caccia alle streghe Flashcards
La magia equiparata all’eresia
L’abate del monastero cistercense di Coggeshall, Rodolfo, raccontò che in Francia al
tempo di Re Luigi VII (1120- 1180), si stava diffondendo in diverse province una setta
ereticale detta dei “pubblicani”, ossia i catari, un gruppo ben ramificato anche al di
fuori dei confini francesi, e contro il quale, a partire dal 1209, si sarebbe scatenata una
persecuzione. Per comprendere meglio le caratteristiche di questa setta ereticale è bene
raccontare una storia accaduta a Gervasio di Tilbury, chierico di Reims e autore degli
“Otia Imperialia”. Un giorno Gervasio notò una ragazza molto bella che si aggirava
da sola presso una vigna, le fece una proposta d’amore, che lei rifiutò sdegnosamente,
dichiarando di essersi votata alla verginità̀. Gervasio capì allora che si trattava di un
membro della setta e cominciò a discutere con lei. Successivamente arrivò il vescovo
Guglielmo con il suo seguito e, dopo aver appreso il fatto, ordinò la cattura della
giovane ed iniziò una disputa teologica per dimostrare la falsità dei propositi ereticali.
La ragazza affermò di non essere all’altezza di sostenere il dibattito e indicò colei che
l’istruì, così anche l’altra donna venne condotta dinanzi al vescovo e rispose senza
alcuna difficoltà alle domande dei chierici su questioni teologiche e scritturali,
sostenendo con convinzione e intelligenza le tesi della sua setta. Dunque, entrambe le
donne furono incarcerate e minacciate di morte se non avessero ritrattato.
Il giorno dell’esecuzione, mentre stavano per esser condotte al rogo, la più anziana
delle due tirò fuori un gomitolo di lana dall’abito, ne gettò un capo oltre la finestra,
tenendo l’altro saldamente nelle mani, e gridò “prendi!”; immediatamente venne
sollevata e condotta attraverso la finestra in un rapido volo, sostenuta, come cita il testo,
«dagli stessi spiriti maligni che avevano portato in volo Simon mago».
I catari
Gruppo eretico che praticava una forma di dualismo manicheo, arrivati in Occidente
probabilmente attraverso la penisola balcanica, si diffusero maggiormente nelle regioni
tra la Provenza, i Pirenei e la Linguadoca.
I catari concepivano il mondo dominato dalla lotta fra due principi, quello dello spirito, ́
luminoso e benefico, e quello della materia, oscuro e malefico. Il Dio creatore della
materia era dunque un’entità negativa, poiché aveva imprigionato nella materia di cui
sono composte le creature altrettanti frammenti spirituali, che dovevano essere liberati
annientando l’involucro materiale che le avvolgeva.
Dunque, quando il “credente” cataro accedeva alla categoria superiore del “perfetto”,
attraverso la cerimonia del melioramentum, egli doveva astenersi da qualunque
contatto sessuale (riferimento al comportamento della ragazza narrato da Rodolfo di
Coggeshall), poiché i suoi frutti perpetuavano la schiavitù dello spirito all’interno della
materia; doveva inoltre rifiutare qualunque tipo di cibo che fosse risultato
dell’accoppiamento carnale (la carne, le uova, il latte e i suoi derivati) e poi, quando
era pronto, doveva lasciarsi morire attraverso il digiuno totale.
La reazione della Chiesa e delle autorità̀ civili ai riti catari fu rapida, il gruppo eretico
fu scomunicato a seguito del concilio di Tolosa nel 1119. La procedura inquisitoriale
dell’epoca stabiliva che i detentori del potere, a qualunque livello (Papi o Imperatori),
dovevano, pena la scomunica, punire obbligatoriamente i catari, allontanarli da
eventuali pubblici uffici e confiscare i beni; mentre la gente comune era tenuta a sua
volta a denunziare ai vescovi chiunque fosse sospetto d’eresia, e i vescovi stessi a
visitare le diocesi allo scopo d’individuare gli eretici. Il conte di Tolosa, Raimondo VI,
favorì gli eretici e per questo nel 1207 fu scomunicato.
Due anni dopo, contro i catari di Linguadoca venne scatenata una crociata, roghi e
saccheggi, accompagnati da una repressione inquisitoriale durissima, continuarono
fino al 1244, quando cadde l’ultima piazzaforte catara, il castello di Montségur,
strenuamente difeso, ma costretto infine ad arrendersi. Il 16 marzo 1244 duecento
“perfetti” catari, che avevano rifiutato di pentirsi e di convertirsi, furono bruciati vivi
ai piedi della fortezza, cominciò allora un lungo periodo di persecuzione e di terrore.
Tuttavia, solo nei primi anni del XIV secolo si poté parlare di vera e propria
cancellazione della chiesa catara.
Intanto, nel 1233, papa Gregorio IX emanò una decretale, la Vox in Rama, indirizzata
all’arcivescovo di Magonza, al vescovo di Hildesheim e a Corrado di Marburgo, un
inquisitore che aveva il compito di dare la caccia agli eretici nell’episcopato di
Magonza. Gregorio descrisse i comportamenti di un gruppo ereticale non meglio
specificato, i cui membri si riunivano in gruppi durante la notte e apparivano uomini
misteriosi, rospi e gatti di dimensioni insolite, chiaramente delle apparizioni
demoniache. Gli eretici rendevano un omaggio particolare agli animali, un bacio
sull’ano in segno di sottomissione, poi spegnevano le candele e si davano a orge nelle
quali tutti si accoppiavano con tutti, senza distinzioni di genere e di ruolo; fu la prima
volta che in un documento ufficiale apparve un’accusa di questo tipo.
