Parte generale Flashcards
Che cos’è la funzione fiscale?
Con la nozione di funzione fiscale ci riferiamo a quell’acquisizione di flussi di entrate finanziarie derivanti dall’incasso di tributi applicati sui consociati. Questa vale a denotare un elemento qualificante ed imprescindibile della sovranità, in assenza della quale l’istituzione governante non sarebbe idonea a governare una collettività organizzata per via delle diverse funzioni nelle quali poter scomporre la funzione fiscale, ovvero:
- funzione fiscale primaria: l’acquisizione di un flusso di entrate stabili da mettere al servizio delle varie esigenze di spesa individuate dal bilancio pubblico. Tale funzione è quella
strutturale, e opera per garantire la stabilità delle finanze pubbliche in assenza della quale
tutti i servizi pubblici non potrebbero sopravvivere.
-funzione fiscale secondaria: Ravvisabile nella ripartizione del carico fiscale fra i consociati
consente una redistribuzione della ricchezza.
-funzione fiscale collaterale: un determinato prelievo tributario può incidere anche nella
convenienza economica di certe attività o pratiche commerciali, potendo costituire
agevolazioni o essere disincentivante.
Differenza tra imposta, tassa e contributo
L’imposta è un tributo svolgente una funzione solidaristica. E’ destinata alla copertura di oneri economici pubblici per i quali ciascun contribuente è debitore. In ogni norma che la prevede è affiancata da indici di riparto: chi ha maggiore capacità contributiva contribuirà maggiormente a finanziare le spese pubbliche che l’imposta è chiamata a coprire. L’imposta risponde allo schema secondo il quale chi più può più paga, vi è solidarietà.
La fonte dell’imposta è esclusivamente la legge, quindi l’obbligazione d’imposta trova fonte ex legge e per questo è un prelievo coattivo.
L’imposta svolge anche la funzione di redistribuzione della ricchezza, proprio per il principio solidaristico che ne sta al di sotto. Esempio d’imposta è l’IRPEF.
La tassa è un prestazione pecuniaria coattiva che il soggetto passivo è tenuto a corrispondere all’ente pubblico in relazione alla fruizione di un servizio. Si può pagare la tassa anche senza trarre alcun beneficio da quel servizio erogato; in questo caso si dice che il servizio pubblico è provocato e non richiesto dal soggetto obbligato e che quindi non necessariamente deve apportargli un beneficio.
Esempio di tassa è la TARI.
La differenza tra tassa e imposta è che la prima è correlata ad un servizio pubblico, la seconda converne la ripartizione di costi legati all’esistenza della res pubblica indefinitamente considerata (salve le imposte che sono correlate ad una specifica spesa).
Quindi tassa= obbligazione corrispettiva, dovuta solo se il servizio è erogato (anche male, importante che sia erogato)
Imposta= contributiva (dovuta sempre!)
I contributi possono essere ricondotti alla fattispecie di tasa o imposta. E’ un prelievo coattivo di ricchezza effettuato nei confronti di coloro che traggono un beneficio individuale da opere o servizi di rilevanza generale.
In maniera simile a quanto avviene con le tasse, anche il contributo nasce con lo scopo di far gravare una parte del costo del servizio o dell’opera su coloro che se ne avvantaggiano in maniera specifica.
Il monopolio fiscale
E’ quel tributo imposto al monopolista. Il monopolio in Italia va autorizzato dallo Stato, e in virtù di
questa concessione il monopolista è tenuto a pagare tale tributo presa a base di calcolo le vendite.
Esempio è l’accisa.
Fonti del diritto tributario
Le fonti del diritto tributario sono quegli atti o fatti che pongono in essere il diritto, producendo e via via modificando le norme da cui è composto.
La Costituzione costituisce senz’altro la principale fonte del diritto tributario. Da essa possono essere ricavati i principi fondamentali della materia:
- Art 23 Cost. : fissa per la disciplina del tributo una riserva elativa a favore della legge intesa come fonte di produzione.
- Art 75 Cost. ; vieta il referendum abrogativo per le leggi tributarie
Art 81 Cost: vieta l’imposizione di nuovi tributi a mezzo della legge di approvazione del bilancio statale.
Queste norme delimitano la competenza delle fonti. Ci sono poi altre norme che concorrono a delimitare il contenuto che una certa fonte può assumere:
1. Art 53 Cost.: sancisce il principio per il quale tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Subordinatamente alla Costituzione, altre fonti primarie sono la legge in senso formale [tutti gli atti normativi emanati dal Parlamento e promulgati dal Presidente della Repubblica].
Poi vi sono le fonti parallele e subprimarie, che sono costituite da:
- Decreti legislativi; la delega legislativa deve essere deliberata dal Parlamento e deve essere effettuata a favore del Governo solo per un periodo limitato e conn un oggetto definito, la legge di delega deve contenere anche i principi e criteri direttivi ai quali dovrà uniformarsi il Governo.
-Decreti legge; Questi vengono emanati direttamente dal Governo in assenza di delega dal Parlamento in casi straordinari di urgenza e necessità e sono chiamati ad essere convertiti in legge sin dal primo giorno di presentazione alle camere che avviene il giorno dell’emanazione.
Perdono di efficacia se non sono convertiti in legge entro i 60 giorni. In ambito tributario se ne fa ampio utilizzo.
Inoltre, la contabilità pubblica prevede il principio secondo il quale il complesso delle entrate deve coprire le spese, dunque ogni volta si debba provvedere con urgenza ad una spesa, con altrettanta urgenza si deve provvedere a rintracciarne la copertura. Molto spesso tale strumento viene abusato, è il caso ad esempio del fenomeno della plurima reiterazione dei decreti legge, mediante il quale il governo alla scadenza dei 60 giorni promulga un altro decreto legge stabilendo che questo faccia salvi gli effetti del primo. In questo modo il Governo si attribuisce i poteri del legislazione, in violazione degli art 77 e 15 della Costituzione (solo le Camere possono con legge regolare i rapporti sorti sotto decreti non convertiti.
