Testi Flashcards

1
Q

In mezzo ai due eserciti ferma il mio carro, o immoto,
affinchè io osservi bene costoro che, schierati, hanno desiderio di battaglia, e veda con chi dovrò combattere in questo conflitto che si sta preparando

A

Bhagavadgita - I lettura

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2
Q

Io non desidero ucciderli, anche se dovessi esserne ucciso, o Krsna, neppure per l’impero dei tre mondi: a maggior ragione non per questa terra!

A

Bhagavadgita - I lettura

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3
Q

Distrutta una famiglia, periscono i dharma della famiglia. Perito il dharma, il non-dharma predomina sulla famiglia intera. A causa poi del predominio del non-dharma le donne della famiglia si corrompono, o Krsna, e, corrotte le donne, si produce la confusione dei varna.

A

Bhagavadgita - I lettura

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4
Q

La qual confusione conduce agli inferi sia i distruttori della famiglia che la famiglia stessa. Infatti gli antenati cadono negli inferi una volta privati delle offerte rituali d’acqua e di pinda.

A

Bhagavadgita - I lettura

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5
Q

Ahimè!, un gran male noi ci siamo decisi a compiere, preparati come siamo a uccidere la nostra gente per avidità delle gioie del regno.

A

Bhagavadgita - I lettura

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6
Q

Pur di non uccidere i nostri magnanimi maestri, infatti, sarebbe meglio addirittura mendicare di che mangiare, qui in questo mondo. Giacchè uccidendo qui i maestri, per quanto essi desiderino il proprio vantaggio, godrei godimenti lordati di sangue.

A

Bhagavadgita - II lettura

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7
Q

E non sappiamo neppure che cosa sia per noi preferibile: vincere o che ci vincano. Proprio coloro uccidendo i quali non desidereremmo più vivere, proprio loro sono schierati di fronte a noi, gli uomini di Dhrtarastra.

A

Bhagavadgita - II lettura

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8
Q

Il mio essere è stordito da una colpevole compassione, e a te chiedo, io che sono confuso riguardo al dharma, che cosa sia meglio. Dimmelo chiaramente. Io sono tuo discepolo: istruiscimi, a te mi sono abbandonato.

A

Bhagavadgita - II lettura

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9
Q

Tu hai pianto per chi non deve essere compianto, eppure pronunci parole di saggezza. I sapienti non piangono nè per chi è morto nè per chi non lo è.

A

Bhagavadgita - II lettura

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10
Q

Così come in questo corpo l’incorporato attraversa gli stadi di fanciullezza, giovinezza e vecchiaia, analogamente egli assumerà poi altri corpi. Chi è saldo, in questo non si confonde.

A

Bhagavadgita - II lettura

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11
Q

I contatti con la materia poi, o Arjuna - che procurano freddo e caldo, piacere e dolore - vanno e vengono, instabili. Ad essi disponiti a resistere, o Arjuna.
Infatti l’uomo che essi non rendono inquieto, o Arjuna, indifferente al piacere e al dolore, saldo, è pronto per l’immortalità.
Non si dà esistenza di ciò che non è, nè inesistenza di ciò che è. E coloro che hanno visione della realtà hanno visto il confine tra i due.

A

Bhagavadgita - II lettura

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12
Q

Chi ritiene che egli sia uccisore e chi pensa che egli sia ucciso, entrambi costoro non sanno discernere: egli non uccide e non è ucciso,
nè mai nasce o muore, e neppure, essendo, potrà mai non più essere. Non nato, eterno, permanente, questo antico non è ucciso quando viene ucciso il corpo.

A

Bhagavadgita - II lettura

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13
Q

L’uomo che sa che egli è indistruttibile, eterno, non nato, imperituro, come può, o Arjuna, fare uccidere qualcuno? e chi può uccidere?
Come un uomo, abbandonati gli abiti più vecchi, ne prende altri di nuovi, così l’incorporato abbandona i vecchi corpi e ne incontra di nuovi.
Le armi non lo lacerano, il fuoco non lo brucia, le acque non lo bagnano, il vento non lo asciuga.

