Capitolo 1 Flashcards

1
Q

Cos’è l’ordinamento giuridico?

A

L’ordinamento giuridico è un tipo di ordinamento sociale che inerisce sopratutto a quella particolare specie di società umana, definita società politica.
Dunque, per comprenderne la nozione, bisogna in primo luogo chiarire i concetti di società politica. D ordinamento statale o politico.

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2
Q

Cos’è la società politica?

A

La società politica si distingue da ogni altra specie di società umana per il fatto di esercitare nei confronti dei suoi consociati una illimitata autorità e di godere della massima indipendenza, il che si traduce affermando che lo Stato possiede la sovranità.
È necessario che l società sia organizzata da un ordinamento il quale, non soltanto detti le regole di condotta per i consociati, ma preordini anche, nel caso di inosservanza di tali regole da parte dei consociati stessi, misure idonee per costringere costoro alla obbedienza o alla penitenza.

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3
Q

Qual è la struttura dello Stato?

A

La struttura dello Stato è fissata dal suo ordinamento, e in particolare dalla sua costituzione.
Gli elementi in cui generalmente lo Stato si articola sono tre:
-il popolo, o popolazione, ossia gli individui a cui è attribuita la capacità di prendere parte all’organizzazione dello Stato e ad altre funzioni di esso;
-il territorio, che è la sede comune del popolo;
-il governo, ovvero il complesso di cittadini o di enti parastatali cui è attribuito l’esercizio della sovranità dello Stato.
Al governo, in particolare, spetta l’esplicazioni di almeno tre tipi di attività potestative, o funzioni pubbliche, ossia:
-l’attività legislativa, consistente nell’elaborazione di provvedimenti a carattere di comandi supremi;
-l’attività giurisdizionale, consistente nell’emanazione delle sanzioni;
-l’attività amministrativa, consistente nell’esecuzione autoritaria, entro i limiti posti dai principi costituzionali, di ogni altra mansione necessaria al soddisfacimento degli interessi pubblici.

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4
Q

Qual è la struttura del diritto?

A

Il diritto è costituito da un complesso di comandi normativi, definiti norme giuridiche, e anche da un certo numero di comandi non normativi, detti comandi ordinativi.
Le norme giuridiche non possono mai mancare in quanto è dalla loro esistenza che deriva la qualifica dell’ordinamento come diritto; esse non fanno riferimento a casi singoli o a soggetti individuati, bensì concernono fattispecie ipotetiche e categorie tipiche di destinatari. Le norme giuridiche, dunque, dettano in via generale ed astratta provvedimenti applicabili ad alcuni tipi di rapporti sociali ipotetici, nell’ipotesi in cui si verifichino nella realtà.
I comandi ordinativi, invece, fanno riferimento a soggetti individuati o a casi singoli, e si inseriscono nell’ordinamento in quanto l’attività legislativa, abusando delle sue normali attribuzioni, li produce mediante leggi meramente formali. Essi vengono definiti “privilegi”.

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5
Q

Come si suddividono le norme giuridiche?

A

Le norme giuridiche in primo luogo si distinguono in: norme direttive e norme sanzionatorie.
-Le norme direttive sono quelle norme che provvedono o alla disposizione dell’applicazione dell’ordinamento, e in tal caso si definiscono norme di qualificazione, o alla regolazione dei rapporti tra gli individui, e in questo caso vengono definite norme di condotta.
-Le norme sanzionatorie, invece, sono quelle norme che provvedono ad emanare sanzioni per chi violi le norme direttive.
Le norme direttive sono, di regola, inderogabili, in quanto la loro trasgressione implica sempre il subentrare di una norma sanzionatoria; tuttavia, qualora la maggior parte dei consociati non ne esiga l’applicazione, una norma può prevedere la propria deroga, e a tal proposito è bene fare una distinzione tra diritto inderogabile o cogente e diritto derogabile o dispositivo.

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6
Q

Cos’è la coattività?

A

Una delle caratteristiche principali dell’ordinamento giuridico è la coattività, detta anche coercibilità; ciò significa che, nel caso di inosservanza di un comando ordinativo, normativo o non normativo, vi è sempre la possibilità di ricorrere ad una correlativa norma sanzionatoria la quale, almeno com ultima istanza, predisponga la costrizione materiale dell’inosservante alla penitenza o alla riparazione.
Dunque, ad ogni fattispecie primaria la normativa giuridiche comprende sempre l’abbinamento di una norma direttiva con la correlativa norma sanzionatoria a carattere coattivo.

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7
Q

Cosa sono i rapporti giuridici?

A

I rapporti giuridici possono essere di vario tipo, ma hanno tutti la stessa caratteristica di consistere in un relazione di due o più soggetti giuridici in ordine ad un oggetto giuridico, ad un quid, ossia un alcunchè che costituisca fonte di interessi per i soggetti.
Nell’ipotesi in cui l’oggetto giuridico possa determinare una controversia tra i soggetti, la normativa giuridica interviene preventivamente a stabilire quale soggetto giuridico, in che modo e a quai condizioni debba prevalere sul soggetto o sui soggetti concorrenti.
La previsione normativa di un rapporto giuridico genera come conseguenza primaria la costituzione di due situazioni giuridiche soggettive:
-una situazione di preminenza del soggetto attivo, definita situazione attiva
-una correlativa situazione di subordinazione del soggetto passivo, definita situazione passiva.
A loro volta, la situazione attiva viene denominata POTERE GIURIDICO, mentre quella passiva DOVERE GIURIDICO.
Ogni potere giuridico è costituito dal concorso: del potere di pretendere dal soggetto passivo un determinato comportamento, e dal potere di costringere materialmente il soggetto passivo ad un’esecuzione forzosa o ad una forzata penitenza per tale comportamento.
Correlativamente, ogni dovere giuridico è costituito: dal dovere di fare o non fare alcunchè in base a quanto stabilito dalle norme direttive di relazione, e dalla necessità di sottoporsi, anche contro la propria volontà, a quanto è sancito da una norma sanzionatoria.

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8
Q

Come si distinguono i rapporti giuridici?

A

I rapporti giuridici si distinguono in primo luogo in:
-rapporti giuridici assoluti, che sono i rapporti che intercorrono tra un soggetto attivo ben determinato e tuti gli altri consociati, i quali assumono la veste di soggetto passivo; al soggetto attivo è riconosciuta una pretesa giuridica verso tutti, erga omnes, ossia la pretesa a non essere turbato nell’esercizio delle sue facoltà. Tutti gli altri soggetti sono chiamati ad un comportamento di tolleranza o sopportazione, il cd obbligo di pati, nei confronti di chi detiene il potere assoluto. L’inosservanza dell’obbligo di pati implica necessariamente il subentrare di una norma sanzionatoria.
-rapporti giuridici relativi, che sono quei rapporti che intercorrono tra un soggetto attivo determinato e un soggetto passivo del pari determinato; in tal caso il soggetto passivo è tenuto ad un comportamento SATISFATTORIO, positivo o negativo, nel senso che questo comportamento vale a determinare il soddisfacimento degli interessi del soggetto attivo.
Una categoria intermedia tra questi due tipi di rapporti è il rapporto giuridico assoluto in senso improprio; si tratta di un rapporto relativo, ossia tra due soggetti determinati, cui l’ordinamento conferisce il trattamento proprio dei rapporti assoluti e, in particolare, la tutela del soggetto attivo non solo nei confronti del soggetto passivo ma erga omnes. Un esempio tipico di rapporto assoluto in senso improprio è il rapporto di usufrutto, in quanto il proprietario della cosa fruttifera è tenuto a permettere il godimento da parte dell’usufruttuario e, inoltre, costui acquista il diritto erga omnes di difendersi direttamente, come se fosse il proprietario della cosa, dai terzi che attentino al suo diritto.
Un’altra importante distinzione è quella tra rapporti giuridici di debito o di responsabilità e rapporti giuridici ad esecuzione libera o coatta.
I rapporti di debito sono rapporti relativi o assoluti consistenti in un vincolo che si pone a carico di tutti o di certi soggetti, per effetto di un accadimento previsto come lecito dall’ordinamento.
I rapporti di responsabilità sono rapporti relativi, mai assoluti, consistenti in un vincolo che si pone a carico del soggetto passivo, o perché a costui sono da attribuirsi le conseguenze di un comportamento da lui non voluto, ma considerato illecito dall’ordinamento, o perché egli ha volontariamente messo in opera un comportamento considerato illecito dall’ordinamento.
I rapporti giuridici ad esecuzione libera sono rapporti di debito o di responsabilità caratterizzati dalla correlazione di una pretesa del soggetto attivo con un obbligo del soggetto passivo.
I rapporti giuridici ad esecuzione coatta sono rapporti di responsabilità, mai di debito, caratterizzati dalla correlazione di un’azione del soggetto attivo con una soggezione del soggetto passivo.
Nella realtà della vita sociale le cose non sono così semplici e schematiche come descritte precedentemente; in primo luogo bisogna sottolineare che un rapporto giuridico nasce sempre come rapporto di debito e, successivamente, può evolversi in un rapporto di responsabilità ad esecuzione libera e, dopo ancora, in un rapporto di responsabilità ad esecuzione coatta.
Dunque le classificazioni dei rapporti giuridici in rapporti di debito o responsabilità e in rapporti ad esecuzione libera o coatta non sono vere e proprie distinzioni, bensì fasi o processi evolutivi di un unico rapporto giuridico di base.

