A.C.E Flashcards
Cos’è e a cosa serve il RITO DI PASSAGGIO?
Il rito di passaggio è il valicamento di una fase liminare della vita. In vicinanza del rito di passaggio si è nella fase di VULNERABILITÀ, cioè non si è più qualcosa di passato, ma non si è ancora qualcosa che si potrà essere in futuro.
Secondo Gennep, il passaggio, nella comunità, di individui, da uno stato all’ altro, comporta una perdita di equilibrio, il quale può essere ristabilito attraverso la manifestazione esplicita di tale transizione, appunto attraverso il rito di passaggio.
Il rito di passaggio, in molte culture, indica il misurarsi con quello che si è, per divenire quello che si vuole essere. Si effettua un passaggio di STATUS (il quale deve essere sancito dalla comunità di appartenenza).
Il rito di passaggio si divide in 3 fasi: separazione, margine e aggregazione. La SEPARAZIONE indica il distacco da quella che è la condizione del se precedente, il MARGINE indica la fase liminare, non sì è qualcosa di definito, mentre l’ AGGREGAZIONE indica quello che si è diventato, accettato dalla società.
Il rito di passaggio non è da intendersi solamente con il passaggio dalla fanciullezza e adolescenza alla fase adulta della vita, bensì come il tramite tra 2 condizioni socialmente riconosciute.
Alcuni esempi i riti di passaggio:
1)Circoncisione (rimozione dei parte della pelle esterna del pene, sancisce il passaggio dall’ adolescenza all’ età adulta del maschio).
2)Mutilazione genitale femminile (serie di pratiche atte alla rimozione di parti della vagina esterna, come le grandi labbra o la clitoride, sancisce il passaggio all’ età adulta della donna) o l’ infibulazione, in cui la maggior parte dell’ apertura vaginale è cucita, con il passaggio per il sangue mestruale.
3)vari riti di passaggio possono essere osservati anche nella contemporaneità.
4)il pellegrinaggio musulmano (haj). L’ individuo si porta sino al confine sacro che circonda (idealmente) la Mecca, indossando un abito bianco tradizionale (fase dell’ Ihram, che pone il pellegrino in una fase liminare tra il mondo profano e quello sacro). Lo stato di Irham impone al pellegrino di non consumare certi cibi, l’ astensione dai rapporti sessuali ecc. Questo stato culmina con quello di “margine” attraverso il sacrificio di “Id al Kabir” (la grande festa) di un capro maschio. Dopo questa fase, il pellegrino potrà avvicinarsi e toccare il simbolo sacro per eccellenza, la Kaba, così da aggregarsi alla comunità dei credenti.
Spesso dei riti di passaggio sono dei RITI D’ INIZIAZIONE, che servono a ufficializzare l’ individuo in posizioni adeguate alla sua età sociale. Spesso questi riti d’ iniziazione vengono compiuti per il passaggio dell’ individuo all’ interno di “società segrete” (e con ciò si intende che sono note, ma i processi e le azioni da esse compiute sono tenute segrete). Un esempio di società segreta è quella Sande (appartenente alla popolazione Mende della Sierra Leone). Tale società Sande è composta da sole donne, le quali celebrano le proprie feste con i loro riti. In particolare, questa società segreta, per anni si è scontrata contro l’influenza musulmana del luogo. Le adepte Sande si vestivano all’ occidentale e comportavano all’ occidentale così da sfidare apertamente il potere maschilista musulmano.
Cos’è l’ ANTROPOLOGIA?
È la scienza che studia l’ essere umano da un punto di vista culturale. L’ antropologia studia le culture antiche, ma anche quelle moderne, sia in luoghi lontani che in ambienti comuni.
L’ antropologia occidentale del passato, che si sviluppava in un periodo in cui le società Europee e Nord-Americane dominavano il mondo, aveva come principio il pensiero secondo il quale le culture di altre parti del mondo, come quelle africane, fossero inferiori, non sviluppate (ancora bloccate ad una fase primitiva dell’ evoluzione umana), in effetti, questa scienza contribuiva allo sviluppo del razzismo culturale. Ad oggi, l’ antropologia moderna, ha come principio l’ uguaglianza dell’ essere umano (qualunque sia la sua provenienza).
Cos’è una CULTURA?
La prima definizione di “cultura” la diede Taylor, nel 1871: insieme di conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’ uomo in quanto membro della società.