Demonomania
Diversi inquisitori durante le loro indagini si trovarono dinanzi a pratiche eterodosse
nelle quali non riuscirono a distinguere le eresie dalle pratiche magiche e
s’interrogarono circa la persecuzione o meno delle forme di magia, chiedendo consiglio
a Papa Alessandro IV, il quale affermò che tali comportamenti non erano materia
d’inquisizione, a meno che non potessero esser tacciati di eresia.
Durante i processi contro i catari (1318-1325) condotti dall’inquisitore Jacques
Fournier, che poi diventò Papa Benedetto XII, molte confessioni rivelarono
comportamenti eterodossi che potrebbero essere classificati come magico
superstiziosi, piuttosto che come ereticali: i parenti tagliano le unghie e i capelli dei
defunti perché convinti che il conservarli possa proteggere la casa; una donna ammalia
il genero perché́resti fedele alla figlia; una donnola che taglia la strada è vista come un
cattivo presagio, cosícome una civetta che stride su una casa; il miagolio insistito dei
gatti è la voce delle anime in pena. Credenze e comportamenti che probabilmente non
erano specifici dei catari, ma nei quali gli inquisitori si imbattevano durante le loro
indagini sugli eretici.
Il patto con il diavolo
Nel 300’ Papa Giovanni XXII, con la bolla Super illius specula, condannò coloro che
stipulavano un “patto con l’inferno” e all’insegna di questo immolavano e adoravano i
demoni, fabbricando oggetti atti a compiere malefici, come immagini, anelli, specchi
e fiale. I colpevoli di tali azioni erano equiparati agli eretici, quindi sottoposti all’azione
degli inquisitori e passibili di condanna al rogo.
Tuttavia, Giovanni XXII non era fermamente convinto del suo giudizio sugli eretici,
ne sulla concezione dell’assimilazione del maleficio all’eresia, infatti nel 1320 chiese
un parere ad un gruppo di teologi, ponendo quattro questioni:
- Colui che battezza un’immagine secondo il rito cattolico, ma per compiere un
maleficio, dev’essere considerato solo autore di un sacrilegio oppure eretico?
- Colui che compie la stessa azione, ma su un cristiano, che viene quindi
battezzato una seconda volta al fine di dargli il potere di cacciare l’epilessia, è
sacrilego o eretico?
- Come considerare chi compie malefici con le ostie consacrate?
- Come considerare coloro che evocano i demoni per comandarli a nuocere a
qualcuno?
I pareri furono difformi, tradizionalmente, infatti, l’accusa di eresia riguardava la sfera
dell’interpretazione dottrinale, non quella dell’azione. Chi compiva maleficia con
l’aiuto del diavolo era considerato eretico perché implicitamente contraddiceva la
dottrina della Chiesa che proibiva di cercare aiuto nel demonio.
Inoltre, il Pontefice nutriva preoccupazioni personali nei confronti dei malefici, in
quanto nel decennio precedente egli aveva ordinato l’apertura di una procedura
giudiziaria nei confronti del vescovo di Cahors, Hugues Géraud, per malversazione
(abuso di potere esercitato approfittando della propria posizione).
Sapendo di avere poche possibilità di essere giudicato innocente, all’inizio del 1317 il
vescovo decise di avvelenare il Papa con l’aiuto di due complici che appartenevano al
palazzo pontificio di Avignone. Si procurò delle statuette di cera e del veleno, praticò
il rito prima contro il nipote del Pontefice, Jacques de Via, che morínel giugno 1317;
successivamente, Hugues confezionò tre figurine di cera che rappresentavano
Giovanni XXII ed i cardinali Bertrand du Poujet e Gancelme de Jean, anche
quest’ultimo nipote del Papa. Le figurine sarebbero esser colpite e trafitte per nuocere
alle vittime, ma l’attentato venne scoperto ed il vescovo e i suoi complici furono
condannati alla pena capitale sul rogo.
Attraverso questo episodio possiamo notare come ancora una volta veneficio e
maleficio sono associati, entrambi infatti sono utilizzati per colpire a distanza e si
configurano come esempio di crimen maiestatis
Monaca Rosvita
Il tema del patto fra l’uomo e il diavolo si diffuse per la prima volta nell’Europa
occidentale intorno al X secolo con la storia del diacono Teofilo riportata dalla
monaca Rosvita, che riprende una tradizione di origine greca.
La storia narra di Teofilo che, caduto in disgrazia presso il suo vescovo, con l’aiuto di
un ebreo esperto in arti magiche, firmò con il sangue un patto col demonio in cui vendé
la sua anima in cambio del potere (come farà molti secoli dopo il Dottor Faust di
Goethe e di Marlowe). In Occidente il patto tra Teofilo e il demonio veniva spesso
rappresentato come un omaggio feudale, un atto che poneva un signore e il suo vassallo
in un reciproco impegno di fedeltà.
