Competenze Didattico-metodologic pedagogiche e psicopedagogiche parte 1 Flashcards

quiz

1
Q

La metodologia didattica che fa interagire varie discipline ed elementi si definisce..

A

INTERDISCIPLINARIETA’
Una forma di collaborazione sistematica e istituzionale tra
discipline diverse che tende a un sapere unitario e più avanzato
sulle cose.
Nel XX secolo, anche se studiosi di discipline diverse hanno
sempre teso a collaborare, in scienza, in ambito umanistico, in
filosofia. Un momento significativo è stato il convegno di Nizza
del 1970 organizzato dall’OCSE.
Con la multidisciplinarità. Le concezioni delle varie discipline su
un tema-problema vengono accostate senza integrarle, come in
una tavola rotonda dove ognuno espone il proprio punto di vista.
Come ha evidenziato Piaget nel convegno di Nizza, c’è un
processo centrifugo: più si avanza, più si perde di vista il temaproblema e paradossalmente questo non viene realmente
approfondito.
Con le false interdisciplinarità. Come messo in evidenza da
Heckhausen al convegno di Nizza, può esserci interdisciplinarità
ausiliaria (ad esempio, chimica e biologia concorrono a gettare le
basi della biochimica) o interdisciplinarità complementare (ad
esempio, la neuropsicologia è una disciplina di frontiera tra
neurologia e psicologia).
Nel lavoro interdisciplinare si procede in due tappe.
 Analisi multidisciplinare. Il tema problema viene analizzato
nell’ottica di ciascuna disciplina, così da enucleare i
contenuti rilevanti, cioè ritenuti validi in quella disciplina e
pertinenti. Si passa poi a contestualizzare i contenuti
rilevanti enucleati, cioè a inquadrarli e leggerli nella cornice
metodologica e teorica di quella disciplina.
 Elaborazione interdisciplinare. I contenuti delle diverse
discipline vengono integrati in un discorso unitario sul temaproblema, in modo da averne una visione complessa. In
questa fase andiamo verso il reale nella sua complessità,
dopo essercene allontanati per restare fedeli alle singole
discipline.

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Q

Una metodologia didattica efficace nell’educazione socio-affettiva è

A

Il Circle Time è una tecnica di comunicazione adatta per favorire l’educazione non solo scolastica ma anche psicoemotiva dei ragazzi. Tutti gli studenti, piccoli e non, si riuniscono per dire la loro su un certo argomento o per risolvere un problema che può essere proposto dal mediatore, quindi dall’insegnante o da un alunno designato. Il Circle Time non è altro che un gruppo di discussione a basso impatto gerarchico in cui tutti possono esprimere la propria opinione sotto la supervisione di un vero e proprio moderatore. Il suo compito è quello di tenere le redini della discussione facilitando il dibattito senza rinunciare mai alla sua autorità. A restare costante sono soltanto le regole del gruppo, così come il luogo e il tempo da dedicare a ogni argomento.

Ma qual è l’obiettivo del Circle Time? Di certo ce ne sono diversi e sono tutti da analizzare in maniera approfondita. Pertanto scopriamo subito come e dove agisce tale metodo di discussione.

A quali obiettivi si mira con il Circle Time
Come tutte le attività scolastiche che si rispettano anche il Circle Time contribuisce a formare il cittadino di domani sotto l’occhio attento dell’insegnante che, in questo caso, assume il ruolo di counselor. L’obiettivo primario è cercare di sviluppare atteggiamenti di natura positiva nel gruppo in modo da progredire sempre di più. Ecco a cosa si mira.

Acquisire maggiore consapevolezza verso tematiche sociali più o meno delicate;
Aumentare il livello di comunicazione degli studenti attraverso attività di cooperazione che coinvolgono, inevitabilmente, anche l’insegnante;
Grazie a una discussione pacata e ben moderata dal counselor il clima sereno viene incentivato, quindi ogni persona che fa parte del gruppo sviluppa la sua individualità in tutta tranquillità, trovandosi a proprio agio in un contesto di gruppo.
Da questa attività emerge un futuro cittadino in grado di rispettare le regole e di ascoltare le opinioni altrui senza imporre il proprio punto di vista, acquisendo gli strumenti adatti per combattere e risolvere le situazioni conflittuali attraverso il dialogo costruttivo. Insomma, l’obiettivo principe è imparare ad ascoltare gli altri senza ricorrere a sbeffeggiamenti o facendo violenza verbale. Ma Circle Time aiuta anche ad esprimere gli stati d’animo che cambiano in base a determinati eventi ma non solo, spingendo a riconoscersi nelle esperienze che gli altri hanno fatto e da cui hanno imparato qualcosa.

Come si svolge un incontro in Circle Time
Ogni seduta in Circle Time si svolge attraverso un metodo e un contesto spazio temporale ben preciso, ecco alcune linee guida per concretizzarlo in maniera semplice:

Il contesto. Prima di tutto è importante sapersi mettere alla pari, quindi sia gli studenti sia gli insegnanti devono riunirsi in un cerchio e sedersi attorno a un tappeto colorato, oggetto fondamentale per delimitare gli spazi e utile per favorire un’impressione di inclusione. Anche se la funzione è prettamente simbolica, il risultato è efficace. Di certo è bene sempre tenere conto dell’età per creare un ambiente all’altezza dello studente. Se la classe è composta da bambini non sono necessarie sedie ma ci si può accostare alla discussione sedendosi per terra e in cerchio. Qualora si tratti di ragazzi più grandi le sedie sono adatte ma la discussione deve svolgersi comunque in un luogo informale. L’importante è sempre mantenere una disposizione fondamentale che garantisca una comunicazione perfetta e realmente circolare.
La durata. L’incontro non ha una durata dilatata nel tempo, basteranno 20 o 30 minuti per una o due volte alla settimana. È possibile anche ricorrere a tale metodo più volte nello stesso arco di tempo se ci sono problemi pressanti da risolvere immediatamente.
Il tema. Il tema del Circle Time viene sempre stabilito di comune accordo e a mettere in piedi delle proposte interessanti sono sempre gli studenti, o gli insegnanti se ci sono spunti di riflessione di estrema rilevanza. È importante valutare l’ordine di priorità attraverso dei voti, però in situazioni di eccezionale gravità si può procedere immediatamente.
Le regole. In ogni incontro non si giudica, non si ride dei problemi altrui e si concede a tutti i partecipanti la parola favorendo la libertà di espressione. Ad assicurare che il tutto prosegua nel migliore dei modi è sempre l’insegnante, il facilitatore della comunicazione. In questo caso dovrete incentivare la tendenza alla comprensione della mente del ragazzo, quindi tirare fuori emozioni, sapere il vissuto di ognuno dei presenti e favorirne la condivisione.

