linee guida del processo di integrazione; si stabilì anche che il parlamento europeo sarebbe stato eletto direttamente dai cittadini, con scadenza quinquennale, in base alle leggi elettorali vigenti nei singoli paesi. Nel 1979, al fine di rilanciare il processo di integrazione economica e di proteggere le economie nazionali dall’instabilità valutaria, entra in funzione il sistema monetario europeo (Sme): un sistema di cambi fissi tra le monete dei paesi membri, cui però non aderita Gran Bretagna.

Il primo passo importante nel processo di integrazione fu, nel 1985, la la firma degli accordi di Schengen, che impegnavano gli Stati membri ad abolire entro 10 anni i controlli alle frontiere sul transito delle persone. Si stabiliva che entro il 92 sarebbero state rimosse le residue barriere alla circolazione delle merci e dei capitali. Dopo la firma nel 1986 dell’atto unico europeo, un passo decisivo nel processo di integrazione europea fu la stipula del trattato di Maastricht nel 1992. Il trattato sanciva la completa unificazione dei mercati dall’inizio dell’anno successivo e allargava l’area di competenza delle istituzioni europee a campi nuovi, tra cui la ricerca e l’istruzione, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori. E la decisione più significative fu l’impegno a realizzare entro il 1999 il progetto di una moneta comune(cui sarebbe stato dato il nome euro ) e di una banca centrale europea.
Per garantire il rispetto dei parametri di Maastricht, i paesi ue furono costretti ad adottare politiche di tagli alla spesa pubblica e di austerità. I conseguenti effetti negativi sul piano sociale provocarono tra cittadini reazioni di protesta e disaffezione nei confronti delle istituzioni comunitarie. Nel 1998 venne ufficialmente istituita l’unione monetaria europea e la Banca centrale europea. A partire dal gennaio 2002 € sostituire monete nazionali (tramite Gran Bretagna Danimarca e Svezia)

Il dibattito su Unione Europea e sui vincoli che essa poneva le politiche nazionali, si intrecciò con le vicende dei singoli paesi che videro in questi anni una regolare alternanza tra forze moderate e forze di orientamento progressista. Vent’anni 90, in Germania Francia e Spagna le difficoltà relative al processo di integrazione finalizzarono inizialmente i partiti di ispirazione socialista. Successivamente però furono le coalizioni di sinistra ottenere una serie di successi elettorali

All’inizio del nuovo secolo, l’unione accolse le richieste di adesione di quasi tutti i paesi ex comunisti dell’Europa orientale. Fu così cancellata la frattura creatasi con la guerra fredda. Nel 2007 il numero degli Stati membri arrivo a 27 e nel 2013 a 28. Segno invece il passo il processo di integrazione politica, soprattutto dopo la bocciatura, nel 2005, da parte dell’elettorato francese e olandese, del progetto di costituzione europea elaborato, tra il 2001 2003, da un apposita convenzione.
Nel 2007, in occasione del vertice europeo di Lisbona, ho provato un trattato di riforma che allargava le competenze dell’unione in materia di energia di sviluppo, di immigrazione e di lotta contro la criminalità. La crisi economica del 2007-2008 introdusse nuovi elementi di contrasto all’interno dell’unione, dando spazio le forze avverse all’integrazione. Queste forze ebbero il sopravvento in Gran Bretagna, provocando l’uscita dall’Unione Europea in seguito all’esito di un referendum del giugno del 2016 (Brexit). La Gran Bretagna da sempre geloso della sua peculiarità atlantica insulare è insofferente dei limiti imposti dalle regole di riunione alle sue scelte economiche e di politica estera la portarono a questa decisione.

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Cos’è il muro del pianto

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È l’unico reperto rimasto del secondo tempio di Gerusalemme (516 aC - 70 DC).
Era ed è tuttora il luogo più sacro per l’ebraismo. Erode il grande costruì impotenti muri di contenimento intorno al Monte Moriah allargando la piccola spianata posta sulla sua cima. Su tale cima erano stati eretti il primo e il secondo tempio. Nelle fessure del muro, gli ebrei infilano foglietti con sopra scritte delle preghiere.
Quando Tito distrusse il tempio, alcune mura erano rimaste in piedi. Tito lasciò volutamente come triste ricordo per gli ebrei da parte di Roma che aveva sconfitto la giudea. Gli ebrei invece attribuirono la cosa ad una scelta di Dio.
Questo muro del pianto è un luogo sacro di preghiera e nelle preghiere sono incluse richieste a dio per il ritorno di tutti gli ebrei esiliati nella terra di Israele e la costruzione del 3° tempio.

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Cos’è il Sinai

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È una penisola di forma triangolare del medio oriente che fa parte dell’egitto nord-orientale.
Il confine tra africa e asia è stato fissato nel canale di Suez. Quindi pur essendo territorio egiziano, si trova in Asia. Dal 1967 al 1979 è stata sotto il controllo di Israele.

Sulla montagna chiamata Sinai secondo l’antico testamento, Mosè ricevette da dio le tavole della legge, ovvero i dieci comandamenti anche se oggi è opinione diffusa che non si nella bibbia non si parla del monte Sinai.

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Nascita dello Stato di Israele

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Negli anni del dominio britannico, tra il 1918-1949, la Terra Santa (Eretz Yisrael per gli Ebrei, Palestina per gli Arabi) finì per corrispondere ad un area ben delimitata e compresa:
- a Nordf: dal fiume Litani in Libano,
- a Est fiume Giordano e mar Morto
- a Sud dal Golfo di Akaba
Il 60 % del territorio è desertico e inabitabile.
Nel 1881 la popolazione della Palestina era di circa 450.000 (90% di etnia arabo-musulmana), la popolazione ebraica era molto limitata ammontava al Max a 20.000 persone.
Gli Ebrei si distinguevano in:
- Ebrei Achenaziti (origine europea)
- Ebrei Sefarditi (estrazione mista spagnole, nordafricana e mediorientali)
Questa piccola comunità di ebrei rimasta in Palestina fin dai tempi della diaspora sotto il regno di Babilonia, era concentrata nelle quattro città sacre della tradizione ebraica: Gerusalemme, Hebron, Tzfat e Tiberiade. La Palestina fu da sempre terra di conquiste, ma a regnare su di essa dal 1517 fino al 1918 fu l’impero Ottomano.

SIONISMO: Fu la dottrina che cambiò tutto. Emerse in Europa alla fine del 1800 dal desiderio di creare uno stato ebraico per salvarsi dalle persecuzioni antisemite della chiesa cattolica-ortodossa. Fin dai tempi dell’esilio babilonese i sionisti avevano il desiderio di tornare in Terrasanta (redenzione e salvezza del popolo ebraico).
Il fondatore fu Theodor Herzl che ne fece un movimento internazionale.
L’evento catalizzatore del sionismo fu l’affare DREYFUS: di fronte all’ingiusta condanna dell’ufficiale francese colpevole solo di essere ebreo, Herzl divenne ossessionato dalla necessità di trovare una soluzione al problema dell’antisemitismo.

Dove potevano quindi sentirsi al sicuro gli ebrei, se non in una terra propria?
Herzl nei suoi messaggi che diffondeva, non faceva mai riferimento alla popolazione araba che abitava da secoli in Palestina.
Ma già nel 1889 avrebbe scritto all’allora Sindaco arabo di Gerusalemme Yousef al-Khalidi, sostenendo che il sionismo non fosse una minaccia per gli abitanti arabi della regione.
Tra il 1903 e il 1906 il sionismo riceve una bella spinta, a seguito di una forte ondata di progrom russi.
Le aggressioni derivavano dalla rivoluzione del 1905 con il regime zarista che cercava di contrastare i rivoluzionari deviando l’attenzione e la rabbia popolare, dalla monarchia agli ebrei.

Questi tragici eventi furono un fattore importante che scatenarono le prime due ALIYAH in Palestina, cioè le prime due grandi ondate di immigrazione ebraica che andarono a coinvolgere fino a 70.000 persone.