Nel corso del 200’ il patto col diavolo iniziò a comparire con maggiore intensità̀
all’interno di exempla (racconti a scopo didattico-religioso), prediche e opere letterarie;
per esempio, il poeta francese Rutebeuf negli anni Sessanta del XIII secolo scrisse un
celebre dramma liturgico, il “Miracolo di Teofilo”, in cui narrò la vicenda del
siniscalco Teofilo (maestro di casa delle famiglie reali e feudali), dapprima irretito dal
diavolo, poi pentito e redento.
Un exemplum tratto da una raccolta degli anni Settanta del Duecento raccontava la
storia di un patto tra un uomo e il diavolo, suggellato da un bacio sulla bocca.
Il diavolo promise al suo seguace di non fargli mancare mai niente, egli cominciò ad
arricchirsi rubando impunemente, ma fu arrestato ed il diavolo lo lasciò in prigione,
promettendogli di aiutarlo un attimo prima dell’impiccagione; in effetti, quando
l’uomo si trovò ormai sul patibolo, il diavolo gli fornì la corda, la sola cosa della quale
aveva bisogno in quell’istante.
La preoccupazione per la minaccia diabolica all’interno della società interessò anche
la teologia, Sant’Agostino nella sua opera “De Divinatione Daemonum” aveva
spiegato che i diavoli, pur se privi di veri poteri profetici, possono avere prescienza del
futuro grazie a una percezione più raffinata, alla loro abilità di muoversi rapidamente
e alla loro esperienza della realtà.
La profezia
Il tema del patto col diavolo era strettamente legato a quello della profezia.
I Padri della chiesa avevano dibattuto a lungo sull’etimologia del termine “profeta”,
che faceva riferimento a due categorie, secondo la prima categoria “profeta” deriva dal
greco phainō= portare alla luce, con il significato di rivelare qualcosa che deve ancora
avvenire; la seconda categoria sostiene l’etimologia dal termine greco phēmi =
dichiarare, nel senso di parlare per qualcun altro. L’etimologia corretta è la seconda,
infatti si riteneva che le profezie dei pagani appartenessero alla seconda categoria, in
quanto i demoni celati negli idoli parlavano attraverso falsi profeti.
Nel corso del basso medioevo la cristianità conobbe nuovi profeti, e soprattutto
profetesse come Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena. La loro chiaroveggenza
apparteneva alla prima categoria perché portavano alla luce verità occulte, ma allo
stesso tempo, anche alla seconda accezione se si considera la grande diffusione di arti
divinatorie all’epoca dei pagani. In fondo, coloro che divinavano il futuro, a meno che
non fossero davvero ispirati da Dio, non erano differenti da pythones e pythonissae
dell’età antica, in quanto, almeno dal punto di vista cristiano, era sempre il demonio a
parlare attraverso di loro.
Una tematica molto importante da trattare è anche quella della profezia fuorviante, le
cui principali esemplificazioni sono le apparizioni del diavolo. A tal rigurado, il
domenicano Thomas de Cantimpré in un exemplum contenuto nel suo “Bonum
Universale de Apibus”, scritto verso la metà del 200’, raccontò di un diavolo che sotto
sembianze di monaco prediceva lunga vita ad un cavaliere, così sicuro del fatto suo,
questi tardò a confessarsi anche se ammalato, fino a quando suo fratello non riuscì a
convincerlo dell’inganno diabolico; allora il cavaliere si confessò, tuttavia morì
ugualmente.
In un testo anonimo datato ai primi anni del 300’, i “Dits de Jehan de SaintQuentin”,
vi sono diversi exempla costituiti da novelle di contenuto molto semplice.
In una di queste novelle, dopo un preambolo sull’importanza della confessione, si narra
la storia di una donna borghese che, in seguito alla morte del marito, èridotta in miseria.
Un giorno mentre se ne lamentava le apparve il diavolo sotto forma di mercante e le
chiese la causa della sua disperazione. Allora le promise che l’avrebbe resa ricca se
avesse eseguito i suoi ordini: disturbare coloro che pregano in chiesa, ospitare tre
poveri durante il giorno per cacciarli appena scende la notte, smettere di confessarsi,
indurre i preti e i canonici alla fornicazione. Poiché la vedova ricevette effettivamente
le ricchezze promesse, mantenne tutti i suoi impegni. Un giorno si ammalò ed in punto
di morte il figlio, un chierico, volle confessarla, ma lei inizialmente ostile per via del
patto col diavolo, accettò ed il figlio la lasciò per andare alla ricerca di un prete.
Fu in quel momento che il diavolo apparve e strangolò la donna. Al suo ritorno il figlio
la trovò morta e pregò affinché il Signore gli consentisse di prender su di séla penitenza
della madre, poi si confessò. Un anno più tardi la madre defunta gli apparve per
ringraziarlo di essersi accollato le pene del purgatorio.
Vicende e atti processuali dimostrarono che l’immagine del patto col diavolo stava
passando dal livello letterario a quello sociale.