Il compito dell’insegnante facilitatore
Una volta compreso cos’è e come funziona il Circle Time è arrivato il momento in cui voi insegnanti comprendiate nel dettaglio cosa fare. Ecco alcuni consigli utili per svolgere al meglio il compito e avere successo negli incontri. Prima di tutto è necessario saper osservare il modo in cui gli studenti si posizionano nel cerchio, quali compagni si scelgono come vicini e se c’è qualcuno che resta in disparte. Dopo tale passaggio bisogna coinvolgere tutti nella discussione cercando di tenere conto di segni verbali e non come interventi volontari o silenzi, oppure sbadigli o distrazioni. Tenete conto anche degli eventuali segni che denotano disagio. Di certo noterete che a prendere la parola, in prima battuta, saranno sempre gli stessi ragazzi ma, attenzione, non bisogna disincentivare tale comportamento perché servirà come apripista per gli altri. Una volta comprese le regole tutti vorranno partecipare alla discussione per dire la loro. A questo punto tenete a mente come facilitare la discussione includendo chi è più timido o restio a parlare, chi ha pensieri confusi e molto altro. Ovviamente è bene anche contenere gli interventi più invadenti senza mai limitarli, però mitigandoli in modo da renderli piacevoli e costruttivi. Alla fine di ogni seduta chiedete un feedback, cioè un commento circa la discussione appena conclusa e cercate di evidenziare tutti gli aspetti positivi emersi dall’incontro.

Il Circle Time è efficace?
A questo punto possiamo affermare che il Circle Time è altamente efficace per i ragazzi piccoli e non. Questo metodo di insegnamento studiato e messo a punto da Abraham Maslow e Carl Rogers negli anni Settanta, funziona e va incentivato. Però quali sono i vantaggi visibili sin da subito? Gli studenti iniziano a conoscere come rielaborare una situazione di malessere e imparano a risolvere i conflitti interiori, a ricostruire un certo evento e scoprire gli sbagli che hanno determinato una certa situazione. Inoltre i ragazzi vengono aiutati a esprimersi in modo efficace, soprattutto se sono timidi o hanno paura del giudizio altrui, quindi la rassicurazione diventa essenziale per forgiare la persona. Gli studenti imparano a raccontarsi e a rapportarsi agli altri riuscendo ad acquisire una certa familiarità con nuovi mezzi di comunicazione. Complice di tale successo è la compartecipazione consapevole che li aiuta a poter vivere in un contesto di gruppo senza mai sentirsi a disagio.

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Q

Nel cooperative learning un gruppo di persona collaborano per.

A

conseguire un obiettivo comune stabilito all’inizio

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Q

Metodologia didattica dove si assegnano dei ruoli ben precisi

A

ROLE PLAYING
è il gioco di ruolo a fini didattici, che si situa a metà strada tra la recitazione teatrale, l’approccio terapeutico di gruppo e il problem solving. Si tratta di mettere in scena una storia come si fa in un laboratorio teatrale, ma dando più spazio alla spontaneità e senza badare troppo a specifiche capacità tecniche come la dizione e il movimento scenico. In genere nel Role Playing formativo non è previsto un copione al quale ciascun attore deve attenersi fedelmente, mentre il pubblico è rappresentato dagli studenti che non prendono parte alla scenetta. Va da sé che il docente ricopre il ruolo di formatore o regista e all’occasione può avvalersi di uno o più studenti che fungono da veri e propri assistenti alla regia. Se è vero che il momento scenico è in genere meno accurato di quanto possa essere una rappresentazione teatrale di laboratorio, è vero però che questa tecnica formativa conferisce una decisiva importanza sia al dietro-le-quinte sia alla rielaborazione che si tiene a fine gioco.

Storia del Role Playing didattico
Il momento ludico costituisce una parte significativa dell’insegnamento dagli albori della civiltà e non è un caso che una metodologia formativa come il Role Playing affondi le radici nell’età classica dell’antica Grecia, quando il teatro ricopriva un ruolo di primo piano nella società e nell’educazione. Con l’accezione attuale il termine Role playing è stato coniato dallo psichiatra Jacob Levi Moreno, un rumeno che operava a Vienna negli anni Venti del secolo scorso e cioè nella culla della psicoanalisi. Lo psicodramma attuale è figlio del teatro della spontaneità fondato da Moreno il primo aprile 1921, quello che la tradizione austriaca ricorda come il giorno dei pazzi: nasceva la prima rappresentazione teatrale senza copione né attori. In ambito educativo il Role Playing sarà introdotto negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, mentre nel dopoguerra rientrò nel programma formativo di numerose aziende americane.

Attori, uditori e assistenti nel Role Playing formativo
Nel teatro improvvisato di Moreno il pubblico rivestiva un ruolo significativo in quanto le maschere della rappresentazione scenica si definivano dall’interazione degli attori con gli spettatori. Similmente, nel Role Playing formativo gli studenti che assistono alla recitazione non sono uditori passivi e semplici spettatori, ma si assumono il compito di rielaborare quanto avviene nello spazio scenico e commentare l’interpretazione degli studenti attori. A sua volta il formatore o trainer dirige l’allestimento scenico, sceglie il tema di rappresentazione e guida l’assegnazione dei ruoli attoriali. Ha soprattutto il difficile compito di mantenere viva l’azione scenica e la partecipazione degli studenti che non recitano. L’insegnante può scegliere degli assistenti che fungano da raccordo tra attori e uditori e che all’occorrenza interpretino preziosi ruoli di spalla.

Spazio scenico e copione nel Role playing
A seconda dei mezzi a disposizione, del tema da rappresentare e dell’ambito di applicazione, lo spazio scenico del Role playing può essere scarno o allestito come un vero e proprio palco teatrale, come può avvenire per esempio nei laboratori di ricerca didattica. Anche per quanto riguarda le battute non si segue un protocollo rigoroso: si può andare dall’improvvisazione totale al copione scritto, passando per un canovaccio di fortuna o la distribuzione di schede informative. Nei corsi di formazione maggiormente strutturati non è raro il ricorso alle opportune attrezzature di videoregistrazione. Grazie alla riproduzione fedele è possibile a bocce ferme analizzare l’azione scenica nel dettaglio, ma il rischio è che l’obiettivo della videocamera inibisca gli attori riducendone la spontaneità. Il consiglio è di iniziare da un allestimento scarno o addirittura spartano e di lasciare che gli allievi si esprimano il più liberamente possibile. Indipendentemente dagli attrezzi scenici a disposizione, ciò che importa è che il setting sia accogliente e garantisca la giusta privacy.

