Psicologia clinica Flashcards

1
Q

Cos’è il modello biopsicosociale?

A

È il modello creato dall’OMS nel 1986 che va a vedere la salute, ma anche la malattia (in ogni sua forma, fisica ma anche della psiche) come un insieme di diversi fattori: biologici (ereditarietà, ambiente), psicologici (attitudini comportamentali, adattamenti, ecc.) e sociali (famiglia, classe sociale, reddito). In questo modello si ritiene di vitale importanza non andare a imputare alla malattia un’unica causa, perché difficilmente una malattia deriva da un unico fattore, ma si vanno appunto a guardare diversi ambiti per vedere da quante cose diverse le stesse malattie possono scaturire in persone diverse. Si va a parlare anche dell’esistenza dei fattori di rischio, che sono dei fattori che aumentano il rischio che un soggetto possa ammalarsi. Dal punto di vista della psicologia clinica i principali fattori di rischio derivano da fattori ereditari, dall’attaccamento instauratosi tra madre e figlio, dalle difficoltà affrontate dalla famiglia nella vita del bambino e dallo stile educativo della famiglia.
Il modello biopsicosociale è dunque un modello che si estende in tutti gli ambiti della vita della persona, dalla salute alla malattia in tutte le sue forme.

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2
Q

Cosa sono i disturbi ansiosi?

A

L’ansia è il costrutto più transdiagnostico tra i disturbi. L’ansia infatti è una risposta normale e fisiologica del nostro corpo che va bene esista in determinate situazione, ma nel momento in cui diventa clinica, ossia inizia ad essere pervasiva, continua e va ad inficiare il normale funzionamento di un individuo, va affrontata per trovare una soluzione. Gli individui estremamente ansiosi sono persone che provano paura e ansia costanti, anche in situazioni in cui non c’è una minaccia reale o comunque non così grande da giustificare la reazione. Le persone ansiose vivono in perenne stato di arousal, sono paurosi, ansiosi ed evitanti rispetto al rischio reale o al pericolo presente. Il nocciolo della questione ansia si ritrova nel senso di minaccia percepito.
Troviamo diversi tipi di disturbi nello spettro dei disturbi d’ansia:
Disturbo d’ansia generalizzato: visto anche come un tipo di carattere in cui le persone sono in perenne stato d’ansia verso la vita e le situazioni, da bambini può essere vista come ansia scolastica o anche ansia da sport;
Ansia da separazione: un particolare tipo d’ansia che tocca soprattutto i bambini per la quale si provocano enormi quantità d’ansia se separati dalla figura di riferimento, si vanno anche ad immaginare scenari improbabili in cui alla figura di riferimento succedono incidenti o peggio nel momento in cui non è con il soggetto;
Fobia specifica: una paura enorme e immotivata verso un oggetto, un animale o una situazione particolare;
Fobia sociale: paura di stare in situazioni sociali, soprattutto per la paura di essere giudicati. Colpisce molto bambini, ma soprattutto adolescenti, in quest’ultimo caso può diventare molto invalidante;
Mutismo selettivo: è una forma di fobia sociale in cui il soggetto smette di verbalizzare in determinate situazioni della sua vita, ma comunque rimane capace di parlare;
Disturbo da panico: serie di attacchi di panico ravvicinati tra loro che portano la persona a provare sensazioni di malessere fisico e psicologico;
Agorafobia: paura di trovarsi in situazioni in cui non esistono vie di fuga o posti in cui nascondersi, quindi la tendenza ad evitare di trovarsi in situazioni simili;

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3
Q

Disturbi d’ansia e interventi.

A

I disturbi d’ansia sono dei disturbi per cui le persone che li provano sono in perenne stato di paura, ansia ed evitanti di situazioni che per loro possono essere pericolose. L’ansia è uno dei costrutti più transdiagnosticati e questo perché comunque l’ansia è qualcosa di fisiologico che però, se portata all’estremo diventa qualcosa di patologico e clinico. I disturbi d’ansia possono avere diverse forme, ma sono tutti accomunati da un alto stato di arousal e una paura, per lo più immotivata, verso situazioni, oggetti, animali o persone. Gli interventi che si possono fare per i disturbi d’ansia sono molteplici, dipendentemente dalla corrente di pensiero che si segue. Per l’ansia si può andare a lavorare su diversi obiettivi:
Riconoscere ciò che succede al nostro corpo ed i nostri stati interni;
Lavorare sull’ansia in maniera costruttiva;
Apprendere abilità cognitive di gestione dell’ansia;
Togliere l’evitamento;
Uno dei metodi utilizzati che riscuote molto successo è il metodo comportamentista della desensibilizzazione sistematica: in questo metodo si usa un controcondizionamento per cui si va a porre accanto a un qualcosa che provoca ansia, un qualcosa che invece provoca la sensazione opposta nel soggetto. Si richiede al soggetto inoltre di andare a fare una scala gerarchica delle situazioni che gli creano ansia andando poi a lavorare dalla meno ansiogena alla più ansiogena, lavorando per destrutturare l’ansia. Si può lavorare sia facendo immaginare al soggetto la situazione, sia facendogliela vivere dal vivo, in questi casi si chiama tecnica dell’esposizione e quello che si prova a fare è anche di andare a togliere il rinforzo positivo che è l’evitamento. Esistono anche tecniche che coinvolgono la realtà virtuale permettendo al soggetto di cimentarsi in una situazione il più possibile vicino a quella reale, ma che reale non è.
Da altre correnti di pensiero sono poi arrivati altri metodi per contrastare l’ansia, tra cui: ristrutturazioni cognitive, training assertivi, tecniche di rilassamento e mindfulness.

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4
Q

Similarità e differenze tra ansia e paura.