A

Bhagavadgita - II lettura

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14
Q

Infatti di chi nasce sicura è la morte, e sicura è la nascita di chi muore. Dunque, giacchè la cosa è inevitabile, non devi piangere.

A

Bhagavadgita - II lettura

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15
Q

Qualcuno lo vede come un prodigio, qualcun altro come di un prodigio parimenti ne parla, e come un prodigio un altro lo ode: ma nessuno, anche avendolo udito, lo conosce.
Quest’incorporato è, nel corpo di ciascuno, eternamente inviolabile, o Arjuna. Perciò non devi compiangere nessuno degli esseri.

A

Bhagavadgita - II lettura

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16
Q

Questo atteggiamento mentale ti è stato esposto sul piano speculativo, ma ora ascoltalo nello yoga, e disciplinato da tale atteggiamento mentale, o Arjuna, sfuggirai al legame delle azioni.

A

Bhagavadgita - II lettura

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17
Q

Oggetto dei Veda sono i tre elementi costitutivi. Ma tu affrancati dai tre elementi costitutivi, o Arjuna, dalle coppie di opposti, perennemente fermo in ciò che è, libero dal possesso, padrone di te stesso.

A

Bhagavadgita - II lettura

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18
Q

Soltanto sull’azione esercita il tuo controllo, mai sui suoi frutti. Non essere mai motivato dal frutto dell’azione. Non aver mai attaccamento per l’inazione.
Compi le tue azioni fermo nello yoga, o Arjuna, avendo abbandonato l’attaccamento, indifferente nel successo e nell’insuccesso. Lo yoga, si dice, è indifferenza.

A

Bhagavadgita - II lettura

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19
Q

Chi si attiene allo yoga dell’atteggiamento mentale, si lascia dietro qui entrambi: l’atto buono e l’atto cattivo. Perciò attieniti allo yoga. Lo yoga è l’abilità nelle azioni.

A

Bhagavadgita - II lettura

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20
Q

E quando, come una tartaruga che ritrae da ogni parte le membra, egli ritrae i sensi dagli oggetti dei sensi, allora ha una saggezza ben stabile.
Gli oggetti si estinguono per l’incorporato che non se ne nutre, ma non il gusto per essi. Ma anche il gusto si dilegua, una volta che egli abbia visto la realtà suprema.

A

Bhagavadgita - II lettura

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21
Q

Questo è lo stato del Brahman, o Arjuna. Colui che ottiene non si confonde, Stando in esso, anche solo al momento della morte, si raggiunge il nirvana nel brahman.

A

Bhagavadgita - II lettura

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22
Q

In questo mondo ci sono due posizioni, come prima ti ho detto, quella dello yoga della conoscenza, propria degli speculativi, e quella dello yoga dell’azione, propria degli yogin.
Anche se si astiene dalle azioni, l’uomo non raggiunge l’inazione, nè ottiene la perfezione a partire dalla rinuncia.

A

Bhagavadgita - III lettura

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23
Q

Compi l’azione prescritta. Infatti l’azione è meglio dell’inazione. Non si riuscirebbe neppure a sostentare il corpo, senza l’azione.

A

Bhagavadgita - III lettura

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24
Q

L’azione, sappi, nasce dal brahman e il brahman dall’indistruttibile. Perciò il brahman, che tutto pervade, è sempre presente nel sacrificio.
Chi non fa volgere qui la ruota che così è stata messa in moto, vive invano, o Arjuna, una vita impura, dedito ai piaceri dei sensi.

A

Bhagavadgita - III lettura

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25
Q

Desideroso [del cielo], il discendente di Vajasravas offrì [un sacrificio comprendente] tutte le sue proprietà. Egli aveva un figlio di nome Naciketas.

A

Katha Upanisad - Prima valli

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26
Q

Disse allora a [suo] padre: “E me, babbo, a chi mi vuoi donare?”. E così per due o tre volte. Gli rispose allora il padre: “Al dio della morte io ti dono!”.

