DIRITTO COMMERCIALE Flashcards
ASSEGNO CIRCOLARE
L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine che contiene la promessa incondizionata della banca emittente di pagare a vista una somma di danaro.
La sua emissione avviene dietro versamento da parte del richiedente dell’importo corrispondente.
L’assegno circolare è un mezzo di pagamento come l’assegno bancario. Si differenzia però da quest’ultimo in quanto ha la struttura del vaglia cambiario e non della cambiale tratta: incorpora infatti un’obbligazione diretta di pagamento della banca emittente.
L’assegno circolare è perciò un mezzo di pagamento più sicuro dell’assegno bancario. Chi lo riceve in pagamento può fare infatti affidamento sulla solvibilità della banca emittente e dispone di un titolo che può agevolmente negoziare o riscuotere presso tutti i recapiti della banca che lo ha emesso. L’assegno circolare si presta quindi efficacemente a sostituire la moneta legale. Per evitare tuttavia che l’assegno circolare possa far concorrenza alla moneta legale, lo stesso non può mai essere emesso al portatore, diversamente dall’assegno bancario.
L’emissione è subordinata ad una serie di CONDIZIONI DI REGOLARITÀ (art., 82 l, ass.), volte essenzialmente a consentire un controllo della massa fiduciaria in circolazione a salvaguardia della stabilità monetaria. Al riguardo è previsto che:
a) L’emissione di assegni circolari è consentita solo alle banche specificamente autorizzate dalla Banca d’Italia (art. 49, 1° comma, tub);
b) La banca può emettere assegni circolari solo per somme che siano presso di essa disponibili al momento dell’emissione (versamento in contanti o contestuale addebito sul conto corrente del richiedente);
c) La banca autorizzata ad emettere assegni circolari deve costituire presso la Banca d’Italia una cauzione in titoli a garanzia dei medesimi
Costituiscono invece REQUISITI FORMALI DI VALIDITÀ dell’assegno circolare:
a) La denominazione di assegno circolare inserita nel contesto del titolo
b) La promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata
c) L’indicazione del prenditore
d) L’indicazione della data e del luogo nel quale l’assegno circolare è emesso
e) La sottoscrizione della banca emittente
Non è invece richiesta l’indicazione del luogo di pagamento, dato che l’assegno circolare è pagabile presso tutti i recapiti (filiali, agenzie, ecc.) della banca emittente.
All’assegno circolare si applica, in quanto compatibile, la disciplina del vaglia cambiario a vista. Tuttavia, data la funzione di mezzo di pagamento dell’assegno circolare:
a) La girata a favore dell’emittente estingue il titolo
b) Il possessore deve presentare l’assegno per il pagamento entro trenta giorni dall’emissione, pena la decadenza dalle azioni di regresso
c) La prescrizione triennale dell’azione diretta contro la banca emittente decorre dalla data di emissione, anziché dalla presentazione come invece previsto per la cambiale.
Si applica all’assegno circolare parte della disciplina dell’assegno bancario: quella in tema di assegno sbarrato, da accreditare, non trasferibile e turistico.
ASSEGNO BANCARIO
NOZIONE
L’assegno bancario è un titolo di credito che contiene l’ordine incondizionato diretto ad una banca di pagare a vista una somma determinata all’ordine di una determinata persona o la portatore.
FUNZIONE
Funzione tipica dell’assegno bancario è quella di consentire l’utilizzazione di somme disponibili presso una banca per effettuare pagamenti a terzi, evitando l’utilizzo materiale del denaro.
STRUTTURA
L’assegno bancario è redatto dal traente su appositi moduli prestampati fornitigli dalla banca e ha la stessa struttura della cambiale tratta. Figurano tre persone:
· Il traente, che dà l’ordine di pagamento alla banca
· La banca-trattaria alla quale l’ordine di pagamento è rivolto
· Il prenditore dell’assegno
L’assegno bancario, come la cambiale è un titolo di credito astratto, formale; esecutivo; contiene una pluralità di obbligazioni (reciprocamente indipendenti, solidali e disposte per gradi).
Diversa è però la funzione tipica dei due titoli: mentre l’assegno bancario è uno strumento di pagamento, la cambiale tratta è uno strumento di credito (per differire nel tempo li pagamento di un debito). Proprio a causa della diversità di funzioni la disciplina dell’assegno bancario presenta alcune significative differenze rispetto a quella della cambiale tratta, ispirate dall’esigenza di prevenire e reprimere possibili utilizzazioni dell’assegno bancario per scopi diversi da quello tipico (in particolare l’utilizzazione come strumento di credito). Ciò anche per ragioni di carattere fiscale: l’assegno bancario (mezzo di pagamento) è soggetto ad una modesta imposta di bollo fissa; la cambiale(strumento di credito) è soggetta ad un’imposta di bollo proporzionale.
Le principali differenze di disciplina sono:
a) Trattario può essere solo una banca
b) Il rapporto di provvista fra traente e banca trattaria può essere costituito esclusivamente da fondi disponibili esistenti presso la banca e utilizzabili mediante l’emissione di assegni bancari
c) L’assegno bancario non può essere accettato dalla banca-trattaria, che perciò non può assumere la posizione di obbligato cambiario principale, né può risultare obbligata come girante o avallante
d) L’assegno bancario è sempre pagabile a vista e deve inoltre essere presentato per il pagamento entro brevi termini
e) L’assegno bancario è assistito da una particolare disciplina sanzionatoria volta a reprimere l’uso abusivo di assegni bancari (assegni non autorizzati ed assegni a vuoto)
REQUISITI
· REQUISITI DI VALIDITÀ: in mancanza dei quali il titolo non vale come assegno bancario
o La denominazione di assegno bancario (o chéque) inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui lo stesso è redatto
o L’ordine incondizionato di pagare una somma determinata, di regola espressa in lettere ed in cifre
o L’indicazione del trattario che, come detto, può essere solo una banca
o L’indicazione del luogo di pagamento, ma in mancanza vale come luogo di pagamento quello indicato accanto al nome del trattario
o La data ed il luogo di emissione dell’assegno;
o La sottoscrizione del traente, per la quale valgono regole identiche a quelle dettate per la cambiale
· REQUISITI DI REGOLARITÀ: la mancanza dei quali espone a sanzioni amministrative pecuniarie, ma non comporta l’invalidità del titolo
o L’osservanza delle norme sul bollo, in mancanza l’assegno perde al qualità di titolo esecutivo.
o Esistenza, presso la Banca-trattaria, di fondi disponibili, per somma almeno pari all’importo dell’assegno emesso
o L’esistenza di una convenzione, espressa o tacita (c.d. convenzione di assegno), che attribuisce al traente il diritto di disporre mediante assegni bancari dei fondi disponibili.
Tali condizioni sono entrambe soddisfatte se li traente ha con al banca un conto corrente bancario e questo presenta un saldo a favore del cliente. Nei rapporti fra cliente e banca-trattaria l’emissione del singolo assegno bancario si atteggia perciò come atto esecutivo del preesistente mandato a svolgere il servizio di cassa (pagamenti a terzi) assunto dalla banca con l’apertura del conto.
La mancanza di tali requisiti (assegno non autorizzato o assegno a vuoto) è un illecito oggi depenalizzato, colpito da sanzioni pecuniarie oltre che da alcuni divieti (di emettere assegni per un periodo da due a cinque anni e nei casi più gravi l’interdizione dall’esercizio di attività professionali).
LA POSIZIONE DELLA BANCA TRATTARIA
L’assegno bancario non è suscettibile di accettazione (si considera come non scritta). Conseguentemente la banca non può mai assumere la posizione di obbligato cartolare nei confronti del portatore del titolo.
La banca può essere obbligata extracartolarmente verso il portatore a pagare l’assegno (per cui in caso di rifiuto di pagamento è tenuta al risarcimento dei danni verso quest’ultimo)?. Prevale la tesiche la risposta debba essere negativa:
· Da nessuna norma della legge assegni emerge che la banca è obbligata, sia pure extracartolarmente, verso il portatore.
· Un diritto extracartolare al pagamento dell’assegno NON può essere desunto dalla convenzione di assegno fra traente e banca: con l’apertura del conto corrente e con l’assunzione del servizio di cassa la banca si obbliga ad onorare gli assegni nei limiti dei fondi disponibili. Ma si tratta di un’obbligazione ex mandato che la banca assume esclusivamentenei confronti del cliente-traente e non nei confronti dei prenditori degli assegni, anche perché la convenzione di assegno non è configurabile come contratto a favore di terzi. Ne consegue che il rifiuto ingiustificato di pagare l’assegno espone la banca a responsabilità contrattuale solo nei confronti del traente, non nei confronti del prenditore, verso il quale la banca ha la facoltà, non l’obbligo (sia pure extracartolare) di pagare l’assegno.
Esistono però strumenti (legale o convenzionali) che consentono di tutelare, sia pure parzialmente, l’aspettativa di pagamento del portatore dell’assegno:
· VISTO: non comporta un obbligo di pagamento della banca, ma ha soltanto l’effetto di accertare l’esistenza dei fondi ed impedirne il ritiro da parte del traente prima della scadenza del termine di presentazione. Perciò, se l’attestazione è falsa o la banca consente al traente di disporre diversamente dei fondi, la banca stessa dovrà risarcire al portatore i danni subìti.
Il visto ha tuttavia avuto scarsa diffusione, anche perché esso è sottoposto ad un’imposta di bollo suppletiva
· BENEFONDI: è la conferma dell’esistenza dei fondi da parte della banca trattaria, su richiesta della banca cui il titolo è girato per l’incasso. La banca trattaria sarà tenuta al risarcimento dei danni qualora abbia fornito informazioni inesatte. L’effetto è diverso a seconda della dichiarazione della Banca-trattaria:
o Con il BENEFONDI INFORMATIVO: ha valore di semplice informazione e non comporta l’assunzione di alcuna obbligazione extracartolare. La banca sarà tenuta al risarcimento solo se abbia fornito informazioni inesatte
o Con il BENEFONDI CON BLOCCO: con il quale la Banca espressamente si impegna a bloccare i fondi corrispondenti all’ammontare dell’assegno. In questo caso la Banca è obbligata extracartolare, quindi, sarà tenuta al pagamento
CIRCOLAZIONE
L’assegno bancario è un titolo all’ordine, ma può essere emesso anche al portatore.
La circolazione dell’assegno bancario all’ordine è regolata da norme che coincidono con quelle dettate per la cambiale, in particolare, anche il girante dell’assegno bancario risponde ex lege del pagamento come obbligato di regresso. Sola differenza significativa è che rispetto alla cambiale la girata al trattario vale come quietanza ed estingue il titolo: è così preclusa la possibilità che la banca trattaria giri ulteriormente l’assegno assumendo obbligazione cartolare di regresso.
La circolazione dell’assegno bancario al portatore è regolata dalle disposizioni generali del codice in tema di titoli al portatore. La legge si limita a stabilire che una girata apposta ad un assegno bancario al portatore rende il girante responsabile secondo le norme sul regresso, ma non trasforma il titolo in un assegno bancario all’ordine.
la libera circolazione degli assegni è fortemente limitata dal legislatore per ragioni di contrasto all’evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro: gli assegni bancari di importo pari o superiore a 1000 euro devono recare il nome del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Per scoraggiare ulteriormente l’uso di assegni trasferibili, inoltre, è previsto che le banche rilascino i moduli di assegno direttamente muniti della clausola di intrasferibilità, salvo che il cliente faccia richiesta per iscritto di ricevere moduli in forma libera, pagando un’imposta di bollo più elevata. Tutto ciò fa sì che la circolazione dell’assegno sia ormai poco comune.
PAGAMENTO
L’assegno bancario è sempre pagabile a vista (non scritta). L’eventuale postdatazione dell’assegno non impedisce al portatore di presentarlo anticipatamente per il pagamento, né alla banca di pagarlo.
Esso deve essere presentato per il pagamento presso lo sportello della banca-trattaria indicato dal titolo e il termine per gli assegni emessi e pagabili in Italia è di 8 giorni dalla data di emissione, se l’assegno è pagabile nello stesso comune in cui è emesso (15 giorni se è pagabile solo in altro comune).
L’omessa presentazione nei termini comporta la perdita dell’azione di regresso presso i giranti e i loro avallanti, non però verso il traente: la banca è libera di pagare anche dopo la scadenza dei termini, salvo che abbia ricevuto l’ordine non pagare. Inoltre, la morte del traente e la sua incapacità sopravvenuta dopo l’emissione lasciano inalterati gli effetti dell’assegno bancario.
lI trattario che paga un assegno bancario trasferibile per girata è tenuto ad accertare al regolare continuità delle girate, ma non a verificare l’autenticità delle firme dei giranti. La banca è tenuta inoltre ad identificare colui che incassa e a verificare che la firma del traente corrisponda a quella dallo stesso depositata al momento dell’apertura del conto corrente. Sono controlli necessariperché la banca non versi in colpa grave nel pagamento e possa legittimamente addebitare al traente l’importo dell’assegno pagato.
In caso di mancato pagamento da parte della banca trattaria il portatore dell’assegno può agire in regresso contro il traente, i giranti e i loro avallanti. La disciplina della relativa azione ricalca quella della cambiale ma con una differenza: la presentazione del titolo alla banca trattaria nei termini di legge e la constatazione del rifiuto di pagamento mediante protesto sono necessarie solo per agire contro i giranti e i loro avallanti, ma non sono necessarie per l’esercizio dell’azione di regresso contro il traente (e i suoi avallanti). Il portatore mantiene i suoi diritti contro li traente, sebbene l’assegno bancario non sia stato presentato tempestivamente o non sia stato fatto il protesto o la constatazione equivalente: unica conseguenza della presentazione tardiva è che se, decorso il termine di presentazione, la disponibilità della somma sia venuta a mancare per fatto del trattario, il portatore perde tali diritti in tutto o limitatamente alla parte della somma che sia venuta a mancare.
L’azione di regresso si prescrive in sei mesi dal termine di presentazione. Le azioni di regresso tra i diversi obbligati al pagamento dell’assegno bancario gli uni contro gli altri si prescrivono in sei mesi a decorrere dal giorno in cui l’obbligato ha pagato l’assegno bancario o dal giorno in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui.
TIPOLOGIE DI ASSEGNI
· ASSEGNO SBARRATO è l’assegno cui vengono apposte due rette parallele sulla faccia anteriore. La sbarratura consente la circolazione dell’assegno ma circoscrivendo i soggetti legittimati ad incassarlo.
o Lo sbarramento è generale se tra le due sbarre non vi è alcuna indicazione o vi è al semplice parola “banchiere” o altra equivalente. L’assegno bancario con sbarramento generale non può essere pagato dal trattario se non solo a un banchiere o a un cliente del trattario.
o Lo sbarramento è speciale se tra le due sbarre è scritto il nome di un banchiere. Un assegno bancario con sbarramento speciale non può essere pagato dal trattario se non solo al banchiere designato, o, se questi è il trattario, a un suo cliente. Tuttavia il banchiere designato può servirsi per l’incasso di altro banchiere. Il trattario o il banchiere che non osservi le precedenti disposizioni risponde del danno nei limiti dell’importo dell’assegno bancario.
Lo sbarramento offre una limitata tutela contro i rischi di furto o smarrimento: evita che il pagamento sia effettuato a persona che non abbia già avuto rapporti con la banca trattaria, ma non impedisce l’acquisto a non domino del titolo da parte del terzo in buona fede cui l’assegno sia stato girato da un ladro.
· ASSEGNO DA ACCREDITARE non può essere pagato in contanti, ma può essere regolato dalla banca trattaria solo mediante scritturazione contabile: accreditamento in conto, giroconto, compensazione con un credito dalla stessa vantato. Presuppone quindi un preesistente rapporto del trattario con il soggetto che presenta il titolo.