Poi la riforma dell’art 117 della Costituzione ha equiparato la titolarità della funzione legislativa tra Stato e Regioni; anche se per alcune materie è presente la riserva di legislazione dello Stato, però in altre manca questa riserva e quindi sono le regioni a decidere.
Quali sono le fonti comunitarie?
Le fonti comunitarie rivestono un ruolo importante nel quadro delle fonti del diritto tributario. Vanno distinte in fonti primarie (disposizioni contenute nei trattati TUE e TFUE) e fonti derivate ( le disposizioni prodotte dai vari organi comunitari).
I trattati TUE e TFUE hanno valenza costituzionale e rientrano tra le fonti primarie.
Le fonti derivate sono regolamenti e direttive.
I regolamenti hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi, sono applicabili all’interno di ogni stato membro. Hanno efficacia diretta e immediata (no norma di recepimento) sui cittadini europei.
Le direttive hanno bisogno del recepimento; queste hanno spesso l’obiettivo di armonizzare la legislazione nazionale con quella comunitaria e nel diritto tributario se ne fa ampio ricorso in materie di IVA, etc.
Dato che la direttiva non è efficace fino al recepimento il rischio di inadempienza del singolo stato membro è molto alto, per questo è stato istituito il principio per cui una direttiva scaduta è immediatamente vincolante ed efficace.
Qual è il rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale?
Se viene emanata una norma comunitaria discordante con una norma nazionale già in vigore, quest’ultima viene disapplicata.
Le convenzioni internazionali sono una fonte del diritto tributario?
Le convenzioni internazionali sono fonti costituzionalmente interposte e non sono di per sé fonti del diritto tributario. NON producono norme generali bensì norme speciali le quali non trovano applicazione diretta e immediata ma necessitano della ratifica. Trovano applicazione solo in deroga alla norma geneale laddove le due presentino antinomie.
Tali norme sono interposte tra la costituzione e la legge ordinaria, ovvero integrano il parametro costituzionale. Esempio è la CEDU.
Quali sono le fonti normative secondarie?
Sono i vari regolamenti governativi e ministeriali. La legge 400/1988 indica vari tipi di regolamenti:
1. regolamenti di carattere esecutivo; sono volti ad introdurre semplici prescrizioni di dettaglio indispensabili x rendere operative nel concreto norme di fonte primaria.
2. regolamenti di carattere attuativo o integrativo; servono a completare una determinata disciplina che in loro assenza risulterebbe lacunosa.
3. regolamenti delegati; sono quelli che traggono origine da una norma di legge che delega agli stessi la fissazione delle norme generali regolatrici di una materia e la competenza nell’abrogazione delle norme vigenti con effetto dell’entrata in vigore delle norme suddette.
Che cosa intendiamo se parliamo di norma tributaria nello spazio? Quali sono le questioni a cui ci si riferisce?
Si vuol far riferimento a 3 questioni:
1. Problema della determinazione dello spazio entro il quale la legge deve esplicare la propria validità ed efficacia.
=la legge tributaria statale è valida ed efficace su tutto il territorio statale fatte salve alcune deroghe legislative.
la legge regionale è efficace nel territorio di competenza ma la validità è erga omnes, è valida e attuabile da qualsiasi organo giurisdizionale ed amministrativo chiamato a dar loro attuazione.
La legge tributaria statale è esclusiva nel territorio dello Stato, salvo recepimenti da norme vigenti in un territorio straniero.
- Problema dei limiti entro i quali possono assumere rilevanza in materia tributaria tutte le operazioni realizzate del tutto o in parte fuori dal territorio dello Stato da soggetti residenti nello Stato stesso o realizzate nello Stato da soggetti residenti in un altro Stato.
= tutte le operazioni realizzate all’interno dello Stato da soggetti non residenti o al di fuori dello Stato da soggetti residenti possono essere rilevanti nella misura in cui il legislatore tributario le sottoponga a tributi interni
es. sono residente in svizzera vengo a lavorare in italia sarò soggetto ad IRPEF - però vi è un vincolo; tali fatti e operazioni devono essere legate da un carattere oggettivo o soggettivo all’ordinamento italiano. Quando il legislatore dice “tutti” nell’art 53 Cost. l’opinione più condivisibile è che con l’espressione tutti il legislatore intendesse tutti i soggetti x i quali si possa ragionevolmente definire un legame tra essi in quanto destinatari di una norma impositiva e il territorio/ordinamento dello Stato.
Solo un legame simile giustificherebbe la figura della solidarietà
- Problema dei limiti territoriali della potestà amministrativa di attuazione del prelievo, ovvero quel potere di dare concreta attuazione alle norme generali disposte dal legislatore.
Quando si ha doppia imposizione internazionale?
Si ha quando un fatto economicamente rilevante determina la nascita in capo ad un medesimo soggetto passivo di due obbligazioni tributarie, una conforme alla legislazione tributaria nazionale, l’altra in rispetto della legislazione tributaria di un altro stato. Questo è causato dal fatto che il suddetto fatto costituisce un presupposto d’imposta secondo un criterio oggettivo in uno dei due Stati, e un criterio soggettivo nell’altro:
a) criterio oggettivo = dà rilievo al legame tra fatto e territorio, in base ad esso sono passabili di imposizione tutte le situazioni che avvengono nel territorio dello Stato, prescidendo dal legame che c’è tra il soggetto che la realizza e il territorio medesimo. Se viene un polacco a lavorare qui deve pagare le imposte sul reddito in italia! il reddito è prodotto qui.
b) criterio soggettivo: dà rilievo al legame tra il soggetto e il territorio dello Stato= sono passabili d’imposta tutte le situazioni di fatto che vengono poste in essere da un soggetto legato al territorio dello Stato, indipendentemente dal luogo in cui le situazioni stesse si realizzano. Sono Italiano ma vendo cose in Polonia comunque pago l’imposta sui redditi in Italia.
Il discorso si complica per il fatto che diversamente i 2 criteri possono essere estesi nei diversi stati in quanto ad es. la nozione di residenza può essere intesa in modo diverso tra i 2 stati.