Applicazione del Role playing alla didattica classica: la preparazione
La fase preparatoria del Role playing formativo prevede la definizione del tema da trattare, l’individuazione di un setting adeguato e l’eventuale raccolta delle attrezzature sceniche. Dopodiché si passa alla scelta della variante di Role Playing che meglio si presta alle attitudini della scolaresca di riferimento, all’ambito di applicazione e alla situazione che si intende rappresentare. Questa scelta preliminare non va necessariamente affidata al docente: consuetudine vuole che il formatore o conduttore del gioco non imponga le sue decisioni e assegni le parti tenendo conto delle proposte degli attori. Nello specifico, si può optare per una delle seguenti varianti di Role Playing:

Spontaneo: gli studenti attori interpretano il proprio ruolo senza preparazione, spesso dopo aver scelto anche il tema o la situazione rappresentativa.
Strutturato: gli attori devono interpretare un ruolo definito in partenza e attenersi a un copione più o meno articolato.
Centrato sui ruoli: il tema viene fissato in fase preparatoria, mentre i ruoli vengono assegnati in corso d’opera.
Centrato sul tema: i ruoli sono definiti, mentre la situazione rappresentativa si costruisce durante la seduta di gioco.
Autorappresentato: uno degli studenti rappresenta un fatto che gli è accaduto realmente, con la partecipazione attiva di alcuni suoi compagni di classe; il protagonista potrebbe sia lasciare il suo posto a un altro giocatore, sia provare a modificare la situazione scenica alla luce di quanto discusso in fase di rielaborazione collettiva.

Role Playing in classe: il riscaldamento e il briefing
Per favorire il passaggio dalla realtà alla situazione drammatica, il Role playing prevede un warming up, cioè una fase di riscaldamento corredata di brevi interviste che preparino il momento di immedesimazione nel personaggio. Nel briefing che segue il warming up, il docente o il formatore che ne fa le veci dovrebbe fare il punto della situazione chiarendo chi deve interpretare quale ruolo e perché è importante che la rappresentazione non venga interrotta di continuo. Dopodiché il conduttore del gioco lascia il centro della scena agli studenti attori e prende posto con il resto della classe, tra gli uditori che assisteranno alla simulazione. L’azione scenica ha una durata che varia in base alla situazione drammatica, ma in ogni caso il consiglio è di interrompere la rappresentazione il meno possibile: il Role Playing non è un laboratorio teatrale in cui si pretende che le battute e i movimenti scenici rasentino la perfezione.

Gioco di ruolo a scopo didattico: la realizzazione
Nel corso della seduta di gioco, gli studenti attori possono ricorrere alle tecniche tipiche dello psicodramma. Per esempio, le inversioni di ruolo hanno il pregio di aiutare il protagonista a mettersi nei panni di una persona che conosce particolarmente bene. La tecnica del mirroring (rispecchiamento) consiste in uno scambio di ruoli tra attore e uditore, mentre il soliloquio aiuta il protagonista a esprimere i suoi sentimenti al cospetto di una platea. Persino chi si occupa dell’insegnamento di una lingua straniera potrebbe trovare particolare giovamento dagli esercizi di Role Playing svolti in classe. Una didattica interattiva di questo tipo garantisce un apprendimento più efficace e duraturo, dato che per perfezionare una lingua straniera è molto utile immedesimarsi in una serie di situazioni di vita quotidiana acquisendo modelli relazionali e culturali altrui.

Teatro spontaneo in classe: il debriefing
A fine rappresentazione inizia la fase di cooling of (raffreddamento), in cui gli attori forniscono un’autovalutazione e indicano le eventuali difficoltà che hanno riscontrato durante l’interpretazione. Parte essenziale del Role Playing è la fase di debriefing (rielaborazione), cioè il momento in cui si analizza la seduta di gioco. Si inizia passando in rassegna i punti forti, come l’efficacia di determinate azioni sceniche e il superamento degli ostacoli precedentemente individuati. Nel debriefing si dovrebbero anche rilevare i principali punti di debolezza, con l’accortezza però di non esagerare nell’attribuzione di feedback negativi individuali. I sensibili scostamenti dei comportamenti scenici dal canovaccio previsto andrebbero fatti notare soltanto in caso di Role Playing strutturati.

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Q

Per life skills, si intende

A

abilità e competenze per affrontare le difficoltà della vita

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6
Q

Nel caso peer to peer gli alunni

A

si aiutano tra di loro trasmettendo conoscenze apprese e non solo

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7
Q

Sinonimo di “insegnamento capovolto”

A

flipped classroom
La Flipped Classroom (letteralmente “Classe Rovesciata”) è una metodologia di insegnamento che modifica il tradizionale apprendimento a scuola, sostituendo le classiche lezioni frontali in presenza con video e contenuti multimediali e un autonoma preparazione a casa dello studente.

Con la didattica capovolta la lezione viene spostata a casa: l’alunno impara la lezione autonomamente con video didattici e materiale multimediale, quindi torna a scuola per discutere in maniera attiva l’argomento affrontato a casa attraverso la cooperazione con gli altri alunni e l’insegnante.
Viene dunque superata la tradizione modalità di apprendimento scolastico racchiusa nei classici momenti:

lezione frontale a scuola;
studio ed esercitazione a casa;
verifica della conoscenze e valutazione a scuola.
Sotto il profilo prettamente didattico, l’insegnamento capovolto fa leva sul fatto che le competenze cognitive di base dello studente (ascoltare, memorizzare) possono essere attivate prevalentemente a casa, in autonomia, apprendendo attraverso video didattici o leggendo i testi proposti dagli insegnanti. In classe, invece, possono essere attivate le competenze cognitive alte (comprendere, applicare, valutare) poiché l’allievo non è solo e, insieme ai compagni e all’insegnante, cerca, quindi, di applicare quanto appreso per risolvere problemi pratici proposti dal docente.

Storia della Flipped Classroom: nascita e sviluppo
In genere vengono riconosciuti come fondatori della didattica capovolta Jonathan Bergmann e Aaron Sams, docenti di chimica in una scuola del Colorado. Insegnando in un contesto scolastico contraddistinto da un alto tasso di assenteismo, i due docenti hanno pensato bene di fornire agli studenti assenti le loro lezioni tramite videotutorial. Col tempo si sono resi conto che quella soluzione temporanea poteva benissimo sostituire in toto la lezione frontale ed hanno compreso che il tempo in aula poteva essere liberato dalla lezione frontale a favore di una lezione più laboratoriale e partecipata.

La didattica capovolta si diffonde nel mondo a partire dal 2012 e anche in Italia migliaia di insegnanti la praticano con successo nella scuola primaria così come nella scuola secondaria e per qualsiasi materia di insegnamento.