· ASSEGNO NON TRASFERIBILE: può essere pagato solo all’immediato prenditore o accreditato sul suo conto. La girata apposta si ha per non iscritta (il prenditore può però girarlo a una banca per la riscossione). Gli assegni bancari di importo superiore ai 12.500 euro devono essere emessi con la clausola di non trasferibilità, al fine di prevenire operazioni di riciclaggio di denaro provenienti da reati. L’assegno non trasferibile non può circolare nemmeno mediante cessione ordinaria. La banca che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dall’originario prenditore, o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento.
AMMORTAMENTO
La disciplina è modellata su quella della cambiale. È da tenere presente solo che l’ammortamento è eccezionalmente ammesso anche per l’assegno al portatore e che la procedura di ammortamento è esclusa per l’assegno non trasferibile, dato che lo stesso non può circolare. Il prenditore ha diritto di ottenere un duplicato (a proprie spese) denunziandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione sia al trattario sia al traente.
CAMBIALE
La cambiale è un titolo di credito la cui funzione tipica, anche se non esclusiva, è quella di differire il pagamento di una somma di denaro attribuendo nel contempo al prenditore la possibilità di monetizzare agevolmente il credito concesso, con il trasferimento del titolo (è quindi uno strumento di credito).
Esistono due tipi di cambiale: la cambiale tratta ed il vaglia cambiario (o pagherò cambiario).
1. Nella cambiale tratta una persona (traente) ordina ad un’altra persona (trattario) di pagare una somma di denaro al portatore del titolo. Esso ha la struttura di un ordine di pagamento. In essa figurano tre persone:
· Il traente (che garantisce l’accettazione e il pagamento del titolo)
· Il trattario (è l’obbligato principale in seguito all’accettazione)
· Il prenditore (è il beneficiario dell’ordine di pagamento).
RAPPORTO DI VALUTA (intercorre tra traente e prenditore): da causa all’emissione del titolo
RAPPORTO DI PROVVISTA: (intercorre tra traente e trattario): in forza di tale rapporto il traente ordina al trattario di pagare la somma portata dal titolo al prenditore o ad un suo giratario. Questo rapporto può derivare da qualsiasi causa: rapporto contrattuale per il quale il trattario risulti debitore nei confronti del traente; Un rapporto di conto corrente o di apertura di credito; delegazione di pagamento. È un rapporto extracambiario e diventa rapporto cambiario solo con l’accettazione da parte del trattario
- Nel vaglia cambiario figurano solo due persone: l’emittente (che promette il pagamento) e il prenditore (beneficiario). Esso ha la struttura di una promessa di pagamento.
CARATTERI FONDAMENTALI COMUNI
1. È un TITOLO ASTRATTO
- È un TITOLO RIGOROSAMENTE FORMALE ed è valido solo se presenta le indicazioni prescritte dalla legge.
La cambiale è redatta su appositi moduli predisposti dall’amministrazione finanziaria. lI modulo bollato è qualificabile come cambiale solo se contiene i cd. REQUISITI FORMALI della cambiale, la cui mancanza comporta che li titolo non vale come cambiale (invalidità):
VAGLIO CAMBIARIO TRATTA CAMBIARIA
Immagine che contiene testo, Carattere, linea, diagramma
Descrizione generata automaticamente
Non costituisce requisito di validità della cambiale il pagamento, all’atto dell’emissione, dell’imposta proporzionale di bollo, la cui mancanza originaria priva però la cambiale della qualità di titolo esecutivo.
REQUISITI NATURALI
· Luogo di pagamento (sotto al nome del trattario / luogo di emissione)
· Luogo di emissione (sotto al nome del traente / emittente)
· Indicazione della scadenza (si considera “a vista”
CAMBIALE IN BIANCO
È la cambiale sprovvista di uno dei requisiti essenziali. Perché si possa parlare di titolo di credito cambiario, sia pure in bianco, basta la sola sottoscrizione autografa apposta sull’usuale modulo bollato, tutto il resto può essere aggiunto dopo ad opera del prenditore del titolo.
Di regola, l’emissione della cambiale in bianco è accompagnata da un accordo di riempimentotra emittente e primo prenditore, con la quale si fissano le modalità di riempimento. Si ricorre, infatti, alla cambiale in bianco quando alcuni dati cambiari non sono attualmente determinabili, ma lo saranno in futuro.
Chi rilascia una cambiale in bianco resta esposto al rischio che la stessa sia riempita dal prenditore in modo difforme da quanto pattuito (riempimento abusivo):
· Tale rischio è limitato se il pagamento della cambiale viene richiesto da colui con cui è intercorso l’accordo di riempimento, a questi l’emittente potrà opporre la violazione dell’accordo di riempimento, pur restando a suo carico l’onere di provare in giudizio il riempimento abusivo.
· Il rischio è più grave se l’immediato prenditore, dopo aver completato il titolo in difformità degli accordi, lo giri ad un terzo. L’eccezione di abusivo riempimento è infatti un’eccezione personale e non è opponibile al terzo possessore, a meno che questi abbia acquistato la cambiale in mala fede o abbia commesso colpa grave. In difetto di tale prova, il debitore dovrà pagare la cambiale e potrà solo chiedere il risarcimento dei danni all’autore dell’abusivo riempimento.
Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale in bianco dopo tre anni dall’emissionedel titolo. Il riempimento tardivo non è però opponibile al portatore di buona fede al quale il titolo sia pervenuto già completo.
CAMBIALE INCOMPLETA
Quando manca del tutto un accordo di riempimento fra emittente e primo prenditore, cioè quando la cambiale è entrata in circolazione senza o contro la volontà del sottoscrittore (es. un ladro ruba un titolo ancora incompleto e dopo averlo riempito gira la cambiale ad un terzo in buona fede), si parla in tal caso di cambiale incompleta.
È stato obiettato che in questa situazione manca del tutto la volontà di dar vita ad una cambiale. Se ne è dedotto che la cambiale incompleta è nulla dato che il testo cambiario(successivamente completato) non è imputabile alla volontà del sottoscrittore e non può validamente obbligarlo. La relativa eccezione sarebbe perciò reale e non personale (come nella cambiale in bianco) e pertanto opponibile dal sottoscrittore del titolo incompleto a qualsiasi portatore del titolo, anche se ignaro dell’abusivo riempimento.
È questa però una soluzione che contrasta con le esigenze di tutela della circolazione della cambiale completata. Il dato normativo non distingue infatti fra cambiale in bianco e cambiale meramente incompleta, ma attribuisce rilievo, ai fini della tutela del terzo possessore, solo al dato oggettivo dell’intervenuto completamento del titolo. Merita perciò di essere condivisa l’opinione prevalente che applica la disciplina della cambiale in bianco anche alla cambiale meramente incompleta: in entrambi i casi l’abusivo riempimentocostituisce
eccezione personale.
Quindi, per aversi valida assunzione di obbligazione cambiaria basta che il modulo cambiario incompleto, sia sottoscritto da una persona capace di agire al momento dell’emissione del titolo o da un suo rappresentante munito dei necessari poteri, sempre al momento dell’emissione. La completezza del documento per contro non è requisito di validità, ma semplice condizione di efficacia dell’obbligazione cambiaria.
- È un TITOLO DI CREDITO ALL’ORDINE: circola quindi mediante girata.
La disciplina della circolazione coincide in larga parte con quella dettata dal codice per i titoli all’ordine, ma con alcune peculiarità:
· lI trasferimento della cambiale mediante girata può essere escluso dal traente o dall’emittente, apponendo sul titolo la clausola “non all’ordine” o altra equivalente. In tal caso la cambiale è trasferibile solo nella forma di una cessione ordinaria (l’acquirente subentra a titolo derivato sui diritti cambiari). Gli stessi effetti si hanno quando la cambiale è trasferita mediante atto separato anziché mediante girata.
· La girata deve essere scritta sulla cambiale (o su un foglio di allungamento). Deve essere sottoscritta dal girante (a pena di nullità).
· La girata può esse in pieno o in bianco; in quest’ultimo caso è valida se scritta a tergo della cambiale o sul foglio di allungamento
· La girata deve essere incondizionata. Qualsiasi condizione alla quale sia subordinata si ha per non scritta. La girata parziale è nulla.
· I principi che regolano la circolazione della cambiale sono identici a quelli dettati per i titoli di credito in generale dal codice civile (trasferisce la legittimazione). La disciplina della cambiale si distacca invece da quella generale per quanto riguarda la funzione di garanzia della girata: iI girante, se non vi sia clausola contraria, risponde dell’accettazione e del pagamento, come obbligato di regresso: è un effetto naturale, infatti, con apposita clausola (ad es. “senza garanzia”), il girante può esonerarsi da ogni responsabilità cambiaria per l’accettazione e/o per il pagamento.
· Il girante può vietare una nuova girata con la clausola “non all’ordine”: in questo caso non è responsabile verso coloro ai quali al cambiale sia stata ulteriormente girata, ma solo nei confronti dell’immediato giratario (diversamente da quanto accade se la clausola è apposta del traente o dall’emittente) - È un titolo che di regola incorpora una pluralità di obbligazioni
Le obbligazioni cambiarie sono sorrette da due principi fondamentali
· PRINCIPIO DELLA RECIPROCA INDIPENDENZA E AUTONOMIA: l’invalidità della singola obbligazione cambiaria non incide sulla validità delle altre (sono indipendenti reciprocamente).
· OBBLIGATI IN SOLIDO: tutti gli obbligati cambiari sono obbligati in solido nei confronti del portatore del titolo alla scadenza, il quale può chiedere a ciascuno di essi il pagamento dell’intera somma. Tuttavia, gli obbligati cambiari non sono tutti obbligati allo stesso modo, si distinguono:
RAPPORTI ESTERNI
o Obbligati diretti (emittente, accettante e i loro avallanti), l’azione contro i quali non è soggetta a particolari formalità
o Obbligati di regresso (traente, giranti, i loro avallanti e l’accentante per intervento), l’azione contro i quali è soggetta al di determinate condizioni (rifiuto dell’accettazione o del pagamento), ed è subordinata a specifici adempimenti(levato del protesto)
RAPPORTI INTERNI: gli obbligati cambiari sono disposti per gradi (secondo un ordine tassativamente indicato dalla legge).
1°. Emittente / accettante
2°. Traente / giranti / i loro avallanti
La graduazione delle obbligazioni cambiarie comporta che, se paga l’obbligato di primo grado, tutti gli altri sono liberati non solo nei confronti del portatore, ma anche nei rapporti interni. Per contro, il pagamento effettuato da un obbligato di grado intermedio libera definitivamente solo quelli di grado successivo, dato che il solvens ha azione cambiaria per il recupero dell’intera somma pagata nei confronti degli obbligato di grado anteriore.
ACCETTAZIONE
È la dichiarazione con la quale li trattario si obbliga a pagare la cambiale alla scadenza. Con l’accettazione il trattario diventa obbligato principale (di primo grado) e diretto.
Prima dell’accettazione il portatore non ha alcuna azione, né cambiaria né extracambiaria nei confronti del trattario, anche se questi è debitore verso il traente in base aI rapporto di provvista(l’emissione della tratta non comporta cessione del credito di provvista al prenditore).
La presentazione della cambiale per l’accettazione costituisce di regola una facoltà del portatore del titolo e il traente può anche vietare che la cambiale sia presentata per l’accentazione. La presentazione per accettazione è però obbligatoria:
· Nella cambiale a certo tempo vista
· Quando la presentazione per accettazione è prescritta dal traente o da un girante
L’accettazione deve essere scritta sulla cambiale con le parole “accetto”, “visto”, seguite dalla sottoscrizione del trattario.
L’accettazione deve essere incondizionata; il trattario può limitarla ad una parte della somma. Qualsiasi altra modificazione apportata nell’accettazione al tenore della cambiale equivale a rifiuto di accettazione; nondimeno l’accettante resta obbligato nei termini della sua accettazione.
L’accettazione diventa definitiva con la restituzione del titolo al portatore e prima di tale momento può essere sempre revocata mediante cancellazione. Nondimeno, se il trattario ha dato notizia dell’accettazione per iscritto al portatore o a un firmatario qualsiasi, è tenuto verso di essi nei termini dell’accettazione.
Il rifiuto di accettazione della cambiale espone gli obbligati di regresso al pagamento prima della scadenza. Per evitare questa conseguenza la legge prevede l’istituto dell’accettazione per intervento: l’accettazione viene fatta da un terzo, al quale non diventa obbligato per principale, ma è obbligato nello stesso modo di colui per il quale interviene. Nel silenzio, l’accettazione si reputa data per il traente (la sua posizione è quella di obbligato di regresso di grado successivo a quello dell’obbligo per il quale l’intervento è stato dato)
LA CESSIONE DELLA PROVVISTA
L’emissione di una cambiale tratta non comporta la cessione del credito di provvista del traente verso il trattario e ciò rende la posizione del portatore insicura; d’altro canto, l’eventuale cessione del credito di provvista offre garanzia all’immediato prenditore ma non opera a favore dei successivi giratari della cambiale, dato che il credito di provvista non si trasferisce automaticamente con al girata del titolo.
Per ovviare a ciò è stato introdotto l’istituto della “cambiale tratta garantita mediante cessione di credito derivante da forniture”, che consente di realizzare un collegamento automatico fra circolazione del titolo e circolazione del credito di provvista.
Deve soddisfare determinate CONDIZIONI:
· Non deve esserci accettazione da parte del trattario
· Può avere ad oggetto solo un credito derivante da forniture di merci che il traente ha verso il trattario e nei limiti dell’importo della cambiale
· La clausola di cessione deve contenere, a pene di nullità, la data ed il numero della fattura relativa alla fornitura di merci
· Può avvenire solo a favore di una banca, ma giova tutti i successivi giratari
EFFETTI: la cessione diventa efficace con la notifica al trattario e da tale momento questi può pagare solo al portatore della cambiale. Il portatore, elevato il protesto per mancato pagamento, può esercitare diritti contro il trattario derivanti dalla cessione della provvista contestualmente all’esercizio dell’azione cambiaria verso il traente egli altri obbligati.
AVALLO
È una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto (avallante) garantisce li pagamento della cambiale per tutta o parte della somma.
È una tipica garanzia cambiaria, la quale deve risultare dal titolo (allungamento) con la clausola “per avallo” o altre equivalenti.
L’avallo può essere dato per uno qualsiasi degli obbligati cambiari, infatti, l’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato, perciò è necessaria l’indicare per chi l’avallo è stato dato; in assenza di tale specificazione l’avallo si considera ex lege dato per il traente-emittente:
· Rispetto al portatore del titolo l’avallante è obbligato in solido
· Rispetto ai rapporti interni l’avallante è obbligato di garanzia di grado successivo rispetto all’avallato
L’avallante che paga la cambiale acquista i diritti ad essa inerenti contro l’avallato e contro gli obbligati di grado anteriore.
Si possono avere anche più avallanti che operano verso lo stesso obbligato cambiario(COAVALLO): restano obbligati di grado successivo rispetto all’avallato, ma sono obbligati di pari grado tra loro.
Anche per l’avallo trova applicazione il principio cardine della reciproca indipendenza delle obbligazioni cambiarie, con la sola limitata eccezione che l’avallante può proporre al portatore il vizio di forma dell’obbligazione dell’avallato; al di fuori di tale ipotesi l’avallante è tenuto al pagamento anche se l’obbligazione dell’avallato è invalida.
L’avallo è una garanzia personale tipica: la sua autonomia (ovvero, il suo essere valida malgrado un’eventuale invalidità dell’obbligazione garantita) la differenzia dalla fideiussione. Tuttavia, la sua autonomia non impedisce all’avallante di opporre al portatore il pagamento a lui già effettuato da parte dell’avallato o altri fatti estintivi dell’obbligazione intervenuti tra l’avallato e quel determinato portatore.