Per trasformare il Sionismo da un ideale a realtà, c’era comunque bisogno di fondi. Herzl, dopo la negazione dell’impero ottomano, si rivolse ai Britannici. Il Regno Unito che sul versante Nord-africano controllava l’Egitto attraverso un protettorato, era pronto a muovere guerra contro il decadente impero Ottomano, per gli inglesi controllare la Palestina ottomana era fondamentale nella gestione del canale di Suez, che assicurava loro i traffici da e verso l’India.
Il successore ideologico di Herz, Chaim Weizmann, fece leva proprio su questo bisogno, offrendo l’appoggi dei futuri coloni al controllo della Palestina, e impegnandosi con una nota scritta dall’allora segretario per gli affari esteri Arthur J. Balfour indirizzata a Lionel W. Rothschild (membro del movimento sionista) a mettere a disposizione dello stesso movimento sionista, in caso di vittoria, delle porzioni di Palestina nelle quali fondare una prima patria ebraica, un “focolare” nazionale ebraico.
Questa lettera è passata alla storia con il nome di DICHIARAZIONE BALFOUR, che non fu però l’unico accordo fatto dagli inglesi. Allo scopo di fomentare le rivolte arabe, destabilizzare dall’interno l’impero ottomano con la strategia del dividi et impera, gli inglesi tramite Henry McMahon presero contatti con lo sceriffo della Mecca Hussein Bin Ali Al Hashimi, in cambio dell’aiuto del suo popolo, Hussein chiese una cosa molto semplice, l’indipendenza dall’impero ottomano e la formazione di un grande stato arabo una volta vinta la guerra.
I britannici accettarono, peccato che due anni prima della fine del conflitto, gli inglesi avessero stipulato un patto segreto con i francesi per spartirci il medio-oriente.
ACCORDO SYKES-PICOT (1916) prevedeva di dissezionare quel che sarebbe rimasto dell’impero ottomano al termine della guerra, per farlo inglesi e francesi lavorarono di precisione, con un righello spartirono le zone: alla Francia andò il controllo di parte dell’Anatolia, Libano e della costa settentrionale siriana, al Regno Unito sarebbero andate le strategiche province di Basra e Baghdad in Mesopotamia, l’area intermedia sarebbe stata destinata a una confederazione di stati arabi, ma in realtà venne spartita in due: la Francia andò ad esercitare la sua influenza nella metà settentrionale comprendendo l’attuale Siria, mentre la Gran Bretagna avrebbe sovrinteso la porzione meridionale.
Alla Palestina, toccò in sorte il dominio congiunto anglofrancese.
Alla fine della guerra, l’impero ottomano collassò e le cose andarono come previsto per i Britannici. L’allora primo ministro inglese David Lloyd George si convinse che una colonia, o meglio un Commonwealth ebraico in Palestina protetto dalla Gran Bretagna avrebbe favorito gli interessi della corona, aiutandola a controllare il canale di Suez ma anche a tenere alla larga i francesi nella gestione dell’area. Per Lloyd George il sionismo non fu altro che un mezzo per le proprie ambizioni imperialistiche. La stessa organizzazione sionista ne era consapevole, fece di tutto per stuzzicare gli interessi di Lloyd George.
Ad inizio aprile del 1918 l’organizzazione sionista capeggiata da Chaim Weizmann arrivò in Palestina con il benestare degli inglesi e si mise subito in moto per accelerare il processo di costituzione di una patria ebraica. Dopo poco l’elite araba, vedendo che i britannici non avevano alcuna intenzione di rispettare i patti stipulati per una grande patria araba, cominciarono a opporsi e ad assaltare nuovi quartieri ebraici che nel breve tempo erano sorti in città come Gerusalemme e Giaffa. Gli arabi di Palestina avrebbero avuto come punto di riferimento nella loro lotta il Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini che era stato eletto magistrato della città proprio dagli inglesi nella speranza dei mantenere calme le acque. Con l’ottenimento del protettorato da parte della società delle nazioni, la corona britannica mise in pratica i contenuti della dichiarazione Balfour, favorendo così l’arrivo dei coloni dall’Europa.

Gli Yishuv, cioè gli ebrei giunti con le prime ondate migratorie di fine ottocento, crebbero in numero e molto più rapidamente degli arabi.
Nel 1918 c’erano circa 60.000 ebrei e quasi 700.000 arabi. Alla fine del 1922, gli ebrei ammontavano a 84.000 e 760.000 arabi. L’incremento era dovuto all’immigrazione.
Il passo successivo fu garantire ai nuovi coloni capitale con cui comprarsi terreni e fondi su cui costruire fabbriche e aziende agricole, i kibbutz. Per fare ciò l’organizzazione sionista creò il fondo nazionale ebraico allo scopo di raccogliere denaro e sostenere i costi di tutti coloro che desiderassero trasferirsi in Palestina. Per reclutare e assistere nuovi coloni a trasferirsi in Medio Oriente venne infine istituita l’Agenzia Ebraica che, nel periodo del mandato britannico, si assicurò il controllo delle nuove quote di immigrazione in tutta la Palestina, come anche la creazione dell’Haganah, l’organizzazione paramilitare preposta alla difesa dei territori dei coloni e che sarebbe diventata il nucleo base della forza di diversa israeliana. A favorire l’espansione, negli anni tra le due guerre, fu una conclausa di fattori come la crisi mondiale del ‘29, il fallimento dei raccolti e una serie di grandi carestie che causarono danni enormi all’agricoltura. Come conseguenza molte famiglie arabe, per sopravvivere alla crisi si videro costrette a vendere i propri terreni ai coloni ebrei che dalla loro disponevano dei sostegni economici del Fondo Nazionale.
Questi fattori contribuirono al declino demografico della popolazione palestinese che dall’82% (1931), passò al 70 (1939).
Davanti all’idea di diventare minoranza in Palestina, i nazionalisti arabi cominciarono a preoccuparsi.
1928 attacchi da parte degli arabi aizzati dal Mufti di Gerusalemme Husseini, prima al muro del pianto, poi in tutta la Palestina, causando più di 200 vittime in un giorno da parte ebrea.
L’inefficienza britannica nel difendere i coloni portò al rafforzamento dell’Haganah, che divenne un esercito a tutti gli effetti.
A questo si aggiunsero due gruppi paramilitari sionisti: Irgun e Banda Stern, responsabili di azioni terroristiche sia contro gli arabi che contro gli inglesi.

Radicalizzazione, era quello che stava succedendo dall’una e dall’altra parte.
Dal fronte arabo i primi segni di radicalizzazione avvennero nel 1935, quando lo sceicco Izz Al-Din al Qassam fondò l’organizzazione terroristica Mano Nera, con l’obiettivo di canalizzare in un’unica organizzazione la resistenza anti-ebraica. Egli invitò gli arabi a non vendere più le terre ai coloni, incitando apertamente alla guerra santa sia contro di loro che contro gli inglesi. La stessa cosa avvenne sul fronte ebraico, quando nel 1931 Haim Arlozoroff, direttore dell’agenzia ebraica, dichiarò pubblicamente che il Sionismo, per raggiungere i suoi scopi avrebbe dovuto far affidamento all’uso della forza.
Questa polarizzazione si manifestò nel 1926, quando i lavoratori palestinesi si unirono in uno sciopero generale per denunciare il rifiuto dei datori di lavoro di assumere personale arabo nelle aziende a conduzione ebraica. Lo sciopero generale durò circa sei mesi e divenne parte di una più ampia rivolta araba che sarebbe durata fino al 37 (Grande Rivolta Araba 1936-1937).
Al placarsi delle violenze la Gran Bretagna nominò una commissione speciale, la commissione Peel, per indagare le cause dei disordini.
Da parte israeliana si fece pressione per la spartizione della Palestina, la proposta chiaramente osteggiata dagli arabi, che oltre a considerare quel territorio loro di diritto e come sacro suolo mussulmano, temevano che un piccolo stato ebraico sarebbe stato un trampolino di lancio per una futura espansione.
Alla fine dell’indagine si indicò, per la prima volta, la spartizione della Palestina in due entità: uno STATO EBRAICO è uno STATO ARABO.
Gli ebrei ne avrebbero ricevuto meno di 1/quinto.
Risultò subito chiaro agli arabi, che in base alle condizioni del resoconto, le terre più fertili e meglio irrigate della Palestina sarebbero andate allo stato ebraico. La commissione Peel fece poi un’ulteriore raccomandazione: uno scambio di popolazione tra i due futuri stati. Gli arabi rifiutarono le condizioni, affermando che l’obiettivo della commissione no fosse tanto la pace, quanto la pacificazione degli arabi di Palestina.
La lotta armata, non a caso, riprese poche settimane dopo. La ribellione araba, che durò fino al 1939, nonostante la sconfitta palestinese, convinse gli inglesi (guidati dal primo ministro Chamberlain), a fare un’altra proposta, attraverso il Libro Bianco del 1939. Al posto di dividere la Palestina il paese sarebbe rimasto unificato, con un rappresentanza proporzionale di ebrei e palestinesi in un governo supervisionato dagli inglesi.
Il libro bianco fu accolto negativamente dalla popolazione ebraica, in quanto poneva severe limitazioni all’acquisto dei terreni da parte degli ebrei, e stabiliva anche un limite di 75000 annue all’immigrazione.
Limitare l’immigrazione non fu una scelta saggia, considerando che nel marzo del ‘39 la Germania Nazionalsocialista oltre ad intensificare le repressioni, aveva da poco annesso la parte occidentale della Cecoslovacchia. Il brutto vento che tirava in Europa, servì solo a irrigidire i sionisti.
A questo punto i palestinesi fecero un grosso errore: nonostante la rivolta fallita e nonostante le concessioni ricevute, il supremo comitato arabo di Hussein rifiuto le condizioni di un paese unificato.
Per molti palestinesi, supportare le forze dell’Asse sembro così un fatto naturale, soprattuto perchè la propaganda italiana e tedesca aveva promesso agli arabi l’indipendenza una volta sconfitta la Gran Bretagna.
Lo stesso Husseini si era apertamente schierato a favore della presa di potere del nazionalsocialismo, ma le controversie non mancarono neppure con l’agenzia ebraica che avrebbe mantenuto buoni rapporti con Berlino malgrado l’emanazione delle leggi di Norimberga.
L’agenzia ebraica che gestiva l’esclusiva sul rilascio dei certificati di emigrazione, fu accusata di contrastare il fenomeno dell’immigrazione illegale che si era acutizzato dal ‘34 in poi in tutta Europa. L’agenzia avrebbe invece favorito un’immigrazione selettiva, che privilegiasse l’arrivo di individui socialmente utili al progetto sionista, come forza lavoro giovane o benestante, di fatto impedendo flussi molto più corposi che probabilmente avrebbero salvato la vita di molte altre persone. Al termine della guerra, i crimini del nazionalsocialismo incluso l’olocausto, portarono con sé un senso di colpa collettiva verso il popolo ebraico, e questo contribuì ad accelerare l’indipendenza israeliana.
Il clima di tensione, la spinosa questione ne dei migranti e gli attentati da parte sia araba che israeliana, assieme al fatto di aver attraversato una guerra lunga e sanguinosa, indusse infine i britannici ad abbandonare la partita palestinese, per loro una partita ormai persa, rinunciando definitivamente al “mandato” nel maggio 1947. E passando la patata bollente alla neonata organizzazione delle nazioni unite (ONU). Questo portò alla risoluzione 181, nella quale si separava il paese in due stati: ISRAELE, al quale sarebbe andato il 55% del territorio e la PALESTIANA, con il 44%. L’1%, il CORRIDOIO GERUSALEMME-BETLEMME, sarebbe rimasta zona internazionale. A questa notizia, i sionisti si rallegrarono, mentre gli arabi uscirono dalla sala dichiarando la risoluzione non valida. Non riuscivano a capire perchè al 37% della popolazione fosse stato dato il 55% della tera (di cui tra l’altro possedevano solo il 7%).
I delegati arabi affermarono che qualsiasi sforzo per attuare la risoluzione, avrebbe portato alla guerra. Ben Gurion, il nuovo primo ministro israeliano lo sapeva molto bene.
La risoluzione 181 provocò lo slancio finale dei sionisti per prendere più terra e espellere il maggior numero possibile di palestinesi. Quello slancio coincise con la distruzione dei villaggi palestinesi e con le espulsioni di massa.
Era l’inizio silenzioso della Nakba, la catastrofe.
Quando gli inglesi si ritirarono dalla Palestina e Israele si dichiarò indipendente il 14 maggio 1948, la Nakba contava oltre 370.000 rifugiati e sfollati palestinesi. Di fronte a quegli eventi, la neonata lega Araba inviò sottobanco fondi, armi e volontari ai palestinesi.
La lega istituì un esercito di liberazione per assaltare gli insediamenti israeliani come anche le nuove colonie che si andavano formando. Il giorno successivo alla dichiarazione di indipendenza, gli eserciti di cinque nazioni (Libano, Egitto, Giordania, Siria e Iraq) invasero Israele.
I singoli paesi arabi inviarono piccoli contingenti senza mai unirli sotto un unico comando. Gli eserciti piu capaci, quello giordano e quello iraqueno, si limitarono all’epoca a occupare la Cisgiordania che la Transgiordania ambiva controllare a danno delle aspirazioni nazionali dei palestinesi. L’invasione fu un fiasco per gli arabi che furono sbaragliati dal piccolo esercito israeliano. I veri sconfitti pero furono i palestinesi, di loro oltre 750.000 furono espulsi dalle terre diventate parte dello stato ebraico e vennero reinsediati in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. In meno di un anno il potenziale stato palestinese, non esisteva più sulla carta. Una parte era sotto controllo israeliano, West Bank era in mano ai giordani e Gaza sotto l’amministraizone egiziana.
Quanto a Gerusalemme, la famosa linea verde avrebbe fatto da separazione tra la parte ovest della città in mano agli israeliani, e la parte est in mano ai giordani fino al ‘67. Al termine della guerra, la superficie di Israele aumento dal 55 al 78% dell’intero territorio, riducendone la quantità in mano ai palestinesi, al 22%.
Ad oggi quel 22% si è ridotto a circa l’11%, in una serie di isole sparse separate le une dalle altre.