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9
Q

Cosa si intende per contitolarità di diritti?

A

La contitolarità di diritti o di doveri si verifica nell’ipotesi in cui i soggetti di un rapporto giuridico siano due o più di due; se i soggetti sono indeterminati, allora non sorgono problemi per risolvere la concorrenza tra gli stessi. Se, invece, sono determinati, il criterio utilizzato per risolvere la loro coesistenza è quello della PARZIARIETÀ; altrimenti si ricorre a criteri diversi fatta eccezione per tre tipi di comunione:
-la COMUNIONE INDIFFERENZIATA
-la COMUNIONE ORGANIZZATA
-la COMUNIONE SOLIDARISTICA
La comunione indifferenziata rappresenta la soluzione più elementare e semplicistica per il problema della contitolarità dei diritti; manca ad essa una preordinazione di ogni disciplina interna dei contitolari. Infatti ciascuno di essi possiede una pretesa sul tutto, ma siccome anche gli altri hanno un’identica pretesa egli non è legittimato: nè ad affermare di sua spettanza una qualsiasi parte del diritto, nè ad esimersi dal partecipare all’onere di salvaguardare l’oggetto comune, nè a richiedere la cessazione dello stato di comunione.
Dunque il godimento che si trae dal diritto comune non può che essere indifferenziato, e la disposizione del diritto comune non può essere fatta che sulla base di una decisione unanime.
La comunione organizzata ha come caratteristica principale la preordinazione di una disciplina della comunità e l’esistenza di una differenziazione tra i comunisti, ciascuno dei quai è concepito come titolare di una determinata quota ideale del tutto. Tale organizzazione interna ha importante riflessi esterni: sia perchè la disposizione del diritto comune non dipende necessariamente da una decisione unanime dei comunisti, ma può essere fatta dipendere da una decisione di maggioranza delle quote; sia perchè ciascun comunista può anche individualmente disporre del proprio quantum ideale di partecipazione al tutto, ed alienarlo ad altri, senza con ciò pregiudicare l’intero.
La comunione solidaristica rappresenta una categoria intermedia tra i due tipi di comunione precedentemente citati, ed è caratterizzata dal fatto che tra i o unisti esiste un vincolo molto stretto, definito VINCOLO DI SOLIDARIETÀ. Internamente essa può essere tanto differenziata quanto indifferenziata, ma esternamente, ossia di fronte ai terzi, ogni comunista può disporre dell’intero diritto, senza la necessità del consenso degli altri o della maggioranza degli altri.

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10
Q

Cos’è l’ordine giuridico?

A

L’ordine giuridico è il risultato cui tende l’ordinamento giuridico; affinchè esso sia verificabile o realizzabile è necessario che le norme giuridiche stabiliscano in quali specifici effetti esso si concreti e da quali cause efficienti gli stessi effetti si possano determinare.

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11
Q

Come si distinguono gli effetti giuridici?

A

Gli effetti giuridici possono essere di tre tipi: gli EFFETTI COSTITUTIVI, consistenti nella costituzione di nuovi rapporti giuridici, gli EFFETTI ESTINTIVI, consistenti nell’estinzione di rapporti giuridici preesistenti, e gli EFFETTI MODIFICATIVI, consistenti nella modificazione, in un loro dato caratteristico, di rapporti giuridici già esistenti.

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12
Q

Cos’è la successione?

A

Tra gli effetti modificativi i più importanti sono quelli detti della successione, la quale si verifica tutte le volte in cui un nuovo soggetto giuridico subentra nella situazione di una delle parti: si ha la successione attiva, se nella situazione del oggetto passivo, mentre si ha la successione passiva, se nella situazione del soggetto passivo.
La successione può anche attuarsi in dipendenza della fine di un soggetto giuridico, tra un dante causa giuridicamente estinto e un successore munito di soggettività.
L’ipotesi di gran lunga prevalente è quella della successione a causa di morte, in dipendenza della morte di un soggetto; tuttavia, bisogna sottolineare che, sia nell’ipotesi di successione tra vivi, ossia inter vivos, sia nell’ipotesi di quella mortis causa, alcuni rapporti giuridici non passano automaticamente al successore o ai successori. Infatti, alcuni di essi, si estinguono irrimediabilmente con la scomparsa del loro titolare, come nel caso del diritto agli alimenti o del diritto di usufrutto. Altri rapporti giuridici, invece, si costituiscono addirittura ex novo in capo al successore.
A tal proposito, una distinzione importante da operare è quella tra successione universale e successione particolare, in base al fatto che il successore subentri nella totalità delle situazioni giuridiche di cui il dante causa era titolare, oppure solo in determinate e singole situazioni giuridiche dell’autore.
Il concetto di successone universale è fortemente legato a quello di patrimonio, infatti si definisce a titolo universale esclusivamente la successione che riguarda un intero patrimonio.

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13
Q

Cosa sono le cause efficienti?

A

Cause efficienti dell’ordine giuridico sono gli accadimenti che le norme giuridiche reputano come tali; queste fattispecie prendono il nome di FATTI GIURIDICI e possono essere classificate in vari modi. Uno dei metodi più semplici consiste nel distinguere tra FATTI GIURIDICI INVOLONTARI E VOLONTARI e nel suddividere ulteriormente questi ultimi in LECITI e ILLECITI.
I fatti giuridici involontari sono quelli il cui verificarsi è indipendente dalla volontà dei futuri o attuali titolare del rapporto; un accadimento involontario può, ad esempio, dipendere dall’ordine naturale delle cose o dalla volontà di un soggetto del tutto estraneo, ossia i cd ATTI DEI TERZI.
I fatti giuridici volontari, invece, sono quelli il cui verificarsi dipende dalla volontà dei futuri o attuali titolare del rapporto e vengono definiti ATTI GIURIDICI; essi si dividono a loro volta in ATTI GIURIDICI LECITI, se il comportamento in cui consistono è previsto dall’ordinamento, e ATTI GIURIDICI ILLECITI, se il comportamento in ci consistono è esplicitamente o implicitamente vietato dall’ordinamento.
L’ordinamento giuridico non precisa sempre quali siano gli effetti da ricollegare ai fatti giuridici; infatti si tratterebbe di un metodo troppo ingombrante e macchinoso, il quale viene applicato solo in relazioni ai fatti giuridici involontari e agli atti illeciti.
Per quanto concerne i fatti giuridici involontari, l’ordinamento non manca mai di stabilire:
-se e quali rapporti di debito essi costituiscano, estinguano o modifichino
-se e quali rapporti di responsabilità oggettiva essi costituiscano.
Correlativamente, per quanto riguarda gli atti giuridici illeciti, l’ordinamento stabilisce sempre:
-quale rapporto di responsabilità soggettiva essi costituiscano
-quale misura di volontarietà si debba ritrovare nell’autore affinchè esso sia considerato responsabile dell’atto.
In ordine agli atti giuridici leciti, l’ordinamento si comporta in modo meno rigoroso, lasciando ai soggetti una certa sfera di discrezionalità nella decisione degli effetti da conseguire.
Di qui la distinzione degli atti giuridici leciti in due categorie:
-quella dei MERI ATTI GIURIDICI, i cui effetti sono fissati dall’ordinamento, ma il cui compimento è immesso alla libera scelta dei soggetti
-quella degli ATTI GIURIDICI DI AUTONOMIA di cui non solo il compimento, ma anche gli stessi effetti sono, di volta in volta, indicati dai soggetti.

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14
Q

Come si suddividono gli atti giuridici di autonomia?

A

Gli atti giuridici di autonomia si distinguono in due categorie:
-gli ATTI DI AUTONOMIA PUBBLICA, che sono posti in essere dagli organi di governo per realizzare finalità di interesse pubblico, e vengono definiti PROVVEDIMENTI
-gli ATTI DI AUTONOMIA PRIVATA, che sono invece posti in essere dai privati cittadini per finalità di interesse privato, e vengono denominati NEGOZI GIURIDICI.