Nel 1303, Re Filippo il Bello, per liberarsi del suo avversario, Papa Bonifacio VIII,
si servì dei suoi sottoposti e alleati, Guillaume de Plaisians e Pietro Colonna, per
costruire numerose accuse contro il Pontefice, tra cui sono particolarmente note le
accuse di commercio con il demonio. Filippo il Bello sostenne che Bonifacio avesse
un “familiare” (demonio personale, parallelo in versione satanica dell’angelo
“familiare”, colui che agisce come custode individuale per ognuno). Inoltre, secondo
le accuse, il pontefice sarebbe stato iniziato alla negromanzia, e dunque al commercio
con i demoni, da Bonifacio il Lombardo, un negromante vicentino.
Cinque anni dopo Filippo il Bello accusò anche Guichard, vescovo di Troyes, per
aver complottato per uccidere la moglie del Re, Giovanna di Navarra. Per compiere il
misfatto il vescovo si sarebbe recato da un mago, insieme a un altro religioso che
trafficava con il demonio e avrebbe invocato quest’ultimo.
Il diavolo gli avrebbe consigliato di far confezionare un’immagine di cera, battezzarla
con il nome della Regina, poi pungerla con degli spilli, e Giovanna effettivamente morì.
Ancora, nel 1308 Filippo il Bello mosse delle accuse contro i Templari, che si
concretizzarono in una lista di 127 articoli: l’adorazione di gatti, le pratiche oscene e
orgiastiche (come il bacio sull’ombelico del maestro da parte del novizio, che
successivamente, nelle “Grandes Chroniques de France”, diviene il vero e proprio
osculum infame sull’ano), il rinnegamento del Cristo attraverso atti osceni e
dissacratori verso la croce all’adorazione di idoli in sua sostituzione
Le parole della stregoneria
Secondo la tradizione europea vi sono diversi termini per indicare le streghe: esseri
umani femminili che si occupano di pratiche magiche, non considerate come esseri
sovrannaturali di genere maschile.
I linguisti che lavorano al progetto dell’Atlante delle lingue europee hanno spiegato il
significato dei differenti termini riferiti alle streghe attraverso una “mappa
motivazionale”. La prima mappa fa riferimento al genere e all’età, quindi si può
considerare il termine latino vetula proveniente da fonti medievali e moderne, che
indica una donna anziana con connotazione negativa.
Le diverse attestazioni del termine “strega” in Europa:
Italia meridionale: iana, legato alla divinità latina Diana, dea della caccia.
Liguria, Piemonte e Provenza: bazura e masca.
Italiano (parallelismi in rumeno, albanese, serbocroato, sloveno, ladino e
greco): strega connesso al latino strix, uccelli notturni che commettono
infanticidi o rapimenti di neonati, le streghe si trasformavano in questi animali.
Castigliano: bruja, secondo Alinei deriva dal latino brucola che indica la larva
di un bruco.
Inglese: wizard/witch, dal sassone e dall’Old English wicca/wicce, che
corrisponderebbe al latino saga.
Francese: sorcier/sorcière, dal latino sortilegus/sortilega, ossia coloro che
traevano le sortes, quindi i divinatori.
Europa del Nord: norvegese trolljerring e svedese trollkaring, ossia moglie di
troll, creatura sovrannaturale della mitologia nordica. Il norvegese utilizza un
altro termine, gandkjerring, per indicare una donna che pratica arti magiche
lapponi. Finlandese noita, legato allo sciamaneimo lappone.
Tedesco: hexe, proveniente dall’alto tedesco hagazussa ( haga = paralizzata,
dusius= spirito), legato al bastone utilizzato dalle streghe per volare.
1 Citazione del libro dell’Esodo, II° libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana.
Secondo lo studioso Alinei vi è una somiglianza tra hagazussa e hagetisse
(olandese) che significa lucertola, animale in cui le streghe erano solite
trasformarsi.
Magia
Nelle fonti medievali non era frequentemente attestato il termine magus/maga.
I greci lo avevano acquisito dai persiani con significato di casta sacerdotale, ampliando
poi il termine con connotazione negativa per indicare coloro che praticano le arti
occulte.
Nel mondo cristiano (Vangelo di Matteo, Lattanzio: scrittore e retore romano di fede
cristiana, Isidoro di Siviglia: arcivescovo spagnolo, Graziano: monco camaldolese), si
ereditò dai greci la doppia definizione: i maghi come coloro che praticano malefici,
oppure i maghi come sacerdoti.
Maleficus/malefica: coloro che praticano magia occulta, ma che tuttavia potrebbero
servirsi di strumenti magici per fini positivi, infatti la magia è ambivalente: si può far
piovere in caso di siccità (positivo), ma anche far grandinare per rovinare il raccolto
(negativo).
Maleficio e veneficio nella Bibbia
I libri dell’Antico Testamento attestano l’avversione dei profeti ebrei contro la “magia
operativa” e la divinazione, in alcuni passi in cui viene condannata la magia sono
espressi chiaramente due concetti fondamentali: non rivolgersi ai maghi o agli airoli
(indovini) e lapidare a morte chi è posseduto da spirito pythonico o indovino.
Nella Bibbia latina il termine Pythonica divinatio si riferiva all’arte della Pythia,
sacerdotessa dell’oracolo di Delfi, che riceveva rivelazioni da Apollo,
nell’interpretazione cristiana ciò era interpretato come legame col demonio.