PAGAMENTO DELLA CAMBIALE
La disciplina del pagamento della cambiale ricalca le norme in tema di legittimazione dettate dal codice per i titoli all’ordine, ma allo stesso tempo introduce delle deroghe.
· Legittimato a chiedere il pagamento è il portatore della cambiale che giustifica il suo diritto con una serie continua di girate, anche se l’ultima è in bianco.
· Chi paga alla scadenza è tenuto a controllare solo la regolarità formale delle girate e la continuità delle stesse ma non a verificare l’autenticità delle firme dei giranti. Chi paga alla scadenza è validamente liberato, anche se non paga al titolare, a meno che da parte sua non vi sia dolo o colpa grave.
· La cambiale deve essere presentata per il pagamento al trattario nella cambiale tratta o all’emittente nel vaglia cambiario.
· Il portatore di una cambiale pagabile a giorno fisso o a certo tempo data o vista deve presentarla al pagamento nel giorno in cui essa è pagabile o in uno dei due giorni feriali successivi.
· Il termine di scadenza della cambiale è termine essenziale per il creditore e per il debitore cambiario. Il portatore non è tenuto a ricevere il pagamento prima della scadenza; il trattario che paga prima della scadenza lo fa a suo rischio e pericolo. Se la cambiale non è presentata per il pagamento nel termine fissato, qualsiasi debitore ha facoltà di depositare la somma presso l’autorità competente, a spese, rischio e pericolo del portatore del titolo. lI portatore però non può rifiutare un pagamento parziale (gli obbligati di regresso restano responsabili per il residuo). Il pagamento per l’intero da diritto alla restituzione del titolo quietanzato dal portatore.
· Il pagamento della cambiale può essere fatto per intervento: può essere fatto ogni qualvolta il portatore possa esercitare il regresso alla scadenza o prima di essa. Il pagamento deve comprendere tutta la somma che avrebbe dovuto essere pagata da colui per il quale l’intervento ha luogo. Esso deve essere fatto al più tardi nel giorno successivo all’ultimo giorno consentito per levare il protesto per mancato pagamento. Il pagamento per intervento deve risultare dal protesto e, se questo era stato già levato, deve essere annotato in prosecuzione del protesto dal pubblico ufficiale che vi ha proceduto. Le spese del protesto sono ripetibili ancorché li traente abbia apposto sulla cambiale la clausola “senza spese”. Il portatore che rifiuta il pagamento per intervento perde il regresso contro coloro che sarebbero stati liberati.
AZIONI CAMBIARIE
In caso di rifiuto di pagamento o di rifiuto di accettazione, il portatore può agire contro tutti gli obbligati cambiari. La relativa azione è regolata diversamente a seconda che si tratti di obbligati diretti odi regresso:
· Azione diretta: il portatore deve osservare solo il termine di prescrizione di tre anni dalla scadenza della cambiale.
· Azione di regresso: può essere esercitata:
o Alla scadenza se il pagamento non ha avuto luogo
o Prima della scadenza:
§ L’accettazione è stata rifiutata
§ In caso di apertura della liquidazione giudiziale del trattario-emittente o del traente.
L’esercizio dell’azione di regresso è subordinata alla constatazione del rifiuto di accettazione o di pagamento con un atto denominato PROTESTO, che deve essere elevato nei due giorni feriali successivi alla scadenza della cambiale, spirato tale termine li portatore decade dalle azioni di regresso.
NB: Il protesto è l’atto autentico necessario per la conservazione delle azioni di regresso. Con esso si constata la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale da parte del designato a pagare in via principale
Il traente, il girante o l’avallante può, con la clausola “senza spese” o “senza protesto”, apposta sulla cambiale e firmata, dispensare il portatore dalla levata del protesto. lI portatore, anche se dispensato, è tenuto a dare avviso della mancata accettazioneentro quattro giorni feriali successivi alla levata del protesto, o al giorno della presentazione se al cambiale è “senza protesto”. L’omissione dell’avviso in tali termini comporta per il portatore il risarcimento dei danni eventuali arrecati nei limiti dell’importo della cambiale.
Gli obbligati cambiari rispondono in solido verso il portatore che ha diritto di agire contro di loro individualmente o congiuntamente e non è tenuto ad osservare l’ordine nel quale si sono obbligate. L’azione promossa contro uno degli obbligati non impedisce di agire contro gli altri, anche se posteriori a colui contro il quale si sia prima proceduto.
L’obbligato cambiario che ha pagato libera i coobbligati di grado successivo, ha azione cambiaria di ulteriore regresso contro gli obbligati di grado anteriore e può chiedere a ciascuno di essi la somma integrale; gli interessi e le spese sostenute. L’obbligato cambiario che ha pagato non ha invece azione cambiaria neppure pro quota nei confronti dei coobliggati di pari grado, contro i quali può agire solo in via extracambiaria.
L’azione di regresso del portatore del titolo è soggetta al termine breve di prescrizione di un anno, che decorre dalla data del protesto levato in tempo utile o dalla scadenza, se vi è la clausola «senza spese»
L’azione di ulteriore regresso cambiario del solvens si prescrive invece in sei mesidal giorno del pagamento o da quello in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui
AZIONI EXTRACAMBIARIE
L’emissione e la circolazione della cambiale trovano fondamento in un rapporto di debito fra chi dà e chi riceve il titolo. Per realizzare il proprio credito, il possessore della cambiale può esercitare anche l’AZIONE CAUSALE: il portatore fa valere il rapporto causale nei confronti del debitore che è stato parte del relativo rapporto. Per poterla esercitare è necessario che:
· Siano accertati col protesto la mancata accettazione o pagamento della cambiale;
· Il portatore offra al debitore la restituzione della cambiale, depositandola presso la cancelleria del giudice competente;
· Il portatore abbia adempiute tutte le formalità necessarie per conservare al debitore le azioni di regresso che possono competergli.
L’inosservanza di tali condizioni comporta la decadenza dall’azione causale
Può verificarsi che il portatore abbia perduto, per decadenza o prescrizione, tutte le azioni cambiarie ed extracambiarie (novazione del rapporto). In tal caso può agire esercitando l’azione di arricchimento cambiario (inquadrabile nell’azione di ingiustificato arricchimento) contro coloro che si sono arricchiti ingiustificatamente a suo danno (si prescrive in un anno dal giorno della perdita dell’azione cambiaria).
- È un titolo esecutivo ed è inoltre assistita da particolari agevolazioni processuali, in modo da consentire al portatore di soddisfarsi in caso di mancato pagamento.
PROCESSO CAMBIARIO
La cambiale originariamente in regola col bollo vale come titolo esecutivo. Il possessore della stessa può perciò iniziare al procedura esecutiva sui beni del debitore senza doversi preventivamente munire di un provvedimento giudiziale di condanna. Il portatore della cambiale può avvalersi in alternativa dell’ordinario procedimento di cognizione diretto ad ottenere sentenza di condanna; questa è la sola via praticabile se la cambiale non era originariamente in regola con il bollo, purché sia stata successivamente regolarizzata.
Quanto alle eccezioni opponibili nel processo cambiario, anche per la cambiale opera la distinzione fra eccezioni reali e eccezioni personali (individuano i portatori della cambiali ai quali una data eccezione è opponibile). Per tali eccezioni vale la disciplina del codice civile per i titoli di credito. Per la cambiale vale però un ulteriore distinzione tra eccezioni oggettive e soggettive (individua gli obbligati che possono opporre una determinata eccezione):
· Eccezioni Oggettive quelle che possono essere opposte da tutti gli obbligati cambiari (es. eccezione di invalidità della cambiale per difetto dei requisiti formali).
· Eccezioni Soggettive: quelle che possono essere opposte solo da un determinato obbligato (ad es. causa invalidità della singola obbligazione cambiaria).
Le eccezioni reali e personali possono essere allo stesso tempo sia oggettive che soggettive.
AMMORTAMENTO
La disciplina di ammortamento della cambiale coincide sostanzialmente con quella dettata dal codice per i titoli di credito all’ordine, con l’unica differenza che non si richiede all’opponente al decreto di ammortamento di depositare li titolo.
TITOLI DI CREDITO
DISCIPLINA
Leggi speciali: Emanate prima del codice civile regolano talune tipologie di titoli di credito: la cambiale (1933); l’assegno bancario e circolare (1933) e i titoli azionari (1941)
Disciplina generale (ARTT. 1992- 2027): fornita dal codice civile del 1942, il quale introduce una disciplina generale dei titoli di credito, per lo più desumendola dalla disciplina speciale
NOZIONE
I titoli di credito sono documenti destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata prestazione. La legge non da una nozione del titolo di credito, essa deve essere ricavata dalla funzione essenziale e costante che i titoli di credito svolgono.
FUNZIONE
La funzione costante e tipica dei titoli di credito è quella di rendere più semplice la circolazione dei diritti di credito, neutralizzando i rischi e gli inconvenienti che presenta la disciplina della cessione del credito.
Ciò avviene sulla base di una finzione giuridica: ovvero ritenere che l’oggetto di circolazione sia il documento anziché il diritto in esso menzionato. Questo sulla base della constatazione che regole di circolazione più semplici e sicure sono quelle previste per la circolazione dei beni mobili (la proprietà dei beni mobili si trasferisce con il semplice consenso e, inoltre, l’acquirente è tutelato dal rischio della mancanza di titolarità del trasferente dalla regola del “possesso di buona fede vale il titolo”).
Quindi, nel titolo di credito il diritto è incorporato nel documento.
PRINCIPI CARDINE
1. PRINCIPIO DELL’AUTONOMIA IN SEDE DI CIRCOLAZIONE: chi acquista la proprietà del documento diventa titolare del diritto. Il soggetto diventa titolare del diritto anche se ha acquistato il titolo a non domino, purché sia in buona fede. La posizione dell’acquirente e indipendente da quella del trasferente
2. PRINCIPIO DELLA LETTERALITÀ E DELL’AUTONOMIA IN SEDE DI ESERCIZIO: chi acquista un titolo di credito acquista un diritto il cui contenuto è determinato esclusivamente dal tenore letterale del documento. Inoltre, acquista un diritto che è immune dalle eccezioni fondate su rapporti personali; quindi, per chi acquista un titolo di credito acquista un diritto autonomo dalla posizione del dante causa
3. PRINCIPIO DELLA LEGITTIMAZIONE: chi ha conseguito il possesso materiale del titolo, nelle forme prescritte dalla legge, è legittimato all’esercizio del diritto cartolare. Il titolo di credito ha una funzione di legittimazione, che contribuisce a rendere più semplice e rapida la circolazione: Il debitore eh può pagare solo dietro presentazioni del titolo ed è dispensato dal controllare la validità e regolarità dei documenti che provano i trasferimenti
4. i VINCOLI sul diritto devono essere effettuati sul titolo e non hanno effetto se non risultano dal titolo
ART. 1997: “Il pegno, il sequestro, il pignoramento e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo”
Sulla base di questi principi è possibile trovare una nozione di titolo di credito affermando che: è un documento necessario e sufficiente per la costituzione, la circolazione e l’esercizio del diritto letterale e autonomo in esso incorporato
CREAZIONE DEL TITOLO DI CREDITO
La creazione ed il rilascio del titolo di credito trovano giustificazione in un preesistente rapporto fra emittente e primo prenditore (cd. rapporto fondamentale) ed in un accordo fra gli stessi con cui si conviene di fissare nel titolo di credito la prestazione dovuta dal primo al secondo in base a tale rapporto (cd. convenzione di rilascio o esecutiva). Il titolo di credito, emesso in attuazione della convenzione di rilascio, riproduce in forma semplificata e schematizzata, l’obbligazione derivante dal rapporto fondamentale. La dichiarazione risultante dal titolo di credito costituisce il rapporto cartolare ed il diritto dalla stessa, riconosciuto al prenditore del titolo, il cd. diritto cartolare destinato a circolare
L’emissione di un titolo di credito presuppone sempre l’esistenza di un determinato rapporto fondamentale, ma la connessione che si instaura tra rapporto fondamentale è il rapporto cartolare non è identica per tutti i titoli di credito, al riguardo si distingue tra due categorie:
· Titoli di credito astratti: quelli che possono essere emessi in base ad un qualsiasi rapporto fondamentale e che non contengono alcuna menzione del rapporto che ha dato luogo alla loro emissione (es. cambiale, assegno).
Nei titoli astratti il contenuto del diritto cartolare è determinato esclusivamente dalla lettera del titolo: manca ogni riferimento al rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione; quindi, nei rapporti tra emittente e terzo prenditore è preclusa la possibilità di far riferimento ad altre fonti regolamentari, anche legali, per integrare quanto risulta dalla lettera del titolo (sono titoli aletteralità completa).
· Titoli di credito causali: quelli che possono essere emessi solo in base ad un determinato tipo di rapporto fondamentale (azioni, obbligazioni di società, quote di partecipazioni a fondi comuni di investimento, libretti di deposito a risparmio).
Nei titoli causali i contenuti del diritto cartolare sono determinati non solo dalla lettera del titolo, ma anche dalla disciplina legale del rapporto obbligatorio tipico richiamato nel documento(sono titoli a letteralità incompleta).
CIRCOLAZIONE DEL TITOLO DI CREDITO
Bisogna distinguere fra titolarità del diritto cartolare e legittimazione all’esercizio dello stesso:
· Titolare del diritto cartolare è il proprietario del titolo
· Legittimato all’esercizio del diritto cartolare è il possessore del titolo nelle forme prescritte dalla legge (possessore qualificato), forme che sono diverse per i titoli al portatore, all’ordine e nominativi.
Le qualità di proprietario-titolare e di possessore-legittimato di regola circolano congiuntamente; però nel corso della circolazione del titolo si può verificare una dissociazione. Al riguardo è necessario distinguere fra:
· CIRCOLAZIONE REGOLARE
Si ha circolazione regolare quando li titolo viene trasferito dall’attuale proprietario ad altro soggetto in forza di un valido negozio di trasmissione, che di regola trova fondamento in un rapporto causale fra le parti. Chi trasferisce la proprietà del titolo dovrà poi consegnarlo ed adempiere eventuali altre formalità
necessarie per attribuire all’acquirente la legittimazione all’esercizio del relativo diritto. Si deve ritenere che nella circolazione regolare il solo consenso è sufficiente per il trasferimento della proprietà del titolo e il conseguente acquisto della titolarità del diritto. L’investituradell’acquirente nel possesso qualificato è per contro necessaria solo per l’attribuzione della legittimazione all’esercizio del diritto e solo sotto tale profilo rileva la distinzione fra titoli al portatore, all’ordine e nominativi.
· CIRCOLAZIONE IRREGOLARE
Si ha circolazione irregolare quando la stessa non è sorretta da un valido negozio di trasferimento (furto di un titolo di credito). In tal caso il possessore del titolo (ladro) non acquista la proprietà del titolo e la titolarità del diritto, che restano al derubato. Egli ha però la possibilità di esercitare di fatto il diritto e di fare circolare ulteriormente il titolo. Si ha quindi dissociazione fra titolarità e legittimazione.
Chi ha perso il possesso del titolo può esercitare azione di rivendicazione nei confronti dell’attuale possessore per riottenere li documento.
Chi ha acquistato in buona fede il possesso del titolo non è soggetto a rivendicazione, ma diventa proprietario dello stesso e titolare del diritto cartolare riportato. La sua posizione è inattaccabile dall’ex proprietario spogliato, che potrà esercitare solo l’azione di risarcimento nei confronti di colui che gli ha sottratto il titolo.
Perché si perfezioni l’acquisto a non domino di un titolo di credito devono ricorrere tre presupposti:
1. Un negozio astrattamente idoneo a trasferire la proprietà del titolo;
2. L’investitura dell’acquirente nel possesso del titolo, con l’osservanza delle formalità prescritte dalla relativa legge di circolazione;
3. La buona fede dell’acquirente, che è presunta.
LEGGE DI CIRCOLAZIONE
In base alla legge di circolazione i titoli di credito si distinguono in:
· TITOLI AL PORTATORE
Quelli al portatore recano la clausola “al portatore” e circolano mediante la semplice consegna del titolo. lI possessore è legittimato all’esercizio del diritto in esso menzionato in base alla sola presentazione del titolo al debitore.