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15
Q

In cosa consistono i negozi giuridici? Quali sono le loro caratteristiche?

A

I negozi giuridici sono, anch’essi, atti di regolazione dei rapporti sociali, salvo che la loro sera di efficacia sia limitata al privato che li compie.
Non si tratta di atti di eteroregolamento, come i provvedimenti, bensì di atti di autoregolamento di specifici interessi privati.
In sintesi, dunque, il negozio giuridico è un atto lecitamente produttivo di effetti giuridici ordinativi conformi alla volontà manifestata da chi lo compie.
Gli elementi essenziali che costituiscono ogni negozio giuridico sono tre:
-la VOLONTÀ dell’autore o degli autori, che è indirizzata da chi la pone in essere non soltanto al compimento dell’atto in sè, ma anche alla determinazione dei suoi effetti ordinativi
-la FORMA, che riveste esteriormente la volontà rendendola conoscibile a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento
-la CAUSA, ossia la funzione che l’atto è obiettivamente in grado di svolgere ai fini della realizzazione degli effetti.
Bisogna sottolineare che la volontà non deriva necessariamente da un solo soggetto, ma può essere espressione di due o più soggetti; in questo caso l’unico negozio risultante è il NEGOZIO PLURISOGGETTIVO. Quest’ultimo, a sua volta, può derivare:
-da due o più volontà convergenti e perfettamente conformi tra loro, e in tal caso si parla di NEGOZIO UNILATERALE COLLETTIVO
-da due o più volontà convergenti ma di diverso contenuto che, dunque, si integrano l’una con l’altra, e in tal caso si parla di NEGOZIO UNILATERALE COMPLESSO
-da due o più volontà divergenti tra loro che si conciliano in un accordo, il cd CONSENSUS IN IDEM PLACITUM, tra coloro che lo determinano, e in tal caso si parla di NEGOZIO BI- o PLURILATERALE.
La forma è il primo dato per individuare esteriormente un negozio; essa può essere:
-LIBERA, ossia rimessa alla libera iniziativa dell’autore del negozio
-VINCOLATA, la quale può derivare dall’ordinamento giuridico o da una preventiva decisione dell’autore del negozio stesso.
La forma libera rappresenta un semplice mezzo di individuazione del negozio, mentre quella vincolata può essere richiesta, o per puri scopi di individuazione, e in tal caso si parla di AD PROBATIONEM NEGOTII, o a scopi esistenziali, e in tal caso si parla di AD SUBSTANTIAM NEGOTII, ossia come elemento costitutivo del negozio, in mancanza del quale esso risulta invalido.

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16
Q

In che modi la forma può essere vincolata ad substantiam?

A

La forma può essere vincolata ad substantiam in tre misure di diversa intensità:
-come ELEMENTO CONCORRENTE, se essa non prevale sugli altri elementi del negozio
-come ELEMENTO DOMINANTE, se la sua esistenza fa presumere l’esistenza degli altri requisiti, dei quali non è necessario accertarsi dell’esistenza o della regolarità
-come ELEMENTO ASSORBENTE, se essa riassume in sè l’intero negozio, togliendo ogni rilevanza agli altri elementi.

17
Q

Cos’è la causa del negozio giuridico?

A

La causa di un negozio giuridico è la sua causa finale, ossia lo scopo cui esso è effettivamente in grado di pervenire; un negozio privo di causa è ritenuto invalido, così come è invalido un negozio con causa illecita.
A proposito dei negozi a causa illecita, è bene sottolineare che esistono vari gradi di illiceità:
-la ILLICEITÀ PIENA, la quale implica l’invalidità del negozio
-la ILLICEITÀ SEMIPIENA, che implica una sanzione di responsabilità per chi ha messo in opera il negozio irregolare, rimanendo tuttavia il negozio irregolare valido
-la ILLICEITÀ GENERICA, che implica soltanto una riprovazione formale e sociale del negozio, senza ulteriori conseguenze giuridiche.
Per quanto concerna la causa bisogna operare una distinzione tra:
-NEGOZI UNILATERALI O PLURILATERALI A TITOLO ONEROSO, anche definiti NEGOZI DI CORRESPONSIONE, il cui scopo è quello di determinare uno scambio tra un vantaggio che si riceve e un sacrificio che si compie, come nel caso della compravendita
-NEGOZI UNILATERALI O PLURILATERALI A TITOLO GRATUITO, anche definiti NEGOZI DI GRATIFICAZIONE, che hanno lo scopo di far acquistare a taluno un vantaggio senza un corrispondente sacrificio, come nel caso della donazione o del prestito di danaro senza interessi.
Un’ulteriore distinzione da fare per quanto riguarda i negozi plurilaterali a titolo oneroso è quella tra NEGOZI SINALLAGMATICI e NEGOZI NON SINALLAGMATICI.
Sinallagmatici sono quei negozi che implicano una interdipendenza tra gli obblighi delle parti; in base al modo in cui tale interdipendenza si verifica, si distinguono tre tipi di sinallagma:
-il SINALLAGMA GENETICO, che si ha quando l’obbligo di una parte verso le altre sorge solo se e in quanto sorgono anche gli obblighi reciproci delle altre parti
-il SINALLAGMA CONDIZIONALE, che si ha quando l’obbligo assunto da una parte verso le altre si estingue, si estinguono anche gli obblighi assunti dalle altre parti nei suoi confronti
-il SINALLAGMA FUNZIONALE, che si ha quando l’esecuzione della prestazione di una parte esige che siano eseguite anche le controprestazioni delle altre parti.

18
Q

Cos’è la volontà negoziale?

A

La volontà negoziale è l’elemento cui solitamente si guarda per ultimo nell’individuazione di un negozio; la sua rilevanza dipende dal fatto che sia correttamente manifestata e dal fatto che si sia liberamente formata.
Per quanto riguarda il primo punto, occorre più precisamente che l’autore o gli autori del negozio abbiano manifestato una volontà esteriore perfettamente corrispondente a quella interna. Infatti vi sono molteplici possibilità di discordanza tra manifestazione esteriore e volontà interna, ossia:
-MANCANZA DI SERIETÀ, che si verifica nelle ipotesi di dichiarazioni fatte per ischerzo o a titolo di rappresentazione teatrale, e in tal caso si parla di IOCI CAUSA, di dichiarazioni fatte a scopi didattici o esemplificativi, e in tal caso si parla di DOCENDI CAUSA, di dichiarazioni fatte a titolo di pura cortesia, e in tal caso si parla di URBANITATIS CAUSA, e di dichiarazioni fatte in uno stato di ira passeggera, e in tal caso si parla di IRACUNDIAE CAUSA. In tutte queste ipotesi, alla manifestazione esteriore non corrisponde alcuna volizione interna. Se la mancanza di seretà è evidente, come accade generalmente, la manifestazione non ha valore e il negozio è dichiarato invalido; altrimenti l’autore può essere chiamato responsabile per la sua incauta dichiarazione.
-VIOLENZA FISICA, che si verifica nell’ipotesi in cui un soggetto giuridico sia materialmente costretto a porre in essere una manifestazione di volontà negoziale; anch’essa implica la nullità della manifestazione e l’invalidità del negozio.
-ERRORE DI MANIFESTAZIONE, che si verifica nell’ipotesi di una manifestazione di volontà negoziale che non corrisponda all’intimo volere, per effetto di ignoranza o di sbaglio da parte del dichiarante in ordine alla manifestazione. Anche in questo caso, di regola, il negozio è dichiarato nullo.
-MALINTESO, il quale si verifica nei negozi bi- o plurilaterali quando una parte, avendo errato nella comprensione della dichiarazione dell’altra parte, manifesta una volontà che altrimenti non avrebbe avuto o manifestato. In tal caso, dunque, non si ha una divergenza tra volontà e relativa manifestazione, bensì una divergenza tra due volontà contrapposte, per effetto di un errore nell’intendimento dell’opposta manifestazione. Qualora il malinteso risulti successivamente evidente, il negozio è da dichiarare invalido si dall’inizio, a causa della mancanza di un consensus in idem placitum, ossia di un vero e proprio accordo tra le parti.
-RISERVA MENTALE, che si verifica nell’ipotesi di una volontaria omissione di un dato estensivo, integrativo, limitativo o negativo della propria volontà, con l’effetto di porre in essere una volontà diversa, o addirittura inesistente. In tal caso il negozio rimane valido in base a come sia stato manifestato.
-ACCORDO SIMULATORIO, il quale si verifica nell’ipotesi in cui due parti di un negozio bi- o plurilaterale si accordino per porre in essere un negozio apparente, solo esteriormente dichiarato, ossia un NEGOZIO SIMULATO, mentre in realtà non vogliono alcun negozio, e in tal caso si parla di SIMULAZIONE ASSOLUTA, oppure vogliono un negozio diverso, cd NEGOZIO DISSIMULATO, e in tal caso si parla di SIMULAZIONE RELATIVA. Quanto alla rilevanza dell’accordo simulatorio, occorre fare una distinzione in base ai soggetti da esso implicati: per le parti, il negozio simulato non ha valore, mentre ha valore il solo negozio dissimulato; nei confronti dei terzi svantaggiati dalla simulazione, il negozio non è valido; rispetto ai terzi avvantaggiai in buona fede dalla simulazione, il negozio rimane valido, nel senso che ad essi la simulazione, e dunque l’invalidità del negozio, non è opponibile.