Successivamente la cultura viene intesa come “complesso di modelli”: il come camminiamo, il come parliamo, come ci accoppiamo, sono azioni CULTURALMENTE DETERMINATE. L’ essere umano, facente parte di una società, di una cultura, persegue i propri obbiettivi adattandosi sia all’ ambiente naturale che a quello sociale che li circonda. La cultura è quindi un complesso di modelli selezionati e tramandati nel tempo, da generazione in generazione, con acquisizione di elementi appartenenti a culture diverse e incorporazione di essi nella propria (certe culture possono essere più aperte mentre altre più chiuse, nei confronti dello scambio di elementi culturali), a volte i modelli culturali possono venire imposti con la violenza (es. Colonialismo).
La cultura è dinamica, cambia nel tempo. Nella stessa società (o cultura) vi possono essere più modi di vedere il mondo (ciò può essere dovuto al potere, alla posizione sociale, alla ricchezza), il che indica che la cultura è STRATIFICATA.
La cultura è OLISTICA, il che vuol dire che i modelli culturali non sono isolati da cultura a cultura, sono modelli ripetibili benché più o meno diversificati (simbolismo, religione, società).
Ruolo dell’ ETNOGRAFIA all’ interno dell’ Antropologia.
L’ ETNOGRAFIA è il principale strumento antropologico.
È la raccolta di informazioni e dati attraverso l’ osservazione e l’ ascolto della vita quotidiana delle persone con cui si vive (mangiando con loro, lavorando con loro, partecipando alle loro attività culturali e religiose). Attraverso la partecipazione a tali attività (osservazione partecipante) si riescono a cogliere informazioni che altrimenti non sarebbero venute fuori attraverso una semplice conversazione (per fare questo occorre immedesimarsi in loro, “vedere il loro mondo con i loro occhi”; alla fine però bisogna distaccarsi e ritornare al proprio mondo).
L’ ETNOGRAFIA è quindi una “interpretazione di interpretazioni”.
Di solito l’ antropologo che decide di studiare una determinata cultura, deve prima di tutto guadagnarsi la fiducia degli individui a capo della comunità, a seguito iniziare a praticare i riti quotidiani e non che le persone del luogo attuano, potenzialmente impararne la lingua, dormire con loro, seguire la loro alimentazione ecc… . Durante questo atto di partecipazione alla quotidianità della cultura si associa l’ osservazione dell’ antropologo.
Il primo antropologo che si discosto da quel metodo antropologico da tavolino (in cui gli antropologo non avevano contatti diretti con le persone della diversa cultura ma si basavano sui resoconto di esploratori o missionari) o da veranda (in cui gli antropologo osservavano ma non partecipavano alla vita quotidiana della cultura studiata) e costruire il metodo dell’ OSSERVAZIONE PARTECIPANTE fu Malinovsky.
Importante è che ciò che avviene nello spazio e nel tempo sia CONTESTUALIZZATO alla cultura. Allo stesso tempo però il contestualizzare non deve portare al RELATIVISMO CULTURALE ASSOLUTO (giustificare pratiche culturali come l’ infibulazione o il matrimonio di ragazzini, come “fa parte della loro cultura” quindi è giusto così), nonostante il relativismo (per avere uno sguardo non etnocentrico) sia fondamentale nell’ antropologia. Spesso siamo portati a pensare che pratiche di altre culture siano primitive o inferiori alle nostre (ETNOCENTRISMO), da questi pensieri si svilupparono sistemi di dominio di popoli “superiori” nei confronti di popoli “inferiori” (es. Colonialismo, nazismo).
Concetti di RAZZA e di RAZZISMO.
La “razza” come concetto biologico non esiste, mentre come struttura sociale si. Il concetto biologico di razza indica l’ essere umano come unica specie, ma suddivide esso in vari gruppi (razze) a seconda di loro caratteristiche fisiche,contesti). Il razzismo biologico non ha alcun fondamento scientifico, il materiale genetico umano è uguale per tutti (eccetto micro-variazioni, che, col tempo, si sono costituite a causa della migrazione dei popoli in differenti zone del mondo e di conseguenza della loro cultura (questo concetto fu usato nelle varie epoche per supportare varie forme ideologiche che avevano il fine di dominare sulle altre culture, come il colonialismo, l’ imperialismo e il nazismo, ed è ancora oggi presente in diverse condizioni). Il razzismo biologico si fa forte del concetto di AREE CULTURALI, cioè l’ immaginare una equivalenza diretta tra una determinata area e un determinato modello culturale (i modelli culturali non sono fissi in un luogo, si spostano, trasformano ed interagiscono nel tempo).