Possono essere al portatore: gli assegni bancari, i libretti di deposito, le azioni di risparmio, le quote di partecipazione ai fondi comuni, le obbligazioni di società, le azioni Sicav, i titoli del debito pubblico.
Per i titoli al portatore non è di regola ammesso l’ammortamento
· TITOLI ALL’ORDINE
I titoli all’ordine sono titoli intestati ad una persona determinata.
Circolano mediante consegna del titolo accompagnato dalla girata. Il possessore del titolo all’ordine si legittima in base ad una serie continua di girate: è necessario che il nome di ogni girante corrisponda a quello del giratario della girata precedente (il debitore è tenuto a controllare solo la regolarità formale delle girate).
Sono titoli di credito all’ordine: la cambiale, l’assegno bancario, l’assegno circolare, i titoli rappresentativi di merci.
LA GIRATA
La girata è una dichiarazione scritta sul titolo (di regola sul retro) e sottoscritta, con la quale l’attuale possessore (girante) ordina al debitore cartolare di adempiere nei confronti di un altro soggetto (giratario).
La girata è piena quando contiene il nome del giratario. La forma consueta è “per me pagate a…”, con al sottoscrizione del girante.
La girata è in bianco quando non contiene il nome del giratario (di regola costituita dalla sola firma del girante). Chi riceve un titolo girato in bianco può:
o Riempire la girata col proprio nome o col nome di un’altra persona
o Girare di nuovo il titolo in pieno o in bianco
o Trasmettere il titolo ad un terzo senza riempire la girata e senza apporne una nuova. In quest’ultimo caso la circolazione successiva avviene mediante semplice consegna manuale del titolo, come nei titoli al portatore, però il titolo rimane sempre all’ordine.
Qualsiasi condizione apposta alla girata si ha come non scritta. È nulla la girata parziale.
La girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo, cioè l’effetto è quello di mutare la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare. In realtà però i diritti non vengono trasferiti ma acquistati in via autonoma dal giratario in seguito all’acquisto della proprietà del titolo. Quando vi sono più girate, l’attuale possessore del titolo si legittima in base a una serie continua di girate, di cui l’ultima a lui intestata o in bianco: è necessario cioè che li nome di ogni girante corrisponda a quello del giratario della girata precedente, fino a risalire al primo prenditore.
Di regola, la girata non ha funzione di garanzia. Salvo diversa disposizione di legge o clausola contraria risultante dal titolo, il girante non è responsabile verso i giratari successivi per l’inadempimento da parte dell’emittente.
Il giratario acquista nei confronti dell’emittente un diritto letterale ed autonomo ed è di regola libero di trasferire ulteriormente il titolo. Il codice regola però due tipi di girata con effetti limitati:
o Girata per procura: il giratario assume la veste di rappresentante per l’incasso del girante; titolare del credito cartolare resta li girante e li giratario non acquista alcun diritto autonomo. Perciò li debitore può opporre al giratario per procura tutte e soltanto le eccezioni personali opponibili al girante; inoltre, il giratario per procura non può ulteriormente girare il titolo se non per procura.
o Girata a titolo di pegno (girata in garanzia): attribuisce al giratario un diritto di pegno sul titolo, a garanzia di un credito che il giratario stesso vanta nei confronti del girante. lI giratario acquista perciò un diritto autonomo, sia pure limitato. lI giratario in garanzia può inoltre esercitare tutti i diritti inerenti al titolo per il soddisfacimento del proprio credito verso il girante, non può però trasferire ad altri il titolo, in quanto non è proprietario dello stesso. Perciò la girata da lui fatta vale solo come girata per procura.
· TITOLI NOMINATIVI
I titoli nominativi sono titoli intestati ad una persona determinata. L’intestazione deve risultare sia dal titolo che da un apposito registro tenuto dall’emittente (doppia intestazione). Il possessore di un titolo nominativo è perciò legittimato all’esercizio dei relativi diritti per effetto della doppia intestazione a suo
favore.
Possono essere titoli nominativi: le obbligazioni, le quote di partecipazione a fondi comuni di investimento, i titoli del debito pubblico.
Vi sono due diverse procedure per il trasferimento della legittimazione
· TRANSFER: prevede il cambio contestuale delle due intestazioni, a cura e sotto la responsabilità dell’emittente. Il transfert può essere richiesto sia dall’alienante sia dall’acquirente:
o L’alienante deve provare la propria identità e la propria capacità di disporre, mediante certificazione di un notaio o di un agente di cambio
o L’acquirente deve esibire il titolo e dimostrare il suo diritto mediante atto autentico.
· TRASFERIMENTO MEDIANTE GIRATA: la doppia annotazione è eseguita da soggetti diversi ed in tempi diversi:
o L’annotazione sul titolo (girata) è fatta dall’alienante
o Quella nel registro dell’emittente, ad opera di quest’ultimo e si rende necessaria solo quando l’acquirente voglia esercitare i relativi diritti (nel frattempo l’acquirente può trasferire ad altri li titolo, mediante ulteriore girata).
La girata deve essere datata e sottoscritta dal girante e contenere l’indicazione del giratario; inoltre, deve esser autenticata da un notaio o da un agente di cambio o, per le azioni, dal funzionario di banca o da una Sim.
La girata di un titolo nominativo attribuisce infatti al possessore solo la “legittimazione ad ottenere la legittimazione” (ad ottenere cioè l’annotazione del trasferimento nel registro dell’emittente). Solo in seguito a quest’ultima il giratario consegue la legittimazione all’esercizio dei diritti inerenti al titolo, mentre prima di tale momento li trasferimento mediante girata non ha efficacia nei confronti dell’emittente
LA LEGITTIMAZIONE ALL’ESERCIZIO DEL DIRITTO
ART. 1992 CO. 1: “Il possessore di un titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo, purché sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge” => LEGITTIMAZIONE ATTIVA
Il possessore di un titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo (cd. legittimazione attiva), senza essere tenuto a provare il valido acquisto della proprietà del titolo e il conseguente acquisto della titolarità del diritto. È così spostato sul debitore l’onere di provare i difetti di titolarità, ove intenda resistere alla richiesta di adempimento.
ART. 1992 CO. 2: “Il debitore, che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto” => LEGITTIMAZIONE PASSIVA
Il debitore, che senza dolo o colpa grave adempia alla prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto.
La liberazione del debitore non è subordinata alla buona fede ma all’assenza di dolo o colpo grave; dunque, il debitore è liberato non solo quando ignora il difetto di titolarità del legittimato (buona fede), ma anche quando, pur essendone a conoscenza, egli non disponga di mezzi di prova pronti e sicuri per contestare il difetto di titolarità o, quantomeno, non sia in grado di procurarseli con l’ordinaria diligenza.
ECCEZIONI CARTOLARI ART. 1993
Esistono eccezioni che il debitore cartolare può opporre al portatore del titolo per sottrarsi al pagamento; si distinguono in due grandi categorie:
o ECCEZIONI REALI: sono opponibili a qualunque portatore del titolo
1. Le eccezioni di forma (mancata osservanza dei requisiti formali del titolo richiesti dalla legge a pena di nullità);
2. Le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo (principiò della letteralità del diritto cartolare);
3. La falsità della firma (es. Firma apposta da un omonimo);
4. Difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell’emissione del titolo;
5. La mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione.
o ECCEZIONI PERSONALI: sono opponibili solo ad un determinato portatore e non si ripercuotono sugli altri
1. Le eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione del titolo (eccezioni ex causa), opponibili solo al primo prenditore;
2. Le eccezioni fondate su altri rapporti personali con i precedenti possessori, opponibili solo a colui che è stato parte del relativo rapporto;
3. Le eccezioni di difetto di titolarità del diritto cartolare, opponibile al possessore del titolo che non ne ha acquistato la proprietà o l’ha successivamente persa.
Le eccezioni ai punti 1. e 2. sono eccezioni personali fondate su rapporti personali
ART. 1993 CO. 2: “Il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori, soltanto se, nell’acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo” => EXCEPTIO DOLI: ci deve essere un accordo fraudolento tra chi trasmette il titolo e chi lo riceve: lo specifico intento è quello di danneggiare il debitore, facendo si che non siano lui opponibili le eccezioni personali
Le eccezioni al punto 3. sono eccezioni personali in senso stretto, in quanto non trovano fondamento in un rapporto fra debitore e portatore del titolo.
ART. 1994: “Chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito, in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione”
AMMORTAMENTO
A favore di colui che ha perso (per smarrimento, sottrazione o distruzione) il possesso del titolo sono apprestati rimedi che consentono di svincolare l’esercizio del diritto dal possesso del titolo.
Per i titoli all’ordine e nominativi è previsto l’istituto dell’ammortamento: è un procedimento diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale che il titolo originario non è più strumento di legittimazione (decreto di ammortamento); chi ha ottenuto l’ammortamento può infatti esigere il pagamento su presentazione del relativo decreto, e se il titolo non è scaduto, può ottenere dall’emittente un duplicato del titolo perduto.
La procedura inizia con la denuncia al debitore della perdita del titolo e con il contestuale ricorsodell’ex possessore al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile, che pronuncia, dopo gli opportuni accertamenti, con decreto l’ammortamento. Solo con la notifica del decreto il debitore non è liberato se paga al detentore del titolo. Dal momento della notifica il titolo perde al sua funzione di legittimazione e il debitore non è liberato se paga al detentore del titolo. Il debitore non può però pagare neppure all’ammortante prima che siano trascorsi 30 g dalla pubblicazione del decreto nella Gazzetta. Entro questo termine, infatti, il terzo detentore del titolo può proporre opposizione contro il decreto di ammortamento. Si apre così un ordinario giudizio di cognizione, che ha per oggetto l’accertamento della proprietà del titolo e si chiude con la revoca del decreto se l’opposizione è accolta, se invece è respinta li decreto diventa definitivo ed li titolo è consegnato al ricorrente.
La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore, salvo alcune eccezioni per i titoli a circolazione ristretta (libretti di deposito e assegni bancari al portatore). lI possessore del titolo al portatore che ne provi la distruzione, ha tuttavia diritto ad ottenere dall’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente. Nel caso invece di smarrimento o sottrazione del titolo, chi ha subito tali eventi e li abbia denunziati all’emittente, dandone la prova, ha diritto alla prestazione, decorso il termine di prescrizione del titolo (art 2006). Solo così, infatti, li debitore è posto al riparo dal pericolo di un doppio pagamento.
IMPRESA FAMILIARE
È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano (anche attraverso il lavoro nella famiglia) il coniuge, i parenti entro il terzo grado (fino ai nipoti) e gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell’imprenditore: c.d. famiglia nucleare.
L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa. Può aversi piccola impresa senza che sia impresa familiare e viceversa.
Il legislatore ha voluto predisporre una tutela minima ed inderogabile del lavoro familiare nell’impresa, attraverso il riconoscimento per i membri della famiglia nucleare che lavorino in modo continuativo nella famiglia e nell’impresa determinati diritti patrimoniali e amministrativi.
Sul piano patrimoniale sono riconosciuti i seguenti diritti:
1. Diritto al mantenimento, secondo le condizioni patrimoniali della famiglia, anche se non dovuto ad altro titolo (come per i figli maggiorenni);
2. Diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità del lavoro prestato nell’impresa e nella famiglia;
3. Diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda, anche dovuti ad avviamento, sempre in proporzione alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato;
4. Diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda stessa.
È previsto che il diritto di partecipazione:
1. È trasferibile solo a favore di altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti;
2. È inoltre liquidabile in danaro qualora cessi la prestazione di lavoro ed in caso di alienazione dell’azienda.
Sul piano amministrativo è previsto che:
1. Le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e altre decisioni di particolare rilievo sono adottate a maggioranza dei familiari che partecipano all’impresa stessa
IMPRESA ARTIGIANA
La legge quadro per l’artigianato (L. 8-8-1985, n. 443) che ha abrogato la normativa precedente, ha fornito una nuova e definitiva nozione di impresa artigiana. Essa è contraddistinta dai seguenti elementi:
· Il ruolo preponderante dell’artigiano, che deve prestare in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Non è richiesto che il suo lavoro prevalga sugli altri fattori produttivi;
· Un processo produttivo non del tutto meccanizzato, potendo, peraltro, avere ad oggetto una «qualsiasi attività di produzione di beni anche semilavorati o di prestazioni di servizi eccetto le attività di intermediazione nella circolazione di beni o ausiliari di essi, di somministrazione al pubblico di bevande o alimenti non strumentali all’esercizio dell’impresa, le prestazioni di servizi commerciali e le attività agricole».
· È ammesso, inoltre, l’impiego di personale dipendente nei limiti fissati per i vari settori produttivi e a condizione che questo operi sotto la direzione personale dell’imprenditore artigiano.
· Possono aversi, infine, anche imprese artigiane organizzate nella forma di società cooperative o in nome collettivo purché la maggior parte dei soci svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e nell’impresa il lavoro abbia funzione prevalente sul capitale. In seguito alle modifiche apportate dalla L. 20-5-1997, n. 133, la società artigiana può essere costituita anche in forma di accomandita semplice e a responsabilità limitata unipersonale. Infine, la L. 5-3-2001, n. 57 ha ammesso anche la forma della s.r.l. pluripersonale, restando quindi precluse le sole forme della s.p.a. e della s.a.p.a.
La categoria delle imprese artigiane (individuali e societarie) risulta quindi notevolmente ampliata, per tipologia e dimensioni, rispetto alla legge precedente. E scomparso ogni riferimento alla «natura artistica o usuale» dei beni o servizi prodotti. Inoltre, l’elevazione del numero massimo dei dipendenti consente di conservare la qualifica artigiana anche raggiungendo le dimensioni di una piccola industria di qualità
PICCOLO IMPRENDITORE
Anche la nozione di piccolo imprenditore ha, nel codice civile, un rilievo essenzialmentenegativo, ossia serve a restringere il campo di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale.
Individuare chi sia il piccolo imprenditore non era in passato problema agevole, a causa di una pluralità di nozioni:
1. NEL CODICE CIVILE
ART. 2083: “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”
Il codice civile per individuare il piccolo imprenditore utilizza il criterio della prevalenza: “la prevalenza del lavoro proprio e familiare costituisce il carattere distintivo di tutti i piccoli imprenditori”. Quindi, necessario per aversi piccola impresa è:
o Che il piccolo imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa
o che il lavoro del piccolo imprenditore e quello degli eventuali familiari che collaborano nell’impresa prevalga sia rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale investito nell’impresa
La prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi deve intendersi in senso qualitativo-funzionale: è necessario accertare che l’apporto personale dell’imprenditore e dei suoi familiari caratterizzino i beni e i servizi prodotti
2. NELLA LEGGE FALLIMENTARE
Individuava il piccolo imprenditore sulla base di criteri completamente diversi da codice civile: non utilizzava il criterio della prevalenza, ben si un sistema di soglie quantitative rapportate al reddito e al capitale investito nell’impresa. Il paradosso è che si doveva contemporaneamente riconoscere e negare allo stesso soggetto la qualità di piccolo imprenditore
Ad oggi la disciplina delle procedure concorsuali non definisce più chi è il piccolo imprenditore, ma individua alcuni parametri dimensionali dell’impresa, al di sotto dei quali l’imprenditore commerciale non è soggetto alla liquidazione giudiziale (definizione di “impresa minore”)
IMPRENDITORE COMMERCIALE
Secondo l’ART. 2195, sono imprenditori commerciali gli imprenditori che esercitano:
1. Un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; darà vita ad impresa commerciale ogni attività di impresa nel settore della produzione che sia qualificabile come “attività industriale”;
2. Un’attività intermediaria nella circolazione dei beni; è impresa commerciale ogni attività di scambio che realizzi intermediazione nella circolazione di beni o servizi;
3. Un’attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria; le imprese di trasporto producendo servizi può essere considerata specificazione dell’attività produttiva di servizi, indicata nel primo punto dell’art. 2195;
4. Un’attività bancaria o assicurativa; l’impresa bancaria ha per oggetto tipico la raccolta del risparmio tra il pubblico e l‘esercizio del credito; perciò, l’attività bancaria, in sostanza, è attività di intermediazione nella circolazione del danaro; anche l’impresa di assicurazione produce servizi;
5. Altre attività ausiliarie delle precedenti; tutte imprese che possono qualificarsi come imprese produttrici di servizi.