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L’Egitto di Nasser e la crisi di Suez

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La disastrosa sconfitta subita nella guerra contro Israele (Nakba: esodo della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del ‘47-‘48 al termine del mandato Britannico e durante la guerra arabo-israeliana del 1948, dopo la fondazione dello stato di Israele. Piu di 700000 arabi palestinesi abbandonarono o furono espulsi dalle città e in seguito non gli fu permesso di ritornare nelle proprie terre) contribuì a radicalizzare le correnti nazionaliste e far crescere il risentimento nel mondo arabo verso l’occidente.
Si distinguevano due movimenti: tradizionalismo e nazionalismo laico.
Questa seconda tendenza trovava il suo centro e la sua guida nell’Egitto.
L’Egitto era formalmente indipendente dal 1922 ma era retto da un regime monarchico strettamente legato alla Gran Bretagna che insieme alla Francia avevano il controllo del canale di Suez.
Nel 1952 un colpo di stato rovesciò la monarchia e nel 1954 Nasser si impose come unico leader del paese instaurando una dittatura personale.
Mise in atto tutta una serie di di riforme facendo anche sgombrare le truppe britanniche dal canale stipulando accordi con l’URSS per aiuti economici e militari.

La crisi di Suez
In risposta al blocco dei finanziamento da parte della banca mondiale della grande diga di Assuan sull’alto del Nilo da parte degl Stati Uniti, Nasser decise di nazionalizzare il canale di Suez creando una crisi internazionale di vasta portata.

Nel 1956, in accordo con Londra e Parigi, Israele attaccò l’Egitto sconfiggendolo penetrando in profondità nella penisola del Sinai. Ma l’operazione fallì in quanto non ottennero l’appoggio ne da parte degli Stati Uniti, ne da parte dell’URSS e ne da parte dell’ONU.
I franco-britannici dovettero quindi ritirarsi dal Sinai e abbandonare la zona del canale

Questa crisi sancì la fine dell’era coloniale e la perdita di peso delle potenze che erano state protagoniste (Gran Bretagna e Francia). Inoltre la posizione dell’Egitto si rafforzo e anche la posizione di Nasser che tentò di rilanciare il panarabismo, ossia unione tra tutti i popoli arabi. Nel 1958 Nasser annunciò la fusione tra Egitto e Siria in un unica repubblica unita (RAU), ma le differenze ideologiche e e le gelosie nazionali fecero fallire il progetto entro pochi anni.

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Le guerre arabo-israeliane

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Dopo la crisi di Suez del 1956, il medio oriente rappresentava un luogo di pericolose tensioni:
- continuava l’ostilità tra Israele e i paesi arabi
- a livello internazionale rappresentava lo scontro tra Unione sovietica che sosteneva l’Egitto e gli Stati Uniti che sostenevano Israele.

La guerra dei sei giorni
Nel 1967 Nasser chiuse il golfo di Aqaba e questo porto gli israeliani ad attaccare contro Egitto, Giordania e Siria.
Fin da subito però venne distrutta l’intera aviazione egiziana e a conti fatti ci furono 30000 morti tra gli arabi, mentre poche centinaia tra gli israeliani.
L’Egitto perse la penisola del Sinai e anche Giordania e Siria persero parti di territorio

Questa disfatta dei sei giorni portò al declino di Nasser.

Arafat era il leader dell’organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) e nel 1969 pose le basi in Giordania creando uno stato nello stato.
Nel 1970, durante il settembre “nero” le truppe giordane si scontrarono con i militanti palestinesi che furono costretti a riparare nel vicino Libano.
È da quel momento che l’OLP avrebbe esteso sul piano internazionale la lotta terroristica con diversi attentati (1972 attentato contro atleti israeliani alle olimpiadi)

La guerra del Kippur
Nel 1970 Nasser morì e il suo successore fu Sadat.
Deciso a recuperare il Sinai si preparò a confrontarsi con Israele ad ottobre 1973, giorno della festa ebraica YOM KIPPUR. Ci fu un attacco ma israele riuscì a respingerli e penetrare in territorio egiziano. Gli Stati Uniti intervennero come mediatori e la guerra si chiuse senza vincitori ne vinti.
La chiusura del canale di Suez per due anni porto gravi crisi a livello globale con l’aumento del prezzo del petrolio porto conseguenze in tutto il mondo.

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Concilio ecumenico - Il concilio vaticano II

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Fu l’atto più importante del pontificato di Giovanni XXIII, si tratta di un’assemblea dei vescovi di tutto il mondo) e fu convocato a quasi cento anni di distanza dal precedente (il vaticano I del 1870), che aveva segnato il momento di più rigida chiusura e isolamento della chiesa di Roma.
Il concilio fu aperto nell’ottobre del 1962 e si prolungò per oltre tre anni (fino a dicembre ‘65). Inizio con Giovanni XXIII e si concluse con Paolo VI (Nel 63 però Papa Giovanni muore e gli succede Giovanni VI)

Questo concilio avvenne in quattro sessioni tra il 62-65.

Questo concilio promosse un rinnovamento della chiesa, sia nel campo liturgico dove viene permessa la celebrazione della messa nelle varie lingue correnti ( e non nella lingua latina, per consentire una maggior partecipazione dei fedeli) sia nell’organizzazione interna (viene sottolineata la presenza fondamentale dei vescovi nel sostegno al papa).
La chiesa si interpreta infine come popolo di dio (anziché considerarsi un’istituzione clericale e gerarchica di ordine divino) come tutti gli uomini e le donne.

Furono cambiamenti importanti in quanto cambiavano l’immagine della Chiesa. È inoltre diedero vita alla nascita di nuovi movimenti impegnati a coniugare il messaggio cattolico con un più accentuato impegno nelle lotte sociali. Infatti si formarono i “cattolici del dissenso” e si originò addirittura una nuova teologia “la teologia della liberazione” che reinterpretava il messaggio cristiano e le stesse scritture in una concezione marxista (teologia ufficialmente condannata dalla chiesa).

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La civiltà dei consumi

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Tra il 1950 e il 1970 gli abitanti della terra aumentarono del 50%, mentre la vita media dell’uomo salì da 65 a oltre settant’anni nelle zone più sviluppate e da 40 50 nei paesi più poveri: progressi della medicina, nuovi farmaci e vaccinazioni, maggior quantità di cibo e miglior qualità dell’alimentazione furono le principali cause di questo incremento. Si accentuò la forbice tra le tendenze dei paesi industrializzati e quelle dei paesi in via di sviluppo. Negli stati del terzo mondo il regime demografico tipico della società arretrate fu modificato solo per quanto riguarda la mortalità (soprattutto infantile), mentre i ritardi nel processo di modernizzazione continuarono impedire che si affermasse l’abitudine al controllo delle nascite.
I paesi industrializzati, invece, conobbero una fase di slancio demografico solo nel decennio successivo la guerra: il periodo del cosiddetto Baby Boom. Dopo la metà degli anni 50 riprese sopravvento la tendenza al calo della natalità, favorito dalle pratiche contraccettivi e da una più consapevole pianificazione familiare.

Negli anni 1950 e 1960 l’economia capitalistica attraversa un periodo di sviluppo senza precedenti: i progressi riguardarono soprattutto l’industria e il settore terziario. a favorire questa straordinaria espansione furono gli esplosione demografica, il costo basso delle materie prime, le scoperte scientifiche, le innovazioni tecnologiche, la razionalizzazione produttiva e sostegno pubblico alla crescita.