A

Ansia e paura possono avere dei tratti comuni, tant’è che spesso le persone possono avere difficoltà a distinguerle. Spesso uno stato d’ansia segue uno stato di paura, questo perché dopo la paura si ha il timore che la situazione possa tornare e ciò scatena lo stato d’ansia. Entrambe sono collegati ad alti stati d’arousal e a sensazioni corporee. In entrambe ci sono stati di apprensione e tensione con stati emotivi negativi e disagio. Le differenze però tra paura e ansia ci sono e sono preponderanti sulle similarità. La paura si crea in stati di minaccia evidente in cui è chiara la minaccia e la causa scatenante, la paura c’è secondo un motivo e nel momento in cui il motivo di paura si allontana se ne va anche la paura stessa. Nella paura la minaccia è circoscritta ed imminente, dunque l’emozione di per sé ha carattere emergenziale. Nell’ansia la causa è spesso incerta, si avverte uno stato di minaccia, ma senza che la minaccia ci sia realmente o comunque la minaccia non è commisurata allo stato d’ansia che si prova. L’ansia non se ne va nel momento in cui la minaccia non è più presente, anche perché la minaccia non deve per forza essere presente, come detto in precedenza. L’ansia è generica, non razionale e dunque sconcertante.

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5
Q

Intervento psicoeducativo.

A

Un intervento psicoeducativo è utilizzato quando siamo davanti a dei comportamenti problemi o a dei problemi specifici che hanno bisogno di un intervento per poter migliorare. Si va a fare per evitare che la persona con problemi rimanga indietro, quindi l’obiettivo è andare a togliere lo svantaggio cercando di mettere la persona al livello degli altri. Lo schema operativo è fatto di 4 step: 1) realizzazione della rete di alleanze tra famiglia e genitori; 2) interventi non specifici a favore dell’acquisizione di abilità specifiche previste nelle fasi di sviluppo; 3) interventi specifici che derivano dalla conoscenza del problema; 4) fare in modo che ci sia l’adattamento migliore possibile al contesto.
Un intervento psicoeducativo si struttura in sei fasi:
Osservazione occasionale: momento in cui si vanno a raccogliere tutti i dati possibili sul soggetto, sia dal punto di vista della documentazione, sia dal punto di vista di persone a lui vicine. Si fa un’osservazione occasionale per vedere quali sono i comportamenti problema, quando insorgono e come e quando andare ad osservarli più in profondità. Con questo step si cerca dunque di realizzare un profilo di funzionamento del soggetto e dell’ambiente che lo circonda;
Osservazione sistematica: un’osservazione più rigida rispetto alla precedente, ma comunque una tecnica facile per monitorare una persona. Vanno stabiliti gli obiettivi di osservazione. Ciò che ci si deve ricordare è che bisogna utilizzare linguaggio operazionale, si deve pensare che siano coinvolti più osservatori, per mantenere intatta il più possibile l’oggettività e bisogna tenere conto del contesto. Si vanno a predisporre gli indicatori che devono essere osservabili, gestibili, specifici ed esaustivi. Si vanno anche a fissare anche il parametro osservativo (comparsa, durata, percentuale, frequenza, intensità, ordine di comparsa) e il tempo che si va a dedicare all’osservazione (continua, intervalli fissi, intervalli variabili e intervalli critici).
Analisi funzionale secondo il modello A-B-C: se nell’osservazione sistematica si ha un’analisi quantitativa dei dati chiedendosi cosa, nell’analisi funzionale si fa un’analisi qualitativa dei dati chiedendosi perché. Ciò che si va a vedere con l’analisi funzionale è perché quel determinato comportamento insorge andando a vedere quali sono gli antecedenti, ossia tutto ciò che accade secondi prima dell’insorgenza del comportamento, e quali sono le conseguenze, ossia tutto ciò che accade subito dopo e potrebbe anche fungere da rinforzo. Non si va dunque a riporre l’attenzione sul soggetto, ma su ciò che causa il comportamento cercando di andare a lavorare su questo in un futuro intervento. Ciò che ci si deve ricordare è che ogni comportamento, anche quelli più disfunzionali, hanno una funzione che è stata messa in atto dal soggetto perché gli è sembrata la più funzionale.
Intervento: si passa all’intervento vero e proprio che può andare a lavorare su ambiti diversi. Si può lavorare sugli antecedenti, sulle conseguenze oppure su altre cose come dare ai soggetti delle abilità in più per affrontare generalmente la vita per esempio abilità di problem solving, abilità di controllo delle proprie emozioni e simili.
Osservazione ed ulteriori interventi: si osserva ciò che è derivato dall’intervento e nel caso se ne programmano altri;
Generalizzazione e follow up: si va a vedere se ciò che è stato appreso è stato generalizzato ad altri ambiti e se ciò che è stato appreso è rimasto oppure se dopo un po’ di tempo il soggetto è punto e a capo.

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6
Q

Cos’è il disturbo ossessivo compulsivo?

A

Il disturbo ossessivo compulsivo, o DOC è un disturbo che si concentra su ossessioni e compulsioni che si attivano in una persona. Le ossessioni sono dei pensieri ripetitivi e pervasivi che vanno ad intaccare diversi ambiti di vita rendendo la persona impossibilitata a vivere una vita normale. Le compulsioni invece sono azioni che il soggetto sente di dover ripetere per un certo numero di volte per allentare l’ansia o per evitare il suo insorgere. Nel DOC possono essere presenti entrambe ma anche solo ossessioni o solo compulsioni. Perché sia diagnosticato DOC le ossessioni e/o le compulsioni devono prendere una grande quantità di tempo e devono essere pervasivi andando ad impattare diversi ambiti della vita del soggetto. Una terapia utile è una terapia di tipo cognitivo che va a ristrutturare il modo di pensarsi del soggetto andando a promuovere modi meno disfunzionali di percepirsi e correggendo le interpretazioni erronee.

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7
Q

Disturbi unipolari (dell’umore), criteri diagnostici e terapie.