IMPRENDITORE AGRICOLO
L’ART. 2135 stabiliva: “È imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse”. CO. 2: “Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura”.
Le attività agricole vengono distinti in due categorie:
1. ATTIVITÀ AGRICOLE ESSENZIALI
2. ATTIVITÀ AGRICOLE CONNESSE
Questa distinzione è stata mantenuta anche dalla nuova nozione di imprenditore agricolo, introdotta con il d.lgs. n. 228/2001. In particolare:
· Per quanto riguarda le attività agricole essenziali, la nuova norma afferma che:
“È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.
Coltivazione del fondo, silvicoltura ed allevamento del bestiame sono attività tipicamente e tradizionalmente agricole, ma che negli ultimi decenni hanno subito profonde trasformazioni, a causa del progresso tecnologico che ha coinvolto anche l’agricoltura e che l’ha trasformata in un’agricoltura industrializzata. Oggi, l’attività agricola può dar luogo ad investimenti ingenti di capitali e ciò può far dubitare sulla correttezza della loro disciplina. Che l’imprenditore agricolo sia sempre e comunque esonerato dalla disciplina dell’imprenditore commerciale è una scelta legislativa che dà luogo a molti contrasti. È necessario infatti stabilire fino a che punto l’evoluzione tecnologica dell’agricoltura sia compatibile con la qualificazione agricola dell’impresa agli effetti del c.c.
1. Vi era, infatti, chi riteneva che impresa agricola fosse ogni impresa che produce specie vegetali o animali, cioè ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale.
2. Poi, vi era chi riteneva che doveva essere dato rilievo anche al modo di produzione tipico dell’agricoltore e, quindi, che doveva essere qualificato imprenditore commerciale chi produce specie animali o vegetali in modo del tutto svincolato dal fondo agricolo o dallo sfruttamento della terra (coltivazioni artificiali e allevamenti in batteria).
La riforma ha però optato per la prima impostazione; infatti, l’attuale nozione di imprenditore agricolo, dopo aver elencato le attività svolte dall’imprenditore agricolo, specifica al CO. 2: “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.
In base a questa nuova nozione si deve perciò ritenere che la produzione di specie vegetali o animali è sempre qualificabile giuridicamente come attività agricola essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti. Quindi si possono far rientrare nella nozione di coltivazione del fondo: l’orticoltura, le coltivazioni in serra e vivai e la floricoltura. Sono coltivazioni anche le coltivazioni fuori terra di ortaggi e frutta.
· Per quanto riguarda, invece le attività agricole per connessione il CO. 3 afferma che: “Si intendono comunque connesse le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo:
o Dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali,
o Dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Entrambe sono, oggettivamente, attività commerciali, ma sono considerate per legge attività agricole quando sono esercitate in connessione con una delle attività agricole essenziali. È importante precisare quando un’attività intrinsecamente commerciale possa qualificarsi come agricola per connessione. Ci sono due condizioni necessarie:
1. È necessario che il soggetto che la esercita sia già qualificabile imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre attività agricole tipiche e sia un’attività coerente con quella connessa, connessione soggettiva.
2. È necessario che vi sia una connessione oggettiva fra le due attività. Non si richiede più che le attività di trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli rientrino nell’esercizio normale dell’agricoltura, né che le attività connesse diverse da queste abbiano carattere accessorio. Entrambi questi criteri sono stati sostituiti dal criterio della prevalenza. Necessario e sufficiente è solo che si tratti di attività aventi ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ovvero di beni o servizi forniti mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda agricola.
CATEGORIE DI IMPRENDITORI
Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura dell’imprenditore. Ma la disciplina non è identica per tutti gli imprenditori.
Il c.c. distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:
1. in base all’oggetto dell’impresa, si distingue fra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale;
2. in base alla dimensione dell’impresa, si distingue fra piccolo imprenditore e imprenditore medio-grande;
3. in base alla natura del soggetto che esercita l’impresa, si distingue fra impresa individuale, società e impresa pubblica.
Il c.c. detta innanzitutto un corpo di norme applicabile a tutti gli imprenditori, detto statuto generale dell’imprenditore: che comprende la disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza e dei consorzi e di alcuni contratti. Poi, detta lo statuto dell’imprenditore commerciale: che disciplina l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la rappresentanza commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali.
Nel sistema del c.c. la qualifica di imprenditore agricolo e piccolo imprenditore ha rilievo solo al fine di delimitare l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, imprenditore agricolo e piccolo imprenditore (anche commerciale) sono esonerati dalla tenute delle scritture contabili, dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, mentre è stato esteso ad essi l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese.
Anche la distinzione fra impresa individuale, società e impresa pubblica rileva essenzialmente al fine di definire l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, le società commerciali (diverse dalla s.s.) sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, anche se l’attività esercitata non è commerciale. (art. 2200). Con la riforma delle società del 2006 è stata soppressa la regola per cui le società non potevano essere mai considerate piccoli imprenditori; regola per cui le società erano sempre espose al fallimento se esercitavano attività commerciale.
Gli enti pubblici che esercitano impresa commerciale sono sempre sottratti alla disciplina dell’imprenditore commerciale. In ogni caso non sono mai esposti al fallimento.
NOZIONE DI IMPRENDITORE
ART. 2082: “È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”
Dalla disposizione si ricavano i requisiti giuridici minimi necessari e sufficienti che devono sussistere perché un dato soggetto sia qualificato come imprenditore e sia esposto alla disciplina dell’imprenditore: l’impresa è attività, cioè una serie coordinata di atti unificati da una funzione unitaria, caratterizzata da:
1. Uno SPECIFICO SCOPO: cioè la produzione o scambio di beni o servizi
a. ATTIVITÀ PRODUTTIVA
Per qualificare un’attività come produttiva è irrilevante la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi vanno a soddisfare: è impresa anche la produzione di servizi di natura assistenziale, culturale o ricreativa.
Inoltre è irrilevante che l’attività produttiva possa qualificarsi nel contempo come attività di godimento o di amministrazione di determinati beni o del patrimonio del soggetto agente: non è impresa l’attività di mero godimento, cioè l’attività che non dà luogo alla produzione di nuovi beni o servizi (es. il proprietario di immobili che ne gode dei frutti dandoli in locazione):
· È attività di godimento e produttiva quella di un proprietario di un fondo agricolo che destini lo stesso a coltivazione, oppure di un proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo. In questi casi, la locazione è accompagnata dall’erogazione di servizi collaterali che eccedono il mero godimento del bene.
· È attività di godimento o amministrazione del proprio patrimonio e attività di produzione l’impiego di proprie disponibilità finanziarie nella compravendita di strumenti finanziari con intenti di investimento, speculazione o concessione di finanziamento. Quindi, sono imprese commerciali le società di investimento e le società finanziarie.
· Sono imprese commerciali anche le holding, cioè le società che hanno per oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società, con funzione di direzione, di coordinamento e di finanziamento della loro attività.
- SPECIFICHE MODALITÀ DI SVOLGIMENTO:
a. ATTIVITÀ ORGANIZZATA
Non è concepibile attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui.
La funzione organizzativa dell’imprenditore si concretizza nella creazione di un apparato produttivo stabile e complesso, formato da persone e da beni strumentali, ossia di un’attività organizzata.
Affinché un’attività produttiva possa dirsi organizzata in forma di impresa non è necessario:
· Che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia per oggetto anche altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate. È imprenditore anche chi opera utilizzando solo il fattore capitale e il proprio lavoro, senza avvalersi del lavoro altrui.
· Che l’attività organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione di un apparato strumentale fisicamente percepibile (beni strumentali). È vero che non vi può essere impresa senza impiego e organizzazione di mezzi materiali, ma questi possono ridursi al solo impiego di mezzi finanziari. Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzazione di fattori produttivi ed il loro coordinamento da parte dell’imprenditore per un fine produttivo.
La qualità di imprenditore non può essere negata sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori, sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi non si concretizzi nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile
IMPRESA E LAVORO AUTONOMO
Si è posto il problema se si possa parlare di impresa anche quando il processo produttivo si fonda esclusivamente sul lavoro personale del soggetto agente, cioè quando non vengono utilizzati né lavoro altrui né capitale proprio o altrui, quindi manca la c.d. eteroorganizzazione .
Il problema si pone, quindi, per i prestatori autonomi d’opera manuale (elettricisti, idraulici, ecc.) o di servizi personalizzati ( mediatori, agenti di commercio).
La semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata organizzazione imprenditoriale e in mancanza di un minimo di eteroorganizzazione deve negarsi l’esistenza di un’impresa, anche se piccola.
Una parte della dottrina, invece, basandosi sull’art. 2083, ritiene imprenditore anche chi si limita ad organizzare il proprio lavoro, senza impiegare né lavoro altrui né capitali. Ma tale tesi non è condivisibile, in quanto la nozione di piccolo imprenditore non vuol indicare la superfluità di ogni forma di eteroorganizzazione: l’organizzazione del lavoro dei propri familiari è pur sempre organizzazione del lavoro altrui. E comunque, il requisito dell’organizzazione è richiesto sia per l’imprenditore che per il piccolo imprenditore, ma non per il lavoratore autonomo.
Un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è sempre necessario per aversi impresa, anche se piccola. In mancanza si avrà lavoro autonomo non imprenditoriale.
b. ATTIVITÀ ECONOMICA
Ciò che qualifica un’attività “economica” non è solo il fine (produttivo) cui essa è indirizzata, ma anche il modo con cui essa è svolta.
L’attività può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa ad ottenere la copertura dei costi con ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica. Altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza.
Non è perciò imprenditore chi produca beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale cioè da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi.
ATTIVITÀ DI IMPRESA E SCOPO DI LUCRO
Non c’è dubbio sul fatto che lo scopo che normalmente anima l’imprenditore è la realizzazione del profitto e del massimo profitto consentito dal mercato. Ma ci si chiede se lo scopo di lucro sia necessario e, quindi, si debba negare la qualità di imprenditore e l’applicabilità della relativa disciplina quando ricorrano tutti i requisiti dell’ART. 2082 ma manchi lo scopo di lucro:
· La risposta è negativa quando lo scopo lucrativo si intende come movente psicologico dell’imprenditore, c.d. lucro soggettivo.
Lo scopo di lucro soggettivo non può ritenersi essenziale perché l’applicazione della disciplina dell’impresa, volta a tutelare i terzi, deve basarsi su dati esteriori ed oggettivi.
· Non è essenziale nemmeno che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative (cd. lucro oggettivo). È sufficiente che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive tendenti al pareggio fra costi e ricavi (metodo economico) e non anche che le modalità di gestione tendano alla realizzazione di ricavi eccedenti i costi (metodo lucrativo).
La nozione di imprenditore è unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata sia dell’impresa pubblica: ciò implica che requisito essenziale può essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori:
o L’impresa pubblica è tenuta ad operare secondo criteri di economicità, ma non è preordinata alla realizzazione di un profitto.
o Le società, invece, sono tenute ad operare con metodo lucrativo e nel duplice senso che l’attività di impresa deve essere rivolta al conseguimento di utili, lucro oggettivo, e che l’utile deve essere devoluto ai soci, lucro soggettivo.
o Nel caso particolare delle società cooperative, essendo caratterizzata dallo scopo mutualistico, si deve considerare pienamente rispondente alla legge e alla Costituzione una gestione dell’impresa mutualistica fondata su criteri di pura economicità e non tesa alla realizzazione di profitti.
o L’impresa sociale è un’impresa che esercita un’attività di interesse generale, senza scopo di lucro
Il requisito minimo essenziale dell’attività di impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro. La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta sia alla persona fisica sia agli enti di diritto privato (associazioni e fondazioni) con scopo ideale o altruistico.
c. PROFESSIONALITÀ DELL’ATTIVITÀ
Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva.
La professionalità non implica però che l’attività imprenditoriale debba essere necessariamente svolta in modo continuato e senza interruzioni. Per le attività stagionali è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze periodiche di quel tipo di attività.
La professionalità non implica nemmeno che quella impresa sia l’unica attività o l’attività principale. È possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte dello stesso soggetto.
Può aversi impresa anche quando si opera per il compimento di un unico affare. Il compimento di un unico affare può costituire impresa quando, per la rilevanza economica, implichi il compimento di operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici.
La professionalità va accertata in base ad indici esteriori ed oggettivi. Non è necessario che si abbia reiterazione degli atti di impresa, che l’attività si sia già protratta nel tempo. Indice di professionalità può essere anche la creazione di un complesso aziendale idoneo allo svolgimento di un’attività potenzialmente stabile e duratura.
IL PROBLEMA DELL’IMPRESA PER CONTO PROPRIO
Le imprese operano di regola per il mercato, cioè destinano allo scambio i beni o servizi prodotti. Ma l’ART. 2082 non richiede la destinazione al mercato della produzione, quindi è imprenditore anche l’imprenditore per conto proprio.
Ma una parte della dottrina è contraria vista la concezione economica dell’imprenditore come soggetto che svolge funzione intermediaria fra proprietari dei fattori produttivi e consumatori. Ciò induce a ritenere che la destinazione allo scambio della produzione è implicitamente richiesta dal carattere professionale dell’attività di impresa ovvero dalla natura economica della stessa o quanto meno dalla funzione di tutela dei terzi della disciplina dell’impresa. Funzione di tutela che non avrebbe senso quando un soggetto risolve la propria attività produttiva in se stesso senza entrare in contatto con i terzi.
L’impresa per conto proprio non è impresa, in quanto per l’acquisto della qualità di imprenditore basta una destinazione parziale o potenziale della produzione al mercato.
Vi sono alcune ipotesi in cui non si può parlare di imprese per conto proprio:
· La società cooperativa che produce esclusivamente per i propri soci. La società cooperativa è soggetto di diritto distinto dai suoi soci ed i soci fruiscono dei beni prodotti dalla società in base a rapporti di scambio con la cooperativa
· L’azienda costituita dallo Stato o da altri enti pubblici per la produzione di beni o servizi da fornire dietro corrispettivo.
Possono, invece, considerarsi imprese per conto proprio:
· La coltivazione del fondo finalizzata al soddisfacimento dei bisogni dell’agricoltore e della sua famiglia;
· La costruzione in economia, cioè la costruzione di appartamenti non destinati alla rivendita.
Il caso del coltivatore del fondo ci dimostra che non vi è incompatibilità fra impresa per conto proprio ed economicità, dato che l’attività produttiva può considerarsi svolta con metodo economico anche quando i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore. Inoltre, le esigenze di tutela dei terzi possono ricorrere anche rispetto all’impresa per conto proprio.
Quindi, l’applicazione della disciplina dell’impresa non si può far dipendere dalle intenzioni di chi produce, ma deve fondarsi esclusivamente sui caratteri oggettivi fissati dall’art. 2082. Caratteri che possono ricorrere tutti anche quando i beni prodotti vengono in fatto consumati o utilizzati dallo stesso produttore. Quindi, il costruttore in economia deve perciò essere qualificato come imprenditore commerciale, così come il coltivatore del fondo.