Come funziona la flipped classroom
La Flipped Classroom viene applicata nella didattica attraverso due momenti:

il primo momento consiste nell’apprendimento autonomo da parte di ogni studente, all’esterno delle aule scolastiche e con l’ausilio di risorse digitali;
Il secondo momento prevede le ore di lezione in aula, contraddistinte da una didattica orientata alla messa in pratica delle nozioni apprese, dove la collaborazione e la cooperazione degli studenti diventano centrali nel processo di apprendimento.
L’insegnamento capovolto propone quindi l’inversione dei due momenti classici, lezione e studio individuale:

la lezione viene spostata a casa, sostituita dallo studio individuale dei materiali suggeriti dall’insegnante (preferibilmente videolezioni);
lo studio individuale viene spostato a scuola, sostituito da un’attività collaborativa, dove l’insegnante può esercitare il suo ruolo di tutor al fianco degli studenti.
Il ruolo dell’insegnante
Con la Flipped Classroom cambia anche il ruolo dell’insegnante. Il docente non è più solo colui che trasmette nozioni, ma diventa un accompagnatore, un tutor che deve coordinare e guidare un processo di apprendimento in cui al centro c’è lo studente il quale, a sua volta, è chiamato ad assumere maggiore autonomia e responsabilità nel proprio percorso formativo.

GLI OBIETTIVI DELLA FLIPPED CLASSROOM
L’insegnamento capovolto nasce dall’esigenza di rendere il tempo scuola più funzionale e produttivo per il processo d’insegnamento-apprendimento, investendo le ore di lezione nel risolvere i problemi più complessi, approfondire argomenti, produrre elaborati di gruppo e in modalità peer to peer (tra pari) in un contesto di laboratorio assistito.

Questa nuova modalità di insegnare parte dall’assunto che la rivoluzione digitale ha cambiato profondamente il rapporto tra scuola e società. Nell’era dell’informazione, la scuola deve quindi rispondere a nuove esigenze e per farlo deve prima di tutto adattarsi alle nuove abitudini cognitive dei “nativi digitali”. Ecco perché c’è bisogno di una Flipped Classroom.

Abbiamo voluto riportare le finalità della Flipped Classroom individuate dall’Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educatica (Indire), da tempo impegnato nell’innovazione e nel miglioramento della didattica scolastica:

miglioramento delle interazioni educative in aula, ottimizzando di conseguenza il tempo a scuola; per sviluppare e rafforzare l’apprendimento autonomo e tra pari; per poter dedicare più tempo ai giovani che necessitano di maggior supporto.
mettere al centro del processo lo studente fornendogli strumenti che gli consentono di approfondire gli argomenti, andando così a generare un contesto più ricco e stimolante. Gli studenti non solo sono attivamente coinvolti nel percorso e consapevoli degli obiettivi ma partecipano anche alla valutazione.
promuovere lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, la loro autonomia e capacità di lavorare con gli altri, preparandoli così meglio al mondo del lavoro rispetto alla didattica tradizionale.

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8
Q

Nel caso della flipped classroom il mentor deve anche fornire

A

risorse e-learning

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9
Q

La didattica laboratoriale deve privilegiare l’aspetto.

A

esperienziale

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10
Q

L’attività di brainstorming si fa

A

in gruppo

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11
Q

L’acronimo BES sta per

A

Bisogni Educativi Speciali
si riferisce a particolari esigenze educative che possono avere determinati alunni anche solo per un periodo di tempo limitato.

Queste esigenze possono dipendere da «motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta» (Direttiva Ministeriale del 27.12.2012).

Bes: normativa di riferimento
La normativa Bes di riferimento è la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 e le successive circolari ministeriali. Tale direttiva ha lo scopo di tutelare gli alunni con Bisogni Educativi Speciali garantendo loro il diritto di accedere a un apprendimento personalizzato, come previsto dalla Legge 53/2003.

Il fine è dunque quello di permettere ai ragazzi di svolgere le attività didattiche secondo le modalità e i tempi a loro più consoni.

La Circolare Ministeriale n.8 del 6 marzo 2013, prot. n.561, avente come oggetto «Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Indicazioni operative», prevede l’applicazione della normativa dedicata ai ragazzi con Dsa (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) anche a tutti gli alunni con Bes.

Bes: le categorie dei Bisogni Educativi Speciali
Quello dei Bes rappresenta un grande cappello che riassume tre categorie principali:

disabilità (tutelata dalla Legge 104/92)
disturbi evolutivi specifici (tra i quali i DSA, tutelati dalla L.170/2010, e per la comune origine evolutiva anche ADHD e borderline cognitivi)
svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale.
Alle tre categorie sopraindicate si aggiunge un quarto punto in cui rientrano altri disturbi non chiaramente illustrati nella normativa, che comprendono i disturbi dell’apprendimento non specifici, i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, gli alunni plusdotati intellettivamente che possono rientrare nei Bisogni Educativi Speciali.

Bes non è una diagnosi!
Spesso i genitori tendono a interpretare erroneamente la categoria Bes come fosse un disturbo clinico.

In realtà non esiste alcuna diagnosi Bes in quanto i Bisogni Educativi Speciali non rappresentano di per sé un’etichetta diagnostica, poiché come abbiamo visto possono includere ragazzi con disturbi clinici (e dunque con una diagnosi e un preciso codice nosografico) o alunni con problemi di altra natura.

Ad esempio un bambino straniero che non ha ancora appreso la lingua italiana potrebbe rientrare nella normativa Bes. Così facendo potrebbe quindi usufruire di canali didattici diversificati anche in assenza di disturbi clinici.

I Bes sono di natura persistente o transitoria?
Dipende dalla problematica individuale. Nel caso di ragazzi con Disturbi Specifici dell’Apprendimento si tratta di disturbi di natura persistente.

Tuttavia come abbiamo visto rientrano nella categoria Bes anche studenti con problematiche più limitate a livello temporale, come nel caso dell’alunno straniero o di bambini che stanno affrontando un periodo particolarmente stressante e sviluppano disturbi reattivi.

Per ragazzi con Bes serve la certificazione?
Come sopra, dipende dalla problematica per la quale il ragazzo rientra nei Bes.

Nel caso di alunni con ritardo mentale bisogna richiedere l’attivazione della Legge 104/92 e sarà necessaria una certificazione che attesti la presenza di condizioni cliniche di Disabilità. Lo stesso vale anche nel caso di alunni con DSA, che richiedono una certificazione per l’attivazione della Legge 170/2010.

Nel caso di studenti che non rientrano nella normativa prevista dalla Legge 104/92 e dalla Legge 170/2010 ma che presentano disturbi clinici come DCM, DSL, Spettro autistico ad alto funzionamento è necessario presentare non la certificazione ma la diagnosi funzionale.