La conseguenza più vistosa dell’espansione economica post bellica nei paesi industrializzati cui rapido miglioramento del livello di vita della popolazione. Scese la percentuale di spesa per i prodotti alimentari, aumento della quota destinata all’abbigliamento, alla casa e soprattutto ai beni e servizi considerati non essenziali. Questo boom dei consumi “superficie” fu favorito dall’aumento dei redditi, dal calo dei prezzi di molti beni prodotti in serie, dall’ampliamento della rete commerciale e dalla moltiplicazione dei messaggi pubblicitari. Di conseguenza, i modelli di consumo nelle aree industrializzate subirono un processo di omologazione. Un impatto rilevante nel far crescere i consumi ebbe anche la formazione delle politiche di Welfare a sostegno del reddito in tutti i paesi industrializzati.

Nel secondo dopo guerra il nesso tra ricerca scientifica e produzione, che si è restaurato a partire dalla seconda rivoluzione industriale, divenne strettissimo. Il mondo sviluppato fu sommerso dall’ondata di nuovi materiali e di prodotti di ogni genere in gran parte sconosciuti alla generazione precedente: le maggiori novità furono legati alla diffusione delle materie plastiche, delle fibre sintetiche e dei nuovi farmaci (antibiotici, sulfamidici, insulina e cortisone, psicofarmaci, anticoncezionali). Straordinari miglioramenti si ebbero anche nella chirurgia.

Negli anni 1950 e 1960 si sviluppò tra le due maggiori potenze mondiali la competizione per la conquista dello spazio. Nel 1957 i sovietici misero in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik. Nel 1969 di astronauti americani Armstrong e Aldrin misero piede sul suolo lunare. Negli anni successivi gli sforzi si concentrarono su operazioni meno spettacolari, ma non meno interessanti dal puntodi vista scientifico. Le imprese spaziali provocarono una fortissima ricaduta di tecnologia che interessò tutti i settori produttivi, compreso quello militare. Il perfezionamento delle tecniche di lancio e di guida a distanza dei missili potenziò i sistemi d’arma delle superpotenze, chi affidarlo agli arsenali missilistici nucleari la loro capacità deterrente.

Un settore in cui gli effetti del progresso tecnologico si fecero subito sentire fu quello dei trasporti. Due furono le principali novità: il boom della motorizzazione privata e lo sviluppo dell’aviazione civile. Gli anni del 1950 e 1960 videro anche un rapido aumento della circolazione dell’informazione dei messaggi, di cui furono protagonisti i mass media: giornali, radio, cinema, e infine televisione, la vera protagonista della storia delle comunicazioni di massa della seconda metà del 900. Le trasmissioni regolari per il grande pubblico cominciarono negli Stati Uniti subito dopo la seconda guerra mondiale. Nel corso degli anni 50 la televisione si impose anche in Europa occidentale e, nei decenni successivi, si diffuse nelle aree meno industrializzate. L’avvento della televisione trasformò il mondo dell’informazione, portò allo spettacolo dentro le case e creò anche una nuova cultura di massa. Un’altra fabbrica inesauribile di miti ed idoli popolari fu costruita, a partire dalla fine degli anni 50, dalla musica “leggera”.

Sviluppi della civiltà dei consumi da un lato favorirono l’affermazione delle scienze umane (sociologia, scienze politiche, psicologia, psicanalisi), dall’altro furono la causa di un rifiuto ideologico nei confronti di una società accusata di sostituire allo sfruttamento economico di tipo tradizionale una forma più subdola di dominio. La contestazione nei confronti della società del benessere trovo la più larga ecco tra i giovani. Questa opposizione si espresse da prima in un rifiuto delle convenzioni e nella creazione di una cultura alternativa, in seguito assunse forme più politicizzate e trovo i suoi centri propulsori nelle università. La protesta studentesca ebbe inizio negli Stati Uniti, dove si intrecciò con il movimento contro la segregazione razziale, è più tardi si estese i maggiori paesi dell’Europa occidentale. In Francia ci fu l’episodio più clamoroso: nel maggio del 1968 il quartiere latino di Parigi fu teatro di una guerriglia tra studenti e forze di polizia. Le lotte del 68 lasciarono un segno profondo nella società occidentale: rinunciarono il mito di una trasformazione rivoluzionaria della società, crearono nuove forme di mobilitazione e riproposero le pratiche della democrazia diretta, influenzando anche i comportamenti individuali.

Tra la seconda metà degli anni 60 e inizio degli anni 70 si assiste a un rilancio della questione femminile. L’impegno del movimento femminista si rivolgeva innanzitutto alla rivendicazione di un trattamento egualitario per il lavoro femminile, ma metteva anche in discussione l’immagine convenzionale della donna e i ruoli interni alla struttura familiare. Questa nuova ondata femminista, che ebbe origine negli Stati Uniti, segna una svolta netta rispetto alla fase precedente sia per la radicalità degli obiettivi sia per la novità dei metodi di lotta. Nel corso degli anni 70 il movimento delle donne allargò il suo seguito in tutti i paesi occidentali ma conobbe anche alcune fratture interne: da una parte c’era la ricerca della parità con l’uomo, dall’altra la rivendicazione della specificità femminile.

La società consumistica trova un critico se è vero nella chiesa di Roma, che guardo con preoccupazione al declino delle pratiche religiose e reagì avviando un tentativo di rinnovamento interno. Il nuovo corso ebbe inizio con Giovanni XXIII, che cercò di rilanciare il ruolo ecumenico della chiesa è di instaurare un dialogo con la realtà esterne al mondo cattolico. L’atto più importante del suo pontificato fu la convocazione del concilio Vaticano secondo, che si svolse tra il 1962 e il 1965 sotto il pontificato di Paolo VI. I nuovi fermenti introdotti nella chiesa dal concilio provocarono la nascita di nuovi movimenti impegnati a coniugare il messaggio cattolico con un più accentuato impegno nelle lotte sociali (“cattolici del dissenso“ e “teologia della liberazione“)

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La caduta del comunismo in europa

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Nell’ultimo decennio del 900 l’equilibrio internazionale basato sul bipolarismo USA-Urss si ruppe definitivamente, a causa del cedimento repentino di uno dei pilastri su cui si fondava. Già negli anni ‘70 l’immagine dell’unione sovietica e in generale del sistema comunista come alternativa globale al capitalismo subì un inesorabile declino. Eppure in Occidente pochi immaginavano che il destino potesse in tempi brevi trasformarsi in crisi irreversibile. La crisi si verificò in primo luogo a causa della sconfitta dell’Urss nella competizione con l’Occidente sul terreno dello sviluppo, del benessere economico e della giustizia sociale. Il fattore che più di ogni altro rese la crisi irreversibile fu l’impossibilità di riformare un sistema che si era fino ad allora tenuto in piedi grazie al suo carattere chiuso e soprattutto il potere deterrente dell’apparato repressivo e della forza militare. Nel momento in cui Gorbaciov iniziò a introdurre dosi controllate di pluralismo e rinunciando all’uso della forza nei confronti dei paesi satelliti, l’intera costruzione crollò. Crollarono anche gli equilibri internazionali nati nella seconda guerra mondiale.

La Polonia aveva già anticipato questi mutamenti all’inizio degli anni ‘80 con la nascita del sindacato indipendente Solidarnosc.
Dopo l’avvento di Gorbačëv, si mise in moto un processo che portò nel 1989 alle prime elezioni libere in un regime di democrazia popolare. Dalla Polonia si innescò una reazione a catena che avrebbe messo in crisi, i pochi mesi, tutte le democrazie popolari, a partire dall’Ungheria dove, sempre nel 1989, i nuovi dirigenti comunisti legalizzare i partiti e rimossero i controlli polizieschi a confine con l’Africa. Si apriva la prima breccia nella cortina di ferro.

Non solo gli ungheresi approfittarono dell’opportunità offerta dall’apertura dei loro confini. A partire dall’estate del 1989 decine di migliaia di cittadini della Germania comunista abbandonarono no il loro paese per raggiungere la Repubblica federale attraverso l’Ungheria. Si mise in moto un processo incontrollabile e nella sera del 1989, dopo che è un portavoce del governo tedesco-orientale aveva annunciato il ripristino della libera circolazione tra le due metà di Berlino, divise da un muro di separazione, un numero crescente di berlinesi si riversò nei varchi aperti, li oltrepassò e infine, in un’atmosfera di festa è di riconciliazione, cominciò a smantellare il muro. Il crollo del muro rappresentò simbolicamente la fine della guerra fredda e della divisione in due dell’Europa ed ebbe come immediata conseguenza il rilancio della questione dell’unità tedesca, fino ad allora impossibile da affrontare per l’opposizione dell’Urss.

L’abbattimento della cortina di ferro provocò la caduta quasi in contemporanea di tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale.
Passata l’euforia per la libertà di conquistata, i paesi ex satelliti dell’Urss dovettero affrontare i problemi legati alla riconversione dell’apparato produttivo in funzione del mercato, con la chiusura di molte imprese di Stato e la conseguente crescita della disoccupazione. Con la caduta dei vecchi regimi vennero inoltre a mancare quelle certezze che per decenni, avevano garantito stabilità e sicurezza sociale, pur nel quadro di economie arretrate e stagnanti.

Nel 1990 salì al potere Eltsin. La crisi dell’Urss si acutizzò tra il 1990 e il 1991 in concomitanza con l’aggravarsi della situazione economica.
Nel 1991 avvenne il colpo di Stato a Gorbaciov, che venne sequestrato nella sua casa di vacanza in Crimea. Ma il colpo di Stato fallì clamorosamente. Il fallimento del golpe da una parte spazzo via quanto restava del potere comunista dall’altro accelerò ulteriormente la crisi dell’autorità centrale, aggravata dal mancato decollo della riforma economica e della difficile circolazione delle merci all’interno di un’unione in cui frattanto si facevano sempre più forti le istanze separatiste.