All’epoca ci si interrogava su chi fosse un/una negromante e chi un pythone/una
pythonissa; Graziano, giurista italiano e fondatore del diritto canonico, nella sua opera
“Decretum” collega la pythonissa con il santuario di Apollo.
I profeti ebrei erano anche contro tutto ciò che riguardasse il mondo sotterraneo o gli
spiriti dei morti. Di fatti all’epoca i Padri della Chiesa, discussero a lungo sulla
negromanzia, ossia la divinazione attraverso l’evocazione dei defunti.
Per comprendere il rapporto tra maleficio e veneficio bisogna fare riferimento
all’“Encyclopedia of Witchcraft” (Judika Illes, 2005), in cui si legge che: “nell’antica
Grecia l’uso di pharmaka (droghe o veleni) non era sempre magico, e il termine
pharmakeia (il somministrare droghe o veleni) può essere diviso in tre categorie
principali: usi magici, avvelenamento senza magia e la pratica medica o curativa”.
Dunque, il termine pharmakous (presente anche nella Bibbia dei Settanta, versione
dell’Antico Testamento in greco) indica sia l’incantesimo a scopo curativo, sia la
medicina, che il veleno.
Nonostante l’avversione alla magia, nell’Antico Testamento è menzionato l’uso
medicinale/magico di piante come la mandragora che poteva avere poteri fecondatori;
o ancora secondo la profezia di Ezechiele si parla di “alberi i cui frutti saranno cibo e
le foglie medicina”. Tuttavia, chi conosce le proprietà magiche e medicinali della
natura è in grado di manipolarla e può usarle a scopo malefico per compiere cattive
azioni, ecco che la cura si trasforma in veneficio (latino: veneficius = avvelenatore),
che a sua volta diventa un maleficio.
Streghe a Roma
Inizialmente nel mondo romano se le pratiche magiche erano nocive si incorreva nella
condanna, quella più antica era la flagellazione a morte, ma la pena capitale per i
colpevoli poteva essere anche gettarli alle bestie, crocifiggerli o bruciarli vivi.
Nell’età repubblicana si faceva la distinzione tra pratiche lecite e illecite, illecite erano
quelle pratiche che intaccavano la persona o le sue proprietà mediante mezzi rituali;
invece, quelle lecite erano prive di intenzioni malefiche benché all’apparenza simili.
Nella tarda età repubblicana vi era una forte preoccupazione sull’utilizzo delle erbe
come medicinali ed inoltre cresceva la psicosi della possibilità che le pratiche magiche
potessero nuocere anche a distanza.
Nella Roma imperiale si diffondeva l’idea che maleficia e veneficia costituissero una
minaccia reale per la società
, non solo per il popolo ma anche per i vertici, perché
potevano colpire da lontano. Così nell’VIII secolo a.C. l’imperatore Augusto aveva
fatto approvare la Lex Iulia maiestatis con la quale si configurava la lesa maestà non
solo come reato rivolto contro lo Stato, com’era in passato, ma specificamente contro
l’imperatore ed il reato era punito con pene gravissime. A cavallo tra II e III secolo il
giurista Ulpiano stabilì che per i colpevoli del crimen maiestatis era previsto il rogo,
stessa pena suggerita per i colpevoli di eresia, e poi anche di stregoneria, quando le
streghe a loro volta furono equiparate agli eretici.
Tito Livio, storico latino, narrava di un gesto rituale antico legato a ricorrenze
calendariali, insito di significato magico: la fissione del chiodo. Esso mirava a
immobilizzare gli eventi funesti e invocare un nuovo corso piú propizio. Tuttavia,
assomigliava alle cosiddette tabellae defixionum greche e romane (defixio da defigere
= piantare), si trattava di lamine di piombo, considerato un metallo infausto, su cui si
tracciava il nome della persona cui si voleva nuocere accanto a parole, segni e figure
di maledizione; quindi si piantavano le lamine, per mezzo di chiodi all’interno di
sepolcri, in modo da farle giungere alle divinità infere, dunque si trattava di un
sacrificio agli Dei dell’oltretomba, cui si dedicava la vittima del rito.
Nella letteratura antica autori come Plutarco, Lucano e Virgilio parlavano dell’utilizzo
di erbe venefiche (velenose), ma intrise di sostanze magiche attraverso le quali ci si
poteva trasformare in lupi ed evocare le anime dei sepolcri; dunque, il veleno e la magia
erano strettamente collegati. Oltre alle erbe venefiche, la letteratura faceva esplicito
riferimento alla stregoneria con il suo bagaglio di infanticidi rituali, di vampirismo, di
metamorfosi in animali, di voli al seguito di divinità̀ notturne. Orazio narrava di
Canidia e Sagana, che sacrificarono un bambino seppellendolo vivo e per richiamare
gli spiriti infernali sull’esquilino sbranarono a morsi un’agnella bruna, versandone il
sangue in una fossa. Ovidio nelle Metamorfosi narrava di un personaggio che «sparge
veleni di morte e succhi ma- lefici, dall’Èrebo e dal caos chiama a raccolta la Notte e
gli dèi della Notte, invoca Ecate con lunghe grida selvagge». Plinio e Petronio
raccontavano di streghe che rubavano i corpi dei neonati, li divoravano, li
dissanguinavano e li sostituivano con dei fantocci. Apuleio parlava della maga Panfile
e del suo laboratorio d’orrori in cui ricavava un unguento da vari elementi, si ungeva e
mutava in strix.