Ragazzi con svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale non hanno bisogno di certificazione né diagnosi ma hanno ugualmente diritto all’applicazione della normativa Bes, come indicato nella C.M. n. 8 del 06/03/2013.

I Bes hanno diritto agli aiuti previsti per i Dsa come gli strumenti compensativi?
Sì, come stabilito dalla Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012. La direttiva tutela gli alunni con Bes consentendo loro di accedere a tutte le misure previste per i Dsa come valutazioni su misura dell’alunno, utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi e l’attivazione di un Pdp, ossia di un Piano Didattico Personalizzato.

I Bes possono avere l’insegnante di sostegno?
Solo se possiede una certificazione ai sensi della Legge 104/1992.

Anche un ragazzo con Dsa può avere l’insegnante di sostegno se rientra nella Legge 104 in quanto tale figura non è prevista secondo la Legge 170. In quest’ultimo caso si tratta di casi con Dsa in comorbidità con altri disturbi e con un quadro funzionale particolarmente grave.

Chi decide come attuare a scuola la normativa sui BES?
La scuola decide quali misure attuare dopo aver valutato eventuali indicazioni del clinico e tramite il consiglio di classe o il team di docenti.

Nel caso dei DSA la Legge 170/2010 prevede il diritto di usufruire degli strumenti compensativi e dispensativi e la stesura del Pdp. Il Pdp viene elaborato dalla scuola e firmato dal dirigente, insegnanti e familiari, come stabilito dalle Linee Guida allegate al D.M.5669 del 12 luglio 2011.

La normativa Bes si applica anche a studenti universitari o alle scuole serali?
Le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA prevedono che i ragazzi con Dsa possono continuare a usufruire delle misure previste dalla Legge 170/2010 anche durante il percorso universitario.

Nel caso delle scuole serali, invece, al momento non sono previste normative specifiche.

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12
Q

La didattica inclusiva coinvolge

A

Tutti i docenti della classe

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13
Q

L’apprendimento è un processo

A

attivo per il docente e per gli studenti

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14
Q

Nella metodologia didattica inclusiva è fondamentale la

A

Collaborazione

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15
Q

L’intelligenza emotiva è una componente dell’intelligenza, che consiste

A

capacità di percepire, valutare, comprendere, usare e gestire le emozioni.

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16
Q

L’intelligenza emotiva è stata trattata la prima volta nel 1990 da

A

Peter Salovey e John D. Maye

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17
Q

Per empatia si intende

A

la capacità di sentire gli altri entrando in un flusso di contatto

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18
Q

L’ultimo decreto legislativo sulla valutazione didattica è

A

d.lgs 62/2017

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19
Q

La Valutazione nel primo ciclo di istruzione si fonda sui seguenti livelli di apprendimento

A

4 (in via di acquisizione, base, intermedio e avanzato)
Avanzato: l’alunno porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di
risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità.
Intermedio: l’alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve
compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in
modo discontinuo e non del tutto autonomo;
Base: l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal
docente, sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità;
In via di prima acquisizione: l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite appositamente.

I livelli si definiscono in base ad almeno quattro dimensioni, così delineate:
a) l’autonomia dell’alunno nel mostrare la manifestazione di apprendimento descritto in uno specifico obiettivo. L’attività dell’alunno si considera completamente autonoma quando non è riscontrabile alcun intervento diretto del docente;
b) la tipologia della situazione (nota o non nota) entro la quale l’alunno mostra di aver raggiunto l’obiettivo. Una situazione (o attività, compito) nota può essere quella che è già stata presentata dal docente come esempio o riproposta più volte in forme simili per lo svolgimento di esercizi o compiti di tipo esecutivo. Al contrario, una situazione non nota si presenta all’allievo come nuova, introdotta per la prima volta in quella forma e senza specifiche indicazioni rispetto al tipo di procedura da seguire;
c) le risorse mobilitate per portare a termine il compito. L’alunno usa risorse appositamente predisposte dal docente per accompagnare il processo di apprendimento o, in alternativa,
ricorre a risorse reperite spontaneamente nel contesto di apprendimento o precedentemente acquisite in contesti informali e formali;
d) la continuità nella manifestazione dell’apprendimento. Vi è continuità quando un apprendimento è messo in atto più volte o tutte le volte in cui è necessario oppure atteso. In alternativa, non vi è continuità quando l’apprendimento si manifesta solo sporadicamente o mai.

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20
Q

Per gli alunni della scuola secondaria di 1° grado, l’ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato, è deliberata a

A

maggioranza dal consiglio di classe

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21
Q

Scienza che si occupa di educazione

A

pedagogia

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22
Q

L’obiettivo della pedagogia è

A

l’educazione dell’uomo sia dai primi anni di vita fino alla vecchiaia

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23
Q

Il primo testo sulla pedagogia fu redatto da

A

Clemente d’Alessandria

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24
Q

La Docimologia

A

stabilisce i criteri della corretta valutazione in ambito scolastico

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25
Q

Il metodo repressivo

A

si serve di pene e castighi per ottenere rispetto da alunni e educarli.

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26
Q

Il metodo preventivo

A

si serve di premi per ottenere rispetto da alunni e educarli.

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27
Q

L’INVALSI è stato istituito per la prima volta nel

A

2013

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28
Q

L’acronimo SNV indica

A

Sistema Nazionale di Valutazione

29
Q

L’acronimo PTOF indica

A

Piano triennale dell’offerta formativa

30
Q

Associa il termine maieutica ad uno dei personaggi citati

A

Socrate

31
Q

E’ considerato il padre della pedagogia speciale in Italia

A

Andrea Canevaro

32
Q

L’acronimo PEI sta per

A

è il Piano Educativo Individualizzato
uno strumento di didattica inclusiva che consente al consiglio di classe di delineare un piano personalizzato per gli studenti con disabilità, fissando le attività e gli obiettivi da perseguire durante l’anno scolastico.

Il Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020, inizialmente annullato nel 2021 e poi ripristinato con la Sentenza n° 3196/22, aggiorna quanto definito dal D.L. 66/2017, in merito alle modalità di redazione del PEI (piano educativo individualizzato). La normativa è frutto del lavoro congiunto di più figure professionali e ha portato alcuni cambiamenti mirati a favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità.
Tali modifiche riguardano:

lo snellimento dell’iter che porta alla stesura del documento
i criteri di scelta per gli insegnanti di sostegno
il ruolo delle famiglie e del corpo docente
la definizione di modelli unificati su scala nazionale e le valutazioni durante l’anno
Scopriamo quindi insieme tutti i punti fondamentali del decreto per conoscere e utilizzare al meglio questo strumento.