19
Q

In cosa consiste, invece, la libera formazione della volontà?

A

Per quanto concerne la libera formazione della volontà, è importante sottolineare il fatto che, se è ragionevolmente pensabile che una volontà sia nata a causa di un vizio, e che senza tale vizio essa non s sarebbe condensata in una decisione, sorge quanto meno il dubbio se riconoscere o non riconoscere valore giuridico al negozio. Tuttavia, gli ordinamenti evoluti concedono quasi sempre all’autore del negozio la possibilità di richiedere al potere sanzionatorio l’annullamento del negozio stesso, qualora ess risulti inficiato da uno di questi tre vizi della sua volontà:
-l’ERRORE DI FATTO, ossia l’ignoranza o l’errata conoscenza di una circostanza di fatto da parte dell’autore del negozio; ignoranza o errata conoscenza che abbia avuto funzione determinante nella formazione della su volontà
-il DOLO, che è il raggiro posto in opera da un individuo interessato alla conclusione di un negozio per indurre un’altra persona a volere il negozio stesso; raggiro che abbia avuto funzione determinante sulla formazione della volontà
-la VIOLENZA MORALE, ossia la minaccia di un male notevole e ingiusto nei confronti di un individuo per costringerlo a compiere un certo negozio; minaccia che abbia avuto funzione determinante sulla formazione della volontà.

20
Q

Da chi può essere compiuta l’attività negoziale?

A

L’attività negoziale può essere compiuta tanto personalmente da chi vi abbia interesse, quanto da altri nell’interesse di lui; in quest’ultimo caso si verifica la cd SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ NEGOZIALE, la quale può essere di due tipi:
-la SOSTITUZIONE MATERIALE, che si ha quando un soggetto si faccia materialmente surrogare da un altro individuo, pur non essendo capace nella manifestazione della sua volontà
-la SOSTITUZIONE GIURIDICA, meglio definita RAPPRESENTANZA, che si ha quando un soggetto giuridico, ossia pienamente capace, detto rappresentante, compia il negozio nell’interesse di un altro soggetto giuridico, detto rappresentato.
La rappresentanza, a sua volta, si scinde in due specie:
-la RAPPRESENTANZA DIRETTA, che si verifica quando il rappresentante agisce non solo per conto, ma anche in nome del rappresentato
-la RAPPRESENTANZA INDIRETTA, che si ha quando il rappresentate agisce solo per conto del rappresentato, ma non in nome proprio.
Nel caso della rappresentanza diretta, gli effetti giuridici del negozio ricadono direttamente nella sfera giuridica del rappresentato, in quanto è come se il negozio fosse stato compiuto da lui personalmente; nel caso della rappresentanza indiretta, invece, gli effetti ricadono sul rappresentante, il quale li dovrà trasmettere attraverso un altro negozio al rappresentato.

21
Q

Cosa sono le circostanze? Come si dividono?

A

L’attitudine di un negozio giuridico a produrre gli effetti predisposti non dipende soltanto dai suoi elementi costitutivi, ossia dalla forma, dalla volontà e dalla causa, essa infatti è subordinata a tutta un’altra serie di requisiti, alcuni dei quali sono preposti dall’ordinamento, altri possono essere eventualmente decisi al momento della confezione del negozio.
I requisiti negoziali volontari altro non sono che accadimenti futuri, definiti CIRCOSTANZE, del tutto indipendenti dalla volontà di colui o di coloro che pongono in essere il negozio, al cui verificarsi viene da costui o da costoro volontariamente subordinata la sua efficacia.
Le circostanze sono chiamate in causa solo se l’autore del negozio abbia apposto in esso una clausola, ossi una precisazione che le indichi; esse non modificano la vita del negozio, ma riguardano la sua efficacia, ossia la possibilità che un negozio ha di produrre effetti.
Vi sono due tipi di circostanze:
-la CONDIZIONE, che è un avvenimento futuro ed incerto, dal cui verificarsi o dal ci non verificarsi una clausola condizionale faccia derivare l’inizio degli effetti giuridici, e in tal caso si parla di CONDIZIONE SOSPENSIVA, o la cessazione degli effetti giuridici, e in tal caso si parla di CONDIZIONE RISOLUTIVA.
Dunque, sino a che la clausola sospensiva non si realizza, il negozio è già completo di tutto e pronto ad operare, ma la sua efficacia è sospesa; dall’altro lato, sino a che la condizione risolutiva non si realizza, il negozio è già operativa, tuttavia la sua efficacia cadrà nel vuoto realizzandosi la condizione.
-il TERMINE, che è un avvenimento futuro ma certo dal cui verificarsi una cd clausola terminale faccia dipendere l’inizio degli effetti negoziali, e in tal caso si parla di TERMINE INIZIALE, o la cessazione degli effetti negoziale, e in tal caso si parla di TERMINE FINALE.

22
Q

In cosa consiste l’inefficacia del negozio giuridico?

A

L’inefficacia del negozio giuridico, ossia l’inettitudine dello stesso a produrre effetti, si verifica quando manchino gli elementi costitutivi o i requisiti negoziali. Tuttavia gli ordinamenti giuridici sono informati al PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DEI NEGOZI, il quale vige solo per i negozi vitali, ossia quelli non gravemente manchevoli o viziati. A tal proposito scaturisce una distinzione dei negozi inefficaci in:
-NEGOZI INVALIDI, i quali sono caratterizzati da una manchevolezza tale da renderli privi di vita giuridica
-NEGOZI MERAMENTE INEFFICACI, che possiedono una vita giuridica ma, nonostante ciò, non sono pienamente efficaci.

23
Q

Quali sono le caratteristiche dell’invalidità di un negozio giuridico?

A

L’invalidità di un negozio giuridico, ossia la sua inconsistenza sul piano dell’ordinamento giuridico, si verifica:
-quando manchi o sia gravemente difettoso un suo elemento costitutivo
-quando manchi una delle qualificazioni richieste dall’ordinamento per poter operare sul rapporto o sui rapporti giuridici cui il negozio intende riferirsi
-quando manchi un presupposto richiesto dall’ordinamento come requisito di invalidità
-quando sia obiettivamente impossibile la realizzazione di una condizione sospensiva.
In tutti questi casi il negozio, o è privo di vita sin dall’inizio, e in tal caso si parla di NEGOZIO NATO MORTO, oppure è un negozio transitoriamente vivo, ma che passa a perdere la sua vita giuridica in un momento successivo, e in tal caso si parla di NEGOZIO ESAURITO.
L’invalidità di un negozio giuridico può essere:
-INIZIALE, quando il negozio presenta sin dall’inizio una condizione reputata dall’ordinamento di invalidità
-SOPRAVVENUTA, quando il negozio sia sorto valido, ma poi sopraggiunga una causa di invalidità che lo renda inerte.
L’invalidità può anche essere:
-TOTALE, nel caso in cui investa tutto l’atto nel suo insieme
-PARZIALE, qualora sia possibile la RIDUZIONE del negozio a certi suoi elementi che sono praticamente utilizzabili, o quando sia possibile la CONVERSIONE dello stesso in altro negozio, la cui validità sia bastevole quanto vi sia di utilizzabile, ossia di non invalido nei suoi elementi.
L’invalidità, poi, può essere:
-OPERATIVA DI DIRITTO, quando è sancita dall’ordinamento giuridico come conseguenza automatica di una certa manchevolezza o di un certo vizio
-OPERATIVA SOLO SU DOMANDA GIUDIZIALE DELL’INTERESSATO, quando è rimessa da quest’ultimo al potere giurisdizionale, affinchè esso decisa e sia il caso di porre ne nulla il negozio. L’ipotesi prevalente di invalidazione giudiziaria, anche definita INVALIDAZIONE OPE MAGISTRATUS, è quella del PROVVEDIMENTO GIURISDIZIONALE COSTITUTIVO DI ANNULLAMENTO DEL NEGOZIO, in base al quale, se gli interessati non si fanno avanti entro i termini concessi per la loro domanda, o se non ottengono il richiesto annullamento, il negozio cd annullabile ottiene la salvezza, e diviene valido.
Infine, l’invalidità di un negozio giuridico è, di regola, INSANABILE; tuttavia, sempre in virtù del principio di conservazione, gli ordinamenti ammettono alcune ipotesi in cui l’invalidità è sanabile, ossia eliminabile, infatti vi è:
-la SANATORIA EX LEGE, ovvero la sanatoria disposta da un provvedimento legislativo
-la CONVALESCENZA di un negozio invalido, che si ha quando siano decorsi i termini per la domanda di annullamento giudiziario
-l’ACQUIESCENZA ad un negozio annullabile, che si verifica prima ancora che siano decorsi i termini per l’annullamento da parte degli interessati all’annullamento
-la CONFERMA dell’atto da parte del suo autore o dei suoi autori
-la RATIFICA successiva del negozio da parte del soggetto cui sarebbe occorsa la volontà di porlo in essere.