A

I disturbi unipolari sono chiamati anche disturbi dell’umore ed un tempo erano trattati nelle psicosi maniaco-depressive. Negli anni ’20 però si è capito che i disturbi unipolari potevano essere qualcosa di diverso dai disturbi bipolari, così ne sono stati staccati e trattati a parte. La depressione maggiore è il più significativo tra i disturbi dell’umore ed è caratterizzato da uno stato di umore deflesso verso il basso che perdura nel tempo e causa una compromissione delle funzionalità del soggetto che ne è affetto. La depressione va a coinvolgere diverse sfere della vita di una persona: sfera emotiva, cognitiva, fisica e motivazionale. La depressione può precedere o aiutare l’instaurarsi di malattie del corpo, ma anche altre sofferenze della mente. I fattori che la causano possono essere di diverso tipo: familiari, genetici, psicologici, sociali o ambientali. Perché si parli di depressione bisogna avere 4 o più dei seguenti sintomi:
umore deflesso verso il basso per almeno due settimane, percepibile da noi stessi e da chi ci sta intorno;
aumento o diminuzione di peso evidente;
aumento o diminuzione dell’appetito;
stati di letargia o di insonnia;
incapacità di prendere decisioni, di pensare lucidamente;
sentimenti di svuotamento, inettitudine, senso di colpa;
pensieri di morte.
La depressione può essere trattata in una moltitudine di modi, ogni corrente di pensiero ha pensato ad un modo diverso per poterla trattare. Tra i tanti, ricordiamo la terapia/educazione razionale emotiva. Questa è un modello olistico di intervento ed è terapia o educazione in base se avviene o meno in ambito clinico. Si vuole andare a sviluppare nella persona un pensiero costruttivo andando a sostituire alle emozioni negative, delle emozioni positive andando ad incrementarne la frequenza e l’intensità, questo per favorire accettazione di sé, abilità di autoregolazione e aumento della tolleranza. Il modello seguito è il modello ABC delle emozioni per cui ciò a cui reagiscono le persone non sono situazioni vere e proprie ma la costruzione cognitiva della situazione. Ciò che si deve fare è una ristrutturazione cognitiva in cui si vanno a togliere i pensieri negativi che si basano sui pensieri irrazionali, cercando di allenare la mente a basare i propri pensieri su pensieri razionali.

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8
Q

Definizione di evento traumatico.

A

L’evento traumatico è un particolare tipo di evento o una serie di eventi a cui un soggetto può essere sottoposto in modo diretto quando è vittima stessa dell’evento, oppure in qualità di testimone (evento successo ad un famigliare, amico, ecc.) oppure in modo indiretto con la continua sottomissione di particolari di eventi traumatici. Il trauma ha una natura di rottura, è un qualcosa di improvviso, violento che non ci si aspetta e va a vedersi come una lacerazione della nostra integrità psichica. Le persone sono solitamente in grado di trasformare determinati eventi potenzialmente traumatici in brutti ricordi, grazie alla resilienza. Ci sono però momenti in cui il trauma è troppo forte e provoca una dis-integrazione andando a fare in modo che le informazioni non riescano più ad integrarsi in maniera coerente, provocando dunque un trauma, una mala integrazioni di informazioni che non riesce più a diventare un’esperienza formativa ed un brutto ricordo, ma spezza la nostra integrità psichica. Il trauma è dunque un momento in cui si è sopraffatti, non presenti, non si riesce a capire cosa sta succedendo.

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9
Q

Caratteristiche del PTSD.

A

Il PTSD è un disturbo che viene accompagnato da 9 criteri, 5 criteri che seguono la natura del trauma e 4 sulla persona che lo vive. Il criterio A va ad analizzare il trauma stesso e la modalità in cui la persona l’ha vissuto. I criteri B-C-D-E sono cluster sintomatologici, ognuno caratterizzato da una serie di sintomi:
la risperimentazione del trauma;
l’evitamento di tutte le situazioni traumatiche con il conseguente appiattimento affettivo e perdita di interesse;
iperattivazione e difficoltà a modulare l’arousal;
alterazioni negative dell’umore, della memoria e della cognizione.
Il trauma interessa l’interezza della persona, il trauma va a caratterizzarsi come una situazione in cui la persona vive, nonostante sia qualcosa di accaduto nel passato la persona continua a riportarlo nella situazione presente, continuando a sentire un senso di minaccia attuale. Per superarlo bisogna riuscire a rendersi conto che il passato è passato e può essere lasciato alle spalle, mentre il presente è un luogo sicuro. Nei bambini il trauma ha un vissuto simile a quello del PTSD, i bambini spesso vivono una serie di situazioni che prese una ad una non costituiscono traumi, ma che messe tutte insieme invece diventano impattanti nella loro vita. Questi sono i cosiddetti traumi nascosti che vanno poi ad impattare lo sviluppo dei bambini e sono situazioni non eclatanti di negazione dei bisogni fondamentali del bambino di sicurezza e di riconoscimento.
La resilienza è ciò che aiuta le persone a superare un trauma o proprio ad evitarlo, è grazie a questa caratteristiche che infatti le persone sono in grado di andare a trasformare quello che è un potenziale trauma in un’esperienza formativa che sicuramente non diventerà un bel ricordo, ma non diventerà neanche un trauma andando ad evolversi in un brutto ricordo.

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10
Q

Intervento per i traumi.

A

Le forme di intervento per i traumi sono molteplici, ogni corrente di pensiero ne ha pensata una diversa. Negli interventi si possono andare a fare degli obiettivi a lungo termine (che contano la risoluzione del trauma in sé e ristrutturano le distorsioni cognitive), oppure obiettivi a breve termine (che danno gli strumenti per affrontare stati d’ansia momentanei causati dal trauma, quindi gestione della crisi e contenimento dei sintomi). Tra le varie terapie si può nominare quella cognitiva che va a pensare ad una ristrutturazione del pensiero, quella comportamentale che prevede che il trauma invece sia affrontato, quella psicodinamica che invece va a vedere i meccanismi che causano il trauma e i meccanismi di risposta difensiva. Ci sono poi altre terapie più particolari, la NET che si basa sull’esposizione emotiva dei ricordi e la loro riorganizzazione coerente, la EMDR che invece si basa sull’ipnosi e sui movimenti oculari, oppure somatic experience che si basa invece sull’uso del corpo.