Nuovo PEI: cosa cambia e gli allegati del Decreto
La normativa definisce le modalità di redazione dei Piani Educativi Individualizzati uniformi per tutto il territorio italiano, in base al grado di istruzione e ai fabbisogni di risorse.
Si compone di:

4 allegati relativi ai modelli PEI, uno per ogni grado scolastico
linee guida per la compilazione
modalità di assegnazione di educatori e collaboratori, nonché i relativi fabbisogni
scheda per individuare e definire il debito di funzionamento
Nota Ministeriale 40 del 13/01/2021.

Le fasi propedeutiche alla stesura del PEI
Fra gli obiettivi della normativa figura la necessità di uniformare l’iter di accertamento della condizione di disabilità su scala nazionale. Il motivo è semplice: seguire delle direttive chiare per tutte le regioni, in modo da evitare situazioni equivoche.

La prassi prevede due livelli di verifica: il primo definisce la natura e la percentuale di invalidità, mentre il secondo viene fatto su richiesta della famiglia ed è finalizzato all’inclusione scolastica. In base a quest’ultimo, viene definito un profilo di funzionamento.

Dal 1 settembre 2019 quest’ultimo, indispensabile per strutturare il PEI e definire il rapporto obiettivi-difficoltà, sostituisce il profilo dinamico-funzionale e la diagnosi funzionale, fasi presenti nella vecchia procedura.

I contenuti del piano educativo individualizzato
Completezza, chiarezza, univocità, progettualità. osservazione, collegialità e inclusione sono i concetti chiave per la redazione del documento. Con una buona stesura del PEI, il docente può non solo assicurare il diritto allo studio per le categorie più deboli, ma possiede anche uno strumento molto utile in caso di trasferimento dell’alunno e al momento del passaggio al successivo grado di istruzione.
In particolare compito del docente è definire:
quadro descrittivo
monte ore da dedicare all’attività di sostegno
criteri nella stesura dei giudizi
definizione del debito di funzionamento
eventuali interventi di inclusione
assistenza igienica di base (di competenza del personale ausiliario)
risorse da destinare a comunicazione, assistenza e autonomia
livello di difficoltà e loro descrizione qualitativa
facilitatori e barriere
risultati raggiunti
esigenze di trasporto
assenze dell’allievo e del personale che gravita intorno a lui
PEI e il ruolo determinante dell’osservazione
L’osservazione è un fattore particolarmente importante nella stesura del Piano Educativo Individualizzato: il PEI, infatti, va redatto in un’ottica di progettualità a breve e lungo termine, tenendo conto di 4 dimensioni fondamentali. Per ognuna di queste dimensioni vanno individuati gli obiettivi, gli interventi didattici da attuare (attività, strategie e strumenti), i criteri e le modalità di verifica del raggiungimento degli obiettivi.
Nello specifico, le dimensioni da osservare sono:
ambito affettivo e capacità di socializzare sia con i compagni che con gli adulti
sfera del linguaggio e della comunicazione, verbale e non verbale. di cui vengono monitorate la capacità di comprensione e produzione
orientamento e autonomia, di cui fan parte la motricità globale e la dimensione sensoriale visiva, uditiva e tattile
capacità cognitive e caratteristiche neuro-psicologiche, che comprendono capacità riguardanti la memoria, l’intelletto, l’organizzazione spazio-temporale, lo stile cognitivo, la capacità di utilizzare e integrare le competenze per risolvere compiti e le competenze di lettura, scrittura, calcolo, decodifica di testi e di messaggi
Il quarto punto sarà determinante nell’assegnazione del personale di sostegno e permetterà di effettuare un’elaborazione in rapporto all’andamento della classe e, in tale ottica, prevederete programmi di tipo:
ordinario
personalizzato, con verifiche equivalenti a quelle degli altri allievi
differenziato, con variazioni sulle prove rispetto a quelle previste per il resto del gruppo.
In via del tutto eccezionale e in casi limite, il decreto 182/20 prevede per il Consiglio di classe la possibilità di escludere l’alunno disabile da alcune aree disciplinari. Questo può dipendere solo da “impedimenti oggettivi o incompatibilità, non da mere difficoltà di apprendimento”. Dunque, l’esclusione avviene solo nelle situazioni in cui non sussistono le condizioni per una progettazione ridotta. In ogni caso, questa decisione spetta unicamente al Consiglio di Classe, e non al singolo docente, che indica le attività alternative che devono essere svolte in quelle ore.
PEI e i nuovi modelli di riferimento
Attualmente, il Ministero dell’istruzione sta implementando una piattaforma tramite cui gli insegnanti possono redigere i Piani Educativi Individualizzati in forma digitalizzata. Tuttavia, sono già attive nuove semplificazioni del sistema, prima fra tutte l’elaborazione di 4 modelli, uno per ogni livello di istruzione:

infanzia
primaria
secondaria di primo grado
secondaria di secondo grado
Scarica qui i modelli per la compilazione del PEI!
Nuovo modello PEI, le persone coinvolte nella stesura
I cambiamenti apportati ai nuovi piani sono in sintonia con i punti cardine della didattica di sostegno: la Relazione Falcucci del 1975 e la C.M. del 3 settembre 1985, che prevede l’elaborazione del PEI in maniera collettiva. La grande differenza sta nell’uniformità su base nazionale e nell’imminente digitalizzazione della prassi, prevista a breve.
Analogamente a quanto è accaduto finora, ve ne occuperete a titolo gratuito. Le riunioni saranno verbalizzate e avranno luogo in orario scolastico, intendendo con questa espressione il tempo intercorso dall’apertura alla chiusura dell’edificio. Noi di Scuola.net vi consigliamo di consultare preventivamente l’orario delle lezioni, per evitare sovrapposizioni.

Il GLO: Gruppo di Lavoro Operativo
L’aggiornamento delle disposizioni tocca anche la terminologia: il nome dell’organo collegiale di riferimento non è più GLHO, ma GLO, vale a dire “Gruppo di Lavoro Operativo”. Tale variazione pone il focus sull’inserimento dell’alunno all’interno del gruppo-classe, spostandolo dalla condizione di disabilità.
Il team è presieduto dal direttore didattico, tenuto a sceglierne i membri. Come da Decreto, tale organo si considera validamente costituito anche quando i componenti non abbiamo affermato e rivendicato in maniera espressa il proprio ruolo di rappresentanza.
I membri del gruppo di lavoro operativo
Rispetto al passato, la partecipazione non è limitata ai soli insegnanti di sostegno, ma aperta tutti i docenti, che potranno partecipare alla strutturazione del Piano indipendentemente dall’area disciplinare di competenza.