La doppia imposizione è svantaggiosa e disincentiva le operazioni tra gli stati dove si verifica, quindi sono presenti delle misure unilaterali che attenuano il criterio soggettivo:
1. Esclusione dell’imponibile interno dei fatti extraterritoriali tassati all’estero:
consiste nel sottrarre dai fatti imponibili quelli avvenuti fuori dal terrtorio nazionale per i quali, avendo avuto riguardo al criterio soggettivo, il soggetto passivo abbia già pagato un’imposta dello stesso tipo all’estero.
2. Attribuzione del credito d’imposta:
Si attribuisce al soggetto tassato un credito pari al minor importo tra l’imposta del medesimo tipo dovuta nel territorio nazionale e quella dovuta all’estero. Questo criterio può essere cumulativo per tutte le imposte pagate all’estero e l’imposta dovuta in Italia o sepaatamente in relazione all’imposta dovuta in un certo paese per la parte d’imposta contestabile in Italia in riferimento a quella stessa operazione con quel paese.
Questo è il sistema previsto dalla legislazione italiana ai fini IRES e IRPEF e dell’imposta sulle successioni.
Il TUIR stabilisce che se alla formazione del reddito concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte pagate lì sono ammesse in detrazione all’imposta dovuta in Italia fino all’occorrenza della quota d’imposta italiana corrisponde al rapporto tra redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo. Per più operazioni con diversi Stati, la detrazione si applica separatamente per ciascuno di essi.
Sono previste diverse convenzioni internazionali volte a scongiurare la doppia imposizione internazionale che hanno ad oggetto spesso l’attribuzione ad uno solo degli stati coinvolti in un’operazione interstatale della potestà normativa tributaria e spesso allo stato in cui l’imposta è attribuibile secondo criterio soggettivo.
Viene attribuita una preminenza normativa allo Stato in cui si verifica il fatto economico di riferimento e lo stato di residenza, in quanto l’onere dell’eliminazione della doppia imposizione si pone in capo allo stato si residenza convenzionalmente. Le norme contenute nelle convenzioni internazionali trovano efficacia nel momento in cui vengono ratificate e autorizzate con legge ordinaria del Parlamento.
Che cos’è l’attività finanziaria?
E’ quell’attività corrispondente all’acquisizione, gestione e di spesa dell’insieme dei mezzi economico-finanziari necessari allo Stato e agli enti pubblici minori per il raggiungimento delle loro finalità istituzionali.
E’ svolta dall’amministrazione finanziaria e il suo operato è regolato da apposite norme di diritto positivo (diritto finanziario). Il diritto finanziario concerne tutta l’attività finanziaria dello Stato e degli enti pubblici minori, dato che è molto ampio la dottrina divise il diritto finanziario in 2 filoni:
1. La contabilità di stato = attiene all’amministrazione del patrimonio e alla contabilità generale dello Stato.
2. Il diritto tributario: attiene all’attività dello Stato e degli altri enti pubblici diretta a procacciarsi le risorse economiche, in forza della supremazia che gli viene attribuita dalla legge.
Qual è la definizione di tributo? Perché si giunge al tributo?
Dicasi tributo quel prelievo di richezza effettuato coattivamente da un ente pubblico al quale non è collegato sinallagmaticamente un corrispettivo (in realtà il corrispettivo è legato indirettamente, perché con le imposte è possibile acquistare la res pubblica, di cui il singolo cittadino può usurfruire.
Un’entrata tributaria è rilevante in quanto, principalmente:
1. E’ impignorabile
2. Non è assoggettata ad altre forme di imposizione
3. Legittima ispezioni per l’accertamento di atti di evasione, che si pongono anche in deroga al principio di inviolabilità del domicilio.
Il tributo è presente nelle comunità organizzate di persone fin dalle prime città stato, perché col formarsi di una collettività si formano delle spese comuni, che vengono soddisfatte mediante un contributo comune, quale appunto il tributo. E’ la quota spettante ad un individuo per la ripartizione e la copertura di spese comuni.
Il diritto tributario è l’insieme di regole che disciplina la ripartizione delle spese comuni. I suoi compiti riguardano sia la finalità del prelievo dei tributi, ma anche la redistribuzione della ricchezza.
Quali sono le attività per mezzo delle quali lo Stato e gli enti pubblici riescono ad acquisire risorse finanziarie?
Le distinguiamo in due categorie:
-La categoria iure gestionis; che comprende tutte quelle entrate derivanti dall’amministrazione dei beni del patrimonio mediante la stipulazione di negozi del diritto privato (affitti, vendite etc), dalla gestione delle aziende pubbliche e attività similari.
- La categoria iure imperi, che comprende tutte quelle attività che danno luogo ad entrate patrimoniali consistenti in beni in denaro o in natura che lo Stato riesce a procacciarsi in maniera coattiva in base alla legge, al verificarsi di atti e fatti che la legge prevede come fonte di obbligazioni tributarie.
Queste prestazioni patrimoniali coattive si distinguono in:
Prestazioni patrimoniali di carattere sanzionatorio: Multe, ammende, pene pecuniarie,
sopratasse, confische le quali vengono commisurate al trasgressore nel caso di violazione
del dovere giuridico.
I prestiti forzosi: Forma rara di prestazione patrimoniale coattiva, consiste in forme di
finanziamento imposte dallo Stato ai suoi cittadini.
Prestazioni coattive di stampo commutativo, prestazioni parafiscali: Attiene ai contributi
previdenziali obbligatori (INPS, INAIL, casse di categoria etc) destinate alla copertura dei
costi della gestione previdenziale. Sono fonte di obbligazioni tributarie aventi ad oggetto
tali prestazioni il pagamento o la percezione di salari e stipendi da rapporto di lavoro
subordinato.
Espropriazioni per causa di pubblica utilità: Procedimenti mediante i quali lo Stato può
ottenere beni in natura coattivamente dal soggetto sul quale l’espropriazione grava.
Che cosa fa la polizia tributaria?
La sua potestà è l’insieme dei poteri che la legge attirbuisce all’amministrazione finanziaria per consentirle di adempiere alla funzione di controllo dl rispetto delle norme tributarie da parte dei destinatari delle stesse.