A

Katha Upanisad - Prima valli

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27
Q

[Avviandosi al regno dei morti, Naciketas per confortarsi disse:] “Primo di molti [che mi seguiranno] io vado; in mezzo a molti [che mi hanno preceduto e mi seguiranno] io vado. Qual è mai il disegno che Yama oggi intenderà mandare a termine per mezzo mio?
Guarda indietro e guarda avanti: come già antenati [morirono], così del pari altri [moriranno]. Come il grano l’uomo matura, come il grano egli di nuovo rinasce.”

A

Katha Upanisad - Prima valli

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28
Q

O Morte, tu conosci il fuoco che conduce al cielo; rivelalo a me che son pieno di fede! Gli abitatori del cielo godono dell’immortalità. Questo io scelgo come seconda grazia”.

A

Katha Upanisad - Prima valli

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29
Q

Il Magnanimo, benevolo, disse: “Ancora un dono io ti concedo oggi. Questo fuoco porterà il tuo nome: accetta [questo dono simile a una] variopinta collana.

A

Katha Upanisad - Prima valli

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30
Q

Colui che, conosciuto il triplice [fuoco] Naciketa, conosciuta questa triade [di fuochi], costruisce, così ammaestrato, l’altare per il fuoco Naciketa, costui, liberandosi in anticipo dai lacci della morte, libero da angosce, gode nel mondo celeste.

A

Katha Upanisad - Prima valli

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31
Q

“Quel dubbio [che nasce] quando un uomo è morto - alcuni infatti dicono: esiste ancora; altri: non esiste più - proprio questo, ammaestrato da te, io vorrei risolvere. Questa è la terza delle tre grazie.”

A

Katha Upanisad - Prima valli

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32
Q

Concentrandosi in se stesso, il saggio giunge a ravvisare il dio che è difficile da percepire, che è penetrato nel mistero, arcano, posto nell’intimo del cuore, primordiale: abbandona così gioie e dolori.
Il mortale che ha ascoltato ciò e l’ha compreso bene, che, staccatosi da ciò che è legato ai fattori dell’esistenza ha raggiunto questo sottile [Atman], gode avendo raggiunto ciò che è veramente degno di godimento. Io considero Naciketas come un tempio aperto”:

A

Katha Upanisad - Seconda valli

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33
Q

“La parola che tutti i Veda insegnano, che proclamano [esser pari a] tutte le austerità, per desiderio della quale si compie lo studentato, questa in breve io ti rivelo: essa è Om.
Questa sillaba è invero il Brahman, questa sillaba è la cosa suprema, chi conosce questa sillaba, qualunque cosa desideri, l’avrà.

A

Katha Upanisad - Seconda valli

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34
Q

Se chi uccide pensa di uccidere, se chi è colpito a morte pensa d’essere colpito, entrambi non hanno chiara una nozione: nè quello uccide nè [questi] viene ucciso.

A

Katha Upanisad - Seconda valli

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35
Q

Più piccolo del piccolo, più grande del grande, l’Atman è posto nel segreto della creatura. Chi è privo di desideri, costui vede, libero da angosce, la grandezza dell’Atman per la grazia del creatore.

A

Katha Upanisad - Seconda valli

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36
Q

Sappi che l’Atman è il padrone del carro e il corpo è il carro, sappi che l’intelletto poi è l’auriga e la mente le redini.

A

Katha Upanisad - Seconda valli

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37
Q

Superiore al grande [Atman] è l’elemento primordiale non evoluto, al non evoluto è superiore lo Spirito, superiore allo Spirito non v’è nulla: esso è lo scopo, esso è il rifugio supremo.

A

Katha Upanisad - Seconda valli

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38
Q

Due, o monaci, sono gli estremi che non deve seguire chi è andato via. Quali sono questi due estremi? Uno è la dedizione, nei desideri, ai piaceri dei desideri, bassa, rozza, volgare, ignobile, senza profitto; l’altro è la dedizione all’automacerazione, dolorosa, ignobile, senza profitto.
Ora, o monaci, evitando questi due estremi, una via mediana è stata compresa nel risveglio dal Tathagata, una via che produce vista, che produce conoscenza, e conduce alla quiete, al sapere, al completo risveglio, al nibbana.