In un’ottica di inclusione è fondamentale il ruolo dei genitori (o, in caso di patria potestà delegata a terze persone, di eventuali tutori), che non si limitano a collaborare, ma partecipano in maniera attiva fin dalle prime fasi di approccio con la scuola. La famiglia, inoltre, ha piena facoltà di scegliere non più di un consulente esterno. Quest’ultimo non avrà facoltà decisionali né diritto di voto per l’approvazione del PEI, sarà presente in via occasionale al GLO e dovrà dichiarare di collaborare senza retribuzione.

Determinante il ruolo di figure professionali specifiche, come assistenti alla comunicazione e all’autonomia, il rappresentante GIT (Gruppo Inclusione Territoriale), esperti psico-pegagogisti, docenti preposti alle attività di inclusione.
Ogni quanto gestire le riunioni?

Il Decreto Interministeriale definisce anche la frequenza minima con cui i membri del GLO devono partecipare alle riunioni. Oltre alle date 30 giugno e 30 ottobre per l’approvazione dei PEI provvisori e definitivi, sarà necessario calendarizzare una data fra i mesi di novembre e aprile, per fare il punto della situazione su risultati raggiunti e difficoltà in itinere, sfruttando i Consigli straordinari in caso di modifica del profilo di funzionamento.
PEI provvisorio

Merita alcuni chiarimenti il PEI provvisorio, ossia un tipo speciale Piano Educativo Personalizzato che funge da strumento di transizione in attesa di un PEI definitivo in alcuni casi specifici. Ad esempio, i bambini che entrano a scuola per la prima volta (infanzia o primaria) o gli alunni di qualsiasi classe che sono stati certificati durante l’anno in corso. Il PEI provvisorio va redatto una sola volta durante l’anno scolastico entro il 30 giugno, in seguito all’iscrizione e prima dell’elaborazione del piano definitivo, con termine ultimo previsto per il 30 ottobre utilizzando il normale modello, che va però compilato solo parzialmente.

Nello specifico le parti che vanno compilate sono:

Intestazione e composizione del GLO;
Sezione 1 – Quadro informativo, con il supporto dei genitori;
Sezione 2 – Elementi generali desunti dal Profilo di Funzionamento;
Sezione 4 – Osservazioni sull’alunno per progettare gli interventi di sostegno didattico;
Sezione 6 – Osservazioni sul contesto: barriere e facilitatori.
Vuoi saperne di più sul nuovo PEI?

Visita Inclusione e Nuovo PEI, la sezione del sito del Ministero dell’Istruzione dedicata al Piano Educativo Individualizzato!
Inoltre, in Decreto Interministeriale potrai trovare tutti i modelli del Piano Educativo Individualizzato gratuitamente scaricabili e suddivisi per grado scolastico.
Il PEI in breve
Cos’è il PEI?

Il PEI è il Piano Educativo Individualizzato, uno strumento di didattica inclusiva che consente al consiglio di classe di delineare un piano personalizzato per gli studenti con disabilità, fissando le attività e gli obiettivi da perseguire durante l’anno scolastico.
Quale provvedimento ha introdotto il nuovo modello di PEI?

Il Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020 ha introdotto il nuovo modello di PEI, aggiornando quanto definito dal D.L. 66/2017 in merito alle modalità di redazione del PEI. In particolare, le modifiche riguardano: lo snellimento dell’iter che porta alla stesura del documento, i criteri di scelta per gli insegnanti di sostegno, il ruolo delle famiglie e del corpo docente, la definizione di modelli unificati su scala nazionale e le valutazioni durante l’anno.
Da quando è entrato in vigore il nuovo PEI?

Il nuovo PEI è entrato in vigore dal 2021.
Cosa sono le 4 dimensioni del PEI?

Le dimensioni sono le 4 aree focus che vanno monitorate al fine di completare con esattezza il PEI. Queste 4 aree sono: ambito affettivo e capacità di socializzare, sfera del linguaggio e della comunicazione, verbale e non verbale, orientamento e autonomia, capacità cognitive e caratteristiche neuro-psicologiche.

Chi redige il piano educativo individualizzato?

Il PEI viene redatto dal GLO, vale a dire “Gruppo di Lavoro Operativo”, un team di docenti presieduto dal direttore didattico, che è tenuto a sceglierne i membri. Tali membri non devono essere necessariamente insegnanti di sostegno, ma tutti i docenti possono partecipare alla strutturazione del piano indipendentemente dall’area disciplinare di competenza.
Perché il PEI è importante?

Il PEI è importante perché con una sua buona stesura si assicurare il diritto allo studio per le categorie più deboli. Inoltre, è uno strumento molto utile in caso di trasferimento dell’alunno e al momento del passaggio al successivo grado di istruzione.
Quali alunni hanno il PEI?

Il PEI viene redatto per ogni alunno che presenta una disabilità certificata.
Cos’è il PEI provvisorio?

Il PEI provvisorio è un tipo speciale Piano Educativo Personalizzato che funge da strumento di transizione in attesa di un PEI definitivo in alcuni casi specifici. Ad esempio, i bambini che entrano a scuola per la prima volta (infanzia o primaria) o gli alunni di qualsiasi classe che non sono stati certificati durante l’anno in corso.
Quando si deve compilare il PEI provvisorio?

Il PEI provvisorio va redatto una sola volta durante l’anno scolastico entro il 30 giugno, in seguito all’iscrizione e prima dell’elaborazione del piano definitivo, con termine ultimo previsto per il 30 ottobre.
Chi fa il PEI provvisorio?

Anche il PEI provvisorio va elaborato e approvato dal GLO, nominato dal dirigente scolastico. Rispetto alla componente docenti, in caso di nuova certificazione di un alunno già iscritto e frequentante, sono membri di diritto i docenti del team o del consiglio di classe. Se si tratta di nuova iscrizione e non è stata ancora assegnata una classe, il dirigente individua i docenti che possono far parte del GLO.
Quali parti del PEI provvisorio vanno compilate?

Il PEI provvisorio utilizza il normale modello compilato solo parzialmente. Nello specifico le parti che vanno compilate sono:
Intestazione e composizione del GLO;
Sezione 1 – Quadro informativo, con il supporto dei genitori;
Sezione 2 – Elementi generali desunti dal Profilo di Funzionamento;
Sezione 4 – Osservazioni sull’alunno per progettare gli interventi di sostegno didattico;
Sezione 6 – Osservazioni sul contesto: barriere e facilitatori.