Dal punto di vista internazionale, l’amministrazione finanziaria di uno Stato non può compiere atti autoritativi di polizia tributaria in un altro stato e non può obbligare questo altro stato a compiere atti autoritativi in sua voce.
Le convenzioni internazionali attenuano tali principi per alcune tipologie di imposte producendo una collaborazione tra le diverse amministrazioni finanziarie di vari Paesi, normalmente non consentita.
L’Italia ha concluso accordi di questo tipo con circa 15 paesi. All’interno dell’UE la questione fu affrontata con una direttiva che impone la reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte sui redditi e sul patrimonio, e in seguito anche per l’IVA. Vi sono obblighi di rendicontazione in capo ai soggetti passivi d’imposta.
Dove termina il potere di applicazione concreta delle norme a carico delle amministrazioni competenti?
Riguarda il terzo problema! Vige il principio di non collaborazione tra le diverse amministrazioni finanziarie dei vari stati, salvo convenzioni e accordi in questa fattispecie molto meno frequenti rispetto a quelli sul mero scambio di informazioni e verifiche.
Generalmente questi accordi prevedono che l’a.f. di un Paese su richiesta di quella di un altro agisca per la riscossione delle imposte dovute da un soggetto di quest’ultimo Stato a quello richiedente secondo le norme sulla riscossione dei propri crediti tributari della stessa natura.
L’A.f. richiedente deve comunque attestare la definitività dell’atto impositivo o il passaggio in giudicato
della sentenza che costituisce titolo per la riscossione. All’interno dell’Unione, la disciplina è
regolata da varie direttive tra cui la direttiva 76/308 che prevede l’assistenza reciproca tra gli Stati
membri per la riscossione di alcuni crediti riconducibili all’applicazione della normativa sui dazi
doganali e la 79/1071 per l’IVA. Dal 2012, la previsione si estende a tutte le imposte e dazi con
relativi accessori.
Che misure ha predisposto l’ordinamento italiano riguardo la potestà di riscossione coattiva dei tributi e dei suoi limiti territoriali?
a) Inapplicabilità del regime dell’art 89 testo unico per imponibili apparentemente prodotti in
paradisi fiscali: Tutti i dividendi percepiti da società italiane per mezzo di società collegate
residenti in paradisi fiscali non costituiscono nè credito d’imposta, nè possono essere
portati in detrazione.
b) Normativa Controlled Foreign Companies: Sempre sui paradisi fiscali, prevede la possibilità
di portare a credito d’imposta o in detrazione quanto detto al punto a), ma solo a
condizione che:
1. Il soggetto residente in Italia detiene il controllo diretto o indiretto per tramite di
società fiduciarie o per interposta persona della società residente nel paradiso
fiscale.
2. Il soggetto residente nel paradiso fiscale deve necessariamente essere un’impresa,
una società o altro ente.
3. Il controllo deve essere provato come da art. 2359 c.c..
In questo caso se la tassazione cui è sottoposta la controllata è inferiore a quella italiana di
più del 50% dell’aliquota praticata sul suolo nazionale (in cui ha residenza la controllante)
allora le imposte pagate nel paese di residenza della controllata possono essere portate a
credito d’imposta fino all’occorrenza della tassazione separata di quegli utili, in caso
contrario questi vengono ritassati in Italia con l’aliquota del 26%, ovvero quella per i
dividendi.
Si noti che la normativa si applica anche in assenza di una politica di dividendo,
semplicemente nella misura della possibilità di attribuire alla controllante una porzione del
reddito prodotto dalla controllata nel paradiso fiscale.
Che cosa intendiamo per potestà tributaria?
Con l’espressione “potestà tributaria” ci riferiamo all’insieme delle potestà necessarie per istituire,
disciplinare, applicare e riscuotere i tributi. Distinguiamo dunque due aree:
Potestà di produrre atti normativi diretti alla disciplina del tributo
Potestà di accertamento tributario (potere di applicare le norme tributarie concretamente)
L’esercizio di tali potestà incontra dei limiti di natura costituzionale; l’art. 53 fissa come limite
l’impiego del principio di capacità contributiva, il combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost. ha
attribuito rilevanza costituzionale al principio di territorialità in forza del quale il legislatore può
adottare solo presupposti d’imposta che presentino elementi di collegamento col territorio dello
Stato ancora, l’art. 23 sancisce specificatamente la tipologia di atti normativi con cui deve essere
istituito il tributo ovvero la legge mentre l’art. 81 comma 3 vieta al Parlamento di stabilire nuovi
tributi con la legge di approvazione del bilancio. L’art. 75 costituisce invece una limitazione alla
sovranità popolare, sancendo che non possono essere indetti referendum abrogativi sulle leggi
tributarie.
Tale potestà spetta, come accennato allo Stato, alle Regioni e gli enti locali (Art. 117 Cost.)
Art 23 Costituzione
“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”
Tale articolo costituisce il principio di riserva legale in materia di imposte. Esso (detto anche
principio di legalità) mira sia a tutelare la libertà e la proprietà dei cittadini a fronte del potere di
imporre prestazioni patrimoniali e personali, sia a soddisfare l’esigenza che l’imposizione di
prestazioni venga demandata al Parlamento, l’organo titolare dell’indirizzo politico
rappresentativo del popolo. Una terza conseguenza è che l’intervento parlamentare mediante la
legge garantisce che ogni atto normativo sia suscettibile di controllo della Corte Costituzionale ai
fini di verificarne la conformità ai principi costituzionali.
Riprendendo le parole usate dal legislatore all’art. 23, si intuisce come si tratti essenzialmente di
interventi coattivi, le prestazioni vengono imposte, dunque hanno carattere obbligatorio verso il
soggetto destinatario non incontrandone dunque la volontà. Il tributo fa parte di queste
prestazioni imposte, ma non ne esaurisce il genere, il concetto di prestazione imposta va infatti
oltre il concetto di tributo potendo essere costituita anche da prestazioni non tributarie comunque
riconducibili alla legge o a provvedimenti amministrativi e dunque caratterizzate dal vincolo di
coattività, si pensi ad esempio alla leva obbligatoria. Sono da escludere alla sfera di applicazione
dell’art 23:
a) Le sanzioni pecuniarie penali
b) L’espropriazione per pubblica utilità dietro indennizzo
c) Prestazioni a contenuto negativo che si risolvono in limitazioni dell’iniziativa economica
privata.