Riti magici o pagani
Verso la metà del V secolo con il codice di Teodosio si stabilì che magia e paganesimo
fossero strettamente collegate e dunque passibili di condanna. Venivano condannati
alla pena capitale: i malefici, gli incantatori, i divinatori e gli indovini, coloro che
turbano le menti attraverso riti notturni in cui evocano i demoni.
Secondo una legge di Costantino del 331, tra le cause che possono portare un uomo a
ripudiare la moglie vi sono: l’adulterio, l’essere una mezzana o una “medicamentaria”
(cioè una venefica); mentre una donna può̀ripudiare il marito se dimostra che egli è un
“medicamentario”, un violatore di sepolcri o un omicida.
Il collegamento fra malefici e venefici ed il paganesimo è molto presente nella cultura
cristiana, San Paolo condannò i veneficia (col nome di pharmakeia) insieme
all’idolatria, i primi concili cristiani di età̀ tardoantica dedicarono diversi articoli alla
condanna di maleficia, affermando che bisogna rifiutare la comunione a coloro che
hanno ucciso qualcuno per maleficium, aggiungendo che tale crimine non può esser
perpetrato «senza idolatria».
Condanne
Condanna dell’idolatria pagana nelle festività:
Nel III secolo Tertulliano criticò i cristiani che celebravano i Saturnalia (celebrazioni
in onore di Saturno) e le Kalendae Januari (celebrazioni in onore di Giano), condannate
anche dal vescovo di Milano, Ambrogio, nel secolo successivo.
Nel V secolo il vescovo di Ravenna, Pietro Crisologo, condannò fortemente i cristiani
che durante questi festeggiamenti si abbassavano al rango delle bestie, alludendo
all’abitudine degli uomini di travestisti in modo carnevalesco.
Tra il V ed il VI secolo il vescovo di Arles, Cesario, delineò un quadro piú preciso
riguardo le credenze e le pratiche pagane, riportando come esempio la fabbricazione e
l’utilizzo di phylacteria (greco phylax = guardiano, custode; latino
amolimenta/amoleta, dal verbo amoliri = allontanare, da cui deriva il nostro
“amuleti”). Infatti, Cesario si soffermò sull’utilizzo di erbe “legate” da amuleti, che le
donne usavano per ottenere il concepimento. Egli parlò anche di persone battezzate che
annullavano il valore del sacramento ricevuto continuando a celebrare culti pagani,
come voti resi ad alberi, fonti e antichi santuari.
Barbari e masche
Durante il periodo altomedievale molti regni stabilirono dei codici scritti che
condannavano la magia e i maleficia.
Legge Salica, VI secolo: sono condannati coloro che somministrano una pozione
d’erbe a qualcuno affinché́ muoia, sia che riescano nell’intento che non; coloro che
commettono un maleficio, genericamente o “con legature”; coloro che somministrano
ad una donna una pozione a base d’erbe affinché́abortisca. Questi crimini sono puniti
con il pagamento di solidi, ossia composizioni in denaro.
Nel capitolo “De herburgium” ( = coloro che avvelenano con le erbe e la magia) della
Legge Salica, leggiamo:
«chiunque chiami un altro herburgium, cioè strioporcio, ovvero colui che si dice porti
il calderone dove le streghe cucinano, e non è in grado di provarlo, sia condannato al
pagamento di 62 solidi e mezzo».
«Se qualcuno chiama una donna strega e non può provarlo, sia giudicato colpevole
per solidi 187 e mezzo».
«Se una strega mangia un uomo, e viene provato, sia giudicata colpevole per 200
solidi» (riferimento alle larve che mangiano i bambini).
Leggi dei Visigoti e dei Burgundi, VI secolo: “se un libero o uno schiavo preparano e
danno a qualcuno una pozione avvelenata, uccidendolo, la pena sarà la morte; se
invece la vittima scampa alla morte, il colpevole sarà rimesso alla potestà della
vittima”.
Legge Ripuaria, VII secolo: “se un uomo o una donna dei Ripuari attraverso il veleno
o un altro maleficio danneggia (rende folle) qualcuno, componga il danno con il
guidrigildo (solidi)”.
Leggi dei Longobardi, con l’editto di Rotari del 643 si attestò per la prima volta il
termine masca come sinonimo di strega. Il termine, indicava in origine una creatura
mascherata, si potrebbe pensare ad un collegamento fra la stregoneria e le antiche
pratiche rituali germaniche legate al mondo dei defunti evocati dalle maschere.
Il termine latino larva vuol dire maschera, verrà utilizzato anche come sinonimo di
strega, ma si identifica soprattutto con gli spiriti dei morti. Infatti, le larvae o lemuri
sono gli spiriti dei morti della religione romana, anime che non riescono a trovare
riposo a causa della loro morte violenta; secondo la credenza popolare tornavano sulla
terra a tormentare i vivi, perseguitando le persone sino a portarle alla pazzia. Per tenere
lontani questi spiriti erano state istituite delle feste chiamate Lemuria, secondo la tali
festività furono istituite da Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui
ucciso. Sant’Agostino nella sua celebre opera “La Città di Dio” scrisse che le anime
degli uomini erano “lari” se in vita avevano avuto buoni meriti, “lemuri” o “larve” se
avevano agito malvagiamente.