A

Discorso della messa in moto della ruota del dhamma

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39
Q

E qual è, o monaci, questa via mediana, compresa nel risveglio dal Tathagata, che produce vista, che produce conoscenza, e conduce alla quiete, al sapere, al completo risveglio, al nibbana? È il nobile sentiero in otto parti, e cioè: retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta presenza mentale, compresa nel risveglio dal Tathagata, che produce vista, che produce conoscenza, e conduce alla quiete, al sapere, al completo risveglio, al nibbana.

A

Discorso della messa in moto della ruota del dhamma

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40
Q

Ora, o monaci, questa è la nobile verità riguardo al dolore: la nascita + dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che è spiacevole è dolore, la separazione da ciò che è piacevole è dolore, non soddisfare un desiderio è dolore, in breve i cinque aggregati dell’attaccamento sono dolore.

A

Discorso della messa in moto della ruota del dhamma

41
Q

Ciascuno è signore di se stesso: infatti quale altro signore potrebbe esserci?
Ben domando se stessi, infatti, si trova un signore difficile a trovarsi.

A

Dhammapada - capitolo di se stesso (attavagga)

42
Q

Da se stessi è compiuto il male, da sè proviene il comportamento impuro;
da se stessi non è compiuto il male, da sè proviene la purificazione.
Purità o impurità hanno in sè [la loro origine], nessuno può purificare un altro.

A

Dhammapada - capitolo di se stesso (attavagga)

43
Q

Orsù in letizia viviamo senz’odio tra chi odia, dimoriamo senz’odio tra gli uomini che odiano.
Orsù in letizia viviamo senza afflizione tra gli afflitti, tra gli uomini afflitti dimoriamo senza afflizione.
[…]

A

Dhammapada - capitolo della gioia (sukhavagga)

44
Q

La vittoria genera l’odio: il vinto è nel dolore.
Chi ha abbandonato vittoria e sconfitta, acquietato, è nella gioia.

A

Dhammapada - capitolo della gioia (sukhavagga)

45
Q

Perciò dunque:
a chi è sapiente, saggio, e istruito, abituato alla pazienza, fedele agli impegni, nobile, a un uomo simile, virtuoso, sagace, ci si accompagni, come la luna segue il cammino delle costellazioni.

A

Dhammapada - capitolo della gioia (sukhavagga)

46
Q

Onore alla nobile Perfezione di Sapienza, la beata.

A

Il Sutra del cuore della Perfezione di Sapienza

47
Q

Qui, o Sariputra, la forma è vacuità e la vacuità invero è forma, la vacuità non è separata dalla forma, la forma non è separata dalla vacuità, ciò che è forma è vacuità, ciò che è vacuità è forma; e così per le sensazioni, le percezioni, le predisposizioni, la coscienza discriminativa.

A

Il Sutra del cuore della Perfezione di Sapienza

48
Q

Il re Piyadassi caro agli dei onora tutte le confessioni, quelle di coloro che se ne sono andati e quelle di coloro che stanno a casa, con doni e onori di vario tipo.

A

“Editti” rupestri di Asoka

49
Q

È il convenire insieme che è bene, cioè che gli uni prestino ascolto al dhamma degli altri e lo rispettino.

A

“Editti” rupestri di Asoka

50
Q

E questo ne è il frutto, che si produce la crescita della propria confessione e la messa in luce del dhamma.

A

“Editti” rupestri di Asoka

51
Q

La crescita essenziale poi è di molte specie; e tuttavia questa è la sua radice, la moderazione nelle parole: cioè il fatto che l’onorare la propria confessione o il biasimare la confessione altrui non avvengano inopportunamente, o avvengano con delicatezza se se ne presenta una qualunque opportunità.

A

“Editti” rupestri di Asoka

52
Q

Il Maestro disse: “Il gentiluomo estende il suo studio nella cultura ma si concentra nei riti. Così può sconfinare”.