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11
Q

Disturbo dissociativo a scelta.

A

I disturbi dissociativi sono un gruppo di condizioni che comportano l’interruzione delle funzioni di memoria, coscienza, identità o percezione di una persona. La dissociazione non è una condizione patologica, tant’è che a tutti, tutti i giorni capitano casi di dissociazione (il classico sogno ad occhi aperti), questa però diventa patologica quando la dissociazione va a impattare sulla vita quotidiana della persona portando ad una perdita di informazioni necessarie producendo una discontinuità nell’esperienza della persona. I disturbi studiati sono: il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione, l’amnesia dissociativa e il disturbo dissociativo dell’identità.
Nel disturbo di depersonalizzazione si ha una situazione in cui il check con la realtà è positivo, la persona si rende perfettamente conto che non è la realtà ad essere alterata, ma è la sua percezione della realtà ad esserlo. Chi soffre di questo disturbo soffre di episodi di irrealtà, dove il mondo sembra un posto strano e irreale. È un disturbo che ha un decorso cronico con poche fluttuazioni di intensità.
Nell’amnesia dissociativa invece si ha una perdita di informazioni a proposito di episodi della propria vita, quindi informazioni biografiche. In questo caso a risentirne è solo la memoria episodica, in quanto la memoria procedurale e quella semantica rimangono intatte. Le informazioni però non sono scomparse, sono poco sotto la coscienza. A volte la sofferenza di queste persone è talmente ampia che all’amnesia dissociativa si allegano degli episodi in cui le persone se ne vanno di casa e si costruiscono, senza consapevolezza, un’altra identità, costruendosi una storia nuova. Solitamente questi episodi capitano dopo traumi. L’interruzione di questo genere di episodi può anche essere repentina.
Nel disturbo dissociativo dell’identità invece si ha una condizione per la quale 2 o più personalità vivono all’interno della stessa persona andando ad alternarsi nella presa dei comportamenti. In questa condizione si ha un’incapacità di ricordare grosse porzioni della propria vita, è qualcosa di radicale che non può essere spiegato con delle normali dimenticanze. In presenza di più personalità si hanno una serie di caratteristiche:
Le identità sono distinguibili da una persona esterna;
Ogni identità ha la sua storia, il suo nome, le sue peculiarità;
L’host identity è l’identità che più spesso si vede, ma non è detto sia la dominante o la meglio adattata;
Le alter identities hanno caratteristiche molto diverse tra loro e possono essere molte;
Alcune identità sanno dell’esistenza delle altre identità ed altre no, il rapporto non è simmetrico;
Alcune identità sono osservatrici nascoste e vengono fuori in condizioni di scrittura automatica, per esempio;
L’amnesia riguarda anche aspetti procedurali, semantici ed enciclopedici;

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12
Q

Disturbi da sintomi somatici

A

I disturbi da sintomi somatici venivano una volta caratterizzati nei disturbi somatoformi e facevano parte di nevrosi, venivano dunque trattati tra i disturbi ansiosi. Oggi i disturbi da sintomi somatici sono caratterizzati a parte e si dividono in diversi tipi di disturbi. Sono disturbi a cavallo tra medicina e psicologia per cui i pazienti hanno dei sintomi che si ripercuotono a livello fisico ma che sono in realtà partoriti dalla mente, ciò non vuol dire che il paziente stia fingendo dolore, perché il dolore ed il disagio sono reali. Si parla di questi disturbi quando il disagio è clinicamente significativo e va a compromettere il funzionamento della persona, possono avere un’origine medica o anche no. Si dividono in:
Disturbi da sintomi somatici: il soggetto rileva dei sintomi a livello fisico e vuole trovare delle spiegazioni per i detti sintomi. Il tempo che il soggetto passa a preoccuparsi per questi sintomi è molto, tanto che vengono interrotte le comuni attività quotidiane. I sentimenti, i pensieri ed i comportamenti legati ai sintomi sono eccessivi e lo stato di sintomatologia deve essere persistente. Le cause possono essere diverse: una malattia passata vissuta in prima persona o come testimone; absorption ossia la tendenza a concentrarsi su una propria esperienza; l’alessitimia, ossia l’incapacità di riconoscere le emozioni; affettività negativa, tant’è che la depressione è un grande fattore di rischio.
Disturbo da ansia da malattia: è ciò che una volta veniva definito l’essere ipocondriaci. In questo disturbo il soggetto ha delle preoccupazioni smisurate sull’essere malato o sull’ammalarsi, preoccupazioni che vanno ad incidere sulla sua normale vita. Solitamente non ci sono sintomi a livello somatico.
Disturbo di conversione: i soggetti lamentano dolori o menomazioni dal punto di vista fisico, come cecità, arti che non funzionano e via andare ma a livello neurologico non si riscontrano lesioni. Sono disturbi che solitamente insorgono in casi di stress e se ne vanno nel momento in cui non sono supportati da evidenze mediche.
Disturbo fittizio: il soggetto finge di avere una malattia per avere dei riscontri dal mondo esterno e per avere benefici che possono derivare dall’esterno o dall’interno del soggetto stesso. In alcuni casi si finge una malattia non sulla propria persona, ma su altri soggetti a carico della persona (minori o incapaci), in questi casi la malattia prende il nome di disturbo di Munchausen.

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13
Q

Cos’è l’attaccamento e tipi di attaccamento.