L’Urss infatti era un impero plurinazionale. Iniziarono a emergere i movimenti indipendentisti, le prime a muoversi erano state le repubbliche baltiche (Lettonia, Estonia, Lituania) inglobate nell’Urss nel 1939 in seguito del patto Molotov-ribentropp. Movimenti analoghi si svilupparono anche nelle repubbliche caucasiche come Armenia Georgia e Azerbaigian e in quelle musulmane dell’Asia centrale come Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan.
Tra il 1990 e il 1991 tutte queste repubbliche più la Moldavia proclamarono unilateralmente la loro indipendenza.lo stesso fecero Ucraina e Bielorussia pur legate alla Russia da antichi vincoli storico culturali oltre che da stretti rapporti di interdipendenza economica.
Gorbaciov tentò di bloccare questo processo ma la sua iniziativa fu però scavalcata dai presidenti delle tre repubbliche slave (Russia, Ucraina e Bielorussia). Nel 1991 i rappresentanti di 11 repubbliche diedero vita a una comunità degli Stati indipendenti e sancirono la scomparsa dell’unione sovietica.

La fine del sistema di potere sovietico non portò soltanto libertà e democrazia. Quasi ovunque nei primi anni 90, si fecero sentire le difficoltà provocate dal passaggio all’economia di mercato (disoccupazione, fenomeni speculativi e crescita dei prezzi) e si accentuò l’instabilità dovuta la frammentazione politica. Contemporaneamente emersero vecchi e nuovi nazionalismi rimasti allungo soffocati e ora pronti a scontrarsi tra loro.
Drammatico e cruento fu il processo di disgregazione della Jugoslavia, dove la crisi del regime a partito unico fece saltare gli equilibri fra le nazionalità su cui il paese si reggeva dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1991, prima la Slovenia e poi la Croazia proclamarono la propria indipendenza. Lo stesso fece la Repubblica di macedonia, che occupava la parte meridionale e più arretrata della Jugoslavia. Il governo federale Jugoslavo, controllato dalla componente serba accettò l’indipendenza ma reagì duramente mobilitando forze armate e milizie irregolari. La contrapposizione tra Serbia e Croazia alimentarono una guerra che non risparmiò le popolazioni civili.
Nel 1992 ci fu la guerra in Bosnia che anch’essa si era dichiarata indipendente dalle repubbliche jugoslave. La Bosnia era una popolazione mista composta da musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi. La successione voluta dai musulmani provocò la reazione della componente serba attivamente appoggiata dal regime di Milosevic. Una guerra nella guerra costellata da massacri deportazioni e altri errori. Il più terribile fu l’episodio di Srebenica in Bosnia dove circa 8000 civili musulmani furono sterminati dalle milizie serbe nell’inerzia dei reparti dell’ONU inviati lì per imporre una tregua.lla stessa capitale bosniaca Sarajevo fu sottoposta dai serbi a un durissimo assedio. Per porre fine al conflitto fu necessario l’intervento degli Stati Uniti che agirono in quanto membro dell’alleanza atlantica. Fra maggio e settembre del ‘95 la Nato attuò una serie di attacchi aerei contro le posizioni dei serbi di Bosnia.
A novembre fu siglato il accordo di pace a Dayton: prevedeva il mantenimento di uno Stato bosniaco diviso però in una Repubblica serba e in una federazione croato musulmana. Anche la guerra con la Croazia si chiudeva con la sconfitta della Serbia: nel ‘95 l’esercito croato lanciò un’offensiva nelle zone contese ed espulse con la forza circa 200.000 serbi che vi abitavano.

Nel ‘98 un altro focolaio di tensione si sviluppò nel Kosovo, una regione autonoma all’interno della Serbia abitata da albanesi dove si era sviluppato un movimento di guerriglia indipendentista. Ancora una volta la repressione serba provocò l’intervento militare dei paesi della Nato tra cui l’Italia. Per oltre due mesi tra marzo e giugno del 99, il territorio della Serbia fu sistematicamente bombardato. Nonostante questo intervento fu criticato dalla Russia e suscitò discussioni nell’opinione pubblica dei paesi occidentali, lo scopo fu raggiunto e Milosevic ritirò le sue truppe dal Kosovo.
Successivamente Milosevic venne arrestato e processato per crimini contro l’umanità.sarebbe morto in carcere nel 2006 prima della conclusione del processo.in quello stesso anno lo Stato serbo vedete un’altra dichiarazione da parte della Repubblica del Montenegro che si proclamava indipendente. 2008 anche il Kosovo divenne riconosciuto indipendente dai principali Stati occidentali.

La federazione russa, sotto la guida di Eltsin, cerco di ereditare il ruolo internazionale dell’Urss, ma si trovò in condizioni di serio dissesto economico e di cronica instabilità politica, aggravata dal conflitto con i separatisti della Cecenia. La crisi giunse al suo culmine nell’estate del 1998, travolgendo il rublo, che fu svalutato del 60% rispetto alle altre valute, e costringendo il governo a una dichiarazione di insolvenza sul debito della Russia con l’estero.

La scesa di Putin
Nell’agosto del 1999 Eltsin scelse come Primo Ministro uno sconosciuto, un certo Vladimir Putin e lo indicò come suo successore alla presidenza della Repubblica. Grazie ad alcune sue doti riuscì a guadagnare una notevole popolarità. Nel 2000 Putin divenne presidente e la sua presidenza si sarebbe caratterizzata per il tentativo di restituire efficienza la macchina dello Stato e di ridare slancio all’economia che comincia a manifestare segni evidenti di stabilizzazione finanziaria e di ripresa produttiva, grazie anche all’aumento dei prezzi delle materie prime di cui la Russia era esportatrice (soprattutto gas e petrolio).
La presidenza di Putin era però caratterizzata da un crescente autoritarismo nei confronti di oppositori e dissidenti e dalla dura repressione della guerriglia indipendentista dei ceceni.
Si assisteva a una ripresa di iniziativa della diplomazia russa in due direzioni diverse e spesso contraddittorie. Da una parte il tentativo di presentarsi all’Occidente come interlocutore affidabile oltreché prezioso fornitore di gas e petrolio, ma anche come alleato nella lotta contro l’integralismo islamico. Dall’altra parte c’era l’ambizione di raccogliere l’eredità dell’Urss in quanto unica potenza capace di controbilanciare e limitare l’egemonia degli Stati Uniti. Da qui una serie di contrasti con l’Occidente su temi più diversi.
A preoccupare i dirigenti Russi era soprattutto l’ingresso nella Nato degli ex satelliti dell’Urss: nel 1997 Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca; nel 2004 Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia cui si aggiunsero le tre repubbliche baltiche che fino al 1990-91 avevano fatto parte dell’Urss. L’alleanza atlantica si estendeva così fino ai confini della Russia, vanificando l’obiettivo strategico conseguito da Stalin e dai suoi successori dopo la vittoria della seconda guerra mondiale, con la costruzione di una rete difensiva esterna capace di impedire qualsiasi attacco da uccidente.

La scomparsa dell’unione sovietica e le difficoltà della Russia post comunista proiettarono gli Stati Uniti nel ruolo di un’unica superpotenza mondiale. Un ruolo non previsto e forse non desiderato, che cresceva la responsabilta internazionali degli USA.
La presidenza Bush si indebolì a causa di diversi fattori e nel novembre del 1992 vinse le elezioni Bill Clinton. Il nuovo presidente cercò di imprimere alla politica estera americana un segno progressista e di rilanciare l’immagine degli Stati Uniti non solo come garanti degli equilibri mondiali, ma anche come difensori della democrazia in ogni parte del pianeta.
Il nuovo presidente vuole rilanciare gli USA come garanti della democrazia del mondo: di qui il ruolo statunitense nell’accordo Israelo-palestinese del 1993 e la pacificazione imposta in Bosnia. Grazie soprattutto alla favorevole congiuntura economica, Clinton fu rieletto nel 1996. Le presidenziali del 2000 furono vinte di strettissima misura da repubblicano Bush, fautore di una linea tendenzialmente conservatrice in politica interna e neoisolazionista in politica estera

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Il nodo del medio oriente

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Dopo la fine della guerra fredda i principali focolai di tensione del sistema internazionale si manifestarono in Medioriente, ovvero in cui la vasta area abitata da popolazioni di religione musulmana che andava dal nord Africa al Golfo Persico. I principali fattori di tensione nel mondo arabo-islamico furono dettati, negli ultimi decenni del 900, dalla competizione per il petrolio, dalla ripresa del conflitto arabo-israeliana per la Palestina, e dalla rinascita, in forme nuove e aggressive, del fondamentalismo islamico, quale elemento fondante dell’identità collettiva.
[ si definisce fondamentalismo l’atteggiamento di chi si batte per un ritorno ai fondamenti della religione : dunque per un’interpretazione letterale dei testi sacri posti alla base della propria confessione e per un’applicazione integrale dei precetti in essi contenuti, che dovrebbero informare di sé anche le leggi dello Stato, e dunque la politica, la cultura, la vita sociale e l’economia. I movimenti fondamentalisti si considerano i legittimi detentori delle verità religiose originarie, in cui nate dai processi di modernizzazione, e si inseriscono nelle fasi di crisi offrendo una soluzione semplice e immediata: il ritorno appunto alle antiche tradizioni e alle certezze del credo religioso. Pertanto costituiscono organizzazioni e comunità chiuse, in cui non credenti e dissidenti sono considerati nemici da combattere.]