Il Razzismo culturale è verso l’ altra cultura, evidenziare le differenze culturali come un male, poiché ritenute, a prescindere, inferiori alle nostre. Il razzismo SOCIALE si può manifestare anche all’ interno di stessi “gruppi” di persone, un esempio di ciò è il razzismo dell’ APARTHAID e quello post APARTHAID. Durante il periodo dell’ APARTHAID, in sud-africa, vi era una sistematica discriminazione tra neri e bianchi (istituzionalizzata), post-aparthaid, molti neri iniziano a occupare cariche importanti nella società, posti “sottratti” ai bianchi, quindi nel gruppo di neri si crea una forma di razzismo di status e sociale, oltre che economico, e lo stesso vale per i bianchi.
Tendenza di vedere i popoli appartenenti ad altre culture come PRIMITIVI.
La società occidentale moderna pensa di essere il culmine di un percorso, il punto di arrivo, di conseguenza, quando vede popoli ancora legati a tradizioni, metodi di vita e usanze del passato, li tende a descrivere come PRIMITIVI. Popolazioni come gli Inuit o gli aborigeni (cacciatori-raccoglitori), una volta entrati in contatto con il mondo moderno, hanno scelto, chi più e chi meno, di abbracciarlo entro una certa misura (quanto ritenevano opportuno). Successivamente, nella società occidentale, con l’ avanzare della modernità nelle città, si tendeva a indicare i contadini, come primitivi, questo fu anche una delle cause che portò allo spopolamento delle campagne; lo stesso discorso vale per i pastori, i quali praticano il nomadismo (persone che si spostano sono difficili da controllare per i governi, inoltre il concetto attuale di identità è legato ai luoghi fissi), così come, in Europa, i ROM.
Visione di Bell Hooks sul razzismo.
Scrittrice, la quale pone il focus dei suoi scritti sulla INTERSEZIONALITÀ (cioè l’ intersezione di più forme di oppressione che agiscono contemporaneamente) di RAZZA, di CLASSE e di GENERE, che agiscono come strutture di oppressione. Questa INTERSEZIONALITÀ si può manifestare ad esempio: sarà più facile costruirsi una strada nella società per un uomo bianco rispetto ad una donna bianca, e sarà, allo stesso tempo più facile per una donna bianca rispetto che per una donna nera.
Secondo Bell Hooks l’ educazione deve essere PRATICA DELLA LIBERTÀ (come avveniva nelle scuole segregate per neri, degli USA, dove veniva insegnato come comportarsi nel contesto in cui si viveva all’ epoca, diventando un luogo di contestazione dell’ autorità bianca) e non una educazione come FORMA DI DOMINIO (come avveniva inizialmente nelle scuole miste, de-segregate, dove gli insegnanti bianchi applicavano forme di dominio sugli studenti neri).
Quindi, la CLASSE è un luogo dove si riconosce la presenza reciproca (studente-studente e studente-insegnante), bisogna eliminare la concezione che solo chi insegna possa mutare la dinamica della classe. Diventare educatori vuol dire riconoscere che si può essere portatori di Bias legati a sessismo, razzismo, ecc…, deve quindi svuotarsi del se (come se fosse libero da pregiudizi).
Come si manifestano le STRUTTURE che impediscono, nella società, l’ autorealizzazione di alcune persone rispetto ad altre?
Un esempio in questo senso è il “politicamente corretto” portato avanti dal conservatorismo, il quale ha intenzione di riportare ordine nel caos (un ordine da loro idealizzato, appartenente al passato), quindi si tende ad andare contro a prescindere a cose come “la teoria gender”, “famiglie non tradizionali”.
Riconoscere una società fondata sulla diversità implica riconoscere un cambio negli equilibri del potere.
Tali strutture quali il genere, la razza, la classe sociale mettono in difficoltà alcune persone nell’ autorealizzarsi rispetto ad altre, all’ interno della società.
MULTICULTURALISMO nella società ed in classe.
Per fare si che si possa sviluppare un ambiente multiculturale, in una classe, bisogna porre allo stesso livello tutti gli studenti, dando loro gli strumenti per comprendere i concetti, per sviluppare un proprio pensiero critico. Per fare ciò bisogna però DE-STANDARDIZZARE L’ APPRENDIMENTO, cioè riconoscere che le modalità di costruzione di un pensiero (attuate nella scuola moderna) sono fondate su strutture di oppressione (ad esempio il patriarcato e il razzismo sono concetti stratificati e normalizzati).
L’ educatore deve quindi mettere in gioco la voce di tutti, la classe deve diventare una comunità. Non si può insegnare italiano se metà della classe (figli di immigrati da altri paesi o immigrati loro stessi) non lo comprende, non si può “buttare tutto sotto il tappeto”, questo crea, in quegli studenti che non parlano l’ italiano, un senso di alienazione.