Inoltre, il concetto di “legge” deve essere intepretato in modo estensivo anche agli atti aventi forza
di legge (d.l. e d.lgs) nonchè la legge regionale e i regolamenti comunitari.
Questa riserva di legge ha carattere relativo, in quanto riguarda le norme sostanziali e non quelle
di natura procedurale che possono essere determinate anche con atti diversi da quelli aventi forza
di legge prodotti dalla fonte secondaria. E’ il caso ad esempio della fissazione dell’aliquota o la
determinazione della base imponibile.
Art 53 Costituzione
Tratta del principio di capacità contributiva. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”
L’art. 53 della Costituzione sancisce il principio di capacità contributiva. Secondo questo principio,
contrapposto al principio di fruizione che si sostanzia nel principio del beneficio secondo il quale
ognuno dovrebbe pagare in relazione a quanto ha fruito del servizio (principio comunque
applicato per taluni tributi come quelli territoriali), ognuno dovrebbe pagare in relazione al quanto
può pagare e dunque in relazione alla sua disponibilità economica indipendentemente da quanto
fruisce dei servizi pubblici offerti, nozione propria del principio del sacrificio. Il principio di capacità
contributiva assolve a 3 differenti funzioni principali:
1) Assolve al principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 2 della Costituzione, tutti sono
chiamati a contribuire alla spesa pubblica (uguaglianza formale) ma in relazione alle
possibilità di ognuno (uguaglianza sostanziale).
2) Consente di bypassare il problema dei servizi indivisibili, per i quali non è possibile
riconoscere l’utilità tratta da ognuno, non consentendo l’applicazione del principio del
beneficio.
3) E’ alla base del principio di solidarietà (secondo il quale tutti sono chiamati a concorrere).
Il merito al comma 2 dell’art. 53, che il sistema tributario è informato a criteri di progressività
significa che si assume una maggiore incidenza percentuale del prelievo man mano che
aumentano le ricchezze sulle quali il prelievo è commisurato.
Il concetto di capacità contributiva è tradizionalmente associato a quella che è la capacità
economica del soggetto: non ha capacità contributiva (e dunque non può essere obbligato a
concorrere alla spesa pubblica) il soggetto che non abbia capacità economica. Vi sono due fattori
essenziali che si pongono a presupposto assoluto della presenza di capacità contributiva in un
soggetto:
1) Vi sia un fatto generatore d’imposta, un indice di forza economica costituito o da denaro o
ricchezze non monetarie agevolmente traducibili dal dispositore in danaro attraverso
scambi sul mercato.
2) Questo indice di forza economica deve poter essere attribuito a colui il quale è stato
ascritto a soggetto passivo d’imposta.
In presenza di tali due fattori, il soggetto detiene capacità economica e dunque capacità
contributiva, la quale capacità contributiva costituisce anche limite massimo all’imposizione:
nessuno può essere chiamato a concorrere alle spese pubbliche più di quella che è la sua capacità
contributiva.
Abbiamo capito che esiste un rapporto tra la capacità economica di un soggetto e la sua capacità
contributiva con la seconda che presuppone la prima. I due soggetti però non si identificano in
quanto esistono delle manifestazioni di capacità economica che non possono riferirsi a
manifestazione di capacità contributiva. Possiamo allora illustrare una relazione a cerchi
concentrici, dove la capacità economica racchiude la capacità contributiva. In propositivo, si devono aggiungere ai due fattori fondamentali altri fattori inessenziali o eventuali, che possono
essere individuati dal legislatore con carattere soggettivo o oggettivo fonte di quelli che sono i
regimi fiscali differenziati, che altro non sono che un riflesso della modifica o dell’estinzione della
capacità contributiva espressa dai due fattori essenziali. Per esempio, laddove un soggetto abbia
una capacità economica comunque idonea a costituire capacità contributiva per i due fattori
essenziali, se tale capacità economica è a mala pena sufficiente al soggetto per provvedere ai
bisogni propri e della propria famiglia questa non può essere ascritta a capacità contributiva, visti i
fattori eventuali. Questo principio è detto principio della non imponibilità del minimo vitale e non
si legge espressamente nella Costituzione, è ritenuto però implicito all’interno del principio di
capacità contributiva.
Principio della non imponibilità del minimo vitale
Questo principio implica:
Che cos’è il criterio di ragionevolezza?
L’esenzione per carichi di famiglia: non può esistere idoneità alla contribuzione se non
dopo che il soggetto, oltre alla soddisfazione dei bisogni primari propri, ha soddisfatto le
esigenze primarie di sopravvivenza dei propri familiari a carico.
Il legame tra capacità contributiva e principio di uguaglianza di cui all’art. 3 introdusse la necessità
di attuare un controllo di costituzionalità delle leggi tributarie rispetto all’uguaglianza, il quale si
raggiunge secondo quello che è il tertium comparandum: vista la norma impugnata dinnanzi la
Corte Costituzionale, si prende a riferimento l’art. 3 della Costituzione e una norma di legge
diversa dalla legge impugnata usata come termine di paragone per la prima. Questa norma
utilizzata per la comparazione (il tertium) deve rispettare tutta una serie di caratteri riscontrati
dalla Corte Costituzionale, questa deve rispondere ad un principio o una regola generale e deve
sempre essere una norma di diritto vigente. Non è rilevante la sua collocazione in un ramo preciso
dell’ordinamento giuridico, sicchè una norma di diritto tributario può essere valutata preso per
tertium una norma di diritto penale ad esempio.
Questo controllo di legittimità costituzionale preso il principio di uguaglianza è svolto nel nostro
ordinamento come dovere di coerenza sistematica da parte del legislatore ma non è un postulato,
nel senso che il legislatore può, per il criterio di ragionevolezza, agire in un modo non razionale
come quello proposto e dunque violare formalmente il principio di uguaglianza, al fine di
garantirne la conformità sul piano sostanziale. Ecco allora com’è possibile sia valida ed efficace una
norma speciale che disciplini un trattamento fiscale agevolato in talune parti del paese rispetto ad
altre ad esempio.