Dopo la guerra del Kippur, il presidente egiziano Sadat si impegnò a trovare una soluzione pacifica il conflitto con Israele, grazie anche la mediazione degli Stati Uniti. Nel settembre 1978, Begin (alla guida del governo israeliano) e Sadat si incontrarono a Camp David e sottoscrissero un accordo che prevedeva un trattato di pace tra i due paesi (che sarebbe stato sottoscritto l’anno successivo): l’Egitto ottenne la restituzione della penisola del Sinai, me la maggioranza degli Stati arabi condannò la scelta di Sadat, che nell’ottobre del 1981 fu ucciso al Cairo in un attentato organizzato da un gruppo fondamentalista islamico.

La rivoluzione iraniana
Alla fine del XX secolo quando la crisi dei regimi comunisti sembrava aprire nuove prospettive di pace e offrire nuove possibilità di espansione alle istituzioni liberali e all’economia di mercato, le democrazie occidentali ma anche i regimi post comunisti, si trovarono a fronteggiare una nuova sfida globale: quella dell’Islam radicale e fondamentalista. Il rilancio del fondamentalismo prese le mosse da due eventi verificatisi entrambi nel 1979: l’intervento sovietico in Afghanistan che provocò per reazione una mobilitazione internazionale di combattenti islamici, appoggiato dagli Stati Uniti ma destinata a rivolgersi contro l’Occidente; e la rivoluzione scoppiata in Iran, che dopo aver deposto lo scià, portò al potere l’ala più intransigente del clero musulmano di osservanza sciita.

Governato con metodi autoritari dallo Scià (imperatore) Reza Pahlavi, l’Iran era stato fino ad allora un pilastro fondamentale della presenza occidentale in Medioriente e un importante fornitore di petrolio. A partire dagli anni 60 lo scià aveva avviato una politica di modernizzazione accelerata che mirava a trasformare il paese in una grande potenza militare, senza però riuscire ad assicurare significativi progressi nella condizione di vita delle masse. Questa politica suscitò una crescente opposizione sia da parte dei gruppi di sinistra sia da parte del clero islamico tradizionalista, che nel 1978 assunse la guida di un vasto movimento di protesta popolare.
Lo scià non riuscì a fermare la rivolta nonostante le sanguinose repressioni. Nel 1979 dovette lasciare il paese.
Si instaurò allora una Repubblica di stampo teocratico e fondamentalista guidata dall’ ayatollah Khomeini massima autorità spirituale dei musulmani sciiti. Questa Repubblica si ispirava a un vago riformismo sociale basato sui dettami del Corano e guidata di fatto dal clero sciita, anche dopo la morte della guida suprema nel 1989.
Rigidamente tradizionalista e oscurantista in materia di costumi e di controllo sulla vita privata, e violentemente antioccidentale, il nuovo regime entrò subito in contrasto con gli Stati Uniti, accusati di aver sostenuto lo scià e di avergli offerto ospitalità dopo la fuga. Nel Golfo Persico si affermava così un regime ostile agli Stati Uniti. Per più di un anno il nuovo regime venne sequestrato il personale dell’ambasciata americana a Teheran. Nel 1980, l’Iran in grave dissesto economico, fu attaccato dall’Iraq che, con l’appoggio degli USA, cercò di impadronirsi di alcuni territori da tempo contesi tra i due paesi: la guerra durò otto anni e si risolse in un inutile carneficina.

La guerra del Golfo
Nell’agosto del 1990 Saddam Hussein, il dittatore dell’Iraq, già protagonista della guerra di aggressione contro l’Iran, invase il piccolo è confinante emirato del Kuwait, affacciato sul Golfo Persico, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio, tradizionalmente filo-occidentale, e nei proclamò l’annessione alla Repubblica irachena.
L’invasione del Kuwait fu subito condannata dalle Nazioni Unite che decretarono l’embargo nei confronti dell’aggressore. Contemporaneamente gli Stati Uniti inviarono in Arabia Saudita un corpo di spedizione di oltre 400.000 uomini per difendere gli Stati arabi minacciati e costringere Saddam Hussein al ritiro. Alla spedizione si unirono altri Stati europei come Gran Bretagna, Francia, Italia è una parte di paesi arabi tra cui Egitto, Arabia Saudita e Siria, mentre l’Iran manteneva una prudente neutralità.
La campagna fu rapida e vittoriosa, ma il regime di Saddam rimase in piedi e prima di abbandonare il Kuwait incendiarono gli impianti petroliferi, con conseguenze gravissime sull’economia e sugli equilibri ecologici della regione.
Dopo la liberazione del Kuwait il presidente Bush decise di arrestare l’offensiva. In seguito alla vittoria degli Stati Uniti e contando su questo prestigio cercarono di approfittare della situazione favorevole creatasi in seguito alla sconfitta irachena per rilanciare il processo di pace in tutta l’aria mediorientale.

La questione palestinese
Dopo l’attentato a Sadat, il processo di pace tra Israele e palestinesi subì un rallentamento, anche a causa dello scoppio della guerra civile in Libano.
Israele occupava i territori della Cisgiordania e striscia di Gaza e alla fine del 1987, i palestinesi dei territori occupati diedero vita a una lunga e diffusa rivolta, detta intifada che in arabo significa risveglio, contro gli occupanti, che reagirono con una dura repressione.
La guerra civile in Libano 1987
I riflessi del irrisolto nodo palestinese si erano intanto fatti sentire pesantemente anche in Libano, un piccolo Stato pluri etnico rimasto fino ad allora ai margini del conflitto arabo-israeliano, dove l’olp aveva trasferito le sue basi. Dal 1975 il Libano entrava in uno stato di cronica e sanguinosa guerra civile, in cui tutte le fazioni si fronteggiavano con le loro milizie armate e si combattevano a colpi di attentati e di massacri ai danni soprattutto della popolazione civile. La situazione si aggravò ulteriormente dopo che l’esercito israeliano, nell’estate del 1982, in base il paese spingendosi fino a Beirut per cacciarne le basi dell’Olp. A Francia, Stati Uniti, Italia e Gran Bretagna intervenirono con l’invio di una forza multinazionale di pace, ma non riuscì a far riportare la calma nel paese.
Una spinta al processo di pace si ebbe nel 1992 quando salì alla guida il Primo Ministro Rabin chi bloccò i nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati e si mostrò più propenso dei suoi predecessori a concessioni territoriali in cambio di pace con i paesi confinanti.
Il dialogo riprese nel 1993, quando a Oslo il Primo Ministro israeliano Rabin e il leader palestinese Arafat firmarono un accordo che prevedeva la graduale restituzione dei territori di Gaza e della Cisgiordania e la nascita dell’autorità nazionale palestinese (ANP), sancita ufficialmente a Washington.
L’intesa fu tuttavia minacciata sia dalla recrudescenza del terrorismo palestinese, sia dall’azione dei gruppi estremisti in Israele, dopo l’attentato che nel 1995 costò la vita a Rabin per mano di un giovane estremista israeliano.
Nel 2000, dopo un fallito tentativo di giungere a un accordo generale a Camp David, gli scontri e gli attentati ripresero con rinnovata violenza. A innescare lo scontro, alla fine del 2000 fu una visita compiuta dal generale Sharon, leader della destra israeliana, alla spianata delle moschee di Gerusalemme: una provocazione agli occhi dei palestinesi che reagirono scatenando una nuova rivolta chiamata seconda intifada. Fu assai più cruenta della prima sia per la violenza delle manifestazioni sia per la durezza della repressione.
Il conflitto divenne cronico e coinvolse non solo gazza e Cisgiordania, ma anche le città israeliane, dove ripresero gli attentati, spesso suicidi, condotti contro i civili da organizzazioni estremistiche come Hamas.

La diffusione dell’integralismo islamico
In Afghanistan, alcuni gruppi fondamentalisti detti talebani (studenti delle scuole coraniche) approfittarono della situazione di causo creata da ritiro sovietico e, tra il 1995 e il 1996, assunsero il controllo di buona parte del paese, imponendo un regime di intollerante o oscurantismo, soprattutto nei confronti delle libertà femminili(alle donne era fra l’altro impedito di frequentare le scuole).
In Algeria la reazione dei gruppi fondamentalisti all’annullamento delle elezioni del 1992 provocò una serie di spaventosi massacri. In Turchia paesi di tradizione laica, nel 2002 si affermò il partito di ispirazione islamico-moderata guidato da Erdogan. Il suo governo fu caratterizzato da politiche autoritarie e repressive nei confronti delle minoranze.
Intanto, manifestazioni violente del fondamentalismo islamico si registravano anche in Somalia, in Sudan, in Pakistan, nell’Africa subsahariana e cominciavano a coinvolgere lo stesso Occidente, profilandosi come una emergenza internazionale. La diffusione del radicalismo islamista Sushito pertanto molte preoccupazioni, tanto che alla metà degli anni 90 fu evocata la prospettiva di uno scontro di civiltà.

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Il mondo islamico e lo scontro con l’occidente

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L’11 settembre del 2001 il terrorismo integralista mi si assegna un clamoroso attentato: due aerei di linea pilotati da dirottatori si schiantarono contro le torri gemelle a New York è un altro si abbatte sul Pentagono a Washington. Un altro aereo dirottato precipitò in Pennsylvania. I dirottatori appartenevano all’organizzazione terroristica internazionale al Qaeda con base operativa in Afghanistan. Alla guida di al Qaeda era il miliardario Saudita Osama Bin Laden, fautori di una guerra contro i nemici dell’Islam, in particolare contro gli USA. L’attentato, che provocò migliaia di vittime civili e fu seguito in diretta in tutto il mondo, destò enorme impressione, instaurando soprattutto in Occidente un clima di paura e di incertezza.