AZIENDA
NOZIONE
ART. 2555: l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa
* Azienda e impresa sono due concetti che vanno tenuti distinti: rapporto di mezzo a fine
o L’azienda è il complesso dei beni impiegati nel processo produttivo da parte dell’imprenditore, sicché essa si configura quale strumento al servizio dell’impresa.
o L’impresa è invece l’attività svolta dall’imprenditore
ELEMENTI COSTITUTIVI => Sono tutti i beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa
1. BENI AZIENDALI
Sul piano statico: l’azienda si risolve nei beni che la compongono.
Per qualificare un dato bene come “bene aziendale”, rilevante è la destinazione funzionale impressagli dall’imprenditore. Irrilevante è, invece, il titolo giuridico che legittima un imprenditore ad utilizzare un dato bene.
L’azienda è un complesso di soli beni, infatti, non è condivisibile (dato normativo) la tesi onnicomprensiva, secondo cui tra gli elementi costitutivi dell’azienda bisognerebbe ricomprendere ogni elemento patrimoniale facente capo all’imprenditore nell’esercizio della propria attività: azienda come organizzazione di beni e di servizi (rapporti di lavoro; contratti…).
2. ORGANIZZAZIONE
Sul piano dinamico: l’azienda costituisce un nuovo valore, per l’attitudine alla produzione di nuova ricchezza che l’organizzazione le conferisce
L’azienda è un insieme di beni eterogenei, ma è anche un complesso caratterizzato da un’unità funzionale sia per il coordinamento tra i diversi elementi costitutivi sia per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo. Ciò attribuisce all’azienda un rilievo economico: i beni organizzati ad azienda consentono la produzione di utilità nuove, diverse e maggiori di quelle ricavabili dai singoli beni isolatamente considerati
3. AVVIAMENTO
È l’attitudine dell’azienda a consentire la realizzazione di un profitto. Infatti il rapporto di strumentalità e di complementarietà fra i singoli elementi costitutivi dell’azienda, fa si che il complesso unitario acquisti un valore di scambio maggiore della somma dei valori dei singoli beni che la costituiscono.
Tale capacità dell’azienda dipende da:
* Fattori oggettivi: ricollegabile ai fattori che permangono anche se muta il titolare
* Fattori soggettivi: ricollegabile all’abilità operativa dell’imprenditore di creare e accrescere la clientela
NATURA GIURIDICA => molto discussa
Teorie unitarie: che considerano l’azienda come un unico bene, nuovo e distinto dai singoli beni che la compongono. Per cui l’azienda sarebbe un bene immateriale, rappresentato dall’organizzazione. Tale teoria ritiene che il titolare dell’azienda acquisti su di essa un vero e proprio diritto di proprietà unitario, che coesisterebbe con i diritti che vanta sui singoli beni
Teoria atomistica: considera l’azienda come una pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e suo quali l’imprenditore vanta diversi diritti
=> l’assenza di una legge di circolazione propria dell’azienda è sufficiente a negare la condivisibilità delle teorie unitarie (ART. 2556: “salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”). È indubbio che però l’azienda è considerata come unità funzionale, infatti l‘ART. 2561: l’usufruttuario “gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione”
CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA
L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura: l’importante è stabilire se un determinato atto di disposizione sia da qualificare come “trasferimento d’azione” o come “trasferimento dei singoli beni aziendali”. Solamente in caso di “trasferimento di azienda” troverà applicazione la disciplina sulla circolazione di un complesso aziendale.
Per qualificare una data vicenda circolatoria come “trasferimento d’azione” o come “trasferimento dei singoli beni aziendali” bisognerà far riferimento a criterio oggettivi: cioè il risultato realmente perseguito e realizzato, senza far riferimento al nomen dato al contratto dalle parti o alla loro intenzione soggettiva. In tal caso, accertato che l’atto di disposizione abbia al oggetto l’intero complesso aziendale, esso comprenderà tutti i beni presenti nello stesso anche se non menzionati nel contratto; tali beni passeranno all’acquirente nella medesima situazione giuridica in cui si trovano presso il trasferente.
Per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso aziendale: necessario e sufficiente è che sia trasferito un insieme di beni di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa; altrettanto necessario è che i beni esclusi dal trasferimento non alterino l’unità economica funzionale di quella data azienda.
FORME DEL TRASFRIMENTO ART. 2556
Netta è la distinzione tra:
* Forma richiesta a fini probatori e per l’opponibilità a terzi: “per le imprese soggette a registrazione [2195, 2560] i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda [2565, 2573] devono essere provati per iscritto”.
La forma scritta è richiesta ad probationem (in mancanza le parti non potranno avvalersi della prova per testimoni per dimostrare l’esistenza del contratto), per le imprese soggette a registrazione, quale mezzo di prova del contratto. Gli atti relativi al trasferimento devono essere iscritti nel Registro delle imprese
Redazione del contratto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Solo l’iscrizione nella sezione ordinaria produce effetti di pubblicità legale (opponibilità ai terzi)
* Forma necessaria per la validità del trasferimento: “i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda sono valiti solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”.
L’atto di trasferimento dell’azienda non richiede una forma particolare fatto salvo per il trasferimento di quei beni per i quali la legge richiede la forma scritta ab substantia (es. beni immobili)
Manca un’autonoma ed unitaria legge di circolazione dell’azienda; quindi, il trasferimento di ciascun bene aziendale segue il regime dettato in via generale
EFFETTI EX LEGE DELL’ALIENAZIONE DELL’AZIENDA
DIVIETO DI CONCORRENZA
ART. 2557: “Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta”.
CO. 5: “Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela”
2 ESIGENZE:
* Acquirente: trattenimento della clientela (avviamento soggettivo)
* Alienante: non compressione della libertà di iniziativa economica (termini di 5 anni)
Divieto RELATIVO: sussiste nei limiti in cui la nuova attività sia potenzialmente idonea a sottrarre la clientela.
Divieto valido anche in caso di vendita coattiva (non sono vendita volontaria)
Le parti possono anche ampliare il divieto:
CO. 2: “Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento”.
CO. 3: “Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento”
CASI CONTROVERSI
1. Divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda in successione ad un degli eredi
2. Scioglimento di una società con assegnazione dell’azienda ad uno dei soci, come quota di liquidazione
3. Vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione sociale di controllo
Nei casi 1) e 2) non si può affermare che vi sia stato un trasferimento di azienda, sicché sembrerebbe da escludersi che gli eredi e gli altri soci siano tenuti a rispettare il divieto di concorrenza. Nel 3) caso vi è stato un negozio traslativo che ha per oggetto le quote o le azioni della società, ma non l’azienda. Non ricorre il presupposto per l’applicazione del divieto.
C’è però che considera non decisiva la diversità formale dei negozi e, in via analogica, prevede l’applicabilità del divieto, purché ricorra il presupposto che l’alienante possa in concreto sviare la clientela
LA SUCCESSIONE NEI CONTRATTI AZIENDALI
ART. 2258: “Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”
La disciplina si preoccupa di favorire il mantenimento dell’unità economica dell’azienda: l’acquirente è agevolato nel subingresso dei rapporti contrattuali in corso di esecuzione.
L’acquirente non può subentrare nei contratti a carattere personale senza un espressa pattuizione e il consenso del contraente ceduto (disciplina di diritto comune della cessione del contratto)
Il legislatore introduce significative deroghe alla disciplina generale della cessione dei contratti: in quanto il subingresso prescinde da un’esplicita manifestazione di volontà (effetto ex lege). Tale manifestazione è necessaria solo se si vuole escludere la successione in uno o più contratti in corso di esecuzione (“se non è pattuito diversamente”)
CO. 2: “Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”
Il consenso del terzo non è necessario per il trasferimento del contratto virgola in deroga alle disposizioni generali Valenti per la cessione del contratto
Il terzo contraente potrà recedere solo se sussiste una giusta causa, spetterà quindi a quest’ultimo provare che l’acquirente si trova in una situazione oggettiva (patrimoniale, personale o aziendale) tale da non dare affidamento sulla regolare l’esecuzione del contratto
Il recesso comporta l’estinzione del contratto.
Il terzo può chiedere il risarcimento dei danni all’alienante per non aver scelto con cura l’acquirente
CREDITI E DEBITI
La disciplina della successione nei contratti ha ad oggetto prestazioni corrispettive non integralmente eseguite da entrambe le parti al momento del trasferimento dell’azienda. Se l’imprenditore ha già compiuto le obbligazioni a suo carico, residuerà un credito a suo favore; mentre residuerà un debito qualora il terzo contraente abbia integralmente eseguito le proprie versa prestazione. In questi casi si applicheranno:
* PER I CREDITI
ART. 2259: “La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante”.
Derogando alla disciplina di diritto comune in tema di cessione dei crediti virgola non servirà la notifica al debitore ceduto o l’accettazione di questo per rendere opponibile la cessione, ma basterà iscrivere il trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese. A seguito dell’iscrizione la cessione dei crediti avrà effetto nei confronti dei terzi.
* PER I DEBITI
ART. 2260: “L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito”
È mantenuto fermo il principio generale per cui non è messo il mutamento del debitore senza il consenso del creditore. Il consenso deve riguardare la liberazione dell’alienante e non il trasferimento dell’azienda
“Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori”
È derogato il principio generale secondo cui ciascuno risponde solo delle obbligazioni da lui assunte.
Anche se manca un patto di accollo, l’acquirente di un’azienda commerciale risponde in solido con l’alienante nei confronti del creditore che non abbia acconsentito alla liberazione di quest’ultimo. Tale responsabilità sussiste però solo per i debiti che risultano dai libri contabili obbligatori
AFFITTO E USUFRUTTO
L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento:
* Può essere costituita in USUFRUTTO
ART. 2561: “L’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue”
“Egli deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte”
“Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell’azienda, si applica l’articolo 1015 (cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario)”
“La differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto”
l’usufruttuario ha un potere dovere di gestione: esso può godere dei beni aziendali, ma anche il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione. L’usufruttuario potrà ah acquistare ed immettere nuovi beni, i quali diventeranno di proprietà del nudo proprietario virgola e sui quali l’usufruttuario avrà diritto di condimento e potere di disposizione
al termine dell’usufrutto l’azienda potrà risultare composta in tutto o in parte da beni diversi da quelli originari: è previsto che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la differenza tra le due consistenze sia regolata in denaro
ART. 2259 CO. 2: “Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell’azienda, se esso si estende ai crediti”
- Può essere concessa in AFFITTO
ART. 2562: “Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche nel caso di affitto dell’azienda”
L’espresso rinvio della norma e rimanda alla disciplina prevista per l’usufrutto
Il contratto d’affitto ha ad oggetto un complesso di beni organizzati, eventualmente comprensivo dell’immobile punto a differenza della locazione che è un contratto che ha ad oggetto il locale in quanto tale
ART. 2258 CO. 3: “Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto”
ART. 2257 CO. 4: “Nel caso di usufrutto o di affitto dell’azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell’usufrutto o dell’affitto”
SEGNI DISTINTIVI
L’attività di impresa è un’attività di relazioni in un mercato che vede coesistere più
imprenditori che producono e/o distribuiscono beni o servizi uguali o simili. Ciascun
imprenditore può utilizzare uno o più segni distintivi che consentano di individuarlo sul mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti.
I principali segni distintivi dell’imprenditore sono:
a La DITTA che contraddistingue la persona dell’imprenditore nell’esercizio dell’attività di impresa (detta anche nome commerciale)
b L’INSEGNA che individua i locali in cui l’attività di impresa è esercitata
c Il MARCHIO che individua e distingue i beni o i servizi prodotti
d sempre più rilievo sta acquistando il NOME A DOMINIO, cioè il sito internet aziendale.
I segni distintivi hanno la FUNZIONE di favorire la formazione ed il mantenimento della clientela in quanto consentono ai consumatori di distinguere fra i vari operatori economici e di effettuare scelte consapevoli: si definiscono collettori di clientela.
Intorno ai segni distintivi ruotano vari interessi:
1. L’interesse degli imprenditori:
a. Di dotarsi di segni che abbiano spiccata forza distintiva ed attrattiva e di precludere ai concorrenti l’uso di segni similari idonei a sviare la propria clientela
b. Di poter liberamente cedere ad altri i propri segni distintivi, in modo da monetizzare il valore economico di tali segni;
2. L’interesse di coloro che con essi entrano in contatto (fornitori, finanziatori e consumatori) a non essere tratti in inganno sull’identità dell’imprenditore o sulla provenienza dei prodotti immessi sul mercato.
3. Il più ampio interesse a che la competizione concorrenziale si svolga in modo ordinato e leale: questa è la finalità a cui tende la regolamentazione dei segni distintivi.
Dalle tre discipline è possibile desumere dei PRINCIPI COMUNI, espressione della funzione comune dei segni distintivi e dell’identità degli interessi coinvolti:
1. L’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi, ma è tenuto a rispettare determinate regole (verità, novità, capacità distintiva ) , per evitare inganno e confusione sul mercato;
2. L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi. Questo è un diritto relativo e strumentale alla realizzazione della funzione distintiva e non un diritto assoluto: il titolare di un segno distintivo non può impedire che altri adottino lo stesso segno distintivo quando, per la diversità delle attività di impresa o per la diversità dei mercati su cui operano, non vi è pericolo di confusione o sviamento della clientela;
3. L’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi, purché la circolazione dei segni non tragga in inganno il pubblico.
DITTA
La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, che lo individua come soggetto di diritto nell’esercizio dell’attività di impresa. È un segno distintivo necessario, ossia in mancanza di diversa scelta essa coincide con il nome civile dell’imprenditore.
Nella scelta della propria ditta l’imprenditore deve rispettare due limiti specifici, cioè:
- PRINCIPIO DI VERITÀ: il quale ha un contenuto assai limitato e diverso a seconda che si tratti di:
a. DITTA ORIGINARIA: è quella formata dall’imprenditore che la utilizza. Essa deve contenere: almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, poi l’imprenditore può completarlo come preferisce. L’imprenditore non è tenuto a modificare la ditta patronomica qualora intervengano mutamenti nel suo nome civile (per matrimonio, divorzio o adozione);
b. DITTA DERIVATA: è quella formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore insieme all’azienda. Nessuna norma impone a chi utilizzi una ditta derivata di integrarla col proprio cognome o con la propria sigla. - PRINCIPIO DI NOVITÀ: il quale sancisce che la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata.
Per risolvere il conflitto fra ditte confondibili si applica il criterio della priorità dell’uso: chi ha adottato per primo una ditta ha diritto esclusivo della stessa e tale diritto acquista per il solo fatto dell’uso della ditta. Chi successivamente adotti una ditta uguale o simile, può perciò essere costretto ad integrarla o modificarla con indicazioni idonee a differenziarla, ciò anche quando la ditta usata per seconda corrisponda al nome civile dell’imprenditore (ditta patronomica).
In passato, vista la mancanza dell’attuazione del registro delle imprese, il criterio della priorità dell’uso trovava applicazione anche per le imprese commerciali individuali. L’attuazione del registro delle imprese rende oggi applicabile l’ART. 2564 CO. 2, in base al quale per le imprese commerciali l’obbligo dell’integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore. Quindi, per le imprese commerciali trova applicazione il criterio della priorità dell’iscrizione nel registro delle imprese e non il criterio della priorità dell’uso.
Il DIRITTO ALL’USO ESCLUSIVO della ditta ed il corrispondente obbligo di differenziazione sussistono però solo se i due imprenditori si trovino in rapporto di concorrenza fra loro e quindi possa determinarsi confusione per l’oggetto dell’impresa e/o per il luogo in cui questa è esercitata. Perciò è possibile l’omonimia fra ditte che non creano confusione sul mercato, non potendosi imporre la differenziazione a chi produce beni o servizi destinati a soddisfare bisogni diversi dei consumatori, né a chi opera in un diverso territorio. Il diritto all’uso esclusivo è quindi un diritto relativo.