A

Bowlby definisce la teoria dell’attaccamento e va a definire l’attaccamento come il legame che si instaura tra figlio e caregiver dal primo momento, è un legame che prescinde dai bisogni primari del bambino in quanto sarà il legame che andrà a creare la personalità del bambino e la futura costruzione dei modelli operativi interni (rappresentazioni mentali di sé stessi e degli altri). L’attaccamento è dunque ciò che va a decretare la mamma come una base sicura, un punto fermo del bambino che va a sopperire ai suoi bisogni di vicinanza e che se viene a mancare provoca l’ansia da separazione. Il bambino inizia il suo percorso nella vita con un legame indiscriminato verso tutte le persone, per passare poi ad un legame preferenziale verso una persona in particolare arrivando infine ad un rapporto reciproco.
Tramite la sperimentazione della strange situation si è andati a delineare diversi tipi di attaccamento. La strange situation è una tecnica ideata dalla psicologa Mary Ainsworth nel 1960 e va a decretare qual è il tipo di attaccamento che intercorre tra madre e bambino. Nella strange situation un bambino affronta delle situazioni in cui è insieme alla madre, è lontano dalla madre ed in presenza di estranei, è da solo ed infine è di nuovo con la madre. In base a come il bambino si comporta in presenza ed in assenza della madre si possono andare a delineare diversi tipi di attaccamento:
Legame sicuro: al bambino non è mai mancata la base sicura, il punto di appoggio, ossia la madre è sempre stata disponibile a dare al bambino ciò di cui aveva bisogno. Nella strange situation il bambino, se la madre è presente, si sente libero di esplorare e giocare, può continuare a farlo anche se la madre se ne va anche se è possibile dello sconforto. Nel momento in cui la madre torna il bambino è felice di vederla e si lascia consolare e prendere in braccio;
Legame insicuro ansioso ambivalente resistente: la madre è ambivalente nei confronti del bambino, c’è e non c’è nella soddisfazione dei suoi bisogni, a tratti è accogliente a tratti lo rifiuta. Nella strange situation il bambino non si allontana dalla madre per esplorare, ha paura di lasciarla. Se la madre se ne va è sconfortato, ma quando torna è ambivalente anch’egli, vuole la madre ma la rifiuta.
Legame insicuro evitante: la madre è evitante nei confronti del bambino quindi nella strange situation al bambino non cambia niente che la madre ci sia o non ci sia, esplora e gioca senza guardare dov’è la madre.
Legame insicuro disorganizzato: la madre è abusiva, tratta male il bambino tant’è che il bambino nella strange situation sta più volentieri con gli estranei che con la madre, e diventa rifiutante nel momento in cui la madre si avvicina.

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14
Q

Cos’è il temperamento?

A

Il temperamento ha una base biologica ed emotiva della personalità, tant’è che ci aspettiamo dei tratti di personalità già da bambini molto piccoli. Il temperamento si può considerare un sottoinsieme della personalità dove nel temperamento andiamo a trovare le differenze individuali nei processi psicologici di base che costituiscono il nocciolo emotivo, attivazionale e attentivo della personalità. Mentre la personalità include anche abilità, abitudini, valori e il contenuto della conoscenza sociale.
Rothbart e Bates nel 2006 ne danno una classificazione che pone l’accento sui processi autoregolativi e reattivi che si basa su tre dimensioni significative: estroversione/inibizione, affettività negativa e capacità di controllo. Si è visto come il temperamento vada ad interferire in diversi ambiti della vita della persona che va ad interagire solo con situazioni, persone in cui si sentono al sicuro.
Nel 1994 Cloninger inventa invece il TCI (Temperament and character inventory) per cui la personalità è un complesso sistema gerarchico divisibile tra dimensione psicologica del temperamento e carattere. Cloninger afferma che il temperamento è qualcosa di ereditabile (supportato da dati genetici), precoce (osservabile nella prima infanzia) e legato all’apprendimento procedurale. Il carattere è invece qualcosa che si sviluppa nel corso della crescita, fortemente influenzato da fattori ambientali e legato all’apprendimento dichiarativo. Nel TCI Cloninger descrive 4 tratti temperamentali che riguardano risposte automatiche e preconcettuali a stimoli percettivi e sono: la ricerca di novità, l’evitamento del danno, la dipendenza dalla ricompensa e la persistenza. 3 tratti caratteriali che riguardano le differenze concettuali nel concetto di sé e vanno a riflettere le esperienze vissute: autodirettività, cooperatività e autotrascendenza.

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15
Q

Cosa sono i disturbi di personalità?

A

Sono manifestazioni comportamentali e relazionali di norma egosintoniche ma disfunzionali. Sono caratterizzati da pervasività situazionale, inflessibilità e rigidità e sono inoltre permanenti nel tempo. Non vengono sempre riconosciuti come disturbi in quanto tali dal soggetto, proprio per il fatto di essere egosintonici quindi vengono scambiati per lati caratteriali, nonostante ciò possono creare disturbo e malessere.
Un disturbo di personalità è:
Criterio A: un modello costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitiva, affettiva, funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi; (COME)
Criterio B: risulta inflessibile e pervasivo in un ampio spettro di contesti personali e sociali; (DOVE)
Criterio C: determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o altre aree importanti; (DOVE)
Criterio D: il quadro stabile è di lunga durata e l’esordio è in adolescenza o prima dell’età adulta; (QUANDO)
Criterio E: il quadro non è giustificato da altre malattie, effetti di farmaci o condizioni mediche generali.
Per la valutazione clinica la cosa migliore sarebbe fare una serie di interviste in tempi diversi per valutare i tratti della personalità nel tempo. La valutazione può essere complicata dai tratti egosintonici del paziente.
Tra i disturbi troviamo: disturbo paranoide di personalità, schizoide, schizotipico (CLUSTER A), antisociale, borderline, narcisistico (CLUSTER B), evitante, dipendente, ossessivo compulsivo di personalità, (CLUSTER C).

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16
Q

Disturbo borderline di personalità.