Si pensi al verificarsi di una calamità naturale in una certa regione del paese, il legislatore secondo
il principio di uguaglianza non potrebbe varare una norma speciale destinata a diminuire il carico
fiscale in capo ai soggetti ivi residenti, ma può farlo secondo il criterio della ragionevolezza e allora
ciò interviene nel giudizio di costituzionalità per violazione dell’art. 3 e il parametro diviene
l’irragionevolezza. Sono state proposte varie forme di irragionevolezza:
Irragionevolezza come contraddizione intrinseca: Dove è presente una contraddizione tra
lo scopo o funzione della legge ed il suo disposto concreto. In altre parole lo scostamento
tra la volontà del legislatore e il prodotto legislativo effettivo finale.
Irragionevolezza come contraddizione estrinseca: Si ha laddove vi sia assenza di continuità
di giudizio, la legge è in contraddizione con elementi esterni e dunque suscettibile di
diverse applicazioni anche con senso opposto.
Riprendendo il concetto di capacità contributiva, il concetto stesso di capacità implica che
l’idoneità contributiva deve essere effettiva ed attuale, e non supposta o remota. Con riferimento
ai requisiti di effettività e attualità che l’idoneità contributiva deve avere affinchè un soggetto
possa essere chiamato ad essere soggetto passivo d’imposta nel nostro ordinamento furono
introdotte numerose presunzioni legali relative (ossia che ammettono prova contraria) per le quali
l’onere della prova è invertito (spetta al potenziale soggetto passivo provare che la presunzione sia
errata) e presunzioni assolute (rispetto alle quali è esclusa la prova contraria). Un primo tema in
merito a queste presunzioni è quello della legittimità costituzionale delle stesse: se per le
presunzioni relative il problema non si pone perchè si dà la possibilità al contribuente di
difendersi, nelle assolute questo problema si pone, la Corte Costituzionale potrebbe rilevarne
l’illegittimità. Tali presunzioni possono concernere l’esistenza del presupposto di fatto, la
determinazione della base imponibile, dell’aliquota etc.
Quanto detto vale anche per i metodi forfettari, sintetici, induttivi previste dalle norme tributarie
in ordine alla quantificazione della base imponibile di taluni soggetti passivi d’imposta, della
determinazione catastale dei redditi fondiari etc. Questi sono legittimi laddove siano previsti per il
contribuente in via opzionale e non assoluta.
Questo per quanto riguarda il requisito dell’effettività dell’idoneità contributiva, in seno
all’attualità, questo altro non è che una specificazione dell’effettività.
Quali sono le origini del principio dell’art 53 della Costituzione?
L’art. 53 originariamente era concepito a tutela del contribuente. Sopra il principio di capacità
contributiva vi era un principio di ragion fiscale il quale era volto a tutela del contribuente stesso
nei confronti della cd. fiscalità odiosa e delle sanzioni improprie, ovvero quelle sanzioni che
laddove applicate insieme al prelievo forzoso erano in grado di andare ben oltre la capacità
contributiva del contribuente. Secondo l’andamento predominante, anche dalla Corte
Costituzionale questo principio di ragion fiscale subì un radicale cambiamento di prospettiva:
ragion fiscale è il principio secondo il quale il soggetto attivo d’imposta può pretendere la
riscossione rapida e sicura dei tributi in virtù della tutela dell’interesse pubblico. In forza di ciò
spesso erano autorizzate e giudicate legittime forme di prelievo distorte anche in assena di indici
di effettiva forza economica (e quindi di capacità contributiva). Oggi, l’art. 53 e la “ragion fiscale”
così prospettato non può essere invocato, se non per supportare scelte che potenziano la giustizia
nella strutturazione di ciascuna imposta in quanto la sola ragione che deve guidare le scelte del
fisco è quella dell’equità della tassazione.
Parte della dottrina ritiene che il disposto dell’art. 53 comma 1 della Costituzione trovi
applicazione nelle sole imposte sul reddito, lasciando fuori un’ampia porzione di entrate quali le
imposte sul patrimonio e le imposte indirette e ciò non è possibile nel momento in cui tali imposte
siano destinate alla copertura di servizi essenziali (istruzione, sanità, sicurezza) dove
necessariamente deve operare il principio di capacità contributiva. Diverso è il caso di prestazioni
patrimoniali commutative in cui vi è lo scambio tra un servizio ed un corrispettivo dunque tasse e
tariffe siamo fuori dall’area di azione del principio di cui all’art. 53 comma 1, a meno che non si
tratti di servizi pubblici essenziali, ancorchè divisibili poichè, in quanto essenziali, riverberano il
principio del minimo vitale e integrano dunque il principio di capacità contributiva.
Sul comma 2 dell’art. 53: Questo integra il vincolo di progressività delle imposte che dovrebbe
riguardare l’intero sistema tributario del quale la Corte Costituzionale nega l’esistenza, riconoscendo vita propria ai singoli tributi. Ecco che non necessariamente un tributo è progressivo,
ma può anche essere proporzionale (Es. IRES/IRAP).
Che cosa intendiamo quando parliamo di simulazione?
Quando parliamo di simulazione e dissimulazione ci riferiamo all’evasione fiscale, quella battaglia
che il singolo contribuente intraprende contro il fisco al fine di sottrarsi al dovere di contribuzione.
La simulazione (intesa come rappresentazione falsata della propria capacità economica) può
cadere su diversi aspetti dell’obbligazione d’imposta quale ad esempio il quanto dovuto o la sua
stessa esistenza (dichiarando il falso o omettendo taluni elementi), o cadere a monte sullla natura
del diritto oggetto del contratto e creare un diritto reale di usufrutto per dimagrire la base
imponibile di un tributo (al posto di fare un contratto di locazione ad esempio). Quale che sia il
modo in cui si attua la simulazione da parte di un contribuente, questa è illegittima perchè lo
sottrae ad un dovere costituzionalmente imposto. E’ nei poteri (e nei doveri) del fisco svelare la
simulazione. L’evasione, laddove scoperta, ha ripercussioni di natura tributaria, senz’altro chi
evade sarà sottoposto a delle sanzioni. Discorso diverso riguarda l’elusione, ovvero quel processo
di operazioni volte ad ottenere risultati simili a quelli conseguibili con i negozi previsti dalla norma
tributaria elusa, ma evitando il trattamento tributario contemplato da tale norma.