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Q

In cosa consiste la mera inefficacia di un negozio giuridico?

A

La mera inefficacia del negozio si verifica quando il negozio è valido ma non può produrre, in tutto o in parte, gli effetti a causa di un impedimento determinato da una circostanza sospensiva in pendenza, definita CONDICIO IURIS, oppure per l’intervento di una causa impeditiva esterna, ossia fatta valere da soggetti diversi dall’autore o dagli autori del negozio.
Sino a che l’impedimento non cessa, il negozio rimane totalmente o parzialmente inefficiente, ovvero incapace di produrre i suoi effetti.

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Come avviene la piena realizzazione del diritto?
Affinchè l’ordinamento giuridico si traduca in diritto vivente è innanzitutto necessario che si verifichino i fatti, volontari o involontari, determinativi degli effetti giuridici. Tuttavia ciò non è sufficiente, infatti, alla piena realizzazione del diritto occorre in primo luogo la comprensione da parte dei soggetti di quanto è voluto dall’ordinamento, e, in secondo luogo, l’obbedienza da parte dei soggetti stessi alla volontà dell’ordinamento. La comprensione della volontà dell’ordinamento viene definita INTERPRETAZIONE GIURIDICA, e consiste nell’individuazione del valore giuridico, ossia nella determinazione della normativa giuridica che ne fissa gli effetti. Dunque, dinanzi ad un accadimento della vita sociale, l’interprete è tenuto ad accertare se esso ha rilevanza per il diritto e, in tal caso, quali effetti giuridici determina. L’obbedienza alla volontà dell’ordinamento può essere spontanea o coatta, ma in ambedue i casi è necessaria la comprensione. Nell’ipotesi di obbedienza spontanea, l’individuo adempie l’obbligo di sua piena volontà, nell’ipotesi di obbedienza coatta, invece, il titolare del potere giuridico, di fronte la resistenza del soggetto passivo, passa all’azione nei suoi confronti per ottenere la soggezione. Tuttavia, siccome non vi può mai essere la certezza che il titolare del potere i azione abbia gli strumenti idonei per coartare il soggetto passivo, solo gli ordinamenti più antiquati concedono l’esercizio dell’azione diretta, ossia della cd AUTOTUTELA. Al contrario, gli ordinamenti più evoluti, tendono a vietare o a limitare l’autotutela e impongono ai soggetti di ricorrere all’esercizio dell’azione indiretta, in base alla quale essi devono chiedere l’accertamento del loro potere di azione agli organi del potere giurisdizionale.
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Come si attua l’interpretazione giuridica?
L’interpretazione giuridica si attua attraverso un’operazione intellettiva, la quale può scindersi in due momenti: -quello dell’INDIVIDUAZIONE DEL COMANDO -quello dell’INDIVIDUAZIONE DEL SENSO PRECISO, ossia del cd LINGUAGGIO di questo comando. Se le operazioni interpretative sono svolte da un soggetto senza particolari qualità si parla di INTERPRETAZIONE COMUNE; per quanto riguarda l’INTERPRETAZIONE QUALIFICATA, invece, si distinguono tre possibilità: -quella dell’interpretazione svolta dai giurisperiti, ossia dagli studiosi professionali del diritto, e in tal caso si parla di INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE -quella svolta dagli organi giurisdizionali, e in tal caso i parla di INTERPRETAZIONE GIURISDIZIONALE -quella offerta dagli autori stessi del provvedimento, e in tal caso si parla di INTERPRETAZIONE AUTENTICA oppure di AUTOINTERPRETAZIONE.
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Come può essere l’individuazione del comando?
L’individuazione del comando applicabile ad una fattispecie può essere di tre tipi: -DIRETTA, quando consista nella ricognizione del documento da cui l’esistenza del comando è provata, si pensi ad esempio ad una legge scritta -INDIRETTA, quando consista nella ricognizione di ogni altro mezzo atto a segnalare mediatamente, ossia attraverso un cd DATO SEMIOTICO, l’esistenza del comando -PRESUNTIVA, quando consista nella ragionevole supposizione di un comando implicito nella logica generale del sistema. Quest’ultima operazione va esplicitata solo se le due precedenti sfocino in un risultato negativo e solo se la mancanza di un comando relativo alla fattispecie presa in esame non sia indice di IRRILEVANZA GIURIDICA della fattispecie stessa, ovvero di disinteresse del diritto per il suo regolamento.
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Come avviene l’individuazione del senso preciso di un comando?
L’individuazione del senso preciso di un comando si effettua attraverso tre operazioni analitiche, definite semantiche, ossia: -un’OPERAZIONE FILOLOGICA, consistente nell’individuazione del significato letterale, ovvero nella rilevazione della cd VOX IURIS -un’OPERAZIONE LOGICO-GIURIDICA, consistente nella determinazione del senso logico, ossia nella determinazione della cd RATIO IURIS -un’OPERAZIONE STORICA, consistente nella valutazione dell’epoca storica e dell’ambiente sociale in cui il comando è sorto, nonchè dell’epoca e dell’ambiente esso va applicato, ossia nella valutazione della HISTORIA IURIS. Il risultato di tali operazioni può essere, a sua volta, di tre tipi: -DICHIARATIVO, se il senso del comando risulti coincidere con la sua formulazione letterale -ESTENSIVO, se l’ambito di applicazione del comando risulti più esteso rispetto a quanto si ricaverebbe dalla sua formulazione letterale -RESTRITTIVO, se nel caso contrario
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Come si effettua l’individuazione del senso preciso di un comando posto da un atto di autonomia privata?
L’individuazione del senso preciso di un comando posto da un atto di autonomia privata avviene attraverso le stesse operazioni di regola utilizzate, ma vi sono delle differenze derivate dal fatto che i negozi giuridici sono l’esplicazione di un’attività di autoregolamento volta a disciplinare gli interessi degli stessi autori del negozio o non i rapporti tra persone esterne ad essi. L’interprete, quindi, da un lato è chiamato a ricostruire ciò che veramente e concretamente è stato voluto e posto in essere dall’autore o dai coautori del negozio, e in tal caso si parla di INTERPRETAZIONE OGGETTIVA o IN CONCRETO.dall’altro lato, egli deve anche stabilire ciò che un soggetto ragionevole avrebbe voluto e posto in essere con le formulazioni in cui il negozio si è esteriorizzato e nella situazione storica in cui esso è sorto, e in tal caso si parla di INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA o IN ABSTRACTO. Gli ordinamenti possono donare maggiore importanza all’interpretazione oggettiva rispetto a quella soggettiva, o viceversa, ma nessun ordinamento può mai completamente prescindere dall’una o dall’altra, in quanto sarebbe assurdo chiudere gli occhi dinanzi all’esigenza che la volontà dell’autore sia effettivamente realizzata e all’esigenza che l’affidamento posto dai terzi in una certa apparenza negoziale sia adeguatamente tutelato.
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In cosa consiste il processo giurisdizionale?
Il processo giurisdizionale è inteso a realizzare il potere di azione del soggetto attivo, nell’ipotesi di resistenza del soggetto passivo. Naturalmente, gli organi del potere giurisdizionale non possono tenere sotto controllo interpretativo tutti gli innumerevoli accadimenti nella vita sociale, dunque il processo seguito è ben diverso. Infatti gli organi del potere sanzionatorio intervengono solo se e in quanto ricevono una precisa domanda di giustizia di un soggetto giuridico, nei confronti di altro soggetto che lo contrasti. E siccome solo quando si instauri una lite tra i due, essi prendono notizia del fatto o dei fatti da interpretare, dando avvio all’attività interpretativa, può ben accadere che giungano alla conclusione che la domanda sia priva di fondamento, e dunque debba essere rigettata, per il fatto che il diritto soggettivo di cui l’autore di asserisce titolare non esiste o non è realizzabile. Ne consegue che bisogna distinguere tra: -l’AZIONE IN SENSO PROPRIO, anche detta AZIONE SOSTANZIALE, la quale è espressione del diritto e costituisce l’oggetto del processo giurisdizionale -la DOMANDA DI GIUSTIZIA, denominata anch’essa azione, più precisamente AZIONE PROCESSUALE, che è la dichiarazione che un soggetto, definito ATTORE, fa ad un altro soggetto, definito CONVENUTO, di essere il titolare del potere di azione nei suoi confronti.