A

Dialoghi - Confucio

53
Q

La via del grande studio consiste nel far risplendere la virtù luminosa, nel rinnovare il popolo permanendo così nel bene ultimo.

A

Grande Studio - Confucio

54
Q

Gli essere hanno radici e rami, le azioni hanno una fine e un inizio. Sapere il prima e il dopo vuol dire essere vicini alla Via.

A

Grande Studio - Confucio

55
Q

Non può essere che si trascuri la radice e i rami siano curati, nè s’è mai dato che si tratti con leggerezza ciò che è importante e si accudisca con attenzione ciò che è poco importante.

A

Grande Studio - Confucio

56
Q

Tutti gli uomini hanno un animo sensibile all’altrui sofferenza.

A

Mencio

57
Q

Tutti quanti abbiamo i quattro principi in noi; se sapremo farli prosperare, essi si svilupperanno come un fuoco che inizia ad ardere o una sorgente che inizia a sgorgare. Se riusciremo a fare in modo che si sviluppino completamente, essi basteranno per proteggere chiunque all’interno dei quattro mari, ma se non dovessimo riuscire nell’impresa, non basteranno nemmeno per adempiere agli obblighi verso il padre e la madre.

A

Mencio

58
Q

Sotto il cielo tutti riconoscono il bello
e perciò anche il non-bello
tutti sanno il bene
e perciò anche il non bene.

A

Daodejing (Il libro della Via e della Virtù)

59
Q

Ma io solo diverso dagli altri
onoro la madre che mi nutre.

A

Daodejing (Il libro della Via e della Virtù)

60
Q

Se tutto questo mondo è vuoto, non v’ha allora nè apparizione nè sparizione di nulla: in conseguenza, per te, le quattro Sante Verità non esistono.

A

Nagarjuna - la dottrina delle due verità
“Le stanze del cammino di mezzo”

61
Q

Così, affermando la vacuità, tu rifiuti l’esistenza del reale dei frutti, il bene e il male morali e tutto l’ordine pratico delle cose.

A

Nagarjuna - la dottrina delle due verità
“Le stanze del cammino di mezzo”

62
Q

La realtà assoluta non può essere insegnata, senza prima appoggiarsi sull’ordine pratico delle cose: senza intendere la realtà assoluta, il nirvana non può essere raggiunto.

A

Nagarjuna - la dottrina delle due verità
“Le stanze del cammino di mezzo”

63
Q

La realtà assoluta non può essere insegnata, senza prima appoggiarsi sull’ordine pratico delle cose: senza intendere la realtà assoluta, il nirvana non può essere raggiunto.
La vacuità, male intesa, manda in rovina l’uomo di corto vedere, così come il serpente male afferrato o una formula magica male applicata.
E per questo, la mente dell’Anacoreta si tirò addietro dall’insegnamento della legge, pensando alla difficoltà che avrebbero avuto gli uomini di corto vedere a penetrarla.

A

Nagarjuna - la dottrina delle due verità
“Le stanze del cammino di mezzo”

64
Q

Se io avessi una qualche tesi, senza dubbio sarei vittima di questi controsensi. Io, senonchè, non ho nessuna tesi, e quindi non mi si può imputare nessun controsenso.

A

Nagarjuna - critica dei mezzi di conoscenza
“La sterminatrice degli errori”

65
Q

Ma (tu dirai) a quel modo che il fuoco illumina se stesso e le altre cose, così i mezzi di conoscenza provano l’esistenza di se stessi e delle altre cose.
Quest’esempio (io ti rispondo) non quadra. Il fuoco, infatti, non illumina se stesso. Esso, infatti, non esiste prima all’oscuro, come un vaso, senz’essere percepito.

A

Nagarjuna - critica dei mezzi di conoscenza
“La sterminatrice degli errori”

66
Q

L’esistenza dei mezzi di conoscenza non è stabilita nè di per se stessa, nè reciprocamente tra di loro, nè mediante altri mezzi di conoscenza, nè in dipendenza delle cose conoscibili nè senza causa.