Bisogna quindi modificare i sistemi su cui si fonda la relazione tra noi e gli altri, riconoscere il pregiudizio su cui si basa il nostro modo di pensare.
Goffredo Fofi.
Uno dei “maestri” di Freire. Autore di “la vocazione minoritaria”, scritto che tratta la “questione meridionale”. L’ autore andò ad insegnare personalmente ai braccianti del sud (Sicilia) la pedagogia. In questo modo egli gli diede gli strumenti culturali per potersi creare una propria “strada”, cosa che altrimenti non avrebbero potuto fare, vivendo nell’ ambiente rurale siciliano dell’ epoca.
Le virtù dell’ EDUCATORE secondo Freire.
Freire aveva l’ intenzione di trasformare la società attraverso gli educatori.
Secondo Freire, la nostra visione del mondo (il nostro spazio culturale) è costruito attorno a strutture di dominio. Per cambiare la situazione, in primo luogo c’è bisogno di molto tempo, poiché lo slegarsi da queste intrinseche relazioni di dominio è difficile, dobbiamo avere fiducia nei gruppi di persone oppressi da questo dominio. L’ educatore deve creare una classe-comunità, dove tutti vengono ascoltati.
L’ educatore in questo senso deve ascoltare il discente, deve sopprimere la tensione tra il silenzio del discente e la sua parola. I discenti devono essere messi nelle condizioni di porre domande, senza la paura (costituitasi con i metodi di insegnamento dei decenni precedenti) della reazione dei compagni o dell’ insegnante, mettere a proprio agio tutti gli studenti, ma allo stesso tempo “metterli scomodi” così da avviare il loro processo di crescita attraverso la partecipazione.
L’ educatore deve conoscere il contesto da cui proviene l’ educando. L’ educatore deve creare una inter-relazione tra educazione e cambiamento attivo sociale.
Differenza tra popoli che usavano la scrittura e quelli che tramandavano le conoscenze oralmente.
Le società possono essere:
-con oralità primaria (basate sul tramandare oralmente le conoscenze) non più esistenti.
-con oralità ristretta (presente ma non predominante), come la nostra.
-con oralità diffusa (dove la comunicazione non passa prevalentemente per forma scritta). In queste società sono molto importanti i GESTI.
Nelle culture orali viene ricordato quello che è più importante per il “presente”, nelle società che sfruttano la scrittura, viene ricordato tutto il possibile (anche l’ “inutile”).
L’ oralità è il processo di tramandare conoscenze e storie, tramite la ripetizione nel tempo, aiutandosi con le CATENE MNEMONICHE. Il processo per ricordare tutte le informazioni a memoria si basa sulla ripetizione sul ritorno di formule identiche, cosicché i racconti si discostino il meno possibile da dei modelli prestabiliti (essi cambieranno molto lentamente nel tempo).
Nella società moderna, prevale la scrittura, ad oggi forse si sta regredendo all’ “oralità” grazie a social media come Tik tok e alla TV (benché presentanti anche immagini).
Idee di tempo e di spazio.
Il TEMPO e lo SPAZIO sono concetti culturalmente orientati. La cultura, quindi, andrebbe ad avere un effetto della percezione da parte dell’ individuo del tempo e dello spazio (nel senso che influenzerebbero le valenze simboliche, affettive e percettive temporali e spaziali).
TEMPO: per Nielsson, le società “primitive” assumevano il tempo non in maniera fluida bensì PUNTIFORME, legata cioè all’ avvenimento di eventi fisiologici o naturali (es. 2 raccolti fa, per identificare un tempo di 2 anni fa, “un sonno” per identificare una giornata ecc…). Le società contadine iniziarono a rappresentare il tempo attraverso il ciclo agricolo (la mietitura, la vendemmia, ecc) e il tempo giornaliero era diviso in base a delle attività sociali o stati naturali (dopo colazione, a notte fonda, dopo la pennichella ecc). Nella società odierna abbiamo istituzionalizzato che il tempo sia misurabile, nell’ ottica della produttività. Nonostante ciò però, ancora oggi nella nostra società basata sul concetto temporale di produttività, riusciamo a collegare il tempo con eventi significativi della nostra esistenza.
In certe culture il tempo cronometrico è stato “addomesticato” con la concezione temporale che vigeva precedentemente: ad esempio, i Baluchi, agricoltori del Pakistan meridionale, oltre ad utilizzare il tempo cronometrico, continuano a basarsi su quello che è un sistema di misurazione temporale tradizionale, come quello della visualizzazione del ciclo solare giornaliero (l’ alba, il mezzogiorno, il tramonto) e persino un sistema di scandimento temporale attraverso il passaggio dell’ acqua in dei canali artificiali).