A

Il disturbo borderline di personalità fa parte dei disturbi di personalità ed è caratterizzato da instabilità personale, incapacità di mantenere relazioni interpersonali funzionali in cui si ha una supervalutazione e una svalutazione delle persone e delle relazioni. C’è una tendenza all’impulsività in cui predomina il presente. Si possono avere episodi in ambito cognitivo come dissociazioni, pensieri paranoidi, spunte psicotiche e momenti di stress. Ciò che è temuto dalle persone affette da questo disturbo è l’abbandono, tant’è che per evitarlo utilizzano tecniche manipolatorie e coercitive. I soggetti affetti da questo disturbo hanno spesso umore instabile e senso di identità personale instabile. È possibile che il dolore psichico sia sfogato in dolore fisico sul proprio corpo. Tendono a vedere minacce e rifiuto ovunque, anche dove non c’è. Hanno una iperattivazione del sistema di pericolo e una ipoattivazione dei circuiti frontali.

17
Q

Cos’è l’intelligenza?

A

L’intelligenza è un costrutto che ha avuto varie definizioni negli anni. Nella definizione di Wechsler l’intelligenza è un aggregato o la capacità globale dell’individuo di agire con uno scopo, pensare razionalmente o di confrontarsi in maniera efficiente con il proprio ambiente.
La definizione attuale prevede che l’intelligenza sia la capacità del soggetto di ragionare, pianificare, risolvere problemi e mostrare competenze flessibili; la capacità di astrazione e la capacità di apprendere praticamente e dagli errori ed è su base genetica ma anche ambientale.
Negli anni sono state inventate diverse teorie dell’intelligenza, si è parlato di fattore g in cui si parla di intelligenza cristallizzata e intelligenza fluida, età mentale, intelligenze multiple, intelligenza fattoriale a livelli, working memory.
Al giorno d’oggi però uno dei metodi ancora utilizzati per andare a valutarla sono le scale di Wechsler, per i bambini vengono usate la WISC e la WIPPSI, soprattutto per andare ad individuare disabilità intellettive.

18
Q

Livelli di Disabilità Intellettiva.

A

I livelli di d.i. sono formalmente DSM-V sono formalmente 4 anche se poi in realtà si va ad includere un quinto livello che è il FIL (funzionamento al limite) in cui il Q.I. è tra i 70 e gli 85, sono persone con qualche difficoltà di comprensione e legati ad un pensiero meno simbolico e più concreto, ma non rientrano nelle d.i.. Il DSM-V in realtà ha abbandonato l’utilizzo del calcolo del Q.I. per andare a classificare i livelli di d.i., ma al giorno d’oggi si va a vedere quanto la persona riesce ad adattarsi all’ambiente in cui vive, si vanno dunque a vedere le autonomie della persona. I livelli sono:
Disabilità intellettiva lieve: il soggetto riesce ad avere buone doti comunicative e sociali, anche se può incorrere in disregolazioni emotive. Il livello di adattamento è buono, se aiutato a raggiungere l’autonomia può essere in grado di essere autonomo nei propri bisogni fondamentali. Ci possono essere difficoltà nella lettura e scrittura, concetto di tempo e denaro. Sono soggetti facilmente manipolabili.
Disabilità intellettiva moderata: il soggetto rimane ad un livello elementare in cui c’è maggiore difficoltà di scrittura, lettura e calcolo. Le autonomie sono ridotte e c’è bisogno di una persona che lo aiuti nella quotidianità, soprattutto nei compiti più ardui. Possono esserci disarmonie evolutive. Si può incorrere in disregolazioni emotive che portano a veri e propri scoppi per la difficoltà autoregolativa. Le doti sociali sono compromesse, il vocabolario è limitato.
Disabilità intellettiva grave: il soggetto ha difficoltà comunicative, non è in grado di parlare correttamente (una parola per dire una frase). Coesistono difficoltà sociali legate alle abilità comunicative. L’autonomia è limitatissima e c’è bisogno costante di una persona che aiuti nei compiti quotidiani. Possono esserci compromissioni sensomotorie e disregolazioni comportamentali;
Disabilità intellettiva estrema: autonomie assenti, comunicazione e doti sociali probabilmente assenti o gravemente compromesse.

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Diagnosi di d.i. e intervento psicoeducativo.

A

La diagnosi di disabilità intellettiva arriva tenendo presente di tre fattori principali:
il soggetto deve essere compromesso nel funzionamento adattivo, quindi devono mancare le normali autonomie necessarie a rispondere ai contesti di vita;
il soggetto deve avere un deficit intellettivo che non gli permette capacità di problem solving, di ragionamento, pianificazione e apprendimenti scolastici e ambientali. Ciò deve essere confermato da un assessment clinico e da un test del Q.I.;
il soggetto non deve avere compiuto i 18 anni di età perché la d.i. non deve essere dovuta ad un decadimento dato dall’età del soggetto;
Gli interventi che si vanno a fare sui soggetti affetti da d.i. devono tenere conto di una serie di caratteristiche e si andranno ad impostare sui deficit, sulle abilità residue e sulle abilità emergenti. Un assessment sarà inutile impostarle totalmente sui deficit in quanto i deficit sono ciò che manca al bambino e non saranno modificabili da interventi, mentre ciò che bisognerà fare sarà impostare un lavoro che parta dalle abilità residue del bambino per andare a estrapolare nuove abilità emergenti.
L’obiettivo principale di qualsiasi intervento nei bambini con d.i. sarà dare loro autonomia, fare in modo che si possano adattare il più possibile all’ambiente in cui vivono per pensare ad un futuro in cui i loro genitori o chi per loro non ci sarà.
Negli interventi per comportamenti problema si andrà ad utilizzare l’analisi funzionale A-B-C per andare a studiare quali sono gli antecedenti che precedono un comportamento e le conseguenze del comportamento stesso per capire su cosa andare a lavorare per evitare l’insorgere e il rinforzo del comportamento stesso.
Tecniche utili con le d.i. si sono dimostrate essere alcune tecniche comportamentiste come la token economy ed il prompting unito al fading. Si è visto che aiutarli con dei rinforzi positivi estrinseci può essere un inizio andando via via ad eliminare il rinforzo esterno fino ad arrivare a dei rinforzi intrinsechi.

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Cos’è la Psicologia Positiva?