Il principio della novità opera anche nei rapporti fra la ditta e gli altri segni distintivi, in particolare con il marchio. Infatti, è fatto divieto di adottare come propria ditta il marchio altrui, se sussiste pericolo di confusione fra i segni. È questo il PRINCIPIO DI UNITARIETÀ DEI SEGNI DISTINTIVI, in base al quale il diritto di esclusiva che spetta al titolare di un marchio ha effetto nei confronti di tutti i segni distintivi usati da altri imprenditori.
TRASFERIMENTO DELLA DITTA
La ditta non può essere trasferita separatamente dall’azienda:
* Nel trasferimento dell’azienda per atto tra vivi la ditta non passa all’acquirente senza il consenso dell’alienante
* Nella successione nell’azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria
il collegamento fra circolazione della ditta e circolazione dell’azienda consente al titolare della ditta di monetizzare il valore dell’avviamento dell’azienda e di tutelare quanti hanno avuto rapporti con l’originario imprenditore.
La circostanza che la ditta derivata non deve essere integrata con indicazioni idonee ad individuare l’attuale titolare dell’impresa (cognome o sigla) e il ritardo nell’attuazione del registro delle imprese esponevano i terzi a vistose possibilità di inganno circa la reale identità dell’attuale titolare dell’impresa. Il pericolo che chi entra in contatto con un imprenditore possa essere tratto in inganno dall’uso di una ditta derivata è stato mitigato dalla giurisprudenza. Infatti, si ritiene che chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti da questi contratti spendendo la ditta derivata, qualora il terzo contraente abbia potuto ragionevolmente ritenere di trattare col cedente. Conseguenza di questo orientamento è che l’alienante ha l’onere di portare a conoscenza dei terzi, con mezzi idonei, l’avvenuto trasferimento dell’azienda e della ditta se si tratta di impresa non commerciale e comunque di imporre all’acquirente di integrare la ditta con indicazioni non equivoche.
MARCHIO
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. Ha una funzione di identificazione e differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato: il marchio costituisce perciò il principale simbolo di collegamento fra produttori e consumatori e svolge quindi un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento della clientela.
NB: Fra le funzioni del marchio non può comprendersi quella di garanzia della qualità dei prodotti. Non vi è alcuna norma che assolva una funzione di garanzia della qualità dei prodotti o che vieti al produttore variazioni qualitative della propria produzione.
È dato comune che certi marchi finiscono con l’assumere un’autonoma forza attrattiva dei consumatori.
I TIPI DI MARCHI
I marchi possono essere classificati e raggruppati secondo diversi criteri:
1. In base alla natura dell’attività svolta dal titolare del marchio, distinguiamo:
a. Il marchio di fabbrica è il marchio apposto dal fabbricante del prodotto. I beni che subiscono successive fasi di lavorazione o di assemblaggio, possono presentare anche più marchi di fabbrica.
b. Il marchio di commercio è il marchio apposto dal commerciante del prodotto, sia esso un distributore intermedio (grossista) o rivenditore finale.
c. Il marchio di servizio è il marchio utilizzato da chi produce servizi (es. imprese di trasporto, banche, ecc.). La forma tipica di questi marchi è quella pubblicitaria, essendo essi posti su materiali pubblicitari o divise del personale.
2. Altra classificazione dei marchi è fra:
a. marchio generale: si ha marchio generale quando l’imprenditore utilizzerà un solo marchio per identificare tutti i suoi prodotti.
b. marchio speciale: si avranno marchi speciali quando utilizzerà più marchi per differenziare i suoi singoli prodotti.
Inoltre, è possibile l’uso contemporaneo di un marchio generale e più marchi speciali, quando si vuole evidenziare contemporaneamente l’unità della fonte di produzione e la diversità dei prodotti (es. FIAT-PUNTO/PANDA).
L’imprenditore nella scelta del marchio potrà utilizzare come marchio tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, purché rispetti i requisiti di validità del marchio.
* Il marchio può essere costituito:
o Solo da parole, che può coincidere con il nome della ditta o il nome civile dell’imprenditore, detto marchio denominativo
o Solo da figure, lettere, cifre, disegni, colori, suoni, detto marchio figurativo
o Sia da parole che da simboli o altro, detto marchio misto.
Il marchio di regola è qualcosa di esterno al prodotto, che si aggiunge al prodotto stesso per indicarne la provenienza:
* Il marchio può essere costituito dalla forma del prodotto o dalla sua confezione, ed è detto marchio di forma o tridimensionale. Ma non possono essere registrati come marchio le forme imposte dalla natura del prodotto, quelle necessarie per ottenere un risultato tecnico e quelle che danno un valore sostanziale al prodotto. Insomma, si deve trattare di una forma arbitraria e capricciosa che consenta l’individuazione del prodotto.
* Il marchio collettivo: titolare del marchio collettivo è un soggetto (es. consorzi; associazione; ente pubblico) che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi e che, non usa esso il marchio, ma concede l’utilizzo del marchio a produttori o commercianti consociati. Quest’ultimi si impegnano a rispettare nella loro attività le norme dello statuto fissate dall’ente e a consentire i relativi controlli. Questi marchio sono utilizzati in aggiunta a quelli individuali.
REQUISITI DI VALIDITÀ DEL MARCHIO
Per essere tutelato giuridicamente il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità:
1. LICEITA: il marchio non deve contenere:
a. Segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali, senza l’autorizzazione dell’autorità competente
b. Segni lesivi di un altrui diritto di autore o di proprietà industriale
c. L’altrui ritratto, o nome (se persona famosa) senza il consenso dell’interessato o dei suoi eredi
2. VERITÀ: divieto di inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.
3. ORIGINALITÀ: per assolvere alla sua funzione il marchio deve essere originale, cioè deve essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati da tutti gli altri prodotti dello stesso genere presente sul mercato. Il legislatore predetermina i tipi di segni privi di capacità distintiva:
a. Le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro figura generica (es. scarpa o la figura di una scarpa)
b. Le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto (es. brillo, per prodotti lucidanti)
c. I segni di uso comune nel linguaggio corrente (es. super, extra, lusso)
Ratio divieti è quella di impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto. Perciò, rispettano il requisito della originalità, quei marchi, detti marchi di fantasia, che utilizzano denominazioni o figure generiche che non abbiano alcuna relazione con il prodotto contraddistinto (es. “aeroplano” per marchio di calzature).
* Si definiscono marchi deboli quei marchi a cui basta una lieve modifica per escludere la confondibilità con altri marchi. Es. amplifon - udifon.
* Sono marchi forti, invece, quei marchi che sono dotati di accentuata capacità distintiva e sono tali i marchi di pura fantasia. Per tali marchi una modifica non basterà ad evitare la contraffazione (Buondì e bonnj).
4. NOVITÀ: un marchio per essere valido deve essere nuovo rispetto agli altri, per non creare confusione fra i consumatori. Si distingue fra:
a. MARCHI ORDINARI: per i marchi ordinari la regola è che non sono nuovi i segni che possono determinare un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni, perché si tratta di segni identici o simili ad un segno già noto come marchio, ditta, insegna o nome a dominio di un altro imprenditore concorrente o comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini,
b. MARCHI CELEBRI: il rapporto di affinità fra prodotti non è però necessario se il marchio già registrato è un marchio celebre. Infatti, non è nuovo un marchio confondibile da altri successivamente utilizzato per prodotti o servizi non affini, se chi lo usa trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi
Il difetto di questi requisiti comporta la nullità del marchio che può riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato. Ma, sono previste due eccezioni:
1. La nullità del marchio per difetto di novità non può essere più dichiarato quando chi ha richiesto la registrazione non era in mala fede ed il titolare del marchio anteriore abbia tollerato l’uso per 5 anni. Questo è l’istituto della convalida del marchio è applicabile anche al conflitto fra due marchi registrati e comporta la coesistenza dei due marchi confondibili.
2. La nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata quando, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità (secondary meaning)
IL MARCHIO REGISTRATO
Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità ha diritto all’uso esclusivo, su tutto il territorio nazionale, del marchio scelto.
Il contenuto del diritto sul marchio e la relativa tutela sono però diversi a seconda che il marchio sia stato o meno registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, istituito presso il Ministero delle attività produttive, e a seconda che si tratta di marchi celebri o ordinari.
Il marchio registrato può essere ottenuto non solo dall’imprenditore che intenda utilizzarlo direttamente nella propria impresa, ma anche da chi si proponga di utilizzarlo in altre imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso. Il titolare di un marchio registrato può impedire a terzi di mettere in commercio, di importare o di esportare prodotti contrassegnati col proprio marchio, nonché di utilizzare lo stesso nella pubblicità, quando ciò possa determinare un rischio di confusione per il pubblico. Tale potere però subisce alcune limitazioni: il diritto di esclusiva sul marchio registrato copre non solo i prodotti identici, ma anche quelli affini, qualora possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Però, la tutela del marchio registrato contro l’altrui usurpazione o contraffazione non impedisce che un altro imprenditore registri o usi lo stesso marchio per prodotti diversi. L’applicazione di tale regola può causare problemi nel caso in cui si tratti di marchi celebri: l’uso di tali marchi, anche per prodotti diversi, oltre a costituire usurpazione dell’altrui fama, può facilmente determinare equivoci sulla reale fonte di produzione, per la spontanea tendenza a riferire qualsiasi prodotto contrassegnato dal marchio celebre allo stesso fabbricante. Con la riforma del 1992 la tutela dei marchi celebri è stata svincolata dal criterio dell’affinità merceologica. Il titolare di un marchio registrato, che sia celebre, può vietare a terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini, quando l’uso del segno, senza giustificato motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
Il diritto di esclusiva sul marchio consente di impedire l’utilizzo di segni confondibili non solo in funzione di marchio, bensì anche come ditta, insegna o nome a dominio aziendale. Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domanda all’Ufficio brevetti. Il titolare di un marchio registrato è, perciò, tutelato ancora prima che inizi ad utilizzare il marchio stesso, e quindi anche nella fase di lancio pubblicitario di un prodotto. Una volta presentata la domanda di registrazione, sempre che poi la registrazione venga accolta, ogni marchio uguale o simile, successivamente presentato, è ex lege nullo per difetto del requisito della novità
La registrazione dura 10 anni è però rinnovabile per un numero illimitato di volte, sempre con efficacia decennale. Quindi, il marchio ha tutela perpetua, a meno che il marchio sia dichiarato nullo per difetto originario di uno dei requisiti essenziali o sopravvenga una causa di decadenza. Dal marchio si decade per:
a) Volgarizzazione: si ha quando il marchio è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto, perdendo così la propria capacità distintiva (es. Nylon, Biro)
b) Sopravvenuta ingannevolezza del marchio
c) Mancato pagamento del rinnovo (6 mesi dalla scadenza)
d) mancata utilizzazione entro 5 anni dalla registrazione o se l’utilizzazione è stata sospesa per 5 anni, salvo che l’inerzia sia dipesa da un motivo legittimo
e) Se il titolare del marchio collettivo omette i controlli previsti dalle disposizioni che ne regolano l’uso.
Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, il titolare del marchio, il cui diritto di esclusiva sia stato leso da un concorrente, può promuovere contro questi l’azione di contraffazione: la quale è volta ad ottenere l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti degli stessi, attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo dei quali è stata attuata la contraffazione. Resta fermo il diritto del titolare del marchio al risarcimento del danno in caso di dolo o colpa del contraffattore.
IL MARCHIO DI FATTO
L’ordinamento tutela anche chi usa un marchio senza registrazione: infatti, chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne e valso.
Perciò la tutela del diritto di esclusiva sul marchio non registrato si fonda sull’uso di fatto dello stesso e sull’effettivo grado di notorietà raggiunto.
Il titolare di un marchio non registrato, diventato noto su tutto il territorio nazionale, potrà impedire che altri usi in fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti, ma non per prodotti affini. Potrà altresì ottenere che sia dichiarato nullo, per difetto di novità, un marchio confondibile successivamente registrato, ma la relativa azione dovrà essere esercitata entro 5 anni, per evitare la convalida del marchio successivamente registrato.
Il titolare di un marchio non registrato, noto solo su territorio locale, riceverà una tutela più modesta. Infatti, non potrà impedire che altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti in altra zona del territorio nazionale. Non potrà impedire che un concorrente registri validamente il marchio ed in tal caso potrà solo continuare ad usare il proprio marchio solo a livello locale. Il titolare del marchio registrato avrà esclusiva d’uso in ogni altra zona del paese.
IL TRASFERIMENTO DEL MARCHIO
Dopo la riforma del 1992, è caduto il divieto di circolazione del marchio separatamente dall’azienda e soprattutto si è riconosciuta la legittimità del co-uso di uno stesso marchio da parte di più imprenditori concorrenti, sulla base di una licenza di marchio non esclusiva concessa dal titolare dello stesso. I co-utenti di uno stesso marchio sono tenuti ad assicurare l’omogeneità dei caratteri essenziali e della qualità dei prodotti dello stesso tipo contraddistinti dal marchio comune in modo da evitare che il pubblico sia tratto in inganno.
Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo, sia a titolo temporaneo (cd. licenza di marchio): così che il titolare di un marchio potrà monetizzare il valore commerciale del marchio, determinato dalla forza attrattiva della clientela.
L’attuale disciplina, permette una più libera circolazione del marchio. Oggi, infatti, il marchio può essere trasferito o concesso in licenza, per tutti o per parte dei prodotti per i quali è stato registrato, senza che sia necessario il contemporaneo trasferimento dell’azienda o del corrispondente ramo produttivo. Resta però ferma la regola che il trasferimento del marchio non costituito dalla ditta originaria si presume quando è trasferita l’azienda, art. 2573, 2° comma. È quindi possibile il trasferimento a titolo definitivo del marchio solo per una parte dei prodotti coperti dal diritto di esclusiva dell’alienante con conseguente con titolarità del marchio.
La novità principale della nuova disciplina è costituita dal riconoscimento espresso dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva, cioè è espressamente consentito che lo stesso marchio sia contemporaneamente utilizzato dal titolare originario e da uno o più concessionari, sia per tutti che per una parte dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato. È quindi consentito che vengano immessi sul mercato prodotti dello stesso genere, con lo stesso marchio, ma provenienti da fonti diverse. Ma il legislatore si è preoccupato di limitare i pericoli di inganno per il pubblico derivante dalla libera circolazione del marchio e dalla licenza non esclusiva. È stato fissato il principio che dal trasferimento o dalla licenza del marchio non deve derivare inganno nei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico. La licenza non esclusiva è subordinata alla condizione che il licenziatario si obblighi ad utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a quelli dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente o dagli altri licenziatari
INSEGNA
L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale. ESSA:
1. Non potrà essere uguale o simile a quella già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione qualora possa ingenerare confusione nel pubblico (novità)
2. Dovrà essere lecita
3. Non dovrà contenere indicazioni idonee a trarre in inganno il pubblico circa l’attività o i prodotti (veridicità)
4. Dovrà avere sufficiente capacità distintiva (originalità).
Non è disposto nulla circa il trasferimento dell’insegna, tuttavia si ritiene che il diritto sull’insegna possa essere trasferito, applicandosi la disciplina del trasferimento del marchio, dato che l’insegna identifica elementi materiali e non la persona
dell’imprenditore. Ne consegue che deve ritenersi lecita anche la licenza non esclusiva ed il conseguente co-uso della stessa insegna da parte di più imprenditori collegati, come nel caso del franchising.
REGISTRO DELLE IMPRESE E PUBBLICITÀ
Da sempre gli imprenditori avvertono l’esigenza di poter disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili sulle aziende con cui entrano in contatto. Cioè hanno la necessità di ricevere e dare informazioni di carattere organizzativo rilevanti per il sicuro svolgimento della vita economica.