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Come si distinguono i processi giurisdizionali?
Tutti i soggetti giuridici hanno il diritto di agire in giudizio, ossia di proporre domande processuali con le quali si asseriscano titolari di un’azione in senso proprio, ossia di un potere di azione, nei confronti del convenuto. Al potere giurisdizionale spetta il compito di stabilire se l’azione processuale è fondata o non è fondata, e ad essa compete anche, quando le conclusioni siano nel senso del buon fondamento della domanda, di realizzare coattivamente il potere di azione del quale si discute. Sulla base della specifica richiesta formulata con l’azione processuale, si distinguono tre tipi di processo giurisdizionale, ossia: -il PROCESSO DI COGNIZIONE -il PROCESSO DI ESECUZIONE -il PROCESSO CAUTELARE Il processo di cognizione è quello promosso da un’azione di accertamento, ossia da un’azione rivolta ad ottenere la dichiarazione autoritaria dell’esistenza o dell’inesistenza di una situazione giuridica controversa. Il processo può essere inteso: ad un accertamento puro e semplice, ad esempio che Tizio è creditore di Caio, all’accertamento seguito dalla condanna del soccombente a fare ciò ce deve fare, ad esempio a Caio, essendo accertato che è debitore di Tizio, è imposto di effettuare il pagamento, oppure ad un accertamento cd costitutivo, ossia implicante di per se stesso, una modificazione dell’ordine giuridico. Il processo di esecuzione è quello promosso da un’azione esecutiva volta ad ottenere la materiale esecuzione di un diritto già accertato in un precedente processo di cognizione o accertato extraprocessualmente. Il processo cautelare è quello promosso da un’azione cautelare, la quale ha lo scopo di ottenere misure di preventiva garanzia in vista della successiva e indipendente decisione di un processo di cognizione o di esecuzione ancora in corso, o addirittura ancora da iniziare.
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In quali periodi si articola la storia del diritto romano?
La storia del diritto romano si articola in quattro grandi periodi: -il PERIODO ARCAICO che va dall’VIII al IV secolo a.C. -il PERIODO PRECLASSICO, che si estende sino al I secolo a.C. -il PERIODO CLASSICO, che giunge fino al III secolo d.C. -il PERIODO POSTCLASSICO, che comprende il IV e il VI secolo d.C
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Quali sono le caratteristiche del periodo arcaico?
Il periodo arcaico corrisponde a quello della CIVITAS QUIRITARIA e va dal 756 a.C., anno della fondazione di Rom, sino al 367 a.C., anno di emanazione delle leges liciniae sextiae. La Civitas Quiritaria sorse presumibilmente dalla confederazione d tre tribù genetiche, ossia le TRIBUS GENTIUM, costituite da elementi di nazione latina, sabina e forse etrusca, ossia la tribù dei RAMNES, quella dei TITIES e quella dei LUCERES. Queste, a loro volta, nacquero da minori gruppi politici parentali, ovvero le GENTES, ciascuna delle quali, a sua volta, emerse dall’aggregazione di minori gruppi politici elementari, ossia le FAMILIAE, a carattere potestativo. In seguito alla nascita della Civitas, l’ordinamento statale di Roma risultò costituito: dagli accordi federativi tra i capi della gentes e tra quelli delle tribus gentium, dalle deliberazioni prese dai patres e dalle costumanze degli antenati, ossia i MORES MAIORUM, cioè dalle consuetudini che si erano già precedentemente affermatesi nelle tribus, e prima ancora nelle gentes, allo scopo di disciplinare le controversie tra le familiae. Originariamente, col termine di IUS furono denominati esclusivamente i mores maiorum, che come si diceva in precedenza, rappresentavano le costumanze a cui fu attribuita una particolare autorità alla componente religiosa legata al ulto degli antenati come essere divini. Infatti, progressivamente, i mores finirono per costituire il primissimo nucleo del diritto privato romano, ossia il IUS QUIRITIUM. Durante il VII secolo a.C., la Civitas quiritaria sbì la cd DOMINAZIONE ETRUSCA, nel senso che in. Essa si insediò una potente gens di origine etrusca, ovvero la GENS TARQUINIA. I tiranni etruschi, che secondo la tradizione furono Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, si concentrarono principalmente sul rafforzamento dell’esercito, del quale divenne nerbo una forte schiera di fanteria di centuria oplitica, ovvero pesantemente armata, la cd. CLASSIS, mentre la cavalleria fu alleggerita. Dato che il numero di abitanti della Civitas era appena sufficiente a contribuire alla cavalleria, Servio Tullio,per quanto concerne la fanteria, confidò soprattutto nell’interesse delle famiglie contadine a difendere le terre loro date dalla Civitas, e da loro coltivate. A tal fine, dunque, venne progettato un nuovo setto territoriale in quattro tribù territoriali urbane e in un certo altro numero di tribù territoriali rustiche. I fanti, quindi, non erano cittadini che discendevano dalle tre tribù genetiche delle origini, bensì erano estratti da una massa di non cittadini, ossia da una plebs di non quiritari. Progressivamente della plebs entrarono a far parte anche le famiglie contadine stanziate nelle nuove tribù rustiche, le famiglie artigiane residenti nelle tribù urbane, gli abitanti del Monte Aventino e quanti altri si fossero insediati nelle trib territoriali romane. La fine della Civitas corrisponde al processo rivoluzionario da parte dei plebei, del quale bisogna tenere in considerazione almeno due aspetti: in primo luogo, che la suprema carica del rex non scomparve da un momento all’altro, ma si dissolse lentamente, a causa del maggior potere acquisito dal PRAETOR, ossia dal comandante dell’esercito. In secondo luogo è necessario sottolineare che l’exercitus centuriatus riuscì ad impossessarsi anche di quel rango di assemblea deliberante suprema di comitia centuriata, che in precedenza non aveva. Un accordo patrizio.plebeo del 367 a.C concluse il processo rivoluzionario iniziato dai plebei; esso dichiarò finalmente che i plebei dovessero essere considerati cittadini a pieno titolo della comunità politica romana, e inoltre, elesse anche due pretori, di cui uno poteva essere plebeo, i quali venivano scelti annualmente dall’organizzazione centuriata. Integrativo del ius quiritium fu il IUS LEGITIMUM VETUS, ossia il diritto legislativo antico, il quale cercò di risolvere le numerose difficoltà che ostacolavano la formazione di nuove consuetudini avvertibili come vincolanti sia da parte dei patrizi, che da parte dei plebei. Tuttavia, si trattò di un sistema giuridico ben diverso rispetto a quelle che sarebbero state le successive leges publicae; esso infatti non venne affatto votato dal popolo, bensì concesso a questo dai patres quiritari. Un nucleo fondamentale del ius legitimum vetus fu costituito dalle LEGGI DELLE DODICI TAVOLE, le quali rappresentarono la tappa più importante della rivoluzione attraverso cui i plebei tentarono di ottenere l’emancipazione dalla loro condizione di sudditanza. Tali legge non ebbero un contenuto estremamente innovativo, ma furono orientate principalmente a chiarire alcun principi controversi del ius quiritium e a mettere in luce alcune situazioni che il ius quiritium non aveva preso in considerazione. Esse, inoltre, ebbero il merito di regolare i procedimenti accessibili dai privati per ottenere dall’autorità pubblica la IURIS DICTIO, ossia la realizzazione delle loro pretese giuridiche. Tra il V e il IV secolo a.C., si verificò una vasta produzione indiretta di nuovo diritto attraverso l’interpretazione del ius da parte dei pontifices, e a tal proposito si parla di INTERPRETATIO PONTIFCUM; questi ultimi erano, infatti, da sempre considerati i depositari dei mores e dei riti del ius Quiritium e furono largamente richiesti dai cittadini per interpretare questo con riferimento alle diverse situazioni concrete. Dopo le leggi delle Dodici Tavole, i pontifices non esitarono a far passare sotto la veste di RESPONSA interpretativi anche costruzioni fortemente originali ed innovative, con lo scopo di soddisfare sia gli interessi dei patrizi, che quelli dei plebei. In tal modo, i sistemi giuridici del IUS QUIRITIUM e del IUS LEGITIMUM VETUS si avviarono verso un processo di unificazione ed integrazione e, con gli elementi da essi offerti e con altri apprestati dall’interpretatio pontificum, si costituì un sistema normativo unitario, denominato IUS CIVILE ROMANORUM.