A

Nagarjuna - critica dei mezzi di conoscenza
“La sterminatrice degli errori”

67
Q

La cognizione “irreale” [sorge] perchè non c’è più la percezione di un’entità passata, a causa del ricordo di [questa] entità passata, e perchè c’è qualcosa che contraddice [la continuità della sua essitenza.
Perchè, parimenti, c’è percezione dell’esistenza in riferimento a [ciò che era] inesistenza.

A

I Vaisesikasutra sulla cognizione dell’irrealtà

68
Q

Questo spiega [anche] [il prefisso negativo a-, come in] a-ghata, “non-vaso”, a-go “non-mucca”, e a-dharma “non-dharma”.

A

I Vaisesikasutra sulla cognizione dell’irrealtà

69
Q

Poichè il reale e l’irreale sono eterogenei, la realtà e l’irrealtà non possono coesistere nell’effetto [prima che sia prodotto].

A

I Vaisesikasutra sulla cognizione dell’irrealtà

70
Q

Sicchè questo sforzo in quanto vien fatto dalla prakrti, a cominciare dalla mente fino agli elementi grossi specifici, avviene per la liberazione di ogni singolo purusa, cioè a vantaggio di un altro.

A

La relazione tra purusa e prakrti nel Samkhya

71
Q

Come la danzatrice smette di danzare dopo essersi mostrata al pubblico, così la prakrti cessa la sua attività dopo essersi manifestata al purusa.

A

La relazione tra purusa e prakrti nel Samkhya

72
Q

Perciò nessun purusa è legato o liberato nè trasmigra. Non è altro che la prakrti, con i suoi molti stadi, ad esser legata o liberata o a trasmigrare.

A

La relazione tra purusa e prakrti nel Samkhya

73
Q

Ottenuta la perfetta conoscenza, la virtù e le altre forme divengono improduttive, tuttavia per effetto degli impulsi carmici il corpo permane ancora, così come accade al movimento della ruota.
Avvenuta la separazione del corpo e avendo la prakrti, poichè il suo fine è compiuto, cessato l’attività, il purusa perviene all’isolamento assoluto e definitivo.

A

La relazione tra purusa e prakrti nel Samkhya

74
Q

Obiezione: Ma che cos’è la “rivelazione” (anuśrava)?
Risposta: I mantra [vedici], i Brāhmana e quanto, essendo ascoltato ripetutamente nei testi sacri, viene da voi accettato come mezzo di conoscenza valida, come le tradizioni (smṛti) relative al Veda, le parti ausiliarie, i Veda, o i ragionamenti (tarka), come quando si dice: “il termine Veda trova spiegazione nei Veda, nelle parti ausiliarie, nei ragionamenti”.

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

75
Q

Obiezione: Il mezzo rivelato nei testi sacri è disapprovato solo sulla base dell’argomento precedente?
Risposta: No. Al contrario,

Esso infatti è connesso a impurità (aviśuddhi), decadimento e superamento (2b).

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

76
Q

“Esso” rimanda al «mezzo rivelato nei testi sacri»; “infatti” va inteso nel senso di “poiché”; ed è connesso con “impurità e decadimento e superamento [cioè il composto è uno dvandya]”, per cui diventa “connesso con impurità, decadimento e superamento”.
Quel che viene detto è [dunque]: “poiché il mezzo rivelato dai testi sacri è impuro, impermanente e graduale, esso è disapprovato come quello evidente”.

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

77
Q

E la violenza è impurità a causa della distruzione del corpo che è caro agli esseri viventi.
Obiezioni: QUESTO È INAMMISSIBILE, PERCHÈ [LA VIOLENZA] È INGIUNTA DALLE SCRITTURE. Se non fosse ingiunta dalle scritture, allora considereremmo indubitabile la sua impurità. Ma è ingiunta dalle scritture, perciò non è impurità.