Per le imprese commerciali tale esigenza è stata soddisfatta dal legislatore con l’ introduzione di un sistema di pubblicità legale. Cioè, ha previsto l’obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa, secondo forme e modalità predeterminate per legge. In tal modo, le informazioni sono:
* Rese accessibili ai terzi interessati, pubblicità notizia;
* Opponibili a chiunque, conoscibilità legale.
Il codice civile del 1942 prevedeva come strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali il registro delle imprese.
L’entrata in funzione del registro delle imprese era però subordinata a dei regolamenti di attuazione che sono arrivati solo nel 1995. Nel frattempo, ha trovato applicazione il REGIME TRANSITORIO, imperniato:
* Sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria del Tribunale
* Sull’esonero temporaneo dall’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali e degli enti pubblici economici. Quindi, il sistema di pubblicità legale operava solo per le società commerciali e per i consorzi con attività esterna.
Nell’attesa del registro delle imprese la situazione si è ulteriormente complicata con l’introduzione di nuove forme di pubblicità per le società di capitali e delle società cooperative:
* Per le SRL e per le SPA, nel 1969, fu prevista, per una serie di atti, la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per azioni a responsabilità limitata, Busarl, in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese (cancelleria del tribunale).
* Per le società cooperative, nel 1973, fu introdotta la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società cooperative e dei consorzi di cooperative, Busc, sempre in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese.
Inoltre, leggi speciali, prevederono ulteriori adempimenti pubblicitari, con valore di pubblicità notizia. Infatti, chiunque esercitasse l’industria, il commercio o l’agricoltura era tenuto all’ iscrizione nel registro delle ditte, tenuto dalla Camera di Commercio. Quindi anche i piccoli imprenditori e le imprese agricole.
Ne risultava un sistema di pubblicità delle imprese disorganico e complesso.
Dopo numerosi tentativi falliti, la situazione si sblocca con la legge n. 580/1993, contenente norme per il riordino delle camere di commercio. Tale legge ha istituito il registro delle imprese, che è divenuto operativo solo dal 1997, ponendo fine al regime transitorio:
* Ha cessato di esistere il registro delle ditte,
* Sono state soppresse il Busarl e il Busc
Sicché per tutte le società di capitali e cooperative l’unico sistema di pubblicità legale è il registro delle imprese.
La nuova disciplina del registro delle imprese ha però introdotto alcune novità rispetto al sistema previsto dal codice del 1942:
1. L’attuale registro delle imprese non è più solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma è anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese. Infatti, l’iscrizione nel registro delle imprese è stata estesa agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori, alle società semplici e con la legge n. 96/2001 è stata estesa anche alle società tra avvocati. Nel contempo, presso il registro delle imprese, è stato istituito il Repertorio delle notizie economiche e amministrative (Rea), destinato a raccogliere notizie di carattere economico, statistico ed amministrativo, con esclusione delle notizie già iscritte nel registro delle imprese.
2. La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio, con cessazione dei compiti in passato svolte dalle cancellerie del tribunale.
3. Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche, in modo da assicurare completezza ed organicità della pubblicità, e garantire tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito presso la camera di commercio di ogni provincia. L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale della provincia.
Il registro delle imprese è attualmente articolato in una sezione ordinaria e varie sezioni speciali:
* Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese era già previsto dal codice del 1942 e produce gli effetti di pubblicità legale. Infatti, sono tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria:
o Gli imprenditori individuali commerciali non piccoli;
o Tutte le società tranne la società semplice, anche se non svolgono attività commerciale;
o I consorzi fra imprenditori con attività esterna;
o I gruppi europei di interesse economico, geie, con sede in italia;
o Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale;
o Le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale della loro attività.
L’iscrizione, a seconda dei casi, ha anche efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa:
o Di regola, l’iscrizione nella sezione ordinaria ha semplicemente EFFICACIA DICHIARATIVA: cioè, i fatti o gli atti iscritti sono opponibili a chiunque e lo sono dal momento della loro registrazione, c.d. efficacia positiva immediata. Intervenuta la registrazione, i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto. L’omessa iscrizione invece impedisce che il fatto o l’atto possa essere opposto ai terzi, c.d. efficacia negativa. Tuttavia, l’imprenditore potrà dimostrare che, nonostante l’omessa registrazione, i terzi hanno avuto ugualmente conoscenza effettiva del fatto o dell’atto.
o In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione ha EFFICACIA COSTITUTIVA: l’iscrizione è presupposto affinché l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti, che per i terzi, cd. efficacia costitutiva totale, oppure solo nei confronti dei terzi, cd. efficacia costitutiva parziale.
o In altri casi, l’iscrizione può avere EFFICACIA NORMATIVA: l’iscrizione nella sezione ordinaria è presupposto per l’applicazione di un determinato regime giuridico.
* L’iscrizione nella sezione speciale produce effetti di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia
SCRITTURE CONTABILI
Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta. Le scritture contabili contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore. Tuttavia, la tenuta delle scritture contabili è un obbligo per tutti gli imprenditori che esercitano attività commerciale
L’ART. 2214 pone un principio generale nello stabilire che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Inoltre, stabilisce che in ogni caso devono essere tenuti il libro giornale, il libro degli inventari e gli originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le copie della corrispondenza spedita:
o Il libro giornale è un registro cronologico – analitico, in cui sono indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Basta che le operazione siano registrate nell’ordine in cui sono compiute e non necessariamente il giorno in cui sono compiute. Non è altresì necessario registrare operazione per operazione, purché le singole registrazioni riguardino operazione omogenee fra loro compiute nello stesso giorno. Il libro giornale può essere articolato anche in libri parziali in relazione all’articolazione dell’impresa.
o Il libro degli inventari è un registro periodico – sistematico, che deve essere redatto all’inizio dell’impresa e successivamente ogni anno. L’inventario ha la funzione di fornire il quadro completo della situazione patrimoniale dell’imprenditore. Deve perciò contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell’imprenditore, anche se estranee all’impresa.
L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, o meglio con il bilancio comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico, che deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite.
In base alla natura e alle dimensioni dell’impresa, l’imprenditore è obbligato alla tenuta di altre scritture contabili, come il libro mastro, libro cassa, libro magazzino, ecc. La scelta delle altre scritture è rimessa alla discrezionalità dell’imprenditore nei limiti segnati dalle norme tecniche e dalla prassi di una ordinata contabilità.
Le scritture contabili sono destinate in via di principio a restare nella sfera interna dell’imprenditore.
L’ipotesi più significativa di rilevanza esterna delle scritture contabili si ha sul piano processuale, potendo le stesse essere utilizzate come mezzo di prova sia a favore che contro l’imprenditore che le tiene:
o Le scritture contabili, anche non tenute regolarmente, potranno essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Il terzo che vuol tranne vantaggio dalle scritture contabili di un imprenditore non potrà scinderne il contenuto, cioè non può avvalersi solo della parte a lui favorevole. L’imprenditore potrà dimostrare con qualsiasi mezzo che le proprie scritture non rispondono a verità.
o Affinché l’imprenditore possa usare le proprie scritture contabili come mezzo processuale di prova contro i terzi è necessario che ricorrano tre condizioni:
o Le scritture devono essere regolarmente tenute;
o La controparte sia a sua volta un imprenditore
o La controversia sia relativa a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.
RAPPRESENTANZA COMMERCIALE
Nello svolgimento della propria attività l’imprenditore può avvalersi della collaborazione di altri soggetti, che potranno essere:
o Soggetti interni, stabilmente inseriti nella propria organizzazione aziendale, con un rapporto di lavoro subordinato che li lega all’imprenditore, cd. ausiliari interni o subordinati;
o Soggetti esterni all’organizzazione imprenditoriale che collaborano con l’imprenditore, in modo occasionale o stabile, cd. ausiliari esterni o autonomi.
In entrambi i casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore, cioè possono agire in rappresentanza dell’imprenditore.
Per gli ausiliari interni, che sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi ed a concludere affari per l’imprenditore, vige un sistema speciale di rappresentanza fissato dagli artt. 2203-2213. Infatti:
o per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale, institori, procuratori e commessi sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore e di un potere di rappresentanza commisurato al tipo di mansioni che la qualifica comporta.
o Il loro potere di vincolare l’imprenditore non si fonda su una procura ma costituisce effetto naturale della loro collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore.
o Se l’imprenditore vuole modificare il contenuto legale tipico del potere di rappresentanza di tali ausiliari, sarà necessario uno specifico atto, opponibile ai terzi solo se portato a conoscenza nelle forme stabilite dalla legge.
o Il terzo che conclude affari con uno di questi ausiliari dell’imprenditore commerciale dovrà solo verificare che l’imprenditore non abbia modificato, con atto espresso e pubblico, i loro naturali poteri rappresentativi. Non dovrà invece verificare se la rappresentanza è stata loro conferita.
INSTITORE
È institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa (cd. direttore generale dell’impresa, di una filiale o di un settore produttivo)
L’institore è di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di direttore, che in virtù di un atto di preposizione dell’imprenditore, sarà:
o Al vertice assoluto se è preposto all’intera impresa. In tal caso, dipenderà solo dall’imprenditore, da cui riceverà direttive e dovrà rendere conto del suo operato.
o Al vertice relativo se è preposto ad una filiale o ad un ramo d’impresa. In tal caso, potrà trovarsi in posizione subordinata anche rispetto ad un altro institore.
È possibile che più institori siano preposti contemporaneamente all’esercizio dell’ impresa ed in tal caso essi agiranno disgiuntamente se nella procura non è diversamente previsto, art. 2203, 3° comma.
Rilevante è che l’institore sia stato investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale, che abbracci tutte le operazioni della struttura alla quale è preposto.
La posizione che ricopre comporta che l’institore è tenuto, congiuntamente all’ imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede cui è preposto.
In caso di fallimento dell’imprenditore, anche nei confronti dell’institore saranno applicate le sanzioni penali previste a carico del fallito, anche se solo l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito e solo l’imprenditore sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento.
L’institore ha, accanto al potere di gestione, un ampio e generale potere di rappresentanza, sia sostanziale che processuale:
o Rappresentanza sostanziale
Anche in mancanza di espressa procura, l’institore può compiere in nome dell’ imprenditore, tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto.
L’institore non è legittimato a compiere atti che esorbitano dall’esercizio dell’impresa, quali la vendita o l’affitto dell’azienda, il cambiamento dell’oggetto dell’attività. Inoltre, gli è fatto divieto espresso di alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non vi è stato espressamente autorizzato.
Tale divieto non opera quando oggetto dell’impresa è proprio il commercio di immobili, cioè rientri negli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa.
o Rappresentanza processuale
L’institore può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa a cui è preposto. Quindi, non solo per gli atti da lui compiuti, ma anche per quelli posti in essere direttamente dall’imprenditore o a lui imputabili in qualità di imprenditore.
PROCURATORE
I procuratori sono coloro che in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa , pur non essendo preposti ad esso.
I procuratori sono degli ausiliari inferiori rispetto agli institori, in quanto:
o Non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria;
o Pur non essendo degli ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa o ad una serie specifica di atti. Es. dirigente settore acquisti, personale,ecc.
In mancanza di specifiche limitazioni iscritte nel registro delle imprese, i procuratori sono ex lege investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, rispetto alla specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale.
Il procuratore:
o Non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore, neppure per gli atti da lui posti in essere, se tale potere non gli è stato espressamente conferito;
o Non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili;
o L’imprenditore non risponderà per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.
COMMESSO
I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive e materiali che li pongono in contatto con i terzi.
Per questa loro posizione, ai commessi è riconosciuto il potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento: potere limitato rispetto a quello degli institori e dei procuratori.
I commessi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati.
Salva espressa autorizzazione, i commessi:
o Non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti non in uso;
o Non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte dall’imprenditore o alle clausole stampate nei moduli dell’impresa;
o Se preposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo fuori dei locali stessi, né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata apposita cassa.
A tutti i commessi è poi riconosciuta la legittimazione a ricevere per conto dell’imprenditore le dichiarazioni che riguardano l’esecuzione dei contratti ed i reclami relativi alle inadempienze contrattuali.
È riconosciuta, altresì, la legittimazione a chiedere provvedimenti cautelari nell’ interesse dell’imprenditore
PRESUPPOSTI DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE
ART. 121: Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali (presupposti soggettivi) che:
* Non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’ ART. 2 CO. 1 lett. d) si intende per “impresa minore”: l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti:
a) Un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
b) Ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
c) Un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348;
* Siano in stato di insolvenza (presupposti oggettivi)
ART. 2 CO. 1 lett. b) si intende per «insolvenza»: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni
Indici rivelatori
L’insolvenza si manifesta di regola con l’inadempimento di una o più obbligazioni. L’insolvenza può tuttavia manifestarsi anche indipendentemente dagli inadempimenti; attraverso altri fatti esteriori, più o meno eclatanti, rivelatori del dissesto: pagamenti con mezzi anormali; fuga o latitanza dell’imprenditore; chiusura dei locali dell’impresa; trafugamento dell’attivo e così via.
Insolvenza e inadempimento
È evidente, perciò, che altro è stato di insolvenza altro è inadempimento.
Il primo è una situazione del patrimonio del debitore; il secondo è un fatto che rileva come uno dei possibili indici dello stato di insolvenza. Infatti, un imprenditore può aver soddisfatto tutti i suoi debiti ed essere ciò nonostante insolvente, se lo ha fatto con mezzi anormali (ricorso a prestiti usurai, vendite sotto costo, ecc.) diretti a mascherare l’insolvenza. Anzi, sono questi espedienti che aggravano il dissesto e che, intervenuta l’apertura della liquidazione giudiziale, sono puniti come reati di bancarotta semplice
Viceversa, l’imprenditore può essere inadempiente senza essere insolvente.
Così, non è insolvente l’imprenditore che ha mezzi patrimoniali liquidi e non paga perché ritiene di non dover pagare o trascura per negligenza di pagare.
Non è inoltre insolvente l’imprenditore che non paqa per cause che comportano solo una temporanea difficoltà di adempimento. Stato di insolvenza e temporanea difficoltà sono infatti situazioni non coincidenti: solo il primo comporta la liquidazione giudiziale; la temporanea difficoltà può essere invece affrontata con gli strumenti previsti dal codice per la composizione o regolazione della (mera) crisi d’impresa.
Ferma restando quindi la differenza fra stato d’insolvenza e il verificarsi di inadempimenti, in base all’attuale disciplina per aprire la liquidazione giudiziale devono sussistere entrambe le circostanze. Finquando i creditori sono soddisfatti ancorché irregolarmente, il dissesto non ha assunto per la legge rilievo sociale ed economico tale da giustificare i costi della procedura di liquidazione giudiziale, e si preferisce così concedere ancora al debitore l’opportunità di cercare altre soluzioni della crisi. Perciò non si fa luogo all’apertura della liquidazione giudiziale se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è complessivamente inferiore a euro 30.000
In merito al presupposto soggettivo va puntualizzato che l’ambito di applicazione della liquidazione giudiziale subisce alcune limitazioni in quanto:
1. La liquidazione giudiziale è sostituita dalla liquidazione coatta amministrativa per alcune categorie di imprenditori commerciali individuate da leggi speciali (ad esempio: imprese bancarie ed assicurative; società di intermediazione mobiliare, imprese sociali);
2. La liquidazione giudiziale cede il passo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza quando ricorrono i presupposti specifici per l’applicazione di tale procedura
3. Gli enti pubblici sono esonerati dalla liquidazione giudiziale (art. Fi, fi° comma), restando soggetti alla liquidazione coatta amministrativa in base a leggi speciali o alle procedure di dissesto previste dalla normativa pubblicistica;
4. Le società c.d. Start-up innovative sono soggette solo alle procedure concorsuali delle crisi da sovraindebitamento