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E’ un modello di psicologia basato sul benessere. E’ stata influenzata dal cognitivismo, che doveva indagare a come il pensiero influenza le nostre emozioni e comportamenti. Seligman è partito proprio dal cognitivismo, studiando gli individui soddisfatti e contenti piuttosto che gli individui infelici. Era giunto il tempo che la scienza capisse le emozioni positive e fornisse indicazioni per la buona vita. Per Seligman gli elementi positivi andavano studiati con la stessa attenzione con cui andavano studiate le emozioni negative e gli stati negativi delle persone. Cinque elementi di base per una vita felice: (Modello PERMA)
Emozioni positive: via maestra per stato di benessere e felicità, permettono di compensare gli effetti delle emozioni spiacevoli ed eventi difficili. Come antidoti verso esperienze negative. Vanno riconosciute e ricercate.
coinvolgimento: in attività che ci piacciono, in cui sperimentiamo “stato di flusso”, ci fanno sentire particolarmente coinvolti nel presente;
relazioni sociali: coltivare relazioni positive, abilità di empatia e di ascolto per sapere stare con gli altri;
il significato: riusciamo ad essere felici nella misura in cui ci dedichiamo a qualcosa più grande di noi, una missione nella vita per esempio, portare avanti con passione i propri ideali;
la realizzazione: stabilire delle mete e ingaggiare un percorso per raggiungerle che ci dia benessere ed autoefficacia. Grinta (riuscire a raggiungere obiettivi anche se ostacoli).
Partito dall’impotenza appresa (esperimento con cani) in cui si è visto che se un cane imparava che non ci fosse salvezza emettendo comportamenti, allora anche in casi in cui la salvezza c’era non ci avrebbe provato.

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Cos’è la Mindfulness?

A

Dalla psicologia positiva e dal pensiero del Buddha è nata questa nuova consapevolezza che emerge dal prestare attenzione al presente, a ciò che abbiamo davanti, prestando attenzione ai nostri pensieri, al loro vagare in modo non giudicante. Può essere applicata a stati di sofferenza della mente come depressione maggiore, disturbi d’ansia, PTSD, disturbo borderline della personalità e molti altri.
Esistono dei corsi MOM che aiutano a imparare a gestire la propria mente per evitare di incorrere in pensieri che possono diventare ruminazioni mentali, ma diventare consapevoli di questi pensieri e riportarli in carreggiata senza giudicarli e giudicarsi. In un contesto educativo la mindfulness può aiutare a prestare attenzione al momento presente, può aiutare nell’autoregolazione e nella distrazione per aiutare il bambino nel proprio rendimento scolastico.
Si è dimostrata molto utile con bambini con autismo o con ADHD.

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Diagnosi ADHD e caratteristiche.

A

La diagnosi di ADHD può avvenire secondo una triade sintomatologica che prevede:
disattenzione: il bambino non è in grado di prestare attenzione in nessun ambito, neanche in ambito ludico, avendo dunque difficoltà con le regole;
inibizione: il bambino ha difficoltà ad inibire le risposte automatiche e non, non riuscendo dunque ad inibire neanche i comportamenti;
iperattività: il bambino è in continuo movimento, si può distinguere tra iperattività motoria, irrequietezza motoria ed agitazione, cambia anche con la crescita della persona.
Perché l’ADHD sia diagnosticato ci devono essere una serie di condizioni:
Ci deve essere iperattività/impulsività e/o inattenzione persistente che interferisce con il funzionamento e lo sviluppo del bambino;
Deve insorgere entro i 12 anni d’età;
Deve durare almeno sei mesi;
Deve essere pervasiva ed intaccare almeno due ambienti di vita del bambino;
Deve portare una compromissione significativa delle funzioni sociali, scolastiche e lavorative;
Per il DSM-V ci sono tre modelli di ADHD:
ADHD combinato: presenza di iperattività/impulsività e disattenzione;
ADHD prevalentemente iperattivo/impulsivo: il bambino è in grado di prestare attenzione ma c’è irrequietezza motoria o impulsività;
ADHD prevalentemente inattentivo: il bambino può anche stare fermo ma quello che manca è l’attenzione;
Per l’ICD-10 ci sono due principali tipi di ADHD:
Disturbo ipercinetico: presenza di irrequietezza motoria, impulsività e disattenzione;
Disturbo ipercinetico di condotta: presenza delle caratteristiche precedenti più disturbo della condotta.

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Evoluzione nel tempo dell’ADHD.

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L’ADHD ha una sua evoluzione nel tempo nelle persone, è un disturbo che non può scomparire, se una persona ce l’ha, ce l’ha per tutta la vita, ma nonostante questo a mano a mano che l’età avanza sembra sparire, ma cambia semplicemente il modo di essere. Nella prima infanzia, nell’età prescolare, l’ADHD raggiunge il suo picco di iperattività dove si vanno anche a vedere condotte aggressive, di disregolazione emotiva (dovuta alle funzioni esecutive), assenza di paura e disturbi del sonno. Nell’età scolare il livello di iperattività inizia ad abbassarsi ed entrano in scena le difficoltà cognitive. In adolescenza si ha un notevole abbassarsi della parte iperattiva dell’ADHD ma un innalzarsi della parte attentiva, l’adolescenza è il momento in cui possono formarsi anche disturbi dal punto di vista emotivo e sociale. Infine nell’età adulta l’ADHD ha come spostato la sua irrequietezza dall’esterno all’interno portando il soggetto ad avere qualche difficoltà lavorativa, cambiando spesso lavoro, non riuscendo ad avere una vita sedentaria, cercando sempre la novità ed avendo una vita spericolata.

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ADHD e funzioni esecutive.