Legge degli Alamanni, VIII secolo: “Se una donna chiama un’altra stria (strega) o
erbaria, sia durante un litigio sia in sua assenza, paghi 12 solidi”.
“Se qualcuno accusa una donna libera del crimine di esser strega o erbaria, la prende
e la tortura, paghi 800 solidi», in caso si tratti di una schiava, la composizione scende
a soli 15 solidi.
Capitolari e penitenziali
Capitolari: ordinanze emanate dai Re e dagli Imperatori Franchi.
Il termine deriva dal latino capitulare che significa diviso in capitoli o paragrafi.
Penitenziali: testi che catalogano le colpe e le rispettive pene canoniche, il sacerdote
li utilizzava per analizzare i peccati e assegnare la penitenza ai fedeli confessati.
Carlo Magno (774- 814): Re dei Franchi, incoronato Imperatore dei Romani la notte
di Natale dell’800 da Papa Leone III, in quanto unto col sacro crisma all’atto
dell’incoronazione, egli era partecipe della sacralità̀sacerdotale. Nelle cronache e nei
documenti dell’epoca viene definito «nuovo Mosè», «nuovo Davide» (Davide era Re
d’Israele) e «nuovo Costantino». Il sovrano doveva occuparsi di questioni dottrinali
come quelle inerenti alla sopravvivenza del paganesimo in alcuni regni.
Importante nell’ambito franco è il testo “Indiculus superstitionum et paganiarum”,
pubblicato probabilmente qualche anno prima dell’età di Carlo Magno, si tratta di un
indice di superstizioni che condanna credenze e pratiche pagane, alcune delle quali
rinviano al mondo celtico-germanico, com’è evidenziato anche da certi termini e
tematiche.
Esempi:
- dadsisas indica le cerimonie in onore dei morti.
- La condanna «dei cerchi intorno ai luoghi abitati», con significato apotropaico
nei confronti di minacce reali, ma anche probabilmente degli spiriti dei defunti.
- I «simulacri che cospargono di farina» oppure «fatti di stoffa», dove si indicano
forse immagini di divinità pagane alle quali cosísi rendeva omaggio.
- Riferimento al pagano Cursu che viene chiamato Yrias, dovrebbe essere un
errore del copista per “Friya” o “Freyja”, quindi una divinità germanica al
seguito della quale si credeva che alcune donne si recassero in un cursus
notturno, che potrebbe anche indicare un volo magico.
Capitolare di Ludovico il Pio: condanna «magi, arioli, sortilegi, venefici, divinatori,
incantatori, divinatori dei sogni», inoltre ritiene influenzati dal demonio coloro i quali
«guastano le menti con pozioni d’amore, cibi o filatteri».
Capitolare italico dell’850: le malefiche, che sostengono di instillare odio o amore
nelle menti altrui, sono da considerarsi anche venenariae.
Dunque, è chiaro che i sovrani carolingi consideravano le pratiche malefiche
strettamente collegate al paganesimo, e quindi all’istigazione diabolica.
Nel X secolo con le leggi dei sovrani inglesi si affermò la credenza nell’esistenza del
maleficio. Il codice del Re Athelstan del 924-939, condannava a morte i “lybacs” e
“morthdaeds” (presumibilmente traducibile con ‘malefici’) se causavano la morte di
qualcuno e non potevano negarlo. Tra il IX e il X secolo, le leggi dei Re: Alfredo,
Guthrum, Edoardo il Vecchio ed Edmondo I, ordinarono che i “malefici” fossero
banditi dal Paese.
Penitenziali inglesi (di Finnian e Colombano, di Teodoro, di Beda, Old English
Penitentials), francese (di Halitgar), iberico (di Silos), tedeschi (il trattato “Sulla
disciplina ecclesiastica” di Reginone di Prüm, il “Decretum” di Burcardo di Worms)
Penitenziali di Finnian e di Colombano (irlandese): stabiliscono 40 giorni di digiuno
per chi aderisce a riti pagani e diabolici, coloro che, già puniti, ricadono nello stesso
peccato, osserveranno una penitenza per tre Quaresime, portata a tre anni per quanti
ancora persistono nell’errore. Per chi fabbrica filtri per provocare passioni è previsto
un anno di penitenza. Chi ha perseguito un aborto con mezzi magici avrà una pena di
sei Quaresime di digiuno o una di sei mesi a pane e acqua, più altri due anni senza
carne né vino.
Penitenziale di Teodoro (monaco di Canterbury, seconda metà del VII secolo):
prevede 3 anni di penitenza a coloro che hanno fatto sacrificio ai demoni (intesi come
divinità precristiane), se vi sono aggravanti si può stabilire una penitenza di 10 anni.
Per una donna che abbia praticato incantesimi o divinazione è previsto un anno di
penitenza.
Penitenziale di Beda (VIII secolo): stabilisce 5 anni per i chierici e fra 3 e 5 anni per
i laici che abbiano fabbricato amuleti o consultato indovini.