L’amministrazione Bush decise un’azione militare contro l’Afghanistan, assicurandosi una fitta rete di appoggi internazionali. Lo presti un regime dei talebani fu spazzato via dei bombardamenti americani e dall’offensiva via terra condotta dei combattenti delle fazioni afghane avverse ai talebani. Negli anni successivi però, i talebani avrebbero ripreso il controllo di vaste zone del paese e dato vita a un’ostinata guerriglia. Dopo l’Afghanistan, gli Stati Uniti vuoi essere la loro attenzione all’Iraq di Saddam Hussein, accusato di nascondere armi di distruzione di massa. Dopo un infruttuoso negoziato tra ONU e Iraq, Stati Uniti e Gran Bretagna attaccarono l’Iraq nel marzo del 2003. La resistenza dell’esercito iracheno fu rapidamente sconfitta. Saddam Hussein fuggì: fu poi catturato nel dicembre del 2003, sottoposta un discusso processo e impiccato tre anni dopo.

Il processo di stabilizzazione dell’area mediorientale troppo ostacoli insormontabili. In Iraq, paese sottoposto ad occupazione, i sostenitori del dittatore the posto e gruppi integralisti arabi ispirati da al Qaeda diedero inizio a una serie di attentati. Né le elezioni del 2005 né il varo successivo di una costituzione federale servirono a stabilizzare la situazione nel paese, nel quale l’affermazione della componente sciita apriva nuovi spazi per l’espansione di un altro fondamentalismo, quello che faceva capo all’Iran di Ahmadinejad. In Europa, la minaccia del terrorismo si concretizzava negli attentati di Madrid del 2004 e di Londra nel 2005. Dopo due guerre, il conflitto tra Islam e Occidente rimaneva il principale focolaio di tensioni internazionale.

Il clima creato nel mondo islamico con l’emergere delle correnti fondamentaliste, che miravano apertamente alla distruzione dello stato di Israele, non era certo il più adatto per favorire una soluzione negoziata dell’ormai cronico conflitto in Palestina. Anzi abbiamo visto che le tensioni aumentarono dopo il fallimento dei colloqui di Camp David del 2000 promossi dal presidente americano Clinton e l’inizio della seconda intifada. Il nuovo governo israeliano del 2001 guidato da Sharon, alza ulteriormente il livello della risposta militare e della repressione nei territori occupati. Nel 2002 decise quindi di costruire un altro muro di cemento per separare Israele dai territori palestinesi: condannata aspramente da tutto il mondo arabo e da buona parte della comunità internazionale, la barriera difensiva contribuì comunque a far calare il numero degli attentati.
Nel 2005 lo stesso Sharon decise il ritiro unilaterale degli israeliani dalla striscia di Gaza. Dopo l’uscita di scena di Sharon e la morte di Arafat, la vittoria elettorale nel 2006 degli estremisti di Hamas a Gaza rese sempre più difficile una soluzione pacifica. Agli attentati ai lancio di missili da Gaza e dal Libano, Israele reagì con durissima risposte militari. Nel 2012 la Palestina fu ammessa l’assemblea dell’ONU come stato osservatore non membro e successivamente l’anp cambiò il suo nome in quello di stato di Palestina.

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2008 America - Crisi finanziaria Lehman Brothers

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Nel 2008 l’economia in tutto il mondo subì la crisi più grave dai tempi della Grande Depressione del 1929. Alle origini di questa crisi, che come nel 1929 scoppiò negli Stati Uniti, c’erano stati una serie di cambiamenti nel sistema finanziario, ma il vero e proprio evento scatenante fu un enorme calo nei prezzi delle case. Questo calo danneggiò il sistema finanziario americano (banche, compagnie di assicurazioni, società che emettono mutui, etc.), ma anche numerose industrie che dipendevano dai crediti delle banche, che nel frattempo smisero di prestare denaro.

Tutto Storia: schemi riassuntivi e quadri di approfondimento
Per conoscere e ricordare i concetti, gli eventi e i principali avvenimenti della storia dalle origini a oggi.
La crisi portò alla recessione le economie di tutto il mondo, che in qualche modo sono collegate a quella degli Stati Uniti, e nonostante i tentativi di salvataggio messi in atto dalla politica in tutto il mondo, le conseguenze della crisi furono piuttosto gravi e per molti versi continuano tuttora.

Appunti
Crisi economica del 2008: cause e conseguenze
Origine della crisi: gli squilibri tra il mondo della finanza e l’economia realeAlle origini della crisi ci fu (e c’è ancora) un forte squilibrio, tipico dei nostri giorni, tra il mondo della finanza e la vera e propria economia del mondo - quella che si basa sui beni e sui servizi. In un solo giorno il valore generato dagli scambi finanziari era di circa 60 volte superiore al valore generato dal commercio di beni reali in un anno. E nel 2006, un anno prima dell’inizio della grande crisi, il 40% dei profitti nel mercato degli Stati Uniti derivavano dalle attività finanziarie: insomma, il denaro in circolazione aveva (ed ha tutt’ora) un valore molto alto rispetto ai veri e propri beni in circolazione nel mondo. Questa tendenza non era nuova, ma a renderla più forte che mai furono una serie di riforme al sistema finanziario degli Stati Uniti fatte negli anni ‘90.

Borsa di New York il 7 ottobre del 2008
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Gli USA liberalizzano gli scambi finanziariGli Stati Uniti decisero di ridurre le regole della finanza per rendere il sistema più libero ed efficiente, abolendo alcune autorità di regolazione e di vigilanza che risalivano addirittura agli anni ‘30. Il momento più importante fu nel 1999, quando il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton liberalizzò gli scambi finanziari tramite la Gramm-Leach-Bliley act, anche conosciuta come legge di modernizzazione dei servizi finanziari.

Vengono introdotte le holding finanziarieAllo scopo di facilitare la speculazione, in particolare per quanto riguarda le materie prime, questa legge introduceva le holding bancarie, veri e propri ‘giganti finanziari’ in grado di riunire diverse banche e compagnie di assicurazioni, per offrire qualunque tipo di servizio finanziario. Prima di allora soltanto le banche ‘commerciali’ avevano potuto raccogliere e custodire i conti delle famiglie americane, mentre gli investimenti più azzardati dovevano essere fatti da un altro tipo di banche: le banche di investimento.

Le holding bancarie utilizzano i risparmi delle famiglie per operazioni finaziarieQuesti due tipi di banche non potevano fondersi in una holding. La principale conseguenza della legge di modernizzazione del 1999 fu che i risparmi delle famiglie iniziarono ad essere utilizzati per operazioni finanziarie piuttosto rischiose: le banche potevano indebitarsi a dismisura e allo stesso tempo prestare denaro senza sufficienti garanzie di riaverlo indietro. Tutto questo metteva a rischio, come vedremo, l’economia di tutto il mondo.

2Le cause della crisi
Protesta del 2011 negli Stati Uniti
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Mutui svantaggiosi per chi acquista una casaAll’origine della crisi ci sono i mutui casa. Chi voleva ottenere un mutuo per acquistare una casa negli Stati Uniti, esattamente come in Italia, doveva garantire alla banca almeno due cose: un reddito costante, ed un bene patrimoniale (possibilmente un’altra casa su cui mettere un’ipoteca).

Negli anni ‘90, la liberalizzazione del settore finanziario americano stava cambiando le cose rapidamente. L’ultima novità sul mercato era un tipo particolare di mutuo per la casa, accessibile anche a chi è privo di patrimonio o di un reddito costante: i mutui subprime. Con i mutui subprime moltissime persone possono comprare una casa, ma a condizioni molto svantaggiose. Spesso questi mutui appaiono molto convenienti, ma contengono clausole che potevano gonfiarli a dismisura dopo qualche anno: negli anni ‘90, e 2000 molti americani ottennero mutui subprime e si indebitarono in modo piuttosto gravoso.

Protesta in Florida contro i muti subprime il 26 settembre 2007
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I mutui casa non pagati vengono venduti come titoli finanziariLe banche che concedevano questi mutui non si limitavano a ricevere i pagamenti mensili da parte dei debitori: il più delle volte mettevano il proprio credito verso le famiglie sul mercato, liberandosi così dei rischi. se una famiglia non fosse riuscita a pagare il proprio mutuo, il problema sarebbe stato delle istituzioni (come la Fannie Mae) che acquistavano il credito. A loro volta, chi acquistava i mutui poteva spesso rivenderli ancora ad altri investitori per generare titoli che possono essere collocati sul mercato, come i ‘mortgage-backed security’ (MBS). In altre parole, i mutui delle famiglie venivano ‘impacchettati’ in titoli finanziari venduti ed acquistati sul mercato. Il risultato erano dei titoli venduti in borsa, il cui valore dipendeva dai mutui e dal prezzo delle case.

All’epoca si contava sul fatto che, tranne rari casi, la maggior parte delle famiglie avrebbero comunque ripagato i propri mutui. A comprare questi titoli erano moltissimi soggetti: banche, assicurazioni, fondi pensione e persino risparmiatori privati. I titoli generati dai mutui circolavano, generavano ricchezza e crescevano di valore, mentre le banche scaricavano al di fuori il rischio di mutui non pagati.

Case pignorate durante la crisi finanziaria del 2008 in California
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Gli assicuratori si assumono il rischio di fallimento dei mutuiPer scongiurare il rischio dei mutui non pagati, si ricorse poi ai credit default swaps (CDS): contratti attraverso cui gli assicuratori si assumevano il rischio del fallimento (default) per conto delle banche in cambio di importi periodici. Proprio come succede con un’assicurazione, chi comprava un CDS avrebbe ricevuto una somma molto alta in caso di fallimento. Molto presto anche i CDS, teoricamente uno strumento di assicurazione, vennero comprati e venduti da istituzioni finanziarie in pacchetti. Ancora una volta, si pensava che i mutui fossero un investimento sicurissimo.

Nel 2008 il credito ‘assicurato’ in questo modo ammontava a 6200 miliardi di dollari: una cifra da capogiro. Finché i prezzi delle case continuavano a salire, tutto andò bene. Ma questo sistema poggiava su una base relativamente fragile: il mercato immobiliare.