33
Q

Il GLO è

A

Un Gruppo di Lavoro Operativo che redige il PEI

34
Q

Al GLO partecipa

A

Il consiglio di classe ed i genitori dello studente disabile

35
Q

Il principio costituzionale della libertà di insegnamento si trova nell’articolo

A

33

36
Q

E’ l’interlocutrice della scuola,

A

la famiglia

37
Q

Può svolgere un secondo lavoro solo

A

il docente autorizzato dal DS

38
Q

La Nota Ministeriale 40 del 13/01/2021 riguarda

A

il PEI

39
Q

Aspetto della pedagogia che si occupa delle possibilità offerte dalla plasticità cerebrale

A

bioeducazione

40
Q

Studia gli aspetti pedagogici dei giochi

A

Pedagogia ludica

41
Q

E’ considerato il fondatore della Psicologia Sperimentale

A

Wilhelm Wundt

42
Q

Il metodo preventivo è un sistema ideato da

A

Giovanni Bosco

43
Q

L’autore de “Lettera ad una professoressa”

A

Don Lorenzo Milani

44
Q

Il termine “mente assorbente” fu coniato da

A

Maria Montessori

45
Q

Il metodo Montessori inizia nel

A

1907

46
Q

La pedagogia Waldorf o steineriana ha iniziato a diffondersi nel

A

1919

47
Q

Rudolf Joseph Lorenz Steiner era un

A

esoterista

48
Q

Le Nuove norme in materia di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) in ambito scolastico sono contenute nella

A

Legge 170/2010

49
Q

I percorsi della didattica inclusiva sono costruiti da

A

consigli di classe

50
Q

Il PEI deve essere

A

personalizzato per gli studenti con disabilità certificata

51
Q

L’ICF-CY[2] è uno strumento creato da

A

OMS

52
Q

Si occupa di disabilità e salute della popolazione classificazione

A

ICF-CY

53
Q

Il decreto inclusione si riferisce al decreto

A

66/2017

54
Q

La prima legge sull’inclusione scolastica è stata

A

104/1992

55
Q

La prima legge sull’inclusione scolastica è stata

A

D.Lgs 96/2019

56
Q

Riconoscere ed usare correttamente le diverse rappresentazioni dei Numeri fa parte dell’abilità dell’asse culturale

A

matematico

57
Q

Il PECuP sta per

A

Profilo educativo, culturale e professionale

58
Q

Le attività di recupero per gli studenti devono essere fatte

A

anche in itinere durante l’anno

59
Q

Quale tra questi NON è uno strumento compensativo per un allievo dsa

A

lettura a voce alta

60
Q

Come misura dispensativa si può

A

evitare l’apprendimento mnemonico

61
Q

Tra gli strumenti dispensativi per DSA è previsto

A

utilizzo di dizionario digitale

62
Q

Quale tra queste metodologie è più coinvolgente in una lezione con la classe

A

Debate
è una metodologia didattica dalle radici molto antiche. Storicamente, infatti, si riallaccia alla disputatio medievale, vero e proprio sistema di insegnamento nato in seno alla filosofia scolastica. Con il debate quella tradizione si rinnova, diventando una specie di gioco. Una sfida verbale, durante la quale i ragazzi, organizzati in due squadre, sono chiamati a confrontarsi, a colpi di arringhe, su un tema diviso in tesi contrapposte. A prescindere dalle convinzioni personali, devono dibattere e sostenere l’argomentazione assegnata loro, raccogliendo informazioni, elaborandole ed esponendole di fronte a una giuria e a un pubblico, come in un processo.

Struttura e regole del gioco
All’apparenza può sembrare un’esperienza “estemporanea”, la cui organizzazione è affidata all’iniziativa e alla fantasia del docente. Invece, non è affatto così. Il debate è una metodologia didattica con struttura e regole precise. Per prima cosa, all’interno di ciascuna squadra devono essere previsti dei ruoli: capitano, oratori e ricercatori. Il capitano ha il compito di introdurre la tesi e di avviare la discussione, incanalandola subito sui binari giusti. La discussione passa poi in mano agli oratori, che sviluppano tutte le argomentazioni a sostegno della loro posizione. Dietro alle loro arringhe, però, c’è il duro e puntuale lavoro dei ricercatori, che raccolgono le informazioni rilevanti per il dibattito e le trasmettono al resto del gruppo. Molto importante anche il ruolo del cronometrista, un arbitro super partes che deve far rispettare i temi degli interventi: massimo 3 minuti per ciascun oratore. Infine, ai membri della giuria spetta il compito di decretare la squadra vincitrice, motivando la loro scelta. La vittoria, infatti, non deve andare alla tesi più convincente ma al gruppo che ha dimostrato di conoscere e saper utilizzare meglio le “armi” del debate.
Le competizioni nazionali e internazionali
Che il debate sia un metodo preciso e rigoroso lo confermano anche le sempre più numerose gare che si organizzano in Italia e nel mondo. Competizioni serrate e divertenti, che coinvolgono centinaia di istituti scolastici e migliaia di ragazzi. Un modo per diffondere ancora di più questa metodologia particolarmente efficace. Sia a livello nazionale che internazionale, il modello di debate a cui si fa riferimento durante le gare è quello elaborato dalla World School Debate, considerato una vera eccellenza mondiale.
Il debate a scuola, finalità e punti di forza
Argomentare e dibattere. Sono questi gli elementi chiave del debate. Ed è su questi pilastri che si fonda tutta l’efficacia di una metodologia che aiuta i ragazzi a sviluppare sia soft skills che capacità curricolari. In primo luogo, il debate stimola il ragionamento: spinge a trovare idee, ad associarle ma anche a maneggiarle in modo intelligente e flessibile. Ci sono poi tutti gli insegnamenti legati alla necessità di parlare in pubblico: trovare il giusto tono di voce, argomentare in modo accattivante, attirare e mantenere l’attenzione sempre vigile, riuscire a persuadere. Infine, nella pratica del debate vengono stimolate e sviluppate una serie di abilità e capacità tutt’altro che secondarie, come creatività, ironia, umiltà, lavoro di gruppo, problem solving. Il tutto senza dimenticare l’importanza di proporre agli studenti un “gioco” che sa essere soprattutto molto divertente.

63
Q

Nella didattica per scenari viene introdotto

A

Utilizzo di tecnologie per la creazione di prodotti dell’apprendimento

64
Q

Identificare un problema, analizzare le possibili soluzioni e decidere la migliore, fanno parte del

A

problem solving

65
Q

L’acronimo EAS sta per

A

Episodio di Apprendimento Situato

66
Q

La metodologia che favorisce un approccio basato sull’investigazione è

A

IBSE= Inquiry Based Science Education o Inquiry Based Learning (IBL) è l’approccio pedagogico promosso dalla Commissione Europea (Rapporto Rocard 2007) basato sull’investigazione, che stimola la formulazione di domande e azioni per risolvere problemi e
capire fenomeni

67
Q

La Classe/Scuola scomposta riguarda

A

Nuovi ambienti di apprendimento anche digitali

68
Q

Per Storytelling si intende

A

L’arte di narrare una storia con lo scopo di comunicare