Old English Penitentials (insieme di penitenziali contenuti in diversi manoscritti):
in alcuni passi si invita ad astenersi da “lýblacas” (termine connesso con “lybacs” che
compare nelle leggi dei sovrani inglesi del X secolo) e “attorcræftas”, entrambe forme
di magia in relazione con il veneficio. Si incontrano anche le forme “wiccige” e
“wiccecræfte” per indicare la fabbricazione di filtri atti a suscitare passioni o mirate a
veri e propri malefici.
Penitenziale francese di Halitgar (inizi IX secolo): condanna a una penitenza di 5
anni un uomo che ha reso pazzo un altro attraverso invocazioni demoniache.
Per un tempestario èprevista la condanna a 7 anni, tre dei quali a pane e acqua, la stessa
pena è riservata a chi ha provocato la morte di qualcuno attraverso le arti magiche.
Penitenziale iberico di Silos (inizi IX secolo): condanna a 8 anni di penitenza chi ha
fatto immagini di demoni o li ha consultati (divinità pagane).
Una donna che ha bruciato chicchi di grano sul luogo dove un uomo è morto al fine di
proteggere i vivi farà penitenza per un anno.
Penitenziali tedeschi, il trattato “Sulla disciplina ecclesiastica” di Reginone di
Prüm, e il “Decretum” di Burcardo di Worms (IX-XI secolo):
il testo di Reginone include il Canon episcopi, di probabile origine renana d’età
carolingia, e condanna la credenza che esistano nella realtà̀donne in grado di volare in
corteo di notte al seguito di una divinità̀ celtica o germanica, latinamente identificata
con Diana. Successivamente, Burcardo di Worms tramanda il testo di Reginone in una
stesura piú lunga.
Nel corso dell’XI secolo vi era una forte esigenza di negare l’efficacia delle pratiche
pagane e la realtà dei malefici. Il Pontefice Gregorio VII inviò un’epistola al Re di
Danimarca Harald III, invitandolo a non condannare a morte le donne accusate di aver
causato tempeste e pestilenze, perché quelle calamità erano punizioni divine, non frutto
di azioni umane. Anche il Re d’Ungheria Coloman si mostrò scettico sull’esistenza
delle streghe, lo notiamo in un passo scritto dal suo legislatore in cui si legge: «Per
quanto concerne le streghe (strigis) non vi è nulla di vero, dunque non vi sia alcuna
indagine»; ma, secondo la tradizione ungherese, “strigoi” e “boszorkány” non sono
creature umane (cioè malefiche), bensí vampiri e demoni notturni. Quindi ciò che
Coloman affermava è che non si deve credere all’esistenza di figure della mitologia
pagana. Tuttavia, il codice ungherese affidava alla legislazione civile i veneficia e i
maleficia, e a quella ecclesiastiche le pratiche negromantiche e divinatorie.
Maleficio e veneficio nella bibbia
I libri dell’Antico Testamento attestano l’avversione dei profeti ebrei contro la “magia
operativa” e la divinazione, in alcuni passi in cui viene condannata la magia sono
espressi chiaramente due concetti fondamentali: non rivolgersi ai maghi o agli airoli
(indovini) e lapidare a morte chi è posseduto da spirito pythonico o indovino.
Nella Bibbia latina il termine Pythonica divinatio si riferiva all’arte della Pythia,
sacerdotessa dell’oracolo di Delfi, che riceveva rivelazioni da Apollo,
nell’interpretazione cristiana ciò era interpretato come legame col demonio.
All’epoca ci si interrogava su chi fosse un/una negromante e chi un pythone/una
pythonissa; Graziano, giurista italiano e fondatore del diritto canonico, nella sua opera
“Decretum” collega la pythonissa con il santuario di Apollo.
I profeti ebrei erano anche contro tutto ciò che riguardasse il mondo sotterraneo o gli
spiriti dei morti. Di fatti all’epoca i Padri della Chiesa, discussero a lungo sulla
negromanzia, ossia la divinazione attraverso l’evocazione dei defunti.
Per comprendere il rapporto tra maleficio e veneficio bisogna fare riferimento
all’“Encyclopedia of Witchcraft” (Judika Illes, 2005), in cui si legge che: “nell’antica
Grecia l’uso di pharmaka (droghe o veleni) non era sempre magico, e il termine
pharmakeia (il somministrare droghe o veleni) può essere diviso in tre categorie
principali: usi magici, avvelenamento senza magia e la pratica medica o curativa”.
Dunque, il termine pharmakous (presente anche nella Bibbia dei Settanta, versione
dell’Antico Testamento in greco) indica sia l’incantesimo a scopo curativo, sia la
medicina, che il veleno.
Nonostante l’avversione alla magia, nell’Antico Testamento è menzionato l’uso
medicinale/magico di piante come la mandragora che poteva avere poteri fecondatori;
o ancora secondo la profezia di Ezechiele si parla di “alberi i cui frutti saranno cibo e
le foglie medicina”. Tuttavia, chi conosce le proprietà magiche e medicinali della
natura è in grado di manipolarla e può usarle a scopo malefico per compiere cattive
azioni, ecco che la cura si trasforma in veneficio (latino: veneficius = avvelenatore),
che a sua volta diventa un maleficio.