3L’evoluzione
Il logo messo all’asta dopo il crollo della banca d’affari Lehman Brothers
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Calo delle occupazioni e dei consumiAlla fine di settembre del 2007, il numero di persone in ritardo con il pagamento dei mutui iniziava ad aumentare in modo preoccupante, insieme ai processi esecutivi da parte dei creditori: chi non riusciva a pagare i mutui subiva pignoramenti e vendite forzate. I prezzi delle case erano in caduta libera, e quindi gli americani avevano paura di investire. Tutto questo causò una vera e propria ‘crisi del credito’: le banche, in forte perdita, potevano erogare meno denaro alle imprese e alle famiglie. Senza prestiti, molte imprese non potevano più investire, e per questo dovevano ridurre la produzione, e spesso persino chiudere. Questo causò immediatamente un calo delle occupazioni ed anche dei consumi. La crisi finanziaria aveva provocato immensi problemi nel mercato reale.

Appunti
1929-2008: confronto tra le due crisi economiche mondiali
Il 15 settembre del 2008 fallisce la banca d’affari Lehman BrothersPer di più, con il crollare dei prezzi delle case, i titoli garantiti dai mutui, spezzettati poi in ulteriori titoli derivati, perdevano quelle solide basi su cui si era fondata la finanza degli ultimi anni. Il 15 settembre del 2008 la Lehman Brothers, una delle più importanti banche d’affari di questi anni, fallì. Come molte altre società simili, la Lehman Brothers aveva acquistato mutui emessi da piccole società finanziarie per farne titoli derivati e generare denaro su basi molti rischiose. Stavolta però il Congresso degli Stati Uniti non intervenì, come aveva già fatto per altre banche negli scorsi mesi, per salvare la società dalla bancarotta: la scelta sarebbe stata troppo impopolare. Con la Lehman Brothers crollava il mondo dei titoli basati sui mutui.

La crisi finanziaria diventa un fenomeno globalePresto la crisi divenne un fenomeno globale, perché molte imprese, famiglie e governi in tutto il mondo investono nella borsa americana, subendo forti perdite nel caso di crolli della borsa americana. Anche le banche multinazionali subivano il contagio a causa del delevaraging: per far fronte alle perdite le banche vendono molte attività per limitare le perdite e per avere denaro liquido da restituire a clienti e creditori. Con la grande crisi internazionale, moltissime banche iniziarono a vendere titoli nello stesso momento, provocando un crollo della fiducia a livello internazionale.

Un’altra importante conseguenza fu un enorme calo delle esportazioni di beni e di servizi da tutto il mondo verso gli Stati Uniti, i più grandi importatori del mondo. Nel 2009 il commercio internazionale era crollato in modo impressionante, e la crisi era ormai globale.

4Gli effetti della crisi
Appunti
La crisi economica e sociale: tema svolto
Durante la crisi finanziaria alcuni governi si assumono il debito per salvare le bancheQuando c’è una crisi finanziaria, i soldi depositati ed investiti dalle persone sono in pericolo, e chi ha del denaro in banca cerca di recuperarlo. Questo spiega le file di persone di fronte alle banche in un periodo di crisi. Una banca raccoglie i soldi di migliaia, se non milioni di persone, e per questo motivo i governi misero in pratica una serie di interventi per salvare le banche. In alcuni casi i governi diventano azionisti delle banche, assumendo su di sé il debito, che in questo caso diventa debito pubblico. In altri casi ci sono stati interventi diretti sull’economia, rinforzandola con prestiti delle banche centrali che ammontano a milioni di dollari: così fece il neoeletto presidente Obama all’inizio del 2009.

Manifestazione in Francia il 19 marzo 2013
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L’Europa adotta le politiche di austerity per salvare le banche dalla crisiIn Europa una serie di banche vennero comprate dagli stati (i casi più importanti sono stati in Germania, Gran Bretagna e Paesi Bassi) o finanziate da investitori privati per essere salvate dalla crisi. In Grecia nel dicembre del 2008 la stagnazione economica ha causato una serie di tumulti. Anche paesi come l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo e l’Italia hanno dovuto ricorrere a misure di austerity per far fronte alla crisi, causando una serie di problemi politici, oltre che economici. L’Islanda si ritrovava praticamente in bancarotta, con le tre maggiori banche del paese in fallimento. In Asia le maggiori economie soffrirono gli effetti della crisi in modo per lo più indiretto, ma non per questo indolore: Asia e Giappone, due grandi importatori, subirono le dure conseguenze di un enorme calo della domanda da parte dei consumatori europei e americani.

Rispetto alle altre industrie è quella automobilistica a soffrie maggiormente la crisi finanziariaAl di fuori del settore finanziario, l’industria che soffrì maggiormente la crisi fu quella automobilistica sia negli Stati Uniti che in Asia ed in Europa. La pressione della crisi finanziaria spinse gli stati a collaborare di più: i venti paesi più ricchi del mondo si riunirono nel G-20 (Gruppo 20) alla fine del 2008 a Washington per iniziare a trovare una soluzione collettiva alla crisi. Gli effetti della crisi, tuttavia, si sarebbero protratti per almeno altri 4 anni, ma secondo molti economisti non sono ancora del tutto finiti.

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Totalitarismi

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il termine totalitarismo fu inventato dagli antifascisti italiani già nella prima metà degli anni ‘20. Successivamente, furono gli stessi fascisti, a cominciare da Mussolini, a usarlo “in positivo” per definire la loro aspirazione, peraltro mai pienamente realizzata, a una identificazione totale tra stato e società. Nel secondo dopoguerra, il termine fu adottato nei paesi occidentali per designare quella particolare forma di potere assoluto che non si accontenta di controllare la società, ma pretende di trasformarla dal profondo in nome di un’ideologia onnicomprensiva, di pervaderla tutta attraverso l’uso combinato del terrore e della propaganda: quel potere che cerca di mobilitare i cittadini attraverso proprie organizzazioni, di imporre la propria ideologia attraverso il monopolio dell’educazione e dei mezzi di comunicazione di massa.

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Striscia di Gaza

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La Striscia di Gaza è uno dei molti motivi di contesa tra Palestina e Israele.
In questo articolo spiegheremo brevemente:
Storia della Striscia di Gaza
Cos’è la Striscia di Gaza
STORIA RECENTE DELLA STRISCIA DI GAZA.
L’Egitto ha governato la Striscia di Gaza tra il 1948 e il 1967.
Oggi l’Egitto controlla la frontiera meridionale.
Israele ha governato la Striscia di Gaza dal 1967 al 2005.
Nel 1994 gli abitanti della Palestina hanno rivendicato la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est come parte dello Stato di Palestina.
Nel 2005 le truppe israeliane si sono ritirate.
Nel 2005, inoltre, il ministro israeliano Sharon ordinò la rimozione degli insediamenti e il trasferimento di oltre 10 mila israeliani.
Israele mantiene però il controllo militare:
dello spazio aereo della Striscia di Gaza,
della frontiera terrestre tra Israele e la Striscia di Gaza
delle acque territoriali
Nel 2005 la Striscia di Gaza è passata sotto il governo dell’Autorità Nazionale Palestinese, sotto il controllo di Fatah.
Fatah era un’organizzazione politica laica e moderata.
Hamas indebolì Fatah.
È un’organizzazione islamica politica e paramilitare palestinese.
Questa organizzazione di fatto governa la Striscia di Gaza ed ha posizioni radicali su rapporti Israele-Palestina.
Nel 2006 Hamas vinse le elezioni locali.
Nel 2007 Hamas cacciò Fatah con la forza dopo una sanguinosa guerra civile.
Dal 2007 Hamas governa direttamente la Striscia di Gaza.
La Striscia di Gaza è il cuore degli scontri e del conflitto tra Palestina e Israele.
Da sempre, Gaza rappresenta uno dei punti chiave di questo conflitto.

CHE COS’È LA STRISCIA DI GAZA
La popolazione della Striscia di Gaza.
Circa 2 milioni di persone abitano nella Striscia di Gaza.
Gli abitanti della Striscia di Gaza sono quasi esclusivamente palestinesi.
Nella città di Gaza vivono quasi 600 mila persone.
La Striscia di Gaza ha, quindi, un’altissima densità di popolazione.
Infatti, ha circa 5 mila abitanti per chilometro quadrato.
Per questo motivo gli attacchi israeliani causano molte vittime e una diffusa distruzione di case, scuole, negozi.
Povertà, fame e disoccupazione.
Moltissime persone a Gaza vivono in povertà e in condizioni al limite.
Infatti, Israele ha imposto da tempo un embargo duro sulla Striscia.
Un embargo è un blocco degli scambi commerciali da parte di uno Stato nei confronti di un altro Stato.
Israele afferma di aver imposto l’embargo per scoraggiare le attività terroristiche di Hamas.
Il risultato, però, è che la qualità di vita di tutti i cittadini è pessima
A causa dell’embargo, infatti, nella Striscia di Gaza mancano beni di prima necessità, come il cibo e i farmaci.
A causa dell’embargo israeliano, poi, una buona parte degli scambi tra la Striscia di Gaza e il mondo avviene tramite il contrabbando.
Il contrabbando avviene in tunnel sotterranei.
Le autorità israeliane, tuttavia, periodicamente scoprono questi tunnel e li distruggono.
La disoccupazione, inoltre, è a livelli altissimi.
Circa 8 persone su 10 sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari.
La guerra.
Negli ultimi dieci anni le operazioni militari di Israele nella Striscia di Gaza sono state numerose.
Israele ha attaccato con bombardamenti dall’aviazione e dalla marina e con invasioni terrestri.
Alcuni esempi: le invasioni del 2008-2009 e del 2014.
In tutte queste occasioni, la forza israeliana è sempre stata più forte rispetto alla resistenza palestinese.
In queste occasioni si contavano, infatti, alcune decine di vittime israeliane.
Migliaia, invece, tra i palestinesi.