Dunque, se dal punto di vista economico i due fenomeni si equivalgono, in quanto portano alla
medesima conclusione ovvero un mancato pagamento e dunque un minore gettito, dal punto di
vista giuridico vi è una differenza sostanziale che risiede propria nella mancata violazione di norme
tributarie nel caso dell’elusione. Se dunque è facile inquadrare la fattispecie evasiva, non così
facile è inquadrare la fattispecie elusiva. I due fenomeni hanno però in comune un concetto, il
concetto di risparmio fiscale, ovvero quella porzione d’imposta cui il contribuente si sottrae, che
può essere parziale o totale.
Che cos’è l’evasione fiscale?
Sul fronte dell’evasione fiscale, tutte le amministrazioni finanziarie del
mondo adottano strumenti per contrastarla, l’evasore è il nemico da combattere, colui che
si sottrae ad un dovere solidale godendo gratuitamente del servizio pubblico i cui oneri
gravano sui suoi coincittadini. Se per l’evasione fiscale non abbiamo grandi difficoltà in
termini di individuazione giuridica, per la quale il problema giace nell’accertamento dei
fatti. Nota bene: all’interno dell’evasione rientra anche quel mancato versamento di
un’imposta dichiarata, non solo per quelle imposte non dichiarate e quindi neanche
versate, anche il comportamento involontario di mancato adempimento è considerato
evasione (tipo mi dimentico di pagare l’f24 entro il termine prestabilito è già evasione).
Ovviamente la maggiore gravità sta sui comportamenti volontari, per i quali l’evasore
fiscale confida sulla scarsa efficienza dei controlli e sulla scarsa entità delle sanzioni,
confidando di non essere scoperto. [più elevati sono i controlli, più elevata è la sanzione,
minore sarà la propensione al rischio dell’evasore, c’è una relazione inversa tra ammontare
dell’imposta e misura dei controlli e della sanzione, all’aumentare del valore dell’imposta e
dunque del risparmio d’imposta sale la propensione al rischio, che può essere attenuata
intensificando i controlli/ingrassando le sanzioni]. La lotta all’evasione per tanto tempo è
stata considerata d’interesse esclusivo dello Stato nazionale, dunque ignorata dalle
istituzioni internazionali come l’UE. Solo negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che
i comportamenti di evasione minano alla base le regole di convivenza civile avendo la parte
della responsabilità delle crisi delle finanze pubbliche, hanno iniziato ad avere come
oggetto il tema del contrasto all’evasione fiscale.
Che cos’è l’elusione fiscale?
E’ quel fenomeno derivante dall’attuazione di comportamenti leciti, i quali
comportamenti siano idonei a costituire un risparmio d’imposta nell’elusione di una norma
tributaria. Tali comportamenti risultano leciti in quanto, benchè eludano una norma
tributaria risultano leciti al cospetto di un’altra. La fattispecie elusiva attraversò un periodo
di forte evoluzione dove protagonista fu anche un notevole silenzio legislativo. Possiamo
distingure tre momenti evolutivi della fattispecie elusiva dal punto di vista normativo:
1) Visto il principio secondo il quale il contribuente ha il diritto di scegliere, tra due o
più comportamenti leciti, quello che gli consente di ricevere il minor carico fiscale
(non è contemplato infatti il masochismo fiscale, secondo il quale il contribuente
deve necessariamente scegliere la via fiscalmente più onerosa per non ricevere
contestazioni), al contrario di altri ordinamenti tributari l’ordinamento italiano non
prevedeva al suo interno la presenza di una clausola generale che conferisse
all’Amministrazione Finanziaria il potere valutativo del comportamento del
contribuente, scegliendo quali comportamenti erano elusivi e quali non lo erano, e
questo fondamentalmente perchè clausole di questo tipo conferiscono un potere
ad una istituzione che non è la legge, e ciò è contrario alla riserva di legge di cui
all’art. 23 della Costituzione. Quindi inizialmente ogni fattispecie elusiva non poteva
essere contestata.
2) Il problema andava comunque risolto, in quanto l’ordinamento italiano come
qualunque altro ordinamento possiede delle lacune, e su di queste l’elusione si
basa, ma il diritto non ammette lacune: si trova una soluzione alternativa
all’introduzione di una clausola generale in favore dell’amministrazione finanziaria
che è la norma antielusiva. Di volta in volta allora il legislatore doveva indicare nella
norma tributaria tutte le fattispecie e le circostanze che costituivano elusione.
Dunque, i comportamenti elusivi erano consentiti solo laddove non in contrasto con
le norme antielusive.
3) Si ha una svolta con l’inserimento di una clausola d’apertura (art. 37 dpr 600/1973)
la quale conferiva un potere all’Amministrazione Finanziaria: questa poteva ritenere
elusivo quel comportamento del contribuente risultante privo di giustificazione
economica con metodo procedurale, con ad esempio la richiesta di chiarimenti
presso il contribuente. Lo strumento però, non ebbe molta fortuna nella prassi e
dunque fu abbandonato.
4) A fronte del silenzio legislativo, interviene la giurisprudenza introducendo, con tutta
una serie di sentenze, il principio di abuso del diritto. Questo da sempre permea gli
ordinamenti giuridici, compreso quello italiano in varie branchie del diritto, ma non
fu mai stato preso in considerazione nel diritto tributario. La Cassazione, trovandosi
a dover decidere se un determinato comportamento era da considerarsi elusivo o
meno formulò il principio, basandosi su un’impostazione data dalla Corte di giustizia
europea con la sentenza Halifax che tirò fuori tale schema dell’abuso di diritto in
sede di imposta sul valore aggiunto. Il principio introdotto dalla Cassazione è il
seguente: Il contribuente ha tutto il diritto di scegliere il comportamento a lui più
vantaggioso anche sul piano fiscale, benchè questo legittimo. Tali comportamenti,
costituiscono però abuso del diritto (e dunque elusione, portando a vantaggi fiscali
indebiti) nel momento in cui posti in essere esclusivamente in vista dei vantaggi fiscali, senza dunque alcuna giustificazione in sè dunque senza una sostanza
economica ed aventi come finalità unica l’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti. In
merito al principio, questo risiede direttamente dal principio di capacità
contributiva, poggia dunque sull’art. 53 della Costituzione e aggiunge, è rilevabile in
ogni stato e grado del giudizio.