SPAZIO: l’ idea che lo spazio sia un concetto solo geometrico è fallace, concetti diversi di spazio esistono in diverse culture, come uno spazio non fisico ma spirituale (es. Santo sepolcro), o gli si può attribuire un significato sociale (es. Spazi rituali, spazi di purezza, spazi di genere). Lo spazio per essere vissuto deve essere “addomesticato”. Essere nello spazio implica l’ essere in un luogo di tranquillità e sicurezza, che si contrappone ad una idea di spazio inospitale, sconosciuto e pericoloso. Spesso, in molte culture, lo spazio al di fuori del proprio villaggio, quindi bosco, foreste, deserti, vengono rappresentati come luoghi pericolosi, in cui gli spiriti possono fare del male a chi ci passa.
Secondo Hallpike, molte culture non riuscirebbero a correlare il concetto di spazio a quello del tempo. A questa conclusione si arrivò tramite un suo esperimento fatto su una cultura “primitiva”, per cui due macchinine giocattolo facevano un percorso in stile gara di corsa, una macchinina stava nella corsia più larga mentre un altra in quella più corta (questo perché una andava più veloce rispetto all’ altra. I soggetti pensavano che le 2 macchinine percorressero la stessa distanza. La teoria di Hallpike sembra essere smentita da Forth, che osservo le gare di caselli effettuate dal popolo Rindi: essi, a seconda della velocità e grandezza del cavallo, per rendere la gara equa, aggiungevano delle distanze extra alle diverse corsie, dimostrando di comprendere l’ interconnessione che vi è tra spazio e tempo.
Come comprendere i SISTEMI DI PENSIERO DELLE ALTRE CULTURE?
Il modo con cui pensiamo e ragioniamo, e quindi la nostra visione del mondo, è culturalmente orientata. Per SISTEMI DI PENSIERO, gli antropologi intendono le “attività speculative” dei popoli rispetto al mondo che li circonda.
I sistemi di pensiero TRADIZIONALI spiegano gli eventi e i processi naturali attraverso i concetti religiosi e le divinità, mentre il pensiero SCIENTIFICO occidentale lo fa partendo dalle forze fisiche. Questi 2 sistemi hanno degli obbiettivi comuni (che vengono raggiunti in modo diverso):
-oltrepassare il senso comune (Cioè il nostro “fermarsi alle apparenze”).
-ricercare l’ unità dei principi e delle cause.
-semplificare al di là della complessità dei fenomeni.
-cogliere le regolarità oltre le anomalie dei fenomeni.
-superare il disordine per un principio ordinatore.
Ai primi occidentali che interagivano con culture a sistema di pensiero tradizionale africane, i loro dei ed antenati dovevano apparire capricciosi e irrazionali, questo fatto che sembra all’uomo comune fonte di una primitività, per gli antropologi esperti di culture africane è facilmente spiegabile: tutte le azioni e i pensieri degli agenti divini sono finalizzati all’individuazione dell’ unità dei principi, dell’ ordine e della regolarità del mondo e cioè gli stessi obbiettivi perseguiti dal pensiero scientifico moderno.
Per andare a oltrepassare il “senso comune” e comprendere concetti “più grandi” spesso vengono in nostro aiuto le ANALOGIE ESPLICATIVE: es. “il cervello è come un computer”, usata nel mondo occidentale, che va a mettere in relazione una “cosa” con un altra per spiegarne la complessità. Nelle culture tradizionali, ciò viene fatto usando caratteristiche del “Mondo sociale” per creare le analogie (es. AIDS come punizione per i giovani camerunensi quando loro si sottrae vano ai doveri imposti dal capo della loro comunità; i giovani camerunensi, infatti, ricercando una maggiore autonomia, si spostavano dalle aree rurali a quelle di città, dove avevano rapporti sessuali con i residenti e contraevano l’ AIDS; nel loro villaggio il poter avere rapporti con le donne viene permesso dal capo; allo stesso tempo i giovani ritengono che l’ AIDS sia un torto che il capo villaggio fa loro per avere ricercato più libertà). Di conseguenza la spiegazione di fenomeni viene ritrovata come il volere di un dio a seguito del disequilibrio di una condizione sociale.
Per molto tempo gli occidentali, quando si approcciavano per la prima volta ad altre culture, e queste raccontavano loro dei loro miti, leggende o rituali con annessi significati, gli occidentali, ritenendo loro non dotati della conoscenza del PRINCIPIO ARISTOTELICO DI NON CONTRADDIZIONE, del PRINCIPIO DI IDENTITÀ pensavano che quello che gli veniva raccontato, per i “primitivi” avesse un significato letterale e non metaforico, e il PRINCIPIO DI CAUSALITÀ.