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

78
Q

SUPPONIAMO CHE SI DICA CHE [IL GIUDIZIO SULL’IMPURITÀ DELLA VIOLENZA] SI DIMOSTRA ATTRAVERSO LA PERCEZIONE DIRETTA, POICHÉ NON-VIOLENZA E VIOLENZA HANNO LA CARATTERISTICA DI APPORTARE L’UNA VANTAGGIO (anugraha) E L’ALTRA DANNO (upaghāta) — anche qui [la formulazione] potrebbe essere: “dalla non-violenza nasce un vantaggio, caratterizzato dalla non-distruzione del corpo, che è caro; mentre dalla violenza nasce un danno, caratterizzato dalla distruzione del corpo, che è caro. Poichè è logico inferire che il frutto sia conforme all’azione [che lo produce], risulta provato attraverso la percezione diretta che non-violenza e violenza producono frutti rispettivamente desiderati e non desiderati. Perciò in questo caso non entra in gioco la scrittura”.

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

79
Q

Infatti la scrittura, dopo aver dato in generale (sāmānye) la regola della non-violenza, indica l’eccezione nel caso particolare (viśeṣe) del sacrificio. E la prescrizione generale viene sopravanzata dalla prescrizione particolare, come nell’esempio “si dia la cagliata ai brāhmani e il latticello al Kauṇḍinya”. Dunque, data la differenza oggettuale tra regola generale ed eccezione, non c’è contraddizione nella scrittura.

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

80
Q

Viene detto:

[Che uno] non faccia a un altro ciò che è sgradito a sé stesso:
Questo è, in sintesi, il dharma. Altro muove dal desiderio.

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

81
Q

Obiezione: Come si capisce che, per il maestro (ācārya), solo la sofferenza interiore, effetto della violenza, è intesa come impurità, e non la violenza stessa?
Risposta: PERCHÉ [EGLI FA USO], COME SI OSSERVA, DEL CONCETTO DI “SUPERIORITÀ”. Più avanti dirà «migliore [è il mezzo], opposto a esso [cioè al mezzo rivelato]». E il concetto di “superiorità” nasce in riferimento ad avversari del [nostro] stesso genere. E se non si intendesse dire che il mezzo rivelato nei testi sacri ha un grande valore, ne conseguirebbe inammissibilità del concetto di superiorità. Perciò [il discorso] non è in antitesi [rispetto alle scritture (utsūtra).

A

Yuktīdipikā ad Sāṅkhyakārikā 2ab

82
Q

Krisna, dopo aver indicato riassuntivamentenella presa di rifugio nel Signore il supremo segreto della posizione del karma-yoga, ritenendo che a quel punto fosse necessario asserire esplicitamente che il risultato della posizione del, karma-yoga è la corretta visione prescritta nella parte essenziale di tutto il vedanta, disse:
Avendo abbandonato tutti i dharma (sarvadharmān) in me, unico, prendi rifugio.
Io ti libererò da tutti i mali, non ti affliggere.

A

Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara
ad 18.66

83
Q

Frasi come «Avendolo conosciuto, raggiunge l’immortalità», o «Perciò, avendomi conosciuto nella mia realtà, entra immediatamente in me» mostrano come l’ottenimento del sommo bene risulti dalla “sola conoscenza” (kevalāj jñānār).

A

Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara
ad 18.66

84
Q

Ma il fatto che solo la conoscenza dell’ātman sia causa del sommo bene, si ricava da ciò, che essa, poiché elimina la nozione di differenza, ha per risultato finale l’isolamento (kaivalya).

A

Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara
ad 18.66

85
Q

Tale nescienza è attiva da un tempo senza inizio [nelle forme] “mia è l’azione”, “io sono l’agente”, “per ottenere quel frutto compirò questa azione”. Disattivatrice (nivartaka) di tale nescienza è la conoscenza, avente per oggetto l’ātman, che sorge nelle forme “questo io sono, isolato (kevala), non-agente, inattivo, privo di [intenzione di ottenere] frutti”, “non esiste nessun altro diverso da me” per il fatto che tale conoscenza disattiva la nozione di “differenza” che è la causa dell’attivarsi dell’azione.

A

Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara
ad 18.66

86
Q

Stando così le cose, non è ragionevole ammettere che la posizione della conoscenza sia associata all’azione.
E se fosse come l’attività del “mangiare” in riti come l’agnihotra?
No. Perché, una volta data la conoscenza che ha per risultato l’isolamento, è inammissibile che uno abbia come finalità il risultato di un’attività.

A

Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara
ad 18.66

87
Q

Perciò l’azione non ha la capacità di realizzare il sommo bene. Né ha questa capacità la combinazione di azione e conoscenza. Inoltre la conoscenza che ha per risultato l’isolamento non dipende neppure dall’assistenza di un’azione, perché ciò sarebbe in contraddizione con la sua capacità di disattivare l’avidyā. Infatti la tenebra non è fattore di eliminazione della tenebra. Pertanto è proprio la sola conoscenza il mezzo di realizzazione del sommo bene.

A

Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara
ad 18.66

88
Q

Se tutto questo mondo è vuoto, nonv’ha allora nè apparizione nèsparizione di nulla:in conseguenza, per te,le quattro sante verità non esistono.

A

Nagarjuna, le stanze del cammino di mezzo

89
Q

L’insegnamento della legge da partedegli Svegliati si svolge in base a due verità:la verità relativa al mondo e la verità assoluta

A

Nagarjuna, le stanze del cammino di mezzo

90
Q

Se il figlio è prodotto dal padre se, a sua volta, il padre e prodotto dal figlio, chi è dimmi, il produttore? E chi il prodotto?

A

Nagarjuna la sterminatrice degli errori

91
Q

Non c’è differenza di significato tra il soggetto e il predicato nella frase”una non entità (cioè ciò che non è mai presente) non esiste”

A

Vaisesikasutra

92
Q

“Non c’è un vaso nella casa”. Ciò nega la connessione di un vaso reale con la casa.

A

Vaisesikasutra

93
Q

Gli antichi che volevano far risplendere nel regno la virtù luminosa, prima ordinavano il loro stato, volendo ordinare il loro stato, prima regalavano la loro famiglia, volendo regolare la propria famiglia, prima coltivavano la propria persona, volendo coltivare la propria persona, prima rettificavano il loro cuore, volendo rendere retto il proprio cuore, prima rendevano sinceri i loro pensieri,volendo rendere sinceri il loro pensieri, prima portavano a compimento la loro conoscenza portare a fondo la conoscenza consiste nell’ investigare le cose.

A

Grande studio, Confucio

94
Q

Sapere dove permanere vuol dire avere un punto fermo, avere un punto fermo vuol dire poter essere tranquilli, poter essere tranquilli vuol dire essere in pace, essere in pace vuol dire poter deliberare, poter deliberare vuol dire poter ottenere

A

Grande studio, Confucio

95
Q

Coltivare la propria persona per tutti è la radice, dal Figlio del Cielo a tutto il popolo.

A

Grande studio, Confucio

96
Q

Infatti chi cammina insieme agli stolti per lungo tratto si affligge. Sempre è doloroso stare con uno stolto, come con un nemico gioioso è stare con un sapiente, come incontrarsi con i parenti.

A

Dhammapada

97
Q

Perciò, o Sariputra, un bodhisattva, grazie al suo non ottenere, rifugiandosi nella perfezione di sapienza, dimora privo di coperture mentali. In assenza di coperture mentali, egli non trema e supera gli errori, e ottiene stabilmente il nirvana

A

Il Sutra del cuore della perfezione di sapienza

98
Q

[Domanda] in questo testo autorevole che è la gita, viene deteteminato con certezza che il supremo mezzo realizzatore del sommo bene sia la conoscenza, oppure che sia l’azione, o ancora che lo siano entrambe?

A

Bhagavadgitabhasya di Sankara

99
Q

Ma allora anche la conoscenza è vana? No. Perchè il suo essere disattivati e della nescienza, essa ha evidentemente come risultato finale l’isolamento.

A

Bhagavadgitabhasya di Sankara