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Quali sono le caratteristiche del periodo preclassico?
Il periodo preclassico corrisponde a quello della RESPUBLICA ROMANO NAZIONALE e va dal 367 a.C sino al 27 a.C., anno in cui vennero affidati ad Augusto i primi poteri di princeps. La struttura di governo della respublica si basava su tre gruppi di elementi: -le MAGISTRATURE, ossia uffici collegiali tutti in possesso del potere direttivo, definito POTESTAS, e alcuni in possesso anche di un superiore potere di comando civile e militare, denominato IMPERIUM. -le ASSEMBLEE POPOLARI, alle quali era affidato il compito di eleggere i magistrati e di fissare, mediante leggi, le norme di comportamento per i cittadini e per i magistrati stessi -il SENATO, ossia un’assemblea costituita da ex magistrati i quali erano in possesso di importanti funzioni consultive nei confronti dei magistrati in carica. Il sistema normativo che caratterizzò il periodo preclassico fu quello del IUS CIVILE VETUS, ossia il diritto civile antico, le cui fonti erano rappresentate dai mores del ius Quiritium, dalle leges del ius legitimum vetus e dalla stessa interpretatio pontificum, attività che iniziò ad essere praticata non soltanto dai pontifices, ma anche da una cerchia di esperti giuristi, la maggioranza dei quali apparteneva alla nobiltà. Vi furono varie ragioni che impedirono al ius civile vetus di evolversi in proporzioni adeguate all’impetuoso progresso della vita sociale romana tra il II e il I secolo a.C., e per tale motivo gli vennero via via in aiuto tre sistemi giuridici: -il IUS LEGITIMUM NOVUM, la cui fonte era rappresentata dalle leges publicae -il IUS CIVILE NOVUM, il quale emerse dall’attività giurisdizionale svolta dal PRAETOR PEREGRINUS -il IUS PRAETORIUM, che emerse invece dall’attività svolta dal PRAETOR URBANUS e dagli altri magistrati. Per comprendere il sistema normativo del ius legitimum novum, bisogna tenere in considerazione ne l’ordinamento della respublica, ossia il complesso di regolamenti relativi alla struttura dello Stato, alla disciplina dei suoi istituti, all’amministrazione del culto pubblico e via dicendo, era estraneo al puro ius, anzi era del tutto privo della qualifica di ius. In sostanza, si trattava di un certo novero di principi a carattere tradizionalistico, integrato da un certo numero di leggi pubbliche, alcune delle quali riuscirono ad incidere nel ius civile, apportandovi limitazioni e soprattutto integrazioni richieste dal pubblico interesse. In tal modo, dunque, le leggi pubbliche iniziarono progressivamente anch’essa ad essere considerate quali fonte di ius, fonte di un ius legitimum novum, ossia nuovo rispetto al ius legitimum vetus del periodo arcaico, che peraltro fu denominato anche ius publicum, in condierazione del fatto che provenisse proprio dalle leges publicae. Diversa, invece, fu la genesi del IUS CIVILE NOVUM, le cui origini risalgono al 242 a.C., anno in cui nacque la magistratura del praetor peregrinus, al quale era affidato il compito di fissare il diritto, ossia di esprimere soluzioni giuridiche relative principalmente alle liti tra cittadini e stranieri, e solo tra stranieri che si svolgessero a Roma. Tuttavia la IURISDICTIO PRAETORIS PEREGRINI era una iuris dictio, sia perchè il pretore peregrino nello svolgere la sua attività non si rifaceva ad un diritto oggettivo già esistente, in quanto tra Romani e stranieri non vi era alcuna comunanza di diritto, sia perchè il suo intervento era subordinato al presupposto che i litiganti gli facessero concorde richiesta di fissare i criteri per la risoluzione delle loro controversie. E siccome attraverso la giurisdizione del praetor peregrinus si determinarono, qualora si verificassero questioni dello stesso tipo, criteri di risoluzione tra loro conformi, ottennero stabile tutela nuovi tipi di rapporti, prevalentemente a carattere commerciale, come ad esempio l’obbligazione da mandatus, da societas o da locatio-conductio. In tal modo, dunque, si costituì un nuovo sistema giuridico complementare al ius civile Romanorum, ossia il ius civile novum, un diritto valevole sia per i cittadini che per gli stranieri. La genesi del ius honorarium, ossia del ius praetorium, si spiega col fatto che, verso la metà del II secolo a.C., nacque una grave crisi che riguardò la respublica romana, la quale durò mezzo secolo e corrose fortemente l’assetto democratico-repubblicano, favorendo l’instaurazione di dittature personali e aprendo le porte, intorno al I secolo a.C., al regime di governo del principato. In questo periodo, le assemblee popolari non ebbero nè il modo nè il tempo di provvedere alle necessarie riforme ed integrazioni del sempre più decrepito ius civile, dunque tale compito venne affidato ai magistrati giusdicenti, ossia: il pretore peregrino, il pretore urbano, gli edili curuli e i governatori delle province. Il pretore urbano fu colui che si distinse maggiormente in quest’opera di deformazione innovativa. Egli non esitò ad adottare inter cives la procedura già introdotta dal pretore peregrino nelle controversie di sua attribuzione e, inoltre, si avvale dei suoi vasti poteri discrezionali per formulare REGOLE DI GIUDIZIO diverse da quelle civilistiche. Tali regole innovative erano subordinate all’accordo tra le parti e non erano estensibili necessariamente ad altre questioni analoghe, bensì rispondevano alle prevalenti valutazioni sociali di AEQUITAS e, appunto, venivano preferite dallo stesso pretore e dalle stesse parti a quelle scaturenti da un ius ritenuto ormai antico e iniquo. Questa sua iniziativa, in un primo periodo, fu appoggiata da una LEX AEBUTIA, la quale concesse ai citttadini di astenersi, se lo volessero, dal ricorso alle tradizionali leges actiones del ius legitimum vetus. In un secondo momento, essa venne anche appoggiata dalla LEX IULIA IUDICIORUM PRIVATORUM, la quale giunse al punto di rendere obbligatorio il nuovo sistema procedurale. Si costituì, quindi, un nuovo sistema giuridico che, soltanto nel periodo classico, venne definito del diritto pretorio, ossia IUS PRAETORIUM, ma che in generale è denominato del diritto onorario, ovvero IUS HONORARIUM. Alle spalle di questo processo di trasformazione giuridica operò efficacemente anche la nuova giurisprudenza laica, la quale fiorì durante il III secolo a.C. L’ambiente dei giureconsulti fu quello stesso della classe dirigente, la nobilitas, in quanto requisito essenziale per intraprendere un’eccellente carriera politica, fu ritenuto la conoscenza approfondita dell’ordinamento statale e di quello giuridico. I giuristi preclassici, dunque, non furono solo interpreti del diritto ma anche elementi attivi dell’evoluzione giuridica, spesso come giusdicenti o come loro consiglieri. Anche nell’interpretatio la giurisprudenza laica repubblicana esercitò opera di creazione del ius, o per meglio dire, di sviluppo creativo del ius civili e del ius honorarium. Da ricordare i nomi di due eminenti giuristi del I secolo a.C., ossia Quinto Mucio Scevola e Servio Sulpico Rufo.
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Quali sono le caratteristiche del periodo classico?