Sistemi di pensiero CHIUSI ed APERTI.
Un sistema di pensiero CHIUSO indica la mancata consapevolezza che esistano alternative esplicative alla propria visione del mondo, al contrario un sistema di pensiero APERTO, accetta il fatto che possano esserci alternative alla propria visione del mondo. Quindi il sistema di pensiero TRADIZIONALE è un sistema di pensiero chiuso, poiché per dar senso agli eventi e ai fenomeni, lo sciamano o il mago non è in grado di scorgere altre alternative di interpretazione. Il sistema di pensiero SCIENTIFICO, invece, è aperto, poiché lo scienziato è consapevole di alternative alla propria ipotesi e teorie, che possono essere abbandonate qualora le evidenze lo impongano.
Avere un sistema di pensiero APERTO comporta:
-accettare la rappresentazione dicotomica della realtà.
-non tenere conto delle analogie esplicative.
Si rappresenta quindi lo scontro tra razionalità e irrazionalità.
Esempio: “noi Bororo siamo arara rossi”. Quando i Bororo dissero questa frase agli occidentali la prima volta che gli incontrarono, questi ultimi pensarono che i Bororo si ritenessero veramente degli uccelli tropicali. In realtà era una metafora per identificare la situazione maschile all’ interno della loro cultura. Per loro gli arara rossi erano uccelli domestici, venerati, poiché ritenuti progenie del dio AROE, così come loro stessi. I Bororo, durante un rituale, per convincere il dio AROE a discendere sulla Terra, si ricoprivano di piume di arara. Questi uccelli venivano trattati dalle donne del villaggio come dei “bambini”, venivano nutriti, vezzeggiati ed anche ereditati, ma solo dalle DONNE. La società Bororo si basa sulla residenza matilocale, di conseguenza il marito deve andare a vivere dalla parte del villaggio (UXORILOCALE) della famiglia della moglie. Quindi la frase “noi maschi Bororo siamo arara rossi” va ad indicare la condizione maschile per la quale essi sono “accuditi” dalle mogli come i pappagalli. È una frase ironica sottoforma di metafora.
MAGIA come sistema di pensiero.
La MAGIA è intesa come insieme di gesti, atti, formule usate per influire sul corso degli eventi e sulla natura delle cose.
La magia, secondo Frazer, è il primo stadio dei metodi che permettono all’ uomo di spiegare i fenomeni fisici e naturali, seguirà la religione e poi la scienza.
La magia, secondo Malinowski, invece, ha delle finalità pratiche, serve a rispondere a delle situazioni generatrici di ansie (cerca quindi di rassicurare l’ individuo messo di fronte all’ incertezza). Al contrario la religione è meno pratica (serve a spiegare il senso della vita).
La magia INDICATIVA (che si basa sulla legge della SOMIGLIANZA) è, ad esempio, quella che nell’ atto di essere applicata, va a rassomigliare l’ obbiettivo della magia: ad esempio un oggetto o una persona X che assomigliano ad un altro oggetto o un altra persona Y, allora il destino di X avrà un impatto su Y. Un esempio di questo tipo di magia è il VUDÚ, con una bambola che rassomiglia una persona, se infilzata, la persona rappresentata sarà colpita da dolore e sofferenza.
Un altro tipo di MAGIA è quella CONTAGIOSA (basata sulla legge del contagio) in questo caso oggetti di o associati ad una persona possono avere un effetto sulla medesima. Un esempio di ciò è sfruttare ciocche di capelli unghie, sangue o persino la placenta per dei riti che avranno un effetto sul possessore di quelle parti del corpo (possono essere anche oggetti appartenenti alla persona).
La magia, secondo De Martino, si innesta come realtà nelle persone quando esse cadono nella “perdita della presenza” cioè la consapevolezza di esserci nel mondo, che si costruisce per fuggire all’ idea e all’ angoscia di “non esserci”, che viene a mancare quando le certezze che precedentemente si possedevano spariscono, crollano, nulla ha più un senso, quindi la magia prende senso.
MITO e MITEMA.
Il MITO è un racconto sull’ origine del mondo e dell’ universo (COSMOGONIE), della società, dei riti e delle tecniche, la distinzione dei sessi, lotte tra divinità o spiriti dal cui esito dipendono le sorti del mondo e dell’ umanità (TEOGONIE) ecc… .Il mito spesso è legato al RITO (il quale vivifica il mito, attraverso dei rituali). Racconta la realtà attraverso storie non reali.