5) Il principio di abuso del diritto viene largamente utilizzato dunque, con ampio
ritardo interviene il legislatore, con l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente,
rubricato “disciplina dell’abuso del diritto”, il quale sancisce che:
1. “ Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza
economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano
essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili
all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i
tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto
versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.” Coloro che hanno
posto in essere queste operazioni dunque non solo saranno tenuti a pagare i
tributi calcolati sulla base delle norme eluse, ma sopra certe soglie vengono
applicati a questi anche delle sanzioni e talvolta la fattispecie rileva anche
penalmente.
2. “ Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza
economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a
produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di
mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della
qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro
insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali
logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non
immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i
principi dell’ordinamento tributario.”
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Che autonomia ha la regione dopo la riforma dell’art 117 della Costituzione?
La regione ha:
- autonomia finanziaria; disciplinata dall’art 119 della Costituzione, dispone per comuni, province, città metropolitane e regioni:
1. autonomia finanziaria di entrata e di spesa (l’ente locale detiene un potere di reperimento e gestione di tributi propri)
2. Potestà di istituzione e applicazione di tributi propri, purché non in contrasto con i principi costituzionali.
3. La disponibilità di una compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio (le imposte che i contribuenti pagano non vengono solo usate per partecipare alle spese del territorio, alcune finiscono nelle casse dello Stato e vengono redistribuite).
- autonomia tributaria; non c’è autonomia finanziaria se non c’è autonomia tributaria.
Dividiamo i tributi in propri e impropri:
-Tributi impropri= questi non possono essere modificati con legge regionale e sono quelli istituiti con la legge dello Stato prima dell’entrata in vigore del nuovo art 117. Per la loro modificazione è necessario un intervento della legge dello Stato, che puo definire gli spazi e i limiti entro i quali può muoversi la legislazione dello Stato stesso, della Regione e degli enti locali. Lo sono l’IRAP e l’imposta di soggiorno.
Tributi propri= hanno presupposti diversi rispetto a quelli impropri di derivazione statale, oltre che a risolversi essenzialmente in tassa. In questi casi le regioni hanno piena autonomia tributaria, purché si muovano in armonia con la Costituzione e rispettando i principi incorporati nel sistema tributario statale.
Anche per i tributi propri vi è comunque l’esigenza di una legge-quadro che coordini il sistema tributario nel suo complesso per mezzo di principi.
Regioni ordinarie= devono attendere la legge-quadro di coordinamento prima di legiferare in materia tributaria (tributi propri)
Regioni straordinarie= non devono attendere la legge statale di coordinamento in quanto ad essere è affidata la valutazione della coerenza del sistema regionale con quello statale, sia per i tributi propri che per quelli impropri e questo perché le modifiche apportate dalal riforma del titolo V della costituzione non potevano avere l’effetto di restringere l’autonomia spettante alle regioni a statuto speciale.
Inoltre le regioni non possono istituire dazi di esportazione o importazione o transito tra le regioni o adottare altri provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone e delle merci.
Cosa comporta una sentenza di accoglimento della Corte Costituzionale?
Le sentenze di accoglimento della CC sono fonte del diritto nella misura in cui accertano l’illegittimità costituzionale di una data norma. Una volta dichiarata incostituzionale cessa di produrre i suoi effetti nel futuro e anche retroattivamente, al contrario dell’abrogazione avente fonte di legge che NON è retroattiva.
Per quanto riguarda la norme tributarie pure e semplici la retroattività si sconta con i rapporti esauriti; una sentenza della CC può rimettere in discussione un rapporto d’imposta a queste condizioni:
1. che non si sia ancora spirato il termine decadenziale per chiedere il rimborso dell’imposta dichiarata incostituzionale
2. se pende il giudizio provocato dall’impugnazione degli atti di imposizione
quindi in questi casi, se il rapporto d’imposta è ancora pendente una sentenza d’incostituzionalità di una norma di diritto tributario può far sorgere in capo all’amministrazione finanziaria obblighi di restituzione verso il contribuente.
Com’è provato il legame tra un soggetto destinatario di una norma impositiva e il territorio e/o ordinamento dello stato?
E’ provato se:
1. Il soggetto passivo d’imposta è residente nel territorio dello Stato, si tratta di una persona fisica residente.
2. Se il luogo di produzione del reddito o la corresponsione del reddito è interno al territorio dello stato, se il soggetto passivo d’imposta è una persona fisica non residente, soggetti
diversi dalla persona fisica residenti o organizzazioni stabilmente presenti nel territorio
dello Stato.
3) E’ verificata la presenza nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo
d’imposta della residenza, ovvero sede legale, ovvero sede amministrativa, ovvero oggetto
principale per la società residente.
4) Il luogo di produzione del reddito è territorio dello Stato per le società e gli enti
commerciali non residenti.
5) Il luogo di produzione del reddito è territorio dello Stato per le società e gli enti non
commerciali residenti
Che cos’è l’interpello e a che cosa serve?
L’interpello è uno strumento posto a tutela del contribuente.
Se è incerto su un comportamento, può interpellare l’amministrazione finanziaria con questo istituto; l’ammministrazione fin. si esprimerà su quel comportamento indicando a posteriori se questo è da considerarsi elusivo o meno.
Tale interplesso è vincolante per l’amministrazione finanziaria anche se non ha forza di legge; se l’A.F. ha bollato come legittimo il comportamento, perde la possibilità di accertamento verso lo stesso in contestazione delle imposte pagate in elusione di norma.