Il periodo classico corrisponde a quello della RESPUBLICA ROMANO-UNIVERSALE e del relativo regime di governo del principatus,e va dal 27 a.C fino al 284 d.C., anno dell’ascesa al potere di Diocleziano. Il governo della respublica romano-universale fu un governo formalmente democratico, ma il suo regime, ossia il modo del suo funzionamento, fu fortemente accentrato e autoritario. Accanto alle strutture repubblicane ordinarie, ossia le magistrature, i comizi e il senato, si affermò anche la figura del principe, ovvero una personalità riconosciuta come la più eminente tra i cittadini della respublica. Nel periodo classico i vecchi sistemi normativi, con le loro relative fonti di produzione, rimasero in vita, ma persero ogni capacità di accrescimento e di evoluzione. L’influenza dei principi sull’evoluzione giuridica, soprattutto a partire da Adriano, divenne sempre più evidente e scoperta, attraverso diretti e frequenti interventi nella decisione della cause criminali e delle controversie private. Si trattava di interventi operati extra ordinem, ossia al di fuori delle procedure contemplate dalla giurisdizione ordinaria, ovvero al di fuori del cd ORDO IUDICIORUM. In tal modo, dunque, si costituì accanto del ius vetus, un complesso di nuovi regolamenti che è bene definire con il nome di ius extraordinarium, oppure col nome di ius novum, ossia diritto nuovo. La giurisprudenza classica si adoperò efficacemente nel riordinare i sistemi fondamentali del ius civile e del ius honorarium e nell’integrarli tra loro con l’aggiunta del ius novum. I risultati furono ottenuti in due fasi successive e ben identificabili: -in una prima fase, denominata fase augustea e che si chiude con la morte di Traiano, i giuristi lavorarono ancora sulla direttrice segnata dalla giurisprudenza preclassica, prediligendo l’attività casistica. -in una seconda fase, invece, i giuristi lasciarono sempre più da parte la casistica e iniziarono a concentrare le proprie forze nella sistemazione parallela del ius civile e del ius honorarium, con riguardo al ius novum. Sotto la dinastia dei Severi, la quale iniziò con Settimio Severo, l’attività sistematica divenne nettamente predominante e, di conseguenza, cominciò il declino della giurisprudenza, la quale si ritrovò priva della capacità di dare un contributo innovativo alla evoluzione del diritto romano. L’attività giurisprudenziale classica ci è largamente documentata, sebbene in testi frammentati, dalle compilazioni risalenti al periodo postclassico e da altre trascrizioni sempre di derivazione postclassica. In sintesi è importante sottolineare che: -il punto di contatto tra la giurisprudenza repubblicana e quella classica stette nella famosa scissione tra due giuristi risalenti all’età augustea, ossia Capitone e Labeone, le cui divergenze personali portarono alla formazione di due stinti circoli: da un lato i SABINIANI, ricollegati a Capitone, dall’altro lato i PROCULIANI, collegati invece a Labeone. -le divergenze tra le due scuole furono sopite successivamente grazie alla forte personalità di SALVIO GIULIANO, autore di 90 libri di digesta in cui trattò tutto lo scibile del diritto privato, fissandolo in un assetto stabile, che influenzò profondamente le riflessioni giuridiche del periodo postclassico -durante l’età degli Antonini la giurisprudenza classica toccò il massimo della sua fioritura grazie ad alcune figure fondamentali, tra cui CECILIO AFRICANO, SESTO POMPONIO e CERVIDIO SCEVOLA -nell’età dei Severi si ebbero giureconsulti meno brillanti rispetto a quelli dell’epoca precedente, ma fecondissimi di opere e, dunque, largamente sfruttati dalle scuole e dalla prassi curiale dell’età postclassica.
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Quali sono le caratteristiche del periodo postclassico?
Il periodo postclassico corrisponde a quello dell’assolutismo imperiale, da Diocleziano a Giustiniano I, secolo nei quali si verificò un esautoramento della respublica a vantaggio dell’imperium dei principes. L’imperium, dunque, rappresentò la formula in cui si risolse tutta l’organizzazione statale e di governo. Esso fu sempre più concepito come STATO PATRIMONIALE, in quanto l’imperator o gli imperatores ne erano i padroni, ossia i DOMINI. Le conseguenze di questo nuovo assetto politico furono: -la supremazia del ius novum sul ius vetus -l’inaridimento delle vecchie fonti repubblicane -la fine della vecchia attività giurisprudenziale a carattere individualistico, ossia svolta pubblicamente da personalità ben identificabili di giureconsulti. Non di rado, inoltre, il ius vetus, essendo diventato ormai improduttivo di nuove norme, cominciò ad essere definito semplicemente IUS o IURA, mentre le costituzioni del ius novum iniziarono ad essere denominate LEGES. Fonte esclusiva ed autonoma del ius novum era ovviamente la volontà dell’imperatore; esclusiva in quanto a nessun altro organo era permesso di emanare norme giuridiche, autonoma nel senso che l’imperatore non ripeteva il suo potere supremo da un’investitura di un altro organo dello stato, bensì si riteneva legittimato per implicito da una vaga LEX REGIA popolare. Tuttavia vi erano anche dei limiti concreti alla potestà degli imperatores, i quali derivavano dalla sfera territoriale delle loro varie attribuzioni di governo, dalla durata della loro carica, dall’oggettto dei provvedimenti emanati e dal tipo di provvedimenti stessi. Altri fattori della decadenza giuridica di Roma furono: -il cristianesimo -l’ellenismo -la riforma del processo giurisdizionale -l nuova situazione economica e sociale -l’involuzione dello spirito giuridico Tutti questi fattori non furono complementari tra loro, bensì esercitarono spesso impulsi divergenti facendo sì che l’ordinamento giuridico dell’età postclassica pullasse di deviazioni e di contraddizioni. Se, malgrado tutto ciò, il diritto postclassico rimase, almeno sino a Giustiniano, un diritto essenzialmente romano, ciò dipese da due causali: da un lato, l’incapacità degli accennati fattori evolutivi di intaccare l’intima sostanza del grandioso apparato dell’antico diritto; dall’altro lato l’esistenza nel mondo postclassico di una forza reattiva la quale si concretizzò in un amore verso i valori classici del diritto romano. Il settore che mostrò maggiormente i segni di questa decadenza fu proprio la giurisprudenza; ciò non significa che essa non lavorò attivamente, anzi di lavoro ne svolse molto, ma in modi diversi tra la parte occidentale e quella orientale. Nei territori d’Occidente, la giurisprudenza, sino all’età di Costantino, svolse importanti opere di aggiornamento e di modificazione dei testi classici, tuttavia, in una fase successiva, essa si limitò ad attività più modeste, di crestomazie utilitarie e di sunterelli scolastici, divenendo dunque ininfluente. Nei territori d’Oriente, invece, la giurisprudenza divenne sempre più attiva man, mano che si andò ad affermare l’impero di Bisanzio e che acquistarono rinomanza le scuole di Costantinopoli e di Berito. I giuristi orientali, pur facendo largo uso della lingua greca, non lasciarono mai da parte gli originali latini delle opere classiche, e vi lavorarono per chiarirli, arricchirli e approfondire taluni motivi. A prescindere da questa distinzione tra giurisprudenza occidentale e giurisprudenza orientale, le forme principali dell’attività giurisprudenziale postclassica si classificano in: -INTERPOLAZIONI, ossia deliberate alterazioni del testo mediante inserzioni di parole o di frasi -PARAFRASI, che cominciarono ad incorporarsi nel testo sino a sostituire il brano originale -GLOSSEMI, interlineari o marginali al dettato originale -EPITOMI, redatte a scopo didattico o a scopo pratico -ESTRATTI di scritti giurisprudenziali classici relativi a materie specifiche -COMPILAZIONI SISTEMATICHE, attuate mediante l’adozione di un certo piano sistematico della materia e mediante il riversamento nelle varie ripartizioni di brani scelti. Il moltiplicarsi del numero e l’accrescersi dell’importanza delle costituzioni imperatorie determinarono l’opportunità di riordinare in specifiche collezioni, ossia in CODICES LEGUM, tutte quelle leges che potessero ancora essere utilmente applicate. Alla fase di transizione tra il periodo del principato e quello dell’assolutismo imperiale appartengono due collezioni private di leges, ossia il CODEX GREGORIANUS e il CODEX HERMOGENIANUS, i quali contenevano LEGES SPECIALES, ossia decisioni imperiali relative a casi singoli, ma portati come esempi degni di essere seguiti in fattispecie analoghe o simili. Carattere ufficiale ebbe invece il CODEX THEODOSIANUS, voluto da Teodosio II ed entrato in vigore il 1 gennaio 439 d.C., il quale includeva esclusivamente LEGES GENERALES. Un posto a sè, nel quadro delle fonti giuridiche postclassiche, meritano invece le cd LEGES ROMANAE BARBARORIUM, ossia alcune compilazioni di scritti giurisprudenziali e di leges imperiali pubblicate dai re barbari di Occidente sullo scorcio del V secolo d.C. Alcune di esse ebbero lo scopo di mettere in luce le regole del diritto romano che. Re barbari volevano si applicassero anche alle loro popolazioni, altre, invece, furono messe insieme per riassumere le regole di diritto applicabili ai sudditi di nazionalità romana. I re che pubblicarono le compilazioni del primo tipo, ossia EURICO e TEODORICO, mostrarono con ciò di dettare la supremazia dell’imperatore romano; gli altri, ovvero ALARICO II e GUNDOBADO, rifiutarono ogni tipo di supremazia romana e del diritto romano sui loro popoli, senza però pretendere che le loro leggi venissero applicate ai sudditi romani.