Caratteristiche del Mito:
-ignora spazio e tempo
-i personaggi del mito abitano spazi impossibili da frequentare (cielo, fiumi,le stelle, la luna ecc)
-antropomorfizzazione della natura o naturalizzazione dell’ uomo.
-disegna una situazione originaria.
Molti miti vedono l’ origine del mondo come un processo di separazione da un ordine originario. In origine il mondo è in equilibrio, poi, l’ equilibrio viene spezzato e i suoi elementi costituenti vengono divisi e frammentati (non più in armonia). A volte questo ordine originario viene separato da un TRICKSTER (entità che agisce al di là dei principi culturalmente condivisi di bene e male, è un essere preculturale, aiuta l’ uomo ma gli porta anche sventura).
Il MITO è quindi un racconto con entità sovrannaturali, in cui la logica e la ragione vengono sospese. Per l’ antropologo Radcliffe-Brown, la presenza, nei miti, di animali in contrapposizione e lotta tra loro, rappresentavano le relazioni sociali umane (con le loro contraddizioni, complementarietà e funzioni). L’ antropologo Levi-Strauss sosteneva che il mito avesse una funzione filosofica e psicologica, in particolare, i miti, aiutavano le persone a gestire le profonde contraddizioni esistenti (tra vita e morte, tra bene e male) attraverso la costituzione di un mediatore tra queste parti (una soluzione). Inoltre egli sosteneva l’ importanza di osservare nello specifico le differenze tra i singoli MITEMI presenti nel mito. Teorie più recenti pongono il mito come qualcosa che ha la funzione di trasmettere conoscenze ed informazioni relative a strategie di sussistenza e utili a gestire le crisi economiche (i miti sono quindi depositari di conoscenza utili per la sopravvivenza, ma anche per la salvaguardia dell’ ambiente).
Il MITEMA sono dei temi ricorrenti nelle diverse società che vengono ripresi costantemente nei miti poiché importanti e rilevanti (ad esempio il sole e la luna).
“Big men” e “big women”
Gli individui identificati in questo modo sono coloro che, in diverse culture, acquisiscono potere politico, sociale e decisionale a seguito di una serie di favori, di aiuti e di prestiti fatti nei confronti degli altri. Il potere per queste persone viene conquistato attraverso la GENEROSITÀ.
In particolare, la ricchezza dei big man/woman non deve eccedere di troppo quella degli altri membri della comunità, però il big man/woman è colui/colei che deve dimostrare di dare agli altri di più di quanto gli venga dato, anche con l’ organizzazione di banchetti, raduni o feste. Solo così facendo i membri della comunità lo accettano come colui/colei capace di avere un certo potere decisionale sui periodi di semina, sulle rotte di spedizione/spostamenti e altre questioni.
Per loro più si elargisce più prestigio acquisiscono.
Concetto di ETNIA.
Un ETNIA indica un gruppo di individui che condividono la medesima identità (derivante da motivazioni linguistiche, religiose, storiche o geografiche).
In molti casi i gruppi etnici si scontrano fra loro, ad esempio, la Cina, presenta un gruppo etnico dominante (HAN, 94% della popolazione cinese totale), e altri 54 gruppi etnici minoritari (che in totale contano circa 67 milioni di persone). Le politiche del governo cinese sono quelle di limitazione della crescita e diffusione delle etnie non Han: un esempio emblematico di ciò è il Tibet; i tibetani hanno subito l’ invasione della Cina e ora devono sottostare ai dettami degli Han, in realtà essi stanno subendo un tentativo di ETNOCIDIO (l’ annientamento di un gruppo etnico da parte di un altro). Un altro esempio di etnia è quella diasporica dei ROMA (o rom), presenti in Europa e negli USA, chiamati zingari in modo dispregiativo, che si spostano costantemente e subiscono la marginalizzazione da parte della società.
Il concetto di etnia viene quindi, spesso, sfruttato a scopo politico, per enfatizzare le differenze reali, o immaginarie, tra gruppi di individui, dimenticando quelli che sono gli elementi che invece accomunano questi gruppi. Si crea lo scontro etnico, che porta a guerre, guerre civili, o fenomeni di annientamento della etnie d’ opposizione (come è successo nei Balcani, dove, negli anni 90’, nel nome della pulizia etnica, si sono verificati stupri di massa, deportazioni, massacri, fosse comuni).
Genere e SESSISMO.