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Le funzioni esecutive nell’ADHD risultano compromesse, le FE sono legate alle aree prefrontali del cervello e hanno uno sviluppo lento anche nei bambini a sviluppo tipico. Funzionano meno quando si è stanchi, ma anche quando si è in preda a forti emozioni, cosa che nei bambini con ADHD può succedere spesso.
I bambini con ADHD hanno dunque diverse difficoltà in questi ambiti che vanno a colpire la loro capacità attentiva, tant’è che i soggetti affetti da ADHD hanno difficoltà a rimanere concentrati su un’attività, ne sono capaci, ma solo se l’attività è più stimolante rispetto a tutto ciò che hanno intorno. Qualsiasi stimolo catturerà la loro attenzione, questo perché hanno una scarsa attenzione sostenuta. Si dice che i soggetti hanno prestazioni discontinue e questo avviene per diverse motivazioni: l’inattenzione sicuramente, ma giocano un ruolo anche lo scarso monitoraggio del tempo e la mancanza di organizzazione. La mancanza di organizzazione deriva dal fatto che non sono capaci di organizzarsi le attività da fare, ma questo non perché non lo vogliano fare o per mancanza di intenzione, ma fanno proprio fatica e ciò è legato strettamente al monitoraggio del tempo. I bambini con ADHD vivono nel presente e fanno difficoltà a stimare il tempo che ci vuole per fare una qualsiasi attività, per questo spesso procrastinano nell’iniziare andando anche a sottostimare il compito per poi, una volta iniziato, rendersi conto di averlo sottostimato ed andare a sovrastimarlo abbandonandolo per mancata fiducia nelle loro capacità, a quel punto.
Hanno una memoria di lavoro limitata, non riescono a tenere nella ML le informazioni che servono per attività e vita quotidiana, ma questo è un ostacolo facilmente aggirabile perché l’ambiente può diventare il loro lobo frontale esterno e fungere da ML tramite biglietti, cartelloni, reminder di quali sono le regole e cosa ci si aspetta da loro.
Sono soggetti che hanno difficoltà nella flessibilità, non cambiano abitudini volentieri e facilmente, inoltre hanno difficoltà nella gestione delle emozioni, il che può portarli a veri e propri scoppi emotivi. Andando verso l’adolescenza possono anche sviluppare comportamenti aggressivi, con parolacce e bugie.

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Terapie per ADHD

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Si è visto che una terapia che funziona abbastanza bene è la terapia multimodale che ha un approccio che va ad abbracciare tutta la vita del soggetto con ADHD prevedendo training cognitivo-comportamentali, parent training, teachers training e trattamenti farmacologici. Il problema di questo tipo di intervento è che sembra non durare nel tempo, se non viene rinfrescato continuamente i benefici tendono a scemare nel tempo.
L’intervento psicoeducativo tende a prendere tutti i parametri precedenti togliendo i trattamenti farmacologici. Quello che si vuole andare a fare non è tanto agire sul soggetto, ma sull’ambiente e le persone che lo circondano tentando di lavorare intorno a lui con lui. Per quanto riguarda le insegnanti, si cercherà di avere in classe personale formato a gestire la classe in un modo adatto al bambino (spazi, tempi, compagni), questo appunto per trovare strategie ed interventi che lavorino non tanto sul comportamento del soggetto, ma tanto su chi interagisce con lui.
I parent training da questo punto di vista sono molto utili in quanto permettono ai genitori non solo di capire i propri bambini e sapere come affrontare loro ed i loro comportamenti, accettandoli per come sono, ma aiuta i genitori stessi. Sicuramente avere un bambino con ADHD non è facile e dunque questi gruppi funzionano anche come supporto emotivo dei genitori.

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Disturbo della Condotta.

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Il disturbo della Condotta è un disturbo che può essere prodromico per un disturbo ben più grave che è il disturbo antisociale della personalità.
Per essere diagnosticato bisogna rilevare una condotta ripetitva e persistente in cui i diritti fondamentali di persone e animali e le principali norme societarie vengono violati. Si devono avere almeno 3 criteri presi da una rosa ampia di criteri in cui si parla di lesione di diritti di animali o persone, lesione della proprietà altrui, frode, o in caso di giovane età, violazioni gravi delle regole.
E’ un disturbo che ha un impatto molto elevato nella vita del soggetto, solitamente si è in presenza di limitate emozioni prosociali, appiattimento emozionale e mancanza di empatia.
La gestione ed il trattamento puntano ad integrare l’individuo il più possibile nella società dandogli abilità sociali, sviluppo morale, migliorare educazione e occupabilità minimizzando la criminalità e la comorbidità con altre malattie psichiatriche e disturbi dello sviluppo.

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Caratteristiche della Sindrome di Tourette.

A

La sindrome di Tourette è anche chiamata la sindrome dei tic e questo perché la sua caratteristica principale è quella di essere affetti da un certo numero di tic motori e vocali. Perché si parli di sindrome di Tourette ci devono essere un certo numero di tic che dura almeno un anno dalla comparsa del primo e deve avvenire entro i 18 anni di età. E’ un disturbo che funziona ad onde, ci possono essere periodi con meno tic e periodi con un maggiore numero di tic. L’alterazione non deve avvenire con il consumo di sostanze o in presenza di altre condizioni mediche. I tic possono portare anche a comportamenti ossessivi compulsivi che possono derivare dal provare a non fare salire l’ansia e lo stress. In periodi di forte ansia e stress infatti i tic possono peggiorare, inoltre se si prova a sopprimerli possono tornare più forti di prima.

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Q

Terapie per il trauma

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NET (esposizione emotiva dei ricordi e riorganizzazione coerente)
EMDR (movimenti oculari)
Somatic experience (uso del corpo)

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Q

Modello PERMA

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Emozioni positive
Coinvolgimento
Relazioni sociali
Il Significato
La realizzazione

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Disturbi da sintomi somatici (solo elenco)

A

Disturbo da sintomi somatici
Disturbo d’ansia da malattia
Disturbo di conversione
Disturbo fittizio

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Disturbi unipolari una volta?

A

psicosi maniaco depressive

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Q

Disturbi somatici una volta?

A

Disturbi somatoformi sotto nevrosi. Trattati come disturbi ansiosi