Il SESSISMO si basa sulla discrimazione in base al sesso di appartenenza dell’ individuo. In molte culture è presente il PATRIARCATO, sistema di disequilibrio di potere tra i sessi, dove sono i maschi a detenere la maggior parte del potere politico, sociale, economico. Vi sono diversi modelli di società patriarcale che si manifestano nelle diverse culture, alcuni sono più violenti e repressivi, nei confronti delle donne, rispetto ad altri: i più violenti prevedono l’ uccisione della donna in determinate circostanze, senza che il resto della comunità possa dire nulla, un esempio di ciò è il DELITTO D’ ONORE, usato anche in Italia fino a qualche decennio fa, per cui l’ assassinio di una donna che tradisce il marito o che non rispetta i vincoli matrimoniali, viene accettato. Altre forme di patriarcato sono meno violente fisicamente, come l’ impedire alle ragazze di frequentare la scuola o di comportarsi in certe maniere e di obbedire all’ uomo.
Il contrario del patriarcato e il matriarcato: non si ritiene che sia mai esistita una società matriarcale.
Concetto di PARENTELA.
La parentela è intesa come l’ intreccio di relazioni che un individuo ha con membri più o meno stretti della “famiglia” o ancora meglio dei consanguinei o sulla base del matrimonio (alleanza).
La CONSANGUINEITÀ è intesa come una relazione biologica tra 2 individui, mentre l’ ALLEANZA indica l’ entrata in relazione di due individui grazie all’ unione di due loro consanguinei.
Il come la parentela viene intesa non è universale nelle diverse culture: per noi occidentali i nonni da parte materna e paterna sono sempre “NONNI” ma per altre culture i nonni materni possono essere identificati in maniera diversa dai nonni paterni.
La PARENTELA, dagli antropologi, viene rappresentata attraverso un diagramma, con differenti simboli che indicano diversi significati (es. Il triangolo è per identificare un maschio e il cerchio per identificare una femmina, poi vi sono i simboli per identificare i diversi gradi di relazione, come un = per identificare il matrimonio, una / pe identificare un individuo deceduto ecc). Viene identificato come un simbolo colorato l’ “EGO” cioè il punto di riferimento che si tiene conto (un individuo) dal quale poi l’ antropologo inizia a costruire il diagramma di parentela. Gli individui, in relazione all’ ego vengono identificati con delle sigle (es. M per mother, F per father, B per brother, Z per sister ecc).
La parentela si divide e si appoggia in 3 concetti fondamentali: la DISCENDENZA, la CONDIVISIONE e il MATRIMONIO. Nelle diverse culture questi pilastri vengono esplicitati differentemente portando a costruzioni di significato di parentela differenti.
Ad esempio per gli Inuit dell’ Alaska del nord, un parente è colui che si comporta in un certo modo, qualora il comportamento del fa!ingoiare dovesse cambiare allora è possibile che esso smetta di essere un parente (es. X era mio cugino). Un altro esempio è quello di definizione di “madre” per i Navajo, per loro la madre è sia quella biologica che le sue eventuali sorelle (cioè quelle che per noi vengono identificate come zie). In Europa, per molti secoli, vigeva l’ idea che la procreazione fosse frutto di una attiva azione maschile e di una passiva azione femminile (era l’ uomo che metteva il seme nella donna), il che fu successivamente smentito scientificamente dalla genetica che affermava come il corredo cromosomico derivasse a metà sia dalla madre che dal padre.
DISCENDENZA e CONSANGUINEITÀ.
Tutte le società, in modo differente, si sono adoperate a escogitare regole e sistemi in base ai quali assegnare la PROLE ad un gruppo di individui piuttosto che ad un altro. Così si costituirono i GRUPPI DI DISCENDENZA.
I GRUPPI DI DISCENDENZA sono un insieme di individui i quali discendono da un antenato comune, da questo fatto essi sono socialmente legittimati ad avere certi diritti e a trasmetterli ai loro discendenti.
I GRUPPI DI DISCENDENZA si dividono in 3 tipi principali:
1) PATRLINEARE: La discendenza è stabilita esclusivamente attraverso individui di sesso maschile.
2)MATRILINEARE: La discendenza viene stabilita esclusivamente attraverso individui di sesso femminile.
3)COGNATICA: La discendenza è stabilita sia su individui di sesso maschile che femminile (quest’ultima non è, come i due tipi precedenti, UNILATERALE, poiché non segue nessuna linea prestabilita).
In alcuni casi vi può essere una DISCENDENZA DOPPIA, per cui alcune prerogative dell’ individuo sono acquisite per via patrilineare ed altre per via matrilineare.
Nella società occidentale odierna non si parla più di linee di discendenza, si preferisce parlare pertanto di